Dal testo di Francesco Zanotto
“Fu allora che videsi, pietà grande e commendevole, accorrer ogni dì le femmine stesse, e nobili e plebee, sulle mura, guidate da’ monaci, e prestarsi ad ogni opera servile, recando e somministrando a’ combattenti acqua, sassi, legne, nè partire se prima con lanciamento di pietre verso la fossa, non avessero, per quanto potevano, offeso il nemico; ciò continuando sempre fino al giorno dell’ultimo esizio. La quale opera di carità volemmo qui rappresentata, affinchè serva a laude di virtù, a sprone di gesta magnanime”.
ANNO 1571
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Dopo molti mesi di duro assedio, i cannoneggiamenti dei turchi aprono le prime breccie sulle ciclopiche mura di Famagosta. Per la città è solo questione di giorni …
LA SCHEDA STORICA – 104
Con i viveri e i rifornimenti di munizioni pressochè finiti, il comandante Baglioni e il capitano Bragadin non poterono a fine luglio che constatare amaramente come i lunghi mesi di resistenza all’assedio turco fossero stati praticamente inutili. Dopo i primi rifornimenti, infatti, dall’orizzonte non erano più spuntate navi cristiane. Resistere ancora in quelle condizioni era un atto senza speranza.
Eppure fino all’ultimo nulla venne lasciato di intentato sperando sempre nell’arrivo dei rinforzi navali che avrebbero preso i turchi alle spalle, creando le condizioni per schiacciarli in un’operazione a tenaglia. Ma le navi cristiane non comparivano e mai sarebbero comparse, anche se Bragadin non poteva certo saperlo.
Non restava così che contare solo ed esclusivamente sui superstiti, quelli che si reggevano ancora in piedi, visto che ormai da settimane in città non era rimasto più niente da mangiare, se non pane e qualche legume.
I turchi, resi ancor più determinati e feroci dal lungo e inconcludente assedio, sferrarono infine il loro attacco generale, riuscendo infatti a poco a poco a conquistare parte delle possenti mura difensive.
La prima torre ad essere conquistata fu la Morata, rivolta al mare. Sotto l’alta torre i turchi piazzarono ben 24 cannoni con i quali riuscirono a sbaragliare i pochi difensori e a procedere oltre, coperti alle spalle dal fuoco di copertura delle navi della loro flotta ancorata di fronte alla città.
L’assedio è sempre più stretto, sia dal mare che da terra, e anche all’interno si fanno sentire le malattie e la fame …
Il lato verso il mare risultava così per i cristiani ormai del tutto indifendibile. Non restava che concentrarsi sugli altri versanti specie quello settentrionale dove s’innalzava la torre detta dell’Oca. La torre era già stata presa di mira più volte dalle artiglierie turche senza successo per l’astuta e ferrea difesa approntata dai veneziani che costrinsero alla fine i turchi ad abbandonare l’impresa o per lo meno a rimandarla.
Nelle settimane e negli ultimi giorni che precedettero la resa gli abitanti della città fecero l’impossibile per opporsi al destino già delineatosi. I momenti di sconforto, dovuti anche all’apparire di numerose e gravissime malattie che uccidevano o fiaccavano i sopravvissuti, si erano alternati a momenti di viva speranza e di frenetica attività.
A gennaio i difensori erano riusciti, dopo una serie di fortunate sortite nel campo nemico, a ricevere i primi rifornimenti e i primi rinforzi di 1400 soldati italiani guidati da Luigi Martinengo che portava con sè anche 16 nuovi cannoni. Quegli aiuti riaccesero per un istante la speranza di poter continuare a resistere all’assedio in attesa dell’arrivo della flotta.
Ma con la primavera erano arrivati anche ai turchi i rifornimenti e i rinforzi: circa 100 nuove galee e di un gran numero di uomini, in tutto circa 50.000 soldati freschi e pronti a combattere fino alla morte di fronte ai quali i 1400 soldati italiani non potevano che scomparire.
L’ultima fase della resistenza della città …
Iniziava così la fase più eroica e drammatica della resistenza di Famagosta, sempre nella cocciuta speranza che prima o poi il grosso della flotta cristiana sarebbe finalmente arrivato.
In quelle ultime, lunghissime settimane che separavano i turchi dalla vittoria finale, i due comandanti, Baglioni e Bragadin, furono i veri protagonisti della situazione, organizzando, incoraggiando, disponendo di continuo le difese. L’apice dei loro sforzi fu raggiunto probabilmente a fine giugno, quando i turchi piazzarono una grossa quantità d’esplosivo sotto una delle fortificazioni.
All’alba del 29 giugno appiccarono il fuoco a questa potente mina. Un fragore spaventoso scosse l’intera città. I turchi erano riusciti a squarciare in quel punto la cinta muraria. Sembrò cosa fatta. Da lì sarebbero facilmente penetrati all’interno della città, ma non appena questa eventualità si rese palese agli occhi degli assediati, gli uomini del Bragadin si diedero a combattere con tale accanimento dall’alto dello squarcio che dopo sei ore di scontro il nemico non poté far altro che ritirarsi.
La ritirata, tuttavia, sarebbe stata comunque solo momentanea, giusto il tempo di riorganizzarsi per dar il via ad un nuovo assalto.
Gli uomini impegnati in quei durissimi e drammatici frangenti in prima linea a difendere le mura e con esse la città, potevano contare sull’aiuto generoso delle donne che alle loro spalle lavoravano instancabilmente per procurar loro acqua, cibo e rifornimenti lanciando là dove fosse loro possibile, anche delle grosse pietre sul nemico. Sassi che dovevano essere impiegati nel tentativo di rabberciare le sempre più numerose e ampie brecce che le artiglierie turche aprivano sulle mura. Niente e nessuno purtroppo poteva più mutare il destino della città e della sua gente che così coraggiosamente ed ostinatamente aveva resistito per tutti quei lunghi mesi.
Niente e nessuno avrebbe potuto mutare l’orribile destino che attendeva di lì a pochi giorni il valente comandante Baglioni e soprattutto il capitano veneziano Marcantonio Bragadin.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA, volume 4, SCRIPTA EDIZIONI
Link: http://www.storiavicentina.it