Santa Toscana
Scriveva nel 1668 Lodovico Moscardo:
“Nel 1174 furono portati i Corpi di S. Biagio, e delli due suoi discepoli, con quello di S. Giuliana martire, … In questo tempo era l’hospital del Santo Sepolcro vicino alla porta del Vescovo, era soggetto alla Religione di S. Giovanni Gierosolimitano, dove si albergavano i poveri infermi. In questo morì S. Toscana di Zevio vedova di Occhio di Cane de’ Occhio de Cani Pattrizio Veronese.”…
“ In quel tempo (1343) fù aggrandita la Chiesa di S. Toscana, che prima si chiamava di S. Sepolcro di Gerusalemme, nella quale hora si ritrovano le gloriose ossa di detta Santa…
Questa Santa nacque in Zevio, e pervenuta all’età nubile a persuasione de’ suoi prender per marito Alberto della famiglia Occhio di Cane assai nobile, e ricca, dal quale non hebbe figliuoli.
Ancor che fosse maritata, stata sempre occupata in honesti esercitij di oratione, e contemplazione, e le sue ricchezze con il consenso del marito le distribuiva in tre parti, alle Chiese, a Poveri, e la terza per sostentamento della propria famiglia.
Persuase il marito unitamente ritirarsi in Verona, per haver più comoda occasione di estendere gli affetti di carità verso gli bisognosi. Venuti nella Città, si fabricarono una casa nella cima del monte de Padri di S. Nazar, che tuttora si vede, luogo alquanto rimoto, dove si esercitava in digiuni, orationi, e altre opere pie, andando ogni giorno a visitar il vicino hospital del S. Sepolcro...”
Questa casa doveva sorgere sul monte Castiglione, oggi conosciuto come Alto S. Nazzaro, ma la casa non esiste più.
Prosegue Moscardo:
“Mentre dunque si essercitava in questi esercitij, piacque al Signore di chiamar il di lei marito a goder in Cielo gl’ammaestramenti di Toscana.
Rimasta sola pochi giorni dopo, tre giovani dissoluti, privi del timor di Dio andarono alla sua casa, e sapendo, che le lusinghe sarebbero riuscite invalide, per ottener quel santo cuore alli loro disonesti appetiti, veduta la porta chiusa, e servondosi di quella solitudine, procurarono con una scala salir in casa.
Entrato il primo ritrovò Toscana in oratione e mentre il temerario volle accostarsi egli restò subito morto, gli altri due vedendo, che il compagno non veniva ad’ aprirgli la porta in conformità dell’appuntamento, salì il secondo la scala, e veduto il compagno in terra estinto, sgridò alla Santa, come che per stregherei lo havesse fatto morire, mà anco quello pagò la stessa pena, che cadendo restò giacente à piedi dell’altro.
Il terzo impatente di più sopportare si lunga dimora deliberò di entrare, rompendo la porta, mà entrato, alla vista della Santa, restò compagno agli altri anco nela morte.
Li padri di questi giovani vedendo, che non ritornavano alle loro case, si posero à ricercargli, finalmente investigato dà vicini, che in questi contorni erano stati veduti andarono all’habitatione della Santa, e la ricercarono, se questa dargli alcuna notizia, à quali con sincerità rispose, e ranccontogli intieramente il successo, e introdotti al funesto spettacolo de’ figli estinti, caderono per il dolore quasi morti sopra li cadaveri, e doppo haver teneramente pianto, si rivoltarono a Toscana, e la supplicarono muoversi à pietà, e supplicare il Signore restituire la vita a loro figliuoli.
Mossa Toscana a compassione degli addolorati padri, piena di viva fede, al suo Dio rivolta con ardentissime istanze lo supplicò alla grandezza della sua misericordia, e sì compiacesse ritornargli in vita.
Subito proserite dalla Santa tali preghiere si viddero ravvivarsi gl’estinti cadaveri, e levati da terra abbracciar li loro padri, e poi devotamente chiedere perdono a Dio, e alla Santa. Dopo questo accidente, per ovviat’ad’ altri in simil caso, deliberò di trasferire à Dio.
Andò dunque alla Chiesa dell’hospital del Santo Sepolcro, e chiamato il Sacerdote, gli raccontò il passato della sua vita, e per darsi pienamente à Dio, ricercò dedicarsi alla servitù di quel Sacro luogho, à cui il Sacerdote rispose, che in segno di ubbidienza, e di quel Santo proponimento da esso ricevesse l’habito di S. Giovanni Gierosolimitano, al che subito acconsentì, onde fu dà esso vestita di nero con la croce bianca da un lato, e una tonica di sopra nel modo che vediamo dipinta la stessa Santa.
