Gen 25 2016

IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE

Category: Cultura e dintorni,Persone e personaggigiorgio @ 04:08

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Ippocrate di Coo (o Cos, o Kos) (in greco antico ʽΙπποκράτης), traslitterato in Hippokrátēs; Coo, 460 a.C. circa – Larissa, 377 a.C.

 

 

Attualmente i medici non son tenuti ad uno specifico giuramento prima di intraprendere la loro professione.

Quasi a livello “nostalgico” si recita una versione “moderna” del giuramento del fondatore del codice deontologico della classe medica IPPOCRATE appunto.

E’ utile a volte rinfrescarci la memoria.

 

GIURAMENTO ANTICO, L’ORIGINALE GRECO:

 

« Ὄμνυμι Ἀπόλλωνα ἰητρὸν, καὶ Ἀσκληπιὸν, καὶ Ὑγείαν, καὶ Πανάκειαν, καὶ θεοὺς πάντας τε καὶ πάσας, ἵστορας ποιεύμενος, ἐπιτελέα ποιήσειν κατὰ δύναμιν καὶ κρίσιν ἐμὴν ὅρκον τόνδε καὶ ξυγγραφὴν τήνδε.

Ἡγήσασθαι μὲν τὸν διδάξαντά με τὴν τέχνην ταύτην ἴσα γενέτῃσιν ἐμοῖσι, καὶ βίου κοινώσασθαι, καὶ χρεῶν χρηίζοντι μετάδοσιν ποιήσασθαι, καὶ γένος τὸ ἐξ ωὐτέου ἀδελφοῖς ἴσον ἐπικρινέειν ἄῤῥεσι, καὶ διδάξειν τὴν τέχνην ταύτην, ἢν χρηίζωσι μανθάνειν, ἄνευ μισθοῦ καὶ ξυγγραφῆς, παραγγελίης τε καὶ ἀκροήσιος καὶ τῆς λοιπῆς ἁπάσης μαθήσιος μετάδοσιν ποιήσασθαι υἱοῖσί τε ἐμοῖσι, καὶ τοῖσι τοῦ ἐμὲ διδάξαντος, καὶ μαθηταῖσι συγγεγραμμένοισί τε καὶ ὡρκισμένοις νόμῳ ἰητρικῷ, ἄλλῳ δὲ οὐδενί.

 

Διαιτήμασί τε χρήσομαι ἐπ’ ὠφελείῃ καμνόντων κατὰ δύναμιν καὶ κρίσιν ἐμὴν, ἐπὶ δηλήσει δὲ καὶ ἀδικίῃ εἴρξειν.

 

Οὐ δώσω δὲ οὐδὲ φάρμακον οὐδενὶ αἰτηθεὶς θανάσιμον, οὐδὲ ὑφηγήσομαι ξυμβουλίην τοιήνδε. Ὁμοίως δὲ οὐδὲ γυναικὶ πεσσὸν φθόριον δώσω. Ἁγνῶς δὲ καὶ ὁσίως διατηρήσω βίον τὸν ἐμὸν καὶ τέχνην τὴν ἐμήν.

 

Οὐ τεμέω δὲ οὐδὲ μὴν λιθιῶντας, ἐκχωρήσω δὲ ἐργάτῃσιν ἀνδράσι πρήξιος τῆσδε.

 

Ἐς οἰκίας δὲ ὁκόσας ἂν ἐσίω, ἐσελεύσομαι ἐπ’ ὠφελείῃ καμνόντων, ἐκτὸς ἐὼν πάσης ἀδικίης ἑκουσίης καὶ φθορίης, τῆς τε ἄλλης καὶ ἀφροδισίων ἔργων ἐπί τε γυναικείων σωμάτων καὶ ἀνδρῴων, ἐλευθέρων τε καὶ δούλων.

 

Ἃ δ’ ἂν ἐν θεραπείῃ ἢ ἴδω, ἢ ἀκούσω, ἢ καὶ ἄνευ θεραπηίης κατὰ βίον ἀνθρώπων, ἃ μὴ χρή ποτε ἐκλαλέεσθαι ἔξω, σιγήσομαι, ἄῤῥητα ἡγεύμενος εἶναι τὰ τοιαῦτα.

