L’ala dell’Arsenale dove sono stati depositati i reperti del museo di Storia Naturale (FOTO MARCHIORI)
Arsenale, danneggiati i reperti preistorici. I manufatti di selce del Paleolitico hanno assunto un colore bluastro, forse per il cambio di ambiente.
IL CASO. Potrebbero essere rovinate per sempre preziose collezioni provenienti da palazzo Gobetti. Oggi commissione in visita
La preistoria veronese si tinge di blu. Parlando di preistoria bisognerebbe usare il passato remoto. Ma il tempo presente, in questo caso, è più che giustificato. Già, perché i manufatti di selce, cioè di pietra, risalenti al paleolitico e conservati sino a qualche mese fa dal Museo di storia naturale a palazzo Gobetti, in corso Cavour (venduto), da quando sono stati depositati all’ex Arsenale dopo il trasloco sono diventati di colore blu. Un blu intenso, diffusosi anche su altri pezzi delle preziosissime e uniche collezioni del museo — come uno scheletro — che, almeno pro tempore dopo il trasloco, dovranno essere conservate in una sala al primo piano dell’ex caserma militare austriaca. Ma ora rischiano seriamente di essere rovinati per sempre.
COLLEZIONI. Gli oggetti di pietra, come asce e altri strumenti per tagliare, collocabili in un arco temporale amplissimo che va da due milioni a 10mila anni fa, costituiscono una documentazione di straordinario valore, come del resto tutto quanto fa parte del Museo di storia naturale. Sia nella sede principale di palazzo Pompei, in lungadige Porta Vittoria vicino all’ex questura, cioè il vero e proprio museo visitabile, sia del Gobetti, comprato nell’ottobre scorso da una ditta di costruzioni di San Martino Buon Albergo che l’ha pagato sei milioni 400mila euro.
All’ex Arsenale, precisamente in un locale al primo piano della palazzina di Comando, che dà sul parco esterno, sono state trasportate le collezioni del Gobetti, che non venivano esposte al pubblico. Cioè quelle di preistoria, botanica, zoologia e poi il museo della Romagna Pietro Zangheri, cioè rettili, pesci, anfibi, uccelli e mammiferi imbalsamati e altro materiale preistorico, compresi i fossili, donati nel 1968 al museo scaligero dallo Zangheri, il naturalista forlivese che mise insieme la più ricca e variegata raccolta della flora e della fauna della sua regione. Completano il materiale i laboratori di restauro e gli uffici per la conservazione dei reperti. I reperti, al Gobetti, erano conservati nei circa 2.000 metri quadrati del palazzo, di tre piani da 600 metri quadrati l’uno, più in un cortile da 160, un sottotetto da 446 e uno scantinato.
AGENTI. Nell’ex Arsenale la disponibilità di spazi è inferiore a quella del Gobetti. Ma il vero problema, ora, per il Comune e per il museo stesso, di proprietà comunale, è capire come e perché le selci e altri manufatti abbiano preso quella colorazione blu.
Tra le ipotesi possibili per spiegare il deterioramento ci sarebbe quella del cambio di ambiente — dal palazzo all’ex caserma che in un passato, remoto (fu costruito a metà ’800), conteneva armi e polvere da sparo — che potrebbe aver provocato reazioni chimiche tali da creare una patina di colorazione bluastra. Che al momento non accennerebbe a sparire, quando si tenta di rimuoverla. Il materiale è però giunto intatto all’ex Arsenale, il che porta a pensare che il trasloco sia stato effettuato con tutti i crismi.
INDAGINE. Entrano in gioco, però, anche aspetti legati alla salubrità dell’ambiente in cui oltre a selci, fossili e scheletri blu di uomini e donne della preistoria, devono rimanere anche uomini e donne in carne e ossa, ma viventi. Per andare a fondo di tutti questi problemi oggi pomeriggio la commissione cultura del Consiglio comunale andrà in sopralluogo all’ex Arsenale. Per fare un po’ di luce sulle selci blu.
Fonte: srs di Enrico Giardini da L’Arena di Verona di Martedì 18 Maggio 2010 CRONACA, pagina 11
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SELCI PREISTORICHE, LE COLLEZIONI ROVINATE.