Gli assegnò un picciol luogho per habitatione, dove viveva senza mangiar’altro, che pane cercato per carità, e stringendo la sete con la sola acqua.
Mentre così occupata si stava, gli occorse un giorno, che tempo andando à visitar la Chiesa delli Santi Apostoli, alcuni empi gli levarono da dosso il mantello, che sopra portava, i quali tra di essi dividerlo col coltello, immediatamente restarono con le mani inaridite, onde conoscendo il proprio peccato corsero alla Santa, gli restituirono la veste, e gli chiesero perdono. Essa pregò Iddio in modo, che fù essaudita, e ritornata la sanità alli stroppiati.
Dimorò in quella picciol stanza assegnatagli, come si è detto, dal 1343 fino al giorno della sua morte, che fù per causa di febbre, e poscia sepolta, come haveva ordinato, sopra la strada davanti la porta dell’hospitale, acciò più comodamente da tutti fosse calpestata, ad’ ogni modo furono si chiari i segni di qull’anima beata, e dalla sua Santità, che molte volte sopra di quel Santo corpo furono veduti chiarissimi splendori di lumi, e molte volte sentiti divini, e angelici canti, per il che il Vescovo nostro rivolse levarlo da quel luogo, e riporlo in più degno; così il decimo quarto giorno di Luglio di questo anno accompagnato da tutto il Clero, e infinite persone, lo trasportò nella Chiesa di S. Sepolcro Gierosolomitano, hoggi detta di S. Toscana, e lo pose in un monumento di marmo, dove fin’il di d’hoggi chiaro per molti miracoli ottenuti per i di lei meriti riposa.”…
La storia di santa Toscana riportata dal patritio Lodovico Moscardo – abitava in via S. Maria Rocca Maggiore, 16, è quella più completa e nota a tutti. In realtà è molto poco.
Perciò, per saperne di più rivolgiamoci all’amico Prof. Marco Pasa, funzionario archivista dell’Archivio di Stato di Verona, e risolviamo il problema.
Veronetta piantina storica
Difatti scrive, Santa Toscana e la sua terra di origine, Zevio, nella storia degli ordini Gerosolimitani.
Atti del l° Convegno Internazionale, promosso dal Sovrano Militare Ordine di Malta, Commissione Scientifica per gli Approfondimenti Biografici sui Santi e sui Beati dell’Ordine; tenuto il 30 settembre 1995 a Pietrabissara ( Genova).
Anche se la bibliografia relativa a Santa Toscana non è certo avara, resta peraltro piuttosto imprecisa per quanto riguardagli aspetti strettamente biografici e ciò sin dalla sua origine, da quando cioè il 23 agosto 1474 Celso Dalle Falci finiva di scrivere, appoggiandosi su documenti anteriori e primo tra tutti al lezionario della Cattedrale del 1373, una sua Vita di santa Toscana.
L’opera ha infatti un contenuto prettamente agiografico e si sofferma in particolare sui fatti spirituali salienti e sui miracoli della santa; in ombra restano invece gli aspetti più propriamente biografici.
Tuttavia alcuni elementi da lui presentati meritano attenta considerazione: la certezza sulla nascita della santa a Zevio, il fatto che abbia sposato un Alberto degli Occhi di Cane suo conterraneo, che con lui si sia inurbata trasferendo la propria residenza nella contrada suburbana di san Zeno in Monte e che abbia svolto la sua opera caritativa presso l’ospitale gerosolimitano del Santo Sepolcro, ove c’era anche una chiesa dedicata a san Giovanni, “eretto per comodo di quei che andavano a combattere in Terra Santa”.
Quanto agli altri elementi lo stesso Celso Dalle Falci dichiara apertamente di aver scritto “quanto potei rintracciare, e sopratutto, quanto pareami tornare a perpetua lode e gloria di Toscana” la cui vita “più per trascuraggine, che per malizia de’ maggiori era stata derelitta già, e pressochè obliata” e finisce con lo scusarsi se, “per la lontananza del tempo non abbiamo ne pur intiera la sua storia”. . .
