Passo della Presolana, albergo Franceschetti
Un plotone della 6° Compagnia del II Battaglione, Legione “Tagliamento” della R.S.I stanziata nell’Albergo Franceschettì era di presidio presso il Passo della Presolana (prov. Bergamo).
Erano in tutto una cinquantina di militari, tutti giovani volontari dai 15 ai 22 armi, comandati dal Sottotenente Roberto Panzanella, fiorentino, ventiduenne.
Alla notizia del crollo, il 26 aprile 1945, i 47 militari si mossero per raggiungere la valle ed arrendersi ai reparti alleati. Durante il trasferimento, tre di essi abbandonarono il reparto e così solo in 47 raggiunsero Rovetta, dove trattarono la resa con il Presidente del C.N.L. locale, già Maggiore del Regio Esercito, che garantì la vita di tutti.
I militi deposero le armi e furono sistemati nei locali delle Scuole Comunali vigilati da sentinelle armate del C.N.L. .
Il 27 successivo giunse a Rovetta due camion di partigiana comunisti i cui comandanti dimostrarono subito l’intenzione di sopprimere i prigionieri.
Il CLN locale dopo aver tergiversato propose di interpellare un ufficiale inglese che era stato paracadutato nell’autunno precedente al Lago Nero, sopra Gromo e che era rimasto in montagna con la formazione di “Lanfranchi”, veterinario di Lovere.
Il “Mohikano”, che era il nome di battaglia dell’ufficiale nemico al secolo Paolo Poduje, istriano al soldo dei servizi segreti britanntale, disinteressandosi della sorte dei prigionieri, rispose: “fatene ciò che volete”.
Queste parole praticamente furono la condanna a morte del Plotone di legionari. Uno dei prigionieri, Ferdinando Caccioli, riuscì comunque fuggire, altri tre furono salvati per la loro giovanissima età.
Li portarono davanti alla Chiesa, maltrattandoli duramente … poi a gruppi di cinque li condussero verso il Cimitero fucilandoli
Uno di questi adolescenti ha lasciato un piccolo biglietto con su scritto: “Sono morto per l’Italia”.
I responsabili dell’eccidio furono: i già citati “Mohikano” e “Lanfranch”, Fomoni detto “Walter” da Ardesio, “Fulmine” da Costavolpino, “Cascio” da Costavolpino, Rossi “Buchi” da Castione della Presolana, con il concorso esplicito del maggiore Pacifici, già della Sussistenza del disciolto esercito regio
Solo nel 1947 i parenti poterono recuperare i corpi, fu tentato il riconoscimento dei resti dei corpi, ma non fu possibile, quello che rimaneva venne tumulato in unica tomba nel Cimitero del Verano in Roma.
Dopo la guerra alcuni di quei partigiani ritenuti responsabili della strage furono individuati e processati. Ma la sentenza fu di non luogo a procedere in forza del Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 194 del 12 aprile 1945, firmato da Umberto di Savoia, che in un unico articolo dichiarava non punibili le azioni partigiane di qualsiasi tipo perché da considerarsi “azioni di guerra”. Fu, cioè, dai giudici, considerata azione di guerra legittima anche il massacro di prigionieri inermi compiuta, per giunta, quando la guerra era ormai terminata.
Questo l’elenco alfabetico delle Vittime dell’Eccidio di Rovetta:
Andrisano Ferdinando, 22 anni
Aversa Antonio, 19 anni
Balsamo Vincenzo, 17 anni
Banci Carlo, 15 anni
Bettineschi Fiorino, 18 anni
Bulgarelli Alfredo, 18 anni
Cristini Fernando, 21 anni
Cavagna Carlo, 19 anni
Dilzeni Bruno, 20 anni
Dell’Armi Silvano, 16 anni
Ferlan Romano, 18 anni
Fontana Antonio, 20 anni
Fontana Vincenzo, 18 anni
Foresti Giuseppe, 19 anni
Fraia Bruno, 19 anni
Gallozzi Ferruccio, 19 anni
Garofalo Francesco, 19 anni
Gazzaniga Bartolomeo, 21 anni
Gerra Giovanni, 18 anni
Giorgi Mario, 16 anni
Grippando Balilla, 20 anni
Lagna Francesco, 20 anni
Marino Enrico, 20 anni
Mancini Giuseppe, 20 anni
Martinelli Giovanni, 20 anni
S.Ten. Panzanelli Roberto, 22 anni
Pennacchio Stefano, 18 anni
Piellucci Mario, 17 anni
Piovaticci Guido, 17 anni
Pizzitutti Alfredo, 17 anni
Porcarelli Alvaro, 20 anni
Rampini Vittorio, 19 anni
Randi Giuseppe, 19 anni
Randi Mario, 16 anni
Rasi Sergio, 17 anni
Solari Ettore, 20 anni
Taffurelli Bruno, 21 anni
Terranera Italo, 19 anni
Uccellini Pietro, 19 anni
Umena Luigi, 20 anni
Zarelli Aldo, 19 anni
Zolli Franco, 16 anni
L’ECCIDIO DI ROVETTA: LA STORIA DELLA BARBARIA PARTIGIANA DA DOCUMENTI DELLA R.S.I
Il cimitero di Roveta
Nell’Albergo Franceschettì al Passo della Presolana (che unisce la Valle Seriana con la Vai di Scalve) si era dislocato nel marzo 1945 un Plotone della 6° Compagnia del Il Battaglione, Legione “Tagliamento”, al comando del sottotenente Roberto Panzanellì, fiorentino, ventiduenne. Il reparto si componeva di quarantasei legionari, la cui età media era di 17 anni. L’armamento comprendeva una mitragliatrice, qualche mitra e moschetti “91”. I giovanissimi legionari fortificarono il Passo, scavando sulle pendici orientali quattro bunker che rivestirono con grossi tronchi d’albero. La dislocazione del Reparto sul Passo della Presolana impedì alle formazioni partigiane, arroccate nell’Alta Valle Dezzo, di congiungersi con quelle che venivano sottoposte a melodici attacchi dalla Legione sul Mortirolo. I compiti del Plotone quindi erano di difesa statica ed i legionari mai parteciparono ad altre operazioni. Il 5 aprile 1945 una formazione di GNR. proveniente da Clusone, sorprese in Vai dì Tede, immediatamente sotto il paese di Castione della Presolana, un gruppo di partigiani, e nello scontro vennero uccisi i guerriglieri Luigi Rossi, di 25 anni e Angeli Piccardì di 17 anni. A tale operazione il Plotone del Passo della Presolana fu completamente estraneo.
La mattina del 25 aprile 1945 il proprietario dell’Albergo sul Passo, signor Franceschetti, udì una trasmissione radio nella quale una stazione non identificata dava notizia dell’avvenuta insurrezione dì Genova. Nel timore che eventuali combattimenti danneggiassero o peggio distruggessero il suo albergo, il Franceschetti, che si trovava sfollato a Rovetta, si affrettò alla volta del Passo con un calesse, giungendovi verso le ore 11. Abboccatosi con il sottotenente Panzanelli, verso il mezzogiorno, il signor Franceschetti propose al giovane ufficiale la resa. Non è dato il sapere a quali argomenti e garanzie il proprietario dell’Albergo ricorse per perorare la sua causa. Si ritiene che il giovane ufficiale, privo di collegamenti e di mezzi di trasporto, tenuto conto della sua posizione isolata e dell’esiguità dell’armamento, ma soprattutto dell’età estremamente giovanile dei suoi legionari, si sia convinto dell’inutilità di una estrema resistenza e dell’impossibilità di una sortita. Tenuto comunque consiglio con i suoi legionari, il sottotenente Panzanellì alle ore 13,30 deI 25 aprile comunicò al signor Franceschetti che aveva deciso di cedere le armi al più vicino CLN senza combattere.
Il Plotone preparò i bagagli e verso le 15 iniziò la marcia a piedi verso Clusone. Cinquanta metri avanti ai legionari procedette il Franceschetti che garantiva il passaggio. Transitando per il paese di Castione, i legionari furono fatti oggetto di manifestazioni ostili in relazione alla morte dei guerriglieri Rossi e Piccardi.
Giunto a Rovetta, il Franceschetti trovò che la situazione si era evoluta in quanto sì era nel frattempo costituito una specie di CLN formato da due civili e da un maggiore della Sussistenza (certo Pacifici), che in assenza dì bande annate aveva preso il comando della località. L’intenzione di presentarsi a Clusone fu subito frustrata dal neo costituito comitato che vi si oppose, affermando che un reparto repubblicano in armi costituiva sempre un pericolo. Si convenne che i legionari dovevano fermarsi in Rovetta disarmati. Le armi vennero versate al Franceschetti che le consegnò al comitato, il quale con esse provvide ad armare dei civili. I legionari furono chiusi nella scuola locale. Alle preoccupazioni del Franceschetti sulla sorte dei prigionieri, gli elementi del comitato risposero che si sarebbero attenuti alle istruzioni diramate per radio dal CLN, che come noto lasciavano salva la vita al reparti che sì arrendevano senza combattere.
Prima di far ritorno al suo Albergo sul Passo, la sera del 25 aprile, il Franceschetti offrì la cena in un ristorante dì Rovetia al sottotenente Panzanelli ed al vice brigadiere Mancini. Il 26 aprile passò tranquillo per i prigionieri che ebbero anche la possibilità di approvvigionarsi.
Il 27 successivo giunse a Rovetta una formazione partigiana i cui comandanti si sovrapposero al comitato locale e dimostrarono subito l’intenzione di sopprimere i prigionieri.
Il CLN locale dopo aver tergiversato propose di interpellare sulla questione un ufficiale inglese che era stato paracadutato nell’autunno precedente al Lago Nero, sopra Gromo e che era rimasto in montagna con la formazione di “Lanfranchi”, veterinario di Lovere. Il “Mohikano”, tale era il nome di battaglia dell’ufficiale nemico, si disinteressò della sorte dei prigionieri, rispondendo: “Fatene ciò che volete”. Queste parole pronunciate da voce straniera furono la condanna a morte del Plotone di legionari.
Uno dei prigionieri, il legionario Ferdinando Caccioli, riuscì a fuggire, altri tre furono salvati per la loro giovanissima età. Il sottotenente Panzanelli, il vice brigadiere Mancini e quarantun legionari furono avviati alla fucilazione, che ebbe luogo sull’esterno sud del cimitero di Rovetta il 28 aprile 1945.
A gruppi di cinque i legionari furono fucilati da un plotone di esecuzione composto da soli sei partigiani, ed appare strano come i prigionieri condotti alla morte tutti insieme non abbiano tentato una ribellione che avrebbe potuto avere qualche speranza di riuscita. Evidentemente l’estrema giovinezza della maggior parte di loro giocò molto a favore dei partigiani. Metodicamente i partigiani fecero allineare contro il muro i morituri e aprirono il fuoco; dopo i colpi di grazia i cadaveri vennero buttati al di là del muro dove una grande fosse li accolse alla rinfusa. Tutti affrontarono la morte con estrema dignità inneggiando alla Repubblica, a Mussolini e all’Italia. Morirono anche due coppie di fratelli, i Fontana e i Randi. Inutilmente i fratelli più anziani chiesero che fossero risparmiati i più giovani. Al feroce diniego dei carnefici opposero un ultimo abbraccio e si incamminarono nell’eternità.
I responsabili dell’eccidio, oltre ai già citati “Mohikano” e “Lanfranchi”, furono: Fomoni detto “Walter” da Ardesio, “Fulmine” da Costavolpino, “Cascio” da Costavolpino, Rossi “Buchi” da Castione della Presolana, con il concorso esplicito del maggiore Pacifici, già della Sussistenza del disciolto esercito regio, e la non opposizione del parroco di Rovetta. Quando anni dopo il fatto (che viene ricordato come “l’eccidio di Rovetta”) fu tentato il riconoscimento dei resti dei Caduti da parte delle famiglie, ciò non fu possibile e quello che rimaneva dei quarantatre corpi venne tumulato in unica tomba nel Cimitero del Verano in Roma. Resta nel cimitero di Rovetta una grande piastra: “A perenne ricordo di 43 Caduti – 28 aprile 1945”.
Su di essa, nell’anno 1963, un reparto militare in esercitazione nella zona, i cui comandanti fecero celebrare a Rovetta una Messa funebre, pose un grande nastro tricolore con la scritta: “I privi di onore ricordino: non v’è duol a morir per un sogno che ha nome Fede e Patria”. Nello stesso giorno, sulla piazza di Castione della Presolana, un Plotone di fanti, puntate le anni verso la Valle di Tede, sparò tre salve in onore del Il Plotone della 6° Compagnia, il Battaglione della Legione “Tagliamento”.
(VR 13 febbraio 2016)