Sopralluogo della commissione cultura all’Arsenale, dove sono stati collocati i manufatti del Paleolitico. Interviene anche la Soprintendenza. Scambio di accuse sui reperti danneggiati
È giallo sulle selci diventate blu. Ed è allarme rosso sul possibile danno economico creato da quando le pietre preistoriche del Paleolitico, conservate fino al 2007 a Castel San Pietro e nell’ex seconda sede del museo di Storia naturale, palazzo Gobetti (venduto), sono state trasportate e depositate all’ex Arsenale. Ma è anche scambio di accuse: di chi è la colpa? O meglio: c’è una colpa?
Un dato certo è che la Soprintendenza ai beni archeologici guidata da Luciano Salzani, titolare di parte dei reperti danneggiati di proprietà dello Stato ma in corpo al museo civico, ha assegnato a due laboratori specializzati l’analisi dei pezzi danneggiati. Si deve scoprire la causa di quello che tecnicamente si chiama «viraggio cromatico», cioè un cambio di colore. Non, quindi, una patina scalfibile. Solo dopo si potrà capire se è possibile far tornare le selci alla tonalità originale.
Ma si sarebbe potuto evitare il danno? E la sede dell’ex deposito di armi degli austriaci, costruito a metà ’800, era ed è il luogo più idoneo per conservare materiale, oltre che per lavorarci? Domande emerse in una movimentata seduta della commissione Cultura del Consiglio comunale, presieduta da Lucia Cametti — presenti l’assessore alla Cultura Erminia Perbellini, i direttori del museo Giuseppe Minciotti e Angelo Brugnoli, con alcuni studiosi — in visita all’ex Arsenale proprio per verificare lo stato di conservazione dell’eccezionale patrimonio di reperti di preistoria, botanica e zoologia.
A mettere benzina sul fuoco della commissione, che ha visitato i locali al piano terra e al primo dove sono conservati i reperti, è stata Laura Longo, conservatrice del museo sezione preistoria, secondo cui «il problema del colore blu assunto dalle selci e da altri manufatti trasportati qui riguarda sia quelli di competenza della Soprintendenza, quindi dello Stato, sia quelli di competenza comunale», spiega, mostrando alcune selci conservate in armadietti di metallo con bassi cassetti scorrevoli dentro cui le pietre sono posate, avvolte in sacchetti di nylon, appoggiate su tappetini di gomma e su cartone. Secondo la Conservatrice si sarebbe dovuto studiare bene, prima. il sito scelto per ospitare il materiale, «anche se la responsabilità di quanto accaduto non è dell’amministrazione comunale», precisa la Longo. Lasciando intendere che qualche responsabilità l’avrebbe avuta il Museo.
VERIFICHE. Nella sala «incriminata», un po’ umida e in cui si diffonde un lieve odore di gomma, davanti ai reperti il direttore del Museo Minciotti, insieme al responsabile per la sezione geologia e paleontologia Roberto Zorzin e con l’assessore Perbellini, spiega però che l’ufficio del Datore del lavoro del Comune ha svolto un’indagine per la legge 626 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, non rilevando elementi tali da impedire la presenza di persone. In ogni caso, viste le indagini in corso della Soprintendenza, si è ritenuto di evitare che il personale si avvicinasse alle selci.
Riassumendo i tempi: i reperti del museo sono giunti all’ex Arsenale da Castel San Pietro tre anni fa (da qualche mese quelli di palazzo Gobetti e alcuni di palazzo Pompei). Fino al giugno dell’anno scorso il locale con le selci è stato accessibile. Dal luglio scorso fino al febbraio di quest’anno i pezzi sono stati sigillati. Rilevato il problema del colore, il Museo ha verificato con un contatore Geiger (un apparecchio che misura radiazioni) non rilevando alcuna radioattività. Il 17 febbraio, effettuati alcuni sopralluoghi, la Soprintendenza ha prelelato alcune selci blu per farle analizzare da due laboratori esterni.
VERDETTO. Intanto, l’8 marzo il Museo ha fatto analizzare un campione di selci dall’Arpav, per valutare rischi di radioattività: risultato negativo. «Al momento», spiega Minciotti, «qualsiasi ipotesi su questo evento eccezionale, per noi senza precedenti, è destituita di fondamento». Vale a dire, «aspettiamo l’esito delle analisi e dopo valuteremo il da farsi», dice l’assessore Perbellini, mostrando i locali al primo piano della palazzina di Comando dell’Arsenale, dove speciali impianti di aerazione e deumidificazione consentono di conservare il materiale. Il presidente della commissione, Cametti, però non si ferma. «Presenterò una mozione in Consiglio comunale chiedendo informazioni precise sullo stato dei reperti e sul danno economico. E chi lo pagherà? Qui si rischia il danno erariale».
