Dal testo di Francesco Zanotto
“Gli assalitori del castello erano giovani delle vicine città e della stessa Trivigi (… ) Le armi scambievoli con cui combattevano gli assalitori e le difenditrici erano fiori, aranci, poma, confetture e acque odorose ( … ). Gli assalitori erano divisi in tre schiere: Padovani, Trivigiani e Veneziani, e ognuna aveva per segnale il vessillo delle proprie città ( … ) quando tutto ad un tratto accadde un tale disordine, avvegnachè mentre i giovani Veneziani da un lato valorosamente combattendo, presa una porta, erano per piantare in breve nel castello il loro stendardo … ( … ) i Padovani fecero insulto all’alfiere veneziano … “
ANNO 1214
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Anche un gioco, quale quello svoltosi in piazza a Treviso, fra dame e cavalieri, si può risolvere in battaglia quando sullo sfondo ci stanno vecchi risentimenti. Così il castello d’amore si rivelò un segnale per la guerra anche se la cosa poi si risolse in una mezza burla …
35 – LA SCHEDA STORICA
Alla notizia della morte del vecchio doge Enrico Dandolo giunta a Venezia solo dopo cinquanta giorni, si radunò immediatamente l’Assemblea per l’elezione del nuovo doge che venne scelto nella persona di Pietro Ziani figlio del precedente doge Sebastiano e come il padre abile commerciante e speculatore.
Una volta conquistata l’isola di Creta, fu proprio Ziani a mandarvi Jacopo Tiepolo col titolo di “duca” di Candia per tentare di affermare una volta per tutte l’organizzazione e l’autorità politica veneziane, cosa che seppur con una certa fatica infine si realizzò.
Ma durante il dogato dello Ziani si incominciò soprattutto a raccogliere i frutti dell’egemonia commerciale che Venezia si era assicurata con la conquista di Costantinopoli e del suo impero.
Da Negroponte e dal Peloponneso potevano ora prendere la via grossi carichi di frumento, legname e seta, mentre dal Bosforo era ormai facile raggiungere i porti ed i mercati del Mar Nero e della Crimea in particolare.
Questa condizione privilegiata si traduceva per la città in un costante incremento dei commerci e di conseguenza delle attività e della ricchezza locali. Le concerie di pelli, specie concentrate alla Giudecca, le tessiture di lana, le vetrerie, così numerose queste ultime già alla fine del Duecento che il governo ducale si vide costretto a trasferirle in massa nell’isola di Murano, ed infine l’importante industria delle costruzioni navali attiva soprattutto all’Arsenale di Stato conobbero nei primi decenni del secolo un vero e proprio boom.
Accanto alla produzione di grandi navi da guerra o di mercantili, Venezia produceva inoltre un gran numero di piccole e medie imbarcazioni adatte alla navigazione fluviale che pur manteneva ancora la sua importanza. Attraverso le arterie fluviali infatti (Brenta, Adige e Bacchiglione), Venezia entrava in contatto commerciale con l’immediato entroterra veneto e con i suoi Comuni e tra questi, in particolare, con quello padovano e trevigiano.
Un contrasto destinato ad accrescersi
Fino agli inizi del Duecento i rapporti con le due città si erano informati a dei buoni rapporti di vicinato. Certo, Padova nel secolo precedente con il tentativo maldestro di dirottare le acque del Brenta aveva avuto modo di scontrarsi brevemente con i veneziani, ma la cosa non aveva prodotto grosse conseguenze.
Fu nel 1214 che padovani e veneziani giunsero nuovamente alle armi, ma questa volta il pretesto e le circostanze che scatenarono la guerra erano di ben altra natura. L’incidente, tuttavia, mise in luce tutta la fragilità dei rapporti del ducato veneziano, compresso ormai negli angusti confini lagunari, con i comuni cittadini limitrofi.
Questi i fatti. In occasione della Pasqua di quell’anno il Comune di Treviso aveva bandito una festa alla quale erano stati invitati alcuni tra i più importanti comuni della Venezia-Giulia e tra questi non poteva certo mancare Venezia.
Il culmine della festa era rappresentato da un singolare gioco che veniva chiamato “Castel d’Amore”. Si trattava di un castello costruito con il legno e ricoperto di stoffe preziose dove prendevano posto delle giovani spose e delle ragazze. Queste, riccamente ingioiellate ed ornate, dovevano difendere il castello dall’assalto di giovani divisi in varie compagnie ciascuna sotto l’insegna del proprio Comune. Quali armi di difesa per le donzelle e di attacco per i giovani, solo rose, garofani, gigli, ma anche, a quanto pare, noci, datteri e altra frutta ancora e altri fiori pregiati. La guerra simulata era poi accompagnata da un sottofondo sonoro che accentuava e completava il clima di giocosa cortesia che caratterizzava la festa. Un clima, tuttavia, che in occasione della festa di quell’ anno venne presto violentemente interrotto.
Il gruppo dei giovani veneziani era sul punto di conquistare il castello – e le dame – quando i giovani padovani, forse invidiosi, forse volutamente canzonati, strapparono all’improvviso dalle mani dei probabili vincitori lo stendardo di S. Marco e lo gettarono a terra calpestandolo e facendolo a pezzi. La reazione dei veneziani di fronte a tanto strazio del loro amato simbolo cittadino, non si fece naturalmente attendere e così dalla festa e da una guerra simulata, si arrivò presto alle mani e ad una vera e propria guerra armata.
Sedati temporaneamente gli animi dei turbolenti giovani ed interrotta la festa, le ostilità infatti si spostarono e ripresero in ben altro campo. I padovani, appoggiati dai trevigiani – entrambe le città non guardavano certo con entusiasmo alla crescente potenza di Venezia -, minacciarono la città di Chioggia e saccheggiarono il territorio veneziano limitrofo. Infine tentarono un assalto ad un castello, ma questa volta ad una castello vero, quello delle Bebbe, collocato quale avamposto difensivo dei veneziani verso Padova, Adria e Ferrara ..
I padovani dallo scontro coi veneziani, aiutati in questa occasione dai chioggiotti, ne uscirono anche questa volta drammaticamente sconfitti, complice, pare, un’improvvisa inondazione d’acqua marina che presto allagò l’intera area dove si erano accampati. In questa inaspettata situazione i padovani si trovarono così circondati improvvisamente dall’acqua e dagli acquitrini diventando facili prede per i veneziani che infatti riuscirono a catturarne svariate centinaia senza colpo ferire.
La pace tra Padova e Venezia si concluse il 9 aprile del 1216 alla condizione che Padova consegnasse ai veneziani almeno 25 di quei giovani principalmente responsabili dei disordini scoppiati a Treviso e all’origine della guerra che ne seguì. Il Comune di Padova acconsentì e consegnò i giovani al governo veneziano che tuttavia, avuta la soddisfazione di vedere la sottomissione di Padova, dopo una breve prigionia rispedì i giovani sani e salvi alle loro case.
Si chiudeva così, finalmente, un’ingloriosa parentesi, presagio di ben più dure e cruente battaglie tra le due città.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA, volume 2, SCRIPTA EDIZIONI
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