Tra gli studi relativi alla santa il più critico ed approfondito è indubbiamente quello di Vittorio Cavallari: “Considerazioni e congetture sui tempi di Santa Toscana. Studi Storici Veronesi Luigi Simeoni, vol. XXIV-XXV, 1974-75.”…
Ricorda quindi che, secondo la tradizione raccolta dal Dalle Falci, la santa sarebbe vissuta nel XIV secolo ma al tempo stesso contrappone il fatto che il Brunati, autore alla metà dell’800 di una vita della santa, rilevava che in una trascrizione della vita del Dalle Falci conservata in manoscritto pergamenaceo presso l’archivio di san Nazaro, aveva notato una postilla “pro ventate” nella quale la nascita della santa veniva posta nell’anno 1100 e vi accostava l’apporto del Biancolini che, avendo ritrovato una pergamena dell’archivio dei Santi Apostoli, era stato indotto ad anticipare di due secoli la vita della santa.
Nell’atto del 1134 si parla di una Toscana, vivente secondo legge longobarda e figlia di Crescenzio di Costanzo dei Crescenzi, “habitatrix in civitate Verona, foris Porta sancti Firmi, iuxta ecclesiam Sancti Petri in Carnario”, che vende all’arciprete di san Pietro di Zevio, Adelardo, che agisce a mezzo del chierico Vivaldo, un appezzamento in Zevio, in contrada Zovelesco.
Il fatto di trovare il documento di tale vendita nell’archivio della chiesa dei Santi Apostoli, osserva il Cavallari, fa pensare che il danaro ricevuto da Toscana sia stato da lei conferito alla annessa chiesetta di santa Tosca, di cui Toscana era devotissima, probabilmente alla vigilia del suo ingresso nell’ordine gerosolimitano. Era infatti usanza del tempo porre sull’altare del santo patrono l’atto di donazione o quello di vendita unitamente al frutto ritrattone.
Morto il marito la santa, rimasta vedova, abbandona l’ambiente isolato alle falde del monte Castiglione, nel borgo del Santo Sepolcro in prossimità della porta ufficialmente conosciuta come “porta sancti Sepulchri”, dove gli sposi, inurbandosi, avevano stabilito la propria residenza, e torna in un primo tempo in famiglia, nella contrada di san Pietro Incarnano.
Quindi, alla ricerca di una maggiore spiritualità ma anche di una maggiore autonomia personale, decide di abbandonare definitivamente la vita secolare e di dedicarsi interamente alle opere dello spirito e all’assistenza dei numerosissimi bisognosi.
Alla base di questa scelta vi è probabilmente anche un atteggi mento controcorrente: la santa, che è e si sente profondamente donna, rivendica in tal modo il diritto ad una sua autonoma collocazione all’interno di una società prettamente maschilista. Porsi al servizio dell’ospitale significa sfuggire alla subordinazione in cui era all’epoca relegata la donna soggetta alla volontà prima del padre, quindi del marito ed infine dei figli, per assumere, affermare e preservare la propria individualità.
Proprio in quest’ epoca, sull’eco della conquista di Gerusalemme (1099) l’ordine gerosolimitano stava ponendo salde basi anche a Verona, naturale porta del mondo germanico verso Venezia, l’Adriatico e i luoghi santi e, avendo ormai avviata la sua organizzazione ospitaliera, metteva l’occhio sull’area suburbana orientale del quartiere di Castello dove l’antica via Postumia, validamente presidiata dall’alto, abbandonava il centro urbano e dove già era stata eretta una chiesa intitolata al Santo Sepolcro.
Avviate trattative con il monastero di san Nazaro, dal quale la chiesa dipendeva, e con l’abate Ottone riusciva, probabilmente anche grazie all’appoggio del vescovo Tebaldo II, ad ottenerla nel 1135 in locazione perpetua col terreno circostante.
Negli anni successivi, anche se col monastero era sorta una lite, i Gerosolimitani avevano provveduto a fondare nelle immediate adiacenze della chiesa un ospitale dedicato alla Pietà e detto anche di san Giovanni per il servizio dei pellegrini che si recavano o rientravano dalla Terrasanta e dal Santo Sepolcro e più in generale per i bisognosi.
Nel 1158 è presente in Verona il Gran Maestro dell’Ordine Gerosolimitano, Raimondo dal Podio, che il 5 ottobre 1158 vi ottiene dall’imperatore Federico I Barbarossa, una conferma generale dei privilegi già concessi all’Ordine nei territori dell’Impero.
La sua presenza deve aver avuto notevole eco e deve aver contribuito non poco al prestigio dell’istituzione se l’anno seguente, sotto l’episcopato di Ognibene (1157-1185), la chiesa del Santo Sepolcro viene concessa dall’abate Clemente, a nome del vescovo e col consenso dei frati del monastero di san Nazaro e Celso, al precettore ed ai conversi Gerosolimitani dell’ospedale della Pietà col quale si era da poco appianata l’accesa vertenza che aveva viste lungamente contrapposte al tempo del vescovo Teobaldo II (1135-1157) le due istituzioni e il “praesbyter” Girardo, fondatore dell’istituto ospitaliero di san Giovanni a Verona, riceve la chiesa e le sue possessioni per un canone di 20 soldi l’anno.
Naturale che Toscana, alla ricerca di una più intensa spiritualità e di una santa vita rivolta al prossimo, indirizzi le sue attenzioni a questa istituzione alla quale del resto, quando ancora era sposata, già aveva dedicato gran parte delle proprie cure.
Convintasi quindi ad abbandonare la vita secolare, prende accordi col precettore dell’ospizio dell’ordine e, superate le difficoltà di accoglimento probabilmente dovute al fatto che non esistevano ancora le strutture per le converse, entra nell’ordine gerosolimitano e viene ospitata, “per suo comodo”, in un localetto annesso alla chiesa ove potesse esercitare la sua opera di pioniera della fede.
Ignoriamo se vi prestasse la propria attività caritatevole nel 1174 quando nell’ospitale gerosolimitano del Santo Sepolcro di Verona viene ospitato Bonifacio, barone tedesco e dignitario della corte di Federico Barbarossa, che, sofferente per postumi di ferite riportate nelle campagne in Terrasanta, qui muore assistito da Adamo abate di san Nazaro e Celso e, riconoscente, lascia all’abate i corpi di san Biagio, di due suoi discepoli e di santa Giuliana dei quali si era impossessato in Palestina e che avrebbe voluto portare in patria.
Sicuramente è già morta quando il 2 febbraio 1178 fuori porta di Verona, “extra portam Episcopi apud Ecclesiam sancti Sepulcri”, Adamo abate del monastero di san Nazaro e Celso sito “intus et apud portam quae dicitur Episcopi”, col consenso dei monaci e dei fratelli del monastero e cioè Simeone, Tarducio e Waldo livella in perpetuo a fra’ Lazzaro, “magister et frater hospitalis” a nome dell’ospitale Gerosolimitano “qui dicitur Sancti Joannis” e dei suoi confratelli un appezzamento “cum eccelsia in honorem Dei et Sancti Sepulcri constructa cum tota illa tenuta” e con tutte le sue adiacenze e pertinenze posto “extra et foris ab urbe Veronae et a porta quae dicitur Episcopi prope hospitalem qui dicitur Pietatis” per il quale già pagavano all’epoca della prima locazione un livello di 20 soldi ed un fitto alla festa di santa Maria dei Cereali di una libbra di cera.
Il 6 ottobre infatti alla conclusione e ratifica del complesso atto, nella chiesa del Santo Sepolcro, vengono nominati i fratelli che servono, nell’ospitale con Lazzaro: Aldigerio, Filippo, Tebaldo, “Bibens Aquam” e Giovanni Scuthari; e le sorelle: Adelasa, Bretella e Truita. La presenza delle “sorores” è anzi ormai abituale al punto che “fratres” e “sorores” complessivamente ed a pari titolo costituiscono il Consiglio che opera con l’amministratore dell’ospitale.
Pioniera santa Toscana, pionieri gli ordini religioso-militari, pioniera la stessa vita cittadina in Verona.
Ricordando quello che scrisse Lodovico Moscardo sulla traslazione della salma di Santa Toscana all’interno della Chiesa del Santo Sepolcro Gierosolimitano, Hoggi detta S. Toscana, e lo pose in un monumento di marmo.
Scrive il Prof. Pasa:
“Gli anni successivi vedono la massiccia affermazione del culto della santa: nel 1474 Celso Dalle Falci ce ne dà la prima bi ografia; nel 1477 il podestà di Verona, Antonio Venier, esalta la gloria di Verona e di Zevio per aver dato i natali alla Santa; nel 1489 il Liberale ritrae in sette quadri per esporli nella chiesa del Santo Sepolcro gli episodi più rilevanti della vita della santa; dal 1500 la chiesa stessa assume accanto all’iniziale intitolazione a san Giovanni Battista e del Santo Sepolcro, anche quella a santa Toscana.
Già nei primi anni del 1600 il culto di santa Toscana si è diffuso in tutta la diocesi veronese ed in particolare a Zevio. Nella terra natale della santa già nel 1610 viene eretto in suo onore, un altare, il primo a destra per chi entra, nella chiesa arcipretale. Quindi, con l’assenso del vescovo Alberto Valier (1606-1630) e a seguito di atto del Consiglio cittadino di Verona del 10 marzo 1613, vi vengono trasportate alcune sacre reliquie della santa, che subito diventano oggetto di grandissima venerazione da parte della comunità zeviana.
Già nel 1634 la Comunità di Zevio, anche in atto di ringraziamento per l’assistenza della santa protettrice durante la tremenda epidemia di peste di manzoniana memoria, ha provveduto a ricostruire ed impreziosire l’altare a lei dedicato nella parrocchiale e sin da quest’epoca sono divenuti momenti fondamentali nella vita comunitaria le due processioni del 14 luglio e del 20 settembre.
Nel 1637 poi viene innalzato un oratorio nel luogo dove, secondo la tradizione, sorgeva la casa natale della santa e, per deliberazione del Consiglio di Zevio del 7 giugno 1637, grato alla santa per aver ottenuta una abbondante pioggia dopo una siccità di oltre tre mesi, vi viene fatta dipingere una pala che rappresenta la santa in preghiera.
Sino al 1670 l’arca contenente le spoglie della santa viene gelosamente conservata, “in sito eminente”, dietro l’altare della navata destra della chiesa di santa Toscana in Verona; in quell’anno il Commendatore frà Bernardino della Ciaia ordina la seconda ricognizione del corpo della santa che viene di fatto eseguita nel 1675.
Il culto della santa viene frattanto estendendosi ben oltre i confini della diocesi veronese e raggiunge la capitale stessa dell’ordine gerosolimitano, Malta, che, desiderando venerarla nella chiesa di san Giovanni, chiede di poterne ottenere alcune sacre reliquie”.
Così il 9 ottobre 1683 alla presenza del nobile Francesco Moscardo… ma lasciamo parlare i documenti:
“Havendo gl’Illustrissimi Provveditori di Comun presentito che dall’Arca di pietra dove sono sepolte le ossa di Santa Toscana nostra Cittadina nella Chiesa ad essa dedicata in questa Città fosse stata levata una Reliquia della medesima Santa dall’Illustrissimo frà Bernardino della Caia Commendatore di San Vitale per tramandarla a Malta come ricercata da quell’Eccellentissimo Gran Maestro.
Per lo che havendo li soddetti Signori Provveditori fattone passar indoglianze al predetto Commendatore fu concertato con prebio assenso del medesimo frà Commendatore che sia fermato il trasporto della Santa Reliquia et che resti deposita sotto la Custodia di questa Magnifica Città.
In ordine a che ha vendo li predetti Signori Provveditori denegato a tal fontione li Nobili Conte Francesco Moscardo et Francesco dal Pozzo ambi dottori collegiati, unitamente si portarono questi Signori col Reverendo frà Matteo Doro Rettor della Commenda di San Vitale come commesso spetiale del soddetto Commendatore in tal affare, et con me Paolo Lazzaroni Cancelliero di Comun circa le hore 22 nel detto Tempio et entrati in quella Sacrestia essendovi un armaretto picciolo nella parete l’uscio del quale e armato di ferro, il suddetto frà Matteo fece accender una torcia e lo aperse con chiave che seco haveva alla presenza dei predetti Signori, di uno Cancelliero e degl’ infrascritti Testimoni.
Et entro vi trovarono custodita una Cassetta di legno larga otto dita d’huomo, lunga poco più di mezzo brazzo serrata con chiodi e di sopra avvolta con corda rossa di filisello.
Aperta dunque detta Casetta si vide esser fodrata di cartatela negra e bianca, come a fiori, e tutta piena di bombaso, in mezzo alla quale s’osservò esservi un osso che mostra esser d’un braccio di detta Santa.
Riverita tal Reliquia, rimesso il bombaso nella medesima, di nuovo chiusa la Casella con l’Osso esteso et inchiodata fu stretta et ingroppata con la corda predetta e sigillata di Cera Spagna dal suddetto Conte Moscardo col sigilio della sua famiglia. Finalomente dal sudetto monsignor Doro fu riposta nell’armaretto antico et ivi sotto chiave serrata.
Fu poi a me Cancelliero data la Chiave da consegnarla alli Provveditori di Comun. Presenti Bernardino Valentino fu Bartolomeo di san Nazaro e Francesco Peregozzi figlio di Pietro di santa Maria in Organo.
Poco dopo alle hore 23. Portatomi in piazza de Signori io, Cancelliere Lazzaroni, havendo ivi ritrovato in colloquio li sopradetti Provveditori diedi loro noti ti a dell’operato come sopra et consegnai nelle mani di essi la suddetta chiave che fu presa dal Signor Provveditore Sparaviero per autorità nell’Offizio della Cassa Pubblica”.
La questione non è chiusa: il 3 gennaio 1684, su proposta del marchese Antonio Sagramoso, provveditore del Comune, viene discussa dal Consiglio cittadino, approvata con 39 voti favorevoli e 5 contrari, e quindi posta in esecuzione una deliberazione a favore della Sacra Religione Gerosolimitana volta ad ottenere il trasporto di una parte del corpo della santa a Malta per esservi esposto nella chiesa di san Giovanni:
“Stimolato dalla propria divotione non men che dalle pie instanze de miei Religiosi, li quali bramano di venerare in questa Maggior Chiesa conventuale di San Giovanni con qualche insigne Reliquia la Gloriosa Santa Toscana principale ornamento dell’Ordine nostro sì come di codesta Città, che le diede con tanto suo pregio i natali mi toccò d’haver cominciato il disegno col Commendator frà Bernardino della Ciaia perchè ne incaminasse l’essecutione.
Sono a proporre hora il medesimo per mezzo della presente alle SS.VV. Illustrissime e tutto che mi persuade che con molta ragione sia santamente gelosa la Città tutta di così Sacro et pretioso deposito, non è per ciò che io non confida di ricevere della loro cortesia la mia consolatione.
Prego dunque le SS.VV. Illustrissime d’ogni affettuosa cooperatione per l’intento soddetto, e credono nel resto che con ogni segnalata gratitudine sia per esser riconosciuta questa loro cortese dimostratione verso di me e della mia Religione et il Signor Iddio feliciti sempre con prosperi successi le SS.VV. Illustrissime”
Segue la parte.
“Parte pretiosa di tesoro inestimabile che nelle Sacrate Reliquie di Santa Toscana in questa Città gelosamente si conserva nella Chiesa a lei dedicata, ci domanda l’Eccelientissimo Gran Maestro della Sacra Religione di Malta con sue lettere delli 3 gennaro prossimo passato per arricchire il Tempio principale di San Giovanni di quella Città non è in ciò men plausibile per noi l’occasione d’ampliare in Lontane Regioni la veneratione a questa Santa che, nata in questa Patria, aggregata all’Ordine Gerosolimitano fatta poi Cittadina del Cielo, ove Beata risiede influisce di là su sopra di noi continue gratie e benedittioni di quello che sia ben degno il rispetto d’incontrare le pie sodisfattioni di Sua Eminenza e della sua Religione conspicua nelle benemerenze d’instancabile servitio a pie della Santa fede.
Perciò ad aumento della nostra antica incessante devotione verso la Santa medesima, contribuendo l’assenso alla religiosa e sommamente stimata intentione di Sua Eminenza, a prepositione del Magnifico Marc’Antonio Sagramosi marchese, Provveditor di Comune anderà Parte posta per li Magnifici Provveditori Che, quando vi concorra il Supremo beneplacito del Serenissimo Principe, sia concesso all’Eccelientissimo Gran Maestro predetto quanto richiede e siano deputati due Soggetti di questo numero a farne la consegna”.
Vengono quindi designati il marchese Marc’Antonio Sagramoso ed il conte Scipione Buri.
“Il 15 giugno infine il giovedì suddetto di mattina nella Venerabile Chiesa di Santo Sepolcro detta di Santa Toscana presso le mura di questa Città trovandosi presente il nobile dottor Giacomo dal Pozzo dottor di Legge Colleggiato q. Vincenzo di Santa Maria in Organo e il signor Giò Batta Zangrosi q. Giacomo dei SS. Apostoli ambi della Città medesima, con altri molti che ivi per divotione concorsero come testimoni”.
“Il Reverendissimo Giò Batta Anderlini dottor dell’una e dell’altra Legge, Canonico Penitentiero Cathedrale Veronese e nel Vescovato così per le cose spirituali come per le temporali Vicario Generale e nell’affare presente con spetial mandato e commissione delegato dell’illustrissimo Reverendissimo Sebastiano Pisani Vescovo Veronese et Conte Sebastiano Pisani II (1668-1690) – alla presenza dell’illustrissimo et Eccellentissimo Costantino Rancesi per la Serenissima Repubblica di Venetia Podestà di Verona per vigor delle ducali del Serenissimo nostro Principe 20 maggio ultimo decorso essendo pur presenti anco li Nobili Signori Marchese Marc’Antonio Sagramosi et conte Scipion Buri dottor di Legge Collegiato, ambi Provveditori di questa Magnifica Città a ciò spetialmente deputati et eletti dal Magnifico Consiglio de XII e della Città istessa come in parte 26 aprile dell’anno corrente et in stando in genocchione et così devota et piamente instando, e demandando il Nobile Cavalier frà Bernardino dalla Ciaia perpetuo Commendator di San Vitale e Sepolcro di Verona, per espresso mandato dell’Eccelientissimo Gran Maestro de suddetti Cavalieri Gierosolimitani di Malta, fatta prima humile Oratione all’Arca del Corpo di Santa Toscana vedova Nobile Veronese dell’Ordine Gierosolimitano all’Altar Maggiore della detta Chiesa e Santo Sepolcro detto di Santa Toscana, ivi esistente, dove accese molte torcie, e molti Sacerdoti e Chierici solennemente servendo, aperta dal Tagliapietra l’Arca di Marmo ch’era munita con cinque lame di ferro, e con dieci sigilli di piombo della Venerabile Commenda del medesimo San Vitale trovò in quella una Cassetta di piombo legata con una cordella di seta rossa in croce e con due sigilli munita, la quale devotamente aperse e nella medesima vidde il Corpo di Santa Toscana del quale prese et estrasse una Insigne Reliquia della stessa cioè / Os humerum dexterum / e quello involto in bombalo ripose in una Cassetta di legno a ciò pronta, ornata di dentro di tela serica verde e bianca, e di fuori di tela bianca pur serica circondata, di lunghezza di tre palmi e mezo, di altezza e larghezza di mezzo palmo, la qual Cassetta per bene serrò e con chiodi la stabilì inviolabile e con cordella rossa di seta a modo di Croce la legò e con tre sigilli, uno nel capo la marcò in Cera di Spagna rossa, cioè uno nel mezzo del Vescovato e dalle bande con quelli della Magnifica Città e della Venerabil Commenda.
La qual Cassetta così signata, munita, fermata e legata consignò al medesimo Signor Cavalier frà Bernardino della Ciaia Commendatore che la ricevette con tutta divotione, e ne rese le dovute gratie, per tramandarla a Malta affine che vi sia esposta nella Chiesa Maggior Conventuale di San Giuovanni alla divotione e veneratione di quei Popoli Christiani secondo la pia intentione del predetto Eccellentissimo Gran Maestro e di quella Santa Religione.
Il che fatto la Cassa di piombo antedetta col resto del Corpo di Santa Toscana ivi chiuso, fu rimesso sotto la custodia di tre sigilli nel modo come prima e riposta nell’Arca Magna di pietra predetta, la quale dal Tagliapietra fu ben serrata con le lame di ferro e con li sigilli di piombo della Venerabile Commenda munita, come da tutti gli astanti fu veduto. In testimoni della verità si sottoscrivono Paolo Lazzaroni cancelliere della Città di Verona con Antonio Rotari Cancelliere Episcopale“.
Qui termina lo studio del Prof. Marco Pasa.
Aggiungo un fatto curioso: il Calendario dei Santi Veronesi.
. 14 Marzo; S. Innocenzo di Verona
. 12 Aprile; S. Zenone di Verona
. 29 Aprile; S. Pietro da Verona
. 3 Maggio; S. Viola di Verona
. 4 Giugno; S. Alessandro di Verona
. 29 Agosto; S.Verona
. 30 Dicembre; S. Gricino di Verona
Santa Toscana non è presente, è una Santa solo di Veronetta, solo nostra.
Fonte: Srs di Alberto Solinas, da l’ Annuario n° 13 del Comitato Benefico di Santa Toscana 2006.