Fonte: srs di Enrico Giardini da L’Arena di Verona di Mercoledì 19 Maggio 2010 CRONACA, pagina 13
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I REPERTI ROVINATI. PRIMA IPOTESI SCIENTIFICA SULLE PIETRE PREISTORICHE TENUTE ALL’ARSENALE. PUÒ ESSERE UNA MUFFA A RENDERE BLU LE SELCI
Il soprintendente veneto Tinè: «Aspettiamo le analisi, ma il danno non sembra irreparabile». Salzani: «Mai visto un fenomeno così»
C’è uno spiraglio di luce a illuminare il mistero delle selci preistoriche del Museo di storia naturale diventate blu. Sarebbe una muffa superficiale ad aver provocato quel «viraggio cromatico», cioè il cambio di colore, sulle pietre del Paleolitico conservate al piano terra della palazzina di comando dell’ex Arsenale, dove sono state portate circa tre anni fa, provenienti da Castel San Pietro. A dare questa prima lettura scientifica del fenomeno è Vincenzo Tinè, soprintendente per i beni archeologici del Veneto, con sede a Padova, da cui dipende l’analisi di una decina di selci di proprietà dello Stato, affidata a due laboratori esterni.
ANALISI. «Stiamo attendendo i risultati dai due laboratori, che dovrebbero arrivare in un paio di settimane», spiega al telefono Tinè, esperto in particolare di reperti preistorici, a cui il materiale è giunto dal nucleo operativo di Verona della Soprintendenza, guidato da Luciano Salzani, «ma da una prima visione dei reperti posso affermare che sono state avvolte da una muffa di superficie, il che escluderebbe che siano stati agenti patogeni, come ad esempio l’inquinamento atmosferico, ad aver provocato la colorazione blu alle pietre. Non credo, perciò, che questo fenomeno debba destare una particolare preoccupazione».
Ma questi manufatti presitorici, risalenti a centinaia di migliaia di anni fa, una volta individuata in via definitiva la causa della trasformazione del colore, potranno tornare al colore originale? «Non ritengo che il danno sia definitivo», prosegue il soprintendente, «perché la selce è materiale molto resistente e quindi non ci sono elementi in natura tali da attaccarla in maniera pesante. Nel caso delle selci di Verona, se fosse confermato che si tratta di muffa superficiale, non dovrebbero esserci problemi per ripulirle».
TEMPI STRETTI. Il direttore del nucleo operativo di Verona della Soprintendenza, Salzani, pure esperto di preistoria, è in stretto contatto con la sede centrale di Padova, per l’analisi dei reperti, dopo aver pure lui visionato le selci, prelevate a metà febbraio dall’ex Arsenale. «Abbiamo sollecitato i laboratori più volte, anche di recente, per ottenere il risultato delle analisi», spiega al telefono Salzani, «e riteniamo che in un paio di settimane si possa conoscere la causa della colorazione blu. È la prima volta che vedo questo fenomeno e non soltanto in materiale conservato nel museo di Verona».
Restano in attesa dell’esito delle analisi la Soprintendenza, quindi, ma anche il Comune e il Museo di storia naturale, oltre alla commissione Cultura del Consiglio comunale che martedì ha visitato i depositi del Museo all’ex Arsenale, al piano terra e al primo piano. Nell’ex caserma militare austriaca sono conservati reperti e collezioni di preistoria, botanica, zoologia, sia di proprietà comunale che statale, prima conservati a Castel San Pietro, a palazzo Gobetti (venduto a privati) e in parte a palazzo Pompei, la sede principale del Museo, dove c’è anche l’esposizione al pubblico.
Durante la commissione consiliare, presenti l’assessore alla cultura Erminia Perbellini, il dirigente del settore Gabriele Ren, i direttori del Museo Giuseppe Minciotti e Angelo Brugnoli, la conservatrice della sezione preistoria del Museo Laura Longo ha posto il problema delle cause e dei tempi del fenomeno, sostenendo che anche reperti di proprietà comunale sono diventati blu. La Perbellini, con il Museo, attende l’esito delle analisi. E la presidente della commissione, Lucia Cametti, annuncia una mozione in Consiglio chiedendo risposte sulla vicenda, la quantificazione del danno economico e se si rischia un’indagine della Corte dei Conti per un presunto danno erariale».
