Mag 12 2016

ATTILIO BENETTI (EL TILIO): IL CERCATORE DI TESORI PIETRIFICATI DELLA LESSINIA

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Attilio Benetti, EL TILIO  (1923   – 18 aprile 2013)

 

 

ATTILIO BENETTI (EL TILIO):   IL CERCATORE DI TESORI PIETRIFICATI DELLA LESSINIA

 

Verona. Che si tratti di tradizioni o di reperti fossili, per Attilio Benetti la montagna veronese non ha segreti:Vive in un contrada di Campolsivano l’esperto di paleontologia riconosciuto da premi internazionali: E non è certo una casualità se il brachiopode più grande rinvenuto al mondo è stato battezzato con il suo nome

Dietro ad un grande paleontologo, si nasconde un semplice segreto: la curiosità. Quel sano desiderio di conoscenza che, ormai da ottantasei anni, accompagna le giornate di Attilio Benetti.

 

«Al mondo devi sempre essere curioso, altrimenti non scoprirai mai niente» sostiene infatti chi curioso lo è oggi, che è un affermato studioso di paleontologia riconosciuto da premi internazionali, e lo era anche ottant’anni fa, quando ha cominciato a esplorare ogni angolo della Lessinia alla ricerca di tesori pietrificati.

 

Una passione «nata quando avevo appena cinque anni» racconta Benetti, nella sua casa di Camposilvano, a pochi chilometri da Velo Veronese. Un luogo apparentemente isolato, ma aperto alle meraviglie del mondo, nel quale fanno mostra libri (per di più ricercati) e cataloghi scritti in diverse lingue, assieme ai più svariati reperti provenienti dalla montagna scaligera, ma non solo.

Non ultimo un computer, con tanto di collegamento internet, tecnologie indispensabili per raccogliere informazioni e diffonderle   agli appassionati.

 

«Mio padre aveva fatto una strada nel bosco e, nello scavo, sono affiorati fossili e ammoniti. Allora si diceva fossero serpenti fossilizzati dalle acque del Diluvio Universale…» ricorda l’esperto, ripensando a quando iniziò a muovere i suoi primi passi come paleontologo. Un interesse cresciuto nel tempo: studiando da autodidatta, andando alla ricerca di nuovi reperti da catalogare, recandosi a congressi internazionali per esporre le proprie relazioni, pubblicando articoli su riviste specializzate, scrivendo volumi di interesse scientifico e culturale. «È stata veramente dura», ammette: «Allora avere un libro era un affare serio!».

 

Alla curiosità, però, non si resiste nemmeno davanti alle difficoltà e Attilio Benetti ha fatto dell’attività di ricerca, studio e conservazione di reperti la propria ragione di vita. Con determinazione che lo accompagna ancora adesso.

«Ogni scoperta, sul momento, mi da soddisfazione», rivela. «Ma sul momento… Altrimenti non farei più niente!». Anche i ritrovamenti più piccoli hanno grande valore. E così, guidato da questo spirito, ha individuato diversi nuovi generi e centinaia di specie fossili. Pure il brachiopode più grande fino a ora scoperto, proprio dallo studioso della Lessinia, è stato battezzato a suo nome. Gli esemplari più interessanti? Le ammoniti, fossili guida del Mesozoico: le ultime sono state trovate ai Parpari, scavando con pazienza, ma è con l’esperienza che impari a conoscere, ad un primo sguardo, ciò che una roccia può contenere.

 

Malgrado quanto si possa pensare, in gioventù Attilio Benetti non è stato quello che si può definire un alunno modello. «Ho frequentato fino alla terza elementare. Andavo a scuola solamente quando pioveva…» dice, confessando che quando era giovane preferiva ai banchi di scuola le mattinate all’aria aperta sul Monte Purga di Velo. «A quell’età già sapevo leggere e scrivere. Mi seccava sentir ripetere cose che conoscevo». Merito della nonna e dei genitori che, pur abitando in una sperduta contrada di montagna, amavano la lettura e hanno trasmesso questa passione al figlio: «Papà era appassionato di storia. La mamma di geografia, letteratura e poesia: recitava a memoria Dante e Ariosto. La nonna mi raccontava fiabe, assieme a segreti sulla medicina popolare». Un ambiente stimolante, sebbene lontano da quello dei coetanei: «Gli altri ragazzi mi sembravano tutti “insulsi” – sottolinea scherzando -. Se ne stavano lì, a giocare con le biglie…».

Così, ai giochi da bambini, lo studioso-autodidatta ha iniziato a preferire la cultura come testimonia la sua ricchissima biblioteca. Un esempio? Solo sulle ammoniti possiede una raccolta da far invidia a un’università: conta ben 1.300 libri.