 

Ὅρκον μὲν οὖν μοι τόνδε ἐπιτελέα ποιέοντι, καὶ μὴ ξυγχέοντι, εἴη ἐπαύρασθαι καὶ βίου καὶ τέχνης δοξαζομένῳ παρὰ πᾶσιν ἀνθρώποις ἐς τὸν αἰεὶ χρόνον. παραβαίνοντι δὲ καὶ ἐπιορκοῦντι, τἀναντία τουτέων. »

 

GIURAMENTO DI IPPOCRATE ORIGINALE IN ITALIANO

 

 

Giuro per Apollo medico e per Asclepio e per Igea e per Panacea e per tutti gli dèi e le dee, chiamandoli a testimoni che adempirò secondo le mie forze e il mio giudizio questo giuramento e questo patto scritto.

 

Terrò chi mi ha insegnato questa tecnica in conto di genitore e dividerò con lui i miei beni, e se avrà bisogno lo metterò a parte dei miei averi in cambio del debito contratto con lui, e considerò i suoi figli come fratelli, e insegnerò loro questa tecnica se vorranno apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti.

 

Metterò a parte dei precetti e degli insegnamenti orali e di tutto ciò che ho appreso i miei figli e i figli del mio maestro e i discepoli che avranno sottoscritto il patto e prestato il giuramento medico, ma nessun altro.

 

Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa.

 

Non somministrerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale, e non prenderò mai un’iniziativa del genere; e neppure fornirò mai a una donna un mezzo per procurare l’aborto.

 

Conserverò pia e pura la mia vita e la mia tecnica.

 

Non opererò neppure chi soffre di calcoli, ma cederò il posto a chi è esperto di questa pratica.

 

In tutte le case che visiterò entrerò per il bene dei malati, astenendomi ad ogni offesa e da ogni danno volontario, e soprattutto da atti sessuali sul corpo delle donne e degli uomini, sia liberi che servi.

 

Tutto ciò ch’io vedrò e ascolterò nell’esercizio della mia professione, o anche al di fuori della professione nei miei contatti con gli uomini, e che non dev’essere riferito ad altri, lo tacerò considerandolo cosa segreta.

Se adempirò a questo giuramento e non lo tradirò, possa io godere dei frutti della vita e della tecnica, stimato in perpetuo da tutti gli uomini; se lo trasgredirò e spergiurerò, possa toccarmi tutto il contrario.

 

 

 

GIURAMENTO DI IPOCARATE VERSIONE MODERNIZZATA

 

Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo,

 

GIURO:

 

* di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento;

 

* di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;

 

* di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente;

 

* di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze;

 

* di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione;

 

* di affidare la mia reputazione esclusivamente alle mie capacità professionali ed alle mie doti morali;

 

* di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione;

 

* di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;

 

* di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica;

 

* di prestare assistenza d’urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’Autorità competente;

 

* di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto;

 

* di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato.

 

 

 

 

Fonte: Antikitera del 20 aprile 2012

Link: http://www.antikitera.net/news.asp?id=11554&T=3

 

Un Commento a “IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE”

  1. Moreno Menini scrive:

    Salve, ho letto sul vostro sito che vi siete occupati del Capodanno Veneto. Mi chiamo Moreno Menini ed abito a Mezzane di Sotto.
    Visto che si sta avvicinando la data volevo mandarvi un mio breve articolo sull’argomento. Per fine Febbraio è in pubblicazione il relativo libro.