Fonte: srs di Enrico Giardini da L’Arena di Verona di Giovedì 20 Maggio 2010 CRONACA, pagina 12
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REPERTI ROVINATI. DALL’UNIVERSITÀ DI PADOVA I PRIMI RISULTATI DI LABORATORIO SULLE PIETRE DEL MUSEO. L’INDAGINE CONTINUA SELCI BLU, A PROVOCARE IL DANNO VAPORI USCITI DA IDROCARBURI
La conservatrice del museo Laura Longo mostra una delle selci colorate di blu all’assessore Mimma …
Svolta nell’indagine per capire che cosa ha reso blu le selci preistoriche del Museo di storia naturale, conservate all’ex Arsenale. Diversamente da una prima ipotesi secondo cui il viraggio cromatico — così si chiama il cambio di colore — sarebbe attribuibile a una muffa di superficie, a determinare l’alterazione delle pietre sarebbero stati invece vapori derivanti da idrocarburi. Composti organici, quindi, che nella forma solida o semisolida costituiscono il bitume o l’asfalto, in quella liquida il petrolio o il benzene, in quella gassosa il metano e altre sostanze.
Il fenomeno sarebbe così riconducibile a condizioni ambientali. È questa la conclusione della prima analisi di laboratorio sui reperti eseguita, per conto della Soprintendenza dei beni archeologici del Veneto, dal Dipartimento di geoscienze dell’Università di Padova, diretto dal professor Gilberto Artioli.
La sede centrale di Padova della Soprintendenza aveva ricevuto una decina delle selci del Paleolitico (da un milione e mezzo a 10mila anni fa) provenienti dal Museo scaligero e di proprietà dello Stato, trasportate poco meno di tre anni fa da Castel San Pietro alla palazzina di comando dell’ex Arsenale. Dove sono confluite poi le collezioni di preistoria, botanica e zoologia, sia di proprietà comunale che statale, di palazzo Gobetti, l’ex seconda sede del museo venduto a privati, e in parte anche a palazzo Pompei, la sede principale. Martedì la commissione Cultura del Consiglio comunale ha svolto un sopralluogo sul posto, per capirne di più. A inviare a Padova le selci, per farle esaminare, è stato il nucleo operativo di Verona della Soprintendenza, diretto da Luciano Salzani.
«Speravamo che il colore blu sulle selci fosse stato provocato da un’alterazione naturale, di superficie, ma i primi risultati ci portano a dire che è dipesa da elementi chimici presenti nell’ambiente, forse idrocarburi, che hanno intaccato le pietre», spiega al telefono il Soprintendente archeologico del Veneto Vincenzo Tinè, «e quindi la situazione è un po’ più seria di quanto non apparisse in un primo momento, visto che sono stati elementi patogeni ad aver alterato le selci». Il professor Artioli, che ha analizzato i reperti, conferma al telefono che «si è trattato di una contaminazione ambientale, non dovuta però a un contatto diretto delle selci con idrocarburi, ma con vapori da questi provenienti. Ciò ha determinato quel viraggio di colori».
Stando a questa prima valutazione — di un fenomeno comunque mai verificatosi su reperti del museo scaligero — questi vapori dimostrerebbero la presenza di idrocarburi nei locali dell’ex Arsenale. A questo punto però, e in attesa delle analisi affidate a un secondo laboratorio, di Firenze, bisogna capire se il danno sarà riparabile o no e se le selci potranno riacquistare il colore originale. Tinè è fiducioso: «L’alterazione è andata più in profondità, come si può rilevare solo al microscropio, ma con un trattamento chimico il colore blu si potrà togliere. Per fortuna il processo è reversibile». Artioli precisa: «La parte estetica è salvaguardata e quando le selci riacquisteranno il loro colore l’apparenza non sarà intaccata. Stiamo studiando la maniera migliore per ripristinare la tonalità».
Fonte: srs Enrico Giardini da L’Arena di Verona di Sabato 22 Maggio 2010 CRONACA, pagina 21
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VERONA: SELCI PREISTORICHE DIVENTATE BLU.
Laura Longo con un reperto
Arsenale, lite sui reperti rovinati
La conservatrice: «Inadempienze». L’assessore Perbellini: verifiche eseguite
VERONA—Esplode il caso delle selci preistoriche blu: un misterioso, per ora, agente ha alterato infatti una parte delle collezioni del Museo di Storia naturale trasferite dal 2007 in alcuni locali della palazzina frontale dell’ex Arsenale. A pretendere un chiarimento, con la quantificazione materiale ed economica del danno, la presidente della commissione cultura del Comune Lucia Cametti che ieri ha chiesto e ottenuto un sopralluogo, presenti il neodirettore del museo Giuseppe Minciotti, l’assessore alla Cultura Erminia Perbellini e il dirigente del settore cultura Gabriele Ren.