 

Nato in una contrada di Camposilvano, Attilio Benetti (che nei dintorni conoscono tutti come “Tilio”) è stato in Jugoslavia, Grecia, Albania e in Germania come prigioniero. Ha fatto l’operaio in Belgio, Francia e Inghilterra. Ma, alla fine di ogni viaggio, è sempre ritornato sui Lessini, un territorio con il quale conserva un legame speciale. Forse perché, accanto alla sua abitazione, sorge il Museo che ha fondato oltre trent’anni fa quando gli hanno proposto di rendere accessibile al pubblico la sua collezione. Nella sede museale si possono vedere minerali, calcari, ammoniti, insetti, vegetali pietrificati. Fossili dai nomi curiosi (almeno per chi non è del mestiere) come lamellibranchi, gasteropodi, nautiloidi, pesci macroforaminiferi… Esemplari perfettamente conservati e provenienti, per la maggior parte, dalla montagna scaligera. Basta percorrere pochi passi e qui attorno «c’è molta vita – conclude, lasciando intendere parecchio della vitalità che lo contraddistingue -, ma rimane ancora molto da scavare e da scoprire…».

 

Marta Bicego marta.bicego@giornalepantheon.il

 

 

IL MUSEO GEOPALEONTOLOGICO DI CAMPOSILVANO

 

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Il museo geopaleontologico di Camposilvano

 

La nascita del Museo geopaleontologico di Camposilvano è legata a due aspetti: da una parte alla storia geologica che caratterizza la zona dei Monti Lessini veronesi e, dall’altra, all’attività di ricerca compiuta negli anni da Attilio Benetti. A Benetti (con il sostegno dell’allora direttore del Museo di storia naturale di Verona, Lorenzo Sorbini) si deve infatti creazione del Museo, avvenuta ne11975. La sede (inaugurata nel 1999) è accogliente: ospita oltre una ventina di teche che accompagnano i visitatori in un viaggio alla scoperta       della paleontologia e della geologia. A partire dai minerali provenienti dalla montagna veronese, ai fossili e alla spiegazione del processo di fossilizzazione. Il percorso espositivo prosegue con resti vegetali e reperti appartenenti a diversi periodi geologici, fino al Quaternario e alle prime testimonianze della presenza dell’uomo primitivo nel territorio. Accanto al Museo è stata realizzata una struttura polifunzionale adibita a laboratorio-deposito per lo studio dei reperti.

 

Per informazioni: telefono e fax 045.6516005

e-mail fossili.camposilvano@libero.it.

sito internet: http://www.lessiniapark.it

 

 

ATTILIO BENETTI IL TESTIMONE DELLA LESSINIA

 

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El Tilio, l’orco burlone della Lessinia

 

 

L’incontro con l’ardente cantore della Lessinia Attilio Benetti in occasione della festa del fuoco, magica notte di S. Giovanni, celebrata a Ljetzan – Giazza il 24 Giugno 1998, mi ha lasciato il desiderio di farmi raccontare qualcosa sull’esperienza ed il pensiero maturato da questo settantacinquenne con lo sguardo curioso di fanciullo.

 

Una mattina di Luglio parto con la mia amica Clara, originaria di questi luoghi, verso il Covolo di Camposilvano di Velo Veronese per una chiacchierata e una visita al Museo dei fossili della Lessinia, da Attilio fondato, diretto e amorevolmente curato. Parliamo liberamente, Clara in dialetto, e subito scopro che Attilio è amico del mio professore di liceo Marcello Bondardo, studioso e autore di un dizionario sul dialetto veronese.

 

Come si è avvicinato alla Paleontologia?

 

Da piccolo, a cinque anni, me ne andavo nel bosco, e lì raccoglievo fossili di animali, serpenti. Li classificavo così: se era piccolo dicevo che un lombrico, più grande era un pitone, non è poi così strano, anche nel settecento facevano in questo modo. Era una passione, avevo sentito che alcuni aviatori russi sorvolando il monte Ararat avevano avvistato i resti dell’Arca di Noè, e pensavo che un giorno avrei voluto partire per ritrovarli.

 

Come avvenne il Diluvio Universale?

 

Universale si riferisce a tutto il mondo allora conosciuto, il Tigri e l’Eufrate spazzarono via tutto con grande potenza, come ci racconta la Bibbia; sono stati ritrovati gli strati relativi al diluvio, e sotto c’erano le ceramiche a dimostrare l’insediamento umano precedente.

 

Che animali trasportava l’Arca?

 

Non tutti, furono salvati dall’estinzione quelli che non c’erano nelle altri parti del mondo.

 

Pensa che il Diluvio Universale sia stata una punizione divina?

 

Io penso di sì, Sant’Anselmo d’Aosta diceva che Dio è la cosa più grande che esiste, ma la nostra colpa è che non sappiamo rispettare la natura. La natura ha il metodo di salvarsi, le cavallette si moltiplicano ma dopo un periodo di distruzione spariscono, altrimenti distruggerebbero tutto il mondo, quindi la natura si difende, si difende da noi: che ad esempio ci moltiplichiamo troppo, come possiamo stare bene?

 

Come vede la condizione della donna?

 

Il problema della donna è la maternità; ad un certo momento sente il bisogno di avere un figlio. L’uomo, per certe ragioni culturali e sociali esce di più, ha più credito parlando con gli altri. La donna per realizzarsi dovrebbe aspettare ad avere dei figli, e trovare prima la propria strada.

 

Cosa pensa della scienza moderna, della divisione in specializzazioni distaccate da una concezione filosofica generale?

 

Oggi c’è un ritorno ad un sapere più vasto, anziché “le cose stanno così”, si comincia a dire “potrebbe essere così, ma potrebbe anche essere in un altro modo”. Vediamo l’esempio della medicina popolare, è stata abbandonata, adesso si comincia a rivalutarla.

 

La medicina popolare mi fa pensare alle streghe. Erano forse donne che tramandavano un sapere acquisito con l’esperienza?

 

Sì, sì, ma allora gli uomini di chiesa non erano religiosi ma politici, e coloro che davano fastidio venivano interdetti. Per fortuna nella nostra zona questi fenomeni di persecuzione non sono avvenuti; da noi c’erano le vicinie a decidere, il vicario era uno straniero e non poteva fare il bello e cattivo tempo perché la gente del posto non l’avrebbe permesso; a Roverè un vicario con la spada sguainata requisì il cavallo ad un uomo, il vicario poi fu ucciso, ma il responsabile non fu mai consegnato.

 

C’era quindi qui una forma di autonomia?

 

Sì, la Repubblica di Venezia concedeva l’autonomia e in cambio richiedeva la sorveglianza dei confini, fu così che nacquero i trombini, si sparava qualche colpo e dall’altra parte credevano ci fosse l’artiglieria. La Repubblica di Venezia lasciava libertà perché la sua attività era sul mare, era là che c’erano i suoi interessi economici.

 

Suona il telefono, Attilio si accende una sigaretta, ci ritroviamo a parlare delle dipendenze:

 

Perché i giovani cadono nella droga, per sopperire a qualcosa che manca?

 

Spesso cadono per leggerezza, mancanza d’informazione. C’è anche un fatto religioso: per chi crede togliersi la vita è peccato, questo funziona da deterrente. Manca il valore della vita, anche perché molti giovani non sono abituati a sudare per trovare il cibo come succedeva in passato o come succede ancora in altre parti della terra. Oggi c’è un grande egoismo ma anche un grande altruismo, ad esempio parlando dei giovani ci sono molti che si prestano per opere di bene.

 

E i ragazzi che hanno gettato i sassi dal cavalcavia?

 

Certo non pensavano che facendo questo potevano uccidere qualcuno.

 

C’è un’influenza della TV?

 

Sì, la televisione ha portato cultura ma anche ha stimolato ad imitare dei comportamenti senza rendersi conto delle conseguenze.

 

Cosa pensa dell’evoluzione dell’uomo, crede ci sia una linea di progresso oppure al contrario siamo sempre peggiori?

 

Allora, rispetto ai tempi antichi, quello che frena i comportamenti aggressivi è la paura della legge: l’uomo se non uccide è per timore della punizione, non perché è immorale uccidere.

 

Lei non ha paure?

 

No, le paure sono cose naturali, se c’è un pericolo ho paura anch’io, ma non senza una situazione reale. Dobbiamo imparare questo: immaginare di essere seduti su una galassia e guardare giù, elaborare un distacco, che non è indifferenza, anch’io mi commuovo quando vedo una persona che soffre.

 

Ha frequentato la scuola?

 

Non ci andavo molto, solo quando pioveva o faceva freddo.

 

Dunque si annoiava a scuola?

 

Sì, quando sono andato a scuola sapevo già scrivere, mi hanno messo a fare le aste allora ne ho fatto un paio di righe, poi mi sono stancato e allora per punizione ne ho dovuto fare tre pagine.

 

Cosa pensa degli insegnanti?

 

Gli insegnanti sono molto bravi adesso, un tempo i ragazzi erano più cattivi, si facevano dei dispetti, si picchiava la maestra; un po’ di ragione c’era perché gli insegnanti erano troppo severi, appena il maestro sentiva qualcuno parlare il primo che capitava veniva punito. Noi avevamo un maestro che quando si arrabbiava diventava rosso e picchiava con la bacchetta. Però c’erano anche dei buoni insegnanti, che riuscivano a stabilire un colloquio coi ragazzi, allora i ragazzi stavano calmi e seguivano la maestra perché le volevano bene.

 

Lei comunque ha studiato.

 

Io studiavo ancora prima di andare a scuola, ci trovavo piacere, e poi erano anche la condizione in cui mi trovavo, senza altri bambini della mia età che mi abitavano vicino con cui giocare, a portarmi all’interesse per i libri, la natura e le storie che mi raccontava mio padre, mio padre era un appassionato di storia e di leggende.

 

Conosce anche le favole popolari?

 

Sì, ho scritto dei libri di favole.

 

Lei si considera una persona sociale o antisociale?

 

Sono una persona sociale, non giocavo con i bambini perché non c’erano, abitavamo isolati.

 

Cosa pensa dell’amore?

 

L’Amore è una scala d’oro che ti porta in Paradiso”. Ad esempio se troviamo una persona che non ci piace noi la evitiamo, facciamo male perché questa persona forse ha sempre trovato altri che lo evitavano e si è indurito sempre di più. Io per ragioni di lavoro sono stato a Napoli negli anni ’70. Ora come si può condannare chi è cresciuto nella fame, sulla strada, e soprattutto senza un’educazione? Sono passato in una bidonville e per riuscire a parlare ho chiesto la strada per l’acquario, io la conoscevo, ma questa persona parlando a fatica mi ha spiegato, poi mi ha portato dentro e ho visto la fogna a cielo aperto ed i bambini che ci camminavano scalzi.

 

Lei non è mai stato innamorato?

 

Sempre, io sono sempre innamorato, di tutte le donne, soprattutto le giovani, perché sopra i 25 anni faccio fatica ad andare d’accordo, a meno che non le conoscessi da prima.

Ho avuto una vita movimentata, sono stato sul punto di sposarmi con una ragazza, ma a lei interessava solo una casa ed i soldi, io volevo andare avanti con le mie ricerche, mi sono salvato appena in tempo. Quando si ha una vocazione non si deve farsi soffocare, bisogna andare avanti per la propria strada.

 

E sente la solitudine?

 

Io non sono mai solo, qui sono anche troppo in compagnia, ho tanti amici, di giorno passano di qua e a volte ho da fare e li devo mandare via e la sera ho sempre qualcuno che mi viene a prendere con la macchina.

 

Arrivano gli operai perché si sta lavorando al nuovo Museo, costruito col contributo della Comunità Economica Europea, la Comunità della Lessinia e la regione Veneto. Rinnoviamo l’appuntamento ad un incontro successivo.

 

Quali sono i fossili il cui ritrovamento l’ha maggiormente emozionata?

 

Nessuno in particolare perché ogni ritrovamento mi emoziona, ma anche non sono mai contento, non mi fermo. Ci sono alcuni fossili più interessanti, i fossili guida ad esempio, che servono a determinare l’età delle rocce. Sono come i personaggi storici, vissuti in un piccolo spazio di tempo uno di seguito all’altro, quando li troviamo riusciamo a conoscere l’età delle rocce.

 

 

VAO IN TEL BOSCO

 

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Camposilvano

 

di Attilio Benetti

 

VAO IN TEL BOSCO

 

Sol fogo no gh’è pì legna

e le brase le stà par morir

bisogna ben che me indegna

se no voi el fredo patir.

 

Vao en tel bosco co la sigoréto

anca se la neve la séita cascar

in serca se cato on qoalche foéto

che co la so legna me possa scaldar.

 

In tel bosco, apena son rento,

goardo qoal sia che gh’è da tajar

J’è tuti bei co le rame al vento

che me manca el corajo de siguretar.

 

Gh’è me mama el me fradeleto

con me nona meda malà

j’è tuti in casa sentè sul scaneto

che i speta che mi riva là.

 

No podendo farde de manco

sero i oci e scominsio a tajar

prima col drito e dopo col sanco

finchè sento la pianta cascar.

 

Questa poesia è tratta dal libro «Favola leggenda e realtà nei racconti dei “filò” dei Monti Lessini» di Attilio Benetti, stampato nel mese di aprile 1995 presso la Cooperativa Litotipografica Novastampa di Verona Srl – Verona

 

  1. Bondardo, “Dizionario etimologico del dialetto veronese”, ed. Centro per la formazione professionale S.Zeno

 

Fonte: http://www.rcvr.org/cultura/benetti/index.htm

 

(Verona 22 febbraio 2010)

 

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