    Saluti marcheschi
    Moreno Menini

    Le feste agrarie dell’anno nuovo incentrate all’inizio di Marzo, lo stile Veneto del Calendario inaugurato a Venezia a partire dal Mille d.C. e la particolare iconografia del mese di Marzo sui meravigliosi Calendari Illustrati Medievali scolpiti o dipinti nelle Chiese e palazzi dell’Altaitalia sono intimamente collegati da una civiltà che ha tramandato fino ai nostri giorni un’idea del tempo e del mondo di origini arcaiche.
    In tutta l’Altaitalia etnografi e folkloristi dell’Otto e Novecento hanno annotato quelle tradizioni che a fine Febbraio ed inizi Marzo riunivano la comunità del tempo per più serate in grandi baldorie ove al fragore simultaneo ed organizzato dei ragazzi per le vie del paese, alle corse notturne per i campi con lampade o fiaccole oppure attorno ad enormi falò in montagna si invocava l’arrivo del Marzo (ossia della Primavera, la bella stagione) col suo carico di abbondanza per i nuovi raccolti e la distruzione rituale dell’anno trascorso. Esse hanno corrispondenza con i riti di evocazione della Primavera e di espulsione della Morte praticati in altre parti d’Europa e tese ad invocare la nuova stagione seppur in altre date dell’anno (per lo più in Aprile o Maggio).
    Nell’Altaitalia questi rituali avevano una serie di modelli differenziati ma pur sempre riconducibili ad uno schema sostanzialmente unitario. Sono i “far lume a Marzo” in Romagna, “Chiamar erba” in Valtellina, mentre in Veneto sono conosciuti con una miriade di nomi: Bater Marso, Ciamar Marso, Brusamarso, Trato Marso, Vivò Marso, Fora Febraro, Sella Marso, Cantar marso o “le Osade de Marso”, etc. Il folklore Veneto ha conservato diversi elementi di un rituale complesso che si svolgeva in più serate, probabilmente anche una settimana di fila nei tempi antichi. L’incedere della modernizzazione ha progressivamente portato in disuso alcune parti del rito, che sono state però conservate in forma frammentata nelle vallate o comuni poco distanti, restituendoci un quadro d’insieme complesso e sorprendentemente ricco.
    Accanto ai monti del vicentino dove fin dall’Ottocento prevalgono i falò in spiazzi all’aperto e gli schiamazzi rituali dei ragazzi all’imbrunire a volte affiancati da spari di fucile, suonate di corno ed invocazioni a Marzo affinchè porti raccolti abbondanti, abbiamo i comuni in cui si snodano per le vie del paese i frastuoni di giovani nel veronese e basso padovano cui seguono fidanzamenti rituali proclamati a gran voce dai ragazzi casa per casa sotto le finestre delle ragazze nubili, con filastrocche rituali dialogate a botta e risposta fra un coro ed un maridaore che declama i nomi degli coppie facendo seguire a serate di fidanzamenti finti ed inverosimili (ad esempio vecchie con giovani pubescenti) la serata con declamazione dei fidanzamenti veri, a volte con falò finale in montagna.
    Per capire quale sia il retroterra metafisico e le credenze sottese alla pratica di questi riti occorre rivolgersi all’antropologia.
    Le cerimonie dell’anno nuovo, infatti, comprendono sempre un periodo di tempo durante il quale si rinnova l’archetipo della creazione del mondo e della vita secondo lo schema di morte-rinascita che è proprio di tutte le culture tradizionali. Viene riattualizzato un periodo di Caos in cui le regole sociali e naturali vengono sospese o sovvertite, ed i morti tornano fra i vivi aprendo un ponte temporaneo tra il mondo terreno, quello infero e quello celeste. A questo succede la nuova Creazione con le sue ferree leggi ottenuta attraverso l’annientamento del passato, la cacciata dei morti e dei demoni nell’oltretomba e l’unione cerimoniale del re e della regina del bosco o delle giovani coppie del villaggio in vista della procreazione.
    Come riassume lo storico delle religioni Mircea Eliade queste feste sacre comprendono un periodo di “digiuno, abluzioni e purificazioni, estinzione del fuoco e sua rianimazione rituale in una seconda parte del cerimoniale; cacciata dei demoni per mezzo di grida, di colpi (all’interno delle abitazioni) seguita dal loro inseguimento con grandi strepiti attraverso il villaggio…Spesso avvengono combattimenti cerimoniali tra due gruppi di comparse, o orge collettive, o processioni di uomini mascherati (rappresentanti le anime degli antenati, dèi, etc).” Infatti “quasi ovunque, questa cacciata dei demoni, delle malattie e dei peccati coincide, o ha coinciso in una determinata epoca, con la festa dell’anno nuovo.1” Tutti questi elementi sono stati straordinariamente mantenuti nei riti del Calendimarzo in Veneto. I fuochi annientano definitivamente l’anno trascorso e purificano i partecipanti dalle colpe commesse, il frastuono organizzato per più serate dalle bande di ragazzi scaccia i morti ed i dèmoni dalle case del villaggio per rimandarli sottoterra dove esercitano i propri poteri soprannaturali; i fidanzamenti inverosimili dichiarati durante le prime sere (rievocazione del Caos cosmico privo di regole) cedono il passo alla proclamazione dei veri fidanzamenti del paese che garantiscono la procreazione della vita (rievocazione della Creazione del Mondo, del Tempo e della Vita). La raccolta documentaristica di questa religiosità popolare rimasta viva a livello di folklorico fino a pochi decenni fa testimonia la persistenza di confini etnografici ben noti alla linguistica e agli studi sul costume sociale: i riti del Capodanno Veneto all’inizio di Marzo sono infatti assenti nella memorialistica nel Centro e Sud Italia, ma presenti solo a Nord della Romagna.
    Inoltre solo nei Territori della Repubblica di San Marco questi cerimoniali comprendono anche i fidanzamenti rituali (assenti nei resoconti del resto del Nord Italia).
    Ciò potrebbe trovare una spiegazione plausibile nel percorso che ha portato Venezia a divenire una comunità autonoma e successivamente uno Stato politicamente e culturalmente indipendente. A partire dal secondo quarto dell’XI a Venezia la cancelleria ducale inizia a datare i propri documenti ufficiali stabilendo il 1 Marzo come giorno di Capodanno, subito seguita in questa “innovazione” dai notai della città (che sono dei chierici), tutti legati al potere del doge e sganciati da qualsiasi fedeltà imperiale. Pochi anni prima, salpando nel giorno della Sensa dell’anno 1000, il doge Orseolo aveva ridotto all’obbedienza le città ribelli dell’Istria e Dalmazia ottenendo il riconoscimento anche formale delle città dell’alto e medio Adriatico alla signoria di Venezia. Una nuova potenza che si erge a poliziotto dell’Adriatico può ormai sfidare gli Stati circostanti e i due Imperi dell’epoca anche sul piano simbolico. Per farlo confida unicamente nelle proprie tradizioni e nella proprie istituzioni. In campo documentaristico si fida solo dei propri chierici e ad essi demanda di datare i contratti lasciti o testamenti a partire dal 1° di Marzo, secondo il costume dei veneti, così come nelle campagne circostanti d’altronde diversi indizi suggeriscono continuassero anche in quei secoli a fare i contadini a livello rituale. Dopo quella missione che esibisce platealmente al mondo la propria indipendenza dall’impero Bizantino, Venezia si sente così forte da dar vita ad un proprio stile calendariale autonomo che rimarrà conosciuto in Europa come Stile Veneto. Esso durerà in gloriosa solitudine fino alla caduta della Serenissima nel 1797. Degno di nota è anche il fatto che mentre negli altri stati dell’Altaitalia queste feste sacre agrarie venivano a vario titolo proibite o perseguite in quanto ritenute paganeggianti, per la Repubblica Veneta non si hanno notizie in tal senso, nemmeno da parte ecclesiastica e questo forse spiega la maggior durata della pratica proprio nei territori di San Marco, che si è mantenuta (seppur ridotta all’osso) fino ai nostri giorni.
    La Chiesa Cattolica d’altronde, si è in più occasioni prestata all’obliterazione (cambiamento di senso mantenendo la forma) dei riti pagani piuttosto che alla loro completa eradicazione.
    L’ipotesi del presente lavoro è che in questo senso vada letta anche l’immagine del mese di Marzo nei Calendari illustrati Medievali, che sono Calendari profondamente cristiani, ed intrisi della nuova teologia basso medievale tesa a rivalutare il lavoro manuale. Chiese, palazzi affrescati o scolpiti con scene che raffigurano attività tipiche di ciascun mese, ma che vedono Marzo rappresentato come un suonatore di corno (Marcius Cornator) solo nell’Altaitalia (altrove in Italia ed Europa è un potatore di vigna, oppure un uomo che estrae una spina dal piede). Per gli storici dell’arte questa iconografia presenta difficoltà enormi di interpretazione. Ma è proprio la tradizione veneta del suonatore di corno nei riti del Ciamar Marso che offre la soluzione. Il marzo suonatore di corno si trova così a Piacenza (Cripta di San Savino e San Colombano a Bobbio), Pavia (Santa Maria delle Storie e Chiesa di San Michele Maggiore), Verona (protiro della Basilica di San Zeno), Traù in Dalmazia (Duomo)2, Parma (Battistero della Cattedrale), Arezzo (Pieve di Santa Maria), Cremona (Cattedrale), Ferrara (Duomo), Venezia (Basilica di San Marco e colonna dei mesi di Palazzo Ducale), Modena (Cattedrale Porta Reggia), Padova (Chiesa degli Eremitani e Palazzo della Ragione)3. Tutti i calendari illustrati medievali che iniziano a Marzo hanno il suonatore di corno come effige e questo ci dice che i maestri scultori che han prodotto i Calendari con bassorilievi o sculture a tutto tondo, nonché affreschi o mosaici, ben conoscevano il rito del Capodanno Veneto. I primi Marcius Cornator di cui abbiamo certezza, datano proprio l’XI secolo.
    Il mito dell’eterno ritorno del tempo della Creazione, sotteso ai cerimoniali del Calendimarzo, ritorna magicamente a Venezia intorno all’anno Mille, per segnare un nuovo inizio della Storia, quella dell’indipendenza della città che diverrà la Serenissima. Per uno strana coincidenza della Storia (forse no?), quegli stessi riti arcaici che son scomparsi nelle altre parte d’Europa e d’Italia, si sono mantenuti proprio nella Repubblica Veneta e qui forse potrebbero tornare alla luce dopo un paio di secoli di forzato sonno.

    Moreno Menini

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