A lanciare accuse precise è Laura Longo, conservatrice della sezione di Preistoria del Museo di Storia naturale di Verona che proprio in questi giorni ha fatto assurgere agli onori delle cronache scientifiche internazionali il nostro museo- il suo personale e i materiali in esso conservati- per i suoi studi sull’uomo di Neanderthal.
«Non sto accusando l’Amministrazione, sia ben chiaro, ma qualcuno non ha fatto bene il suo lavoro. Prima di trasferire qui le collezioni bisognava fare, come previsto e prescritto dal Codice dei Beni culturali, campionamenti e analisi per stabilire l’idoneità del luogo alla conservazione. Cosa che non è stata fatta».
Il danno riguarda una vasta parte, forse il 40% o più, della collezione di selci preistoriche, ma non altri materiali conservati in altre sale.
«Escluso dopo un controllo con i contatori geiger un problema di radioattività- spiega Minciotti- si stanno attendendo i risultati di analisi di laboratorio dei quali si è incaricata la competente Soprintendenza, responsabile della conservazione del materiale che è in parte dello Stato e in parte del Comune. Soprintendenza che è stata subito avvisata appena rinvenuto il problema, il 17 febbraio».
Cioè quando si è di nuovo reso possibile l’accesso alle sale che erano state chiuse a causa di un cantiere durato da luglio 2009 a febbraio 2010 per la realizzazione, come hanno spiegato l’assessore Perbellini e Ren, di un moderno impianto per l’areazione e il controllo dell’umidità e della temperatura nelle sale adibite sia a uffici che a magazzini.
«Da ottobre chiedevo l’accesso, accusa di nuovo Longo – che è stato autorizzato solo a febbraio, negandomi di fatto la possibilità di esercitare il mio compito di conservatrice ».
Per avere i risultati delle analisi di laboratorio ci vorranno ancora un paio di mesi, ma intanto la conservatrice fa notare che non si può areare il locale, dove si sente un forte odore, come suggerito dalla Soprintendenza, perché le finestre sono collegate all’allarme. E nemmeno provvedere all’attuazione delle misure precauzionali suggerite dalla Soprintendenza, ovvero sostituire supporti in gomma e contenitori in polietilene e spostare i materiali, per scarsità di personale.
L’assessore Perbellini ha precisato che sono state fatte da parte dell’ufficio competente del Comune le necessarie verifiche per stabilire l’idoneità del luogo al lavoro, «che sono altra cosa- ribatte però Longo- rispetto a quelle previste per la conservazione ». L’assessore Perbellini rassicura che «tutto ciò che si doveva fare è stato fatto, compresi gli adeguamenti dei locali alle necessità di conservazione di materiali che provenivano da depositi in Castel San Pietro molto meno adeguati, ora non resta che attendere i risultati».
Fonte: srs di Camilla Bertoni, dal Corriere del Veneto del 19 maggio 2010
SELCI BLU, TROVATE TRACCE DI SMALTO. C’È L’OMBRA DEL SABOTAGGIO
Alcune delle selci custodite nell’ex Arsenale
I risultati dei test: «Un prodotto applicato di recente».
La relazione dell’Istituto di Preistoria sui reperti custoditi nell’ex Arsenale
VERONA – Una vernice, forse uno smalto per le unghie. Di sicuro quelle che hanno rinvenuto i super-esperti del laboratorio di Archeometria dell’Istituto Fiorentino di Preistoria sono tracce di «un prodotto filmogeno, trasparente, estraneo alla composizione naturale della selce e quindi applicato recentemente ». Il mistero delle selci azzurre si infittisce. Quei reperti preistorici del Museo di Storia Naturale di Verona, vennero trasferiti tre anni fa da Castel San Pietro ai magazzini dell’ex Arsenale dove sono rimasti, sigillati e chiusi in un apposito armadietto, fino a febbraio, quando si è scoperto che avevano subito una alterazione cromatica senza precedenti: erano tinte di blu cobalto.
Le ipotesi. La Sovrintendenza dei beni archeologici del Veneto aveva subito inviato alcuni campioni al laboratorio toscano per le analisi. In attesa dei risultati erano state avanzate le ipotesi più disparate, dalle radiazioni a una fantomatica muffa di superficie, fino alla presenza di vapori derivati dagli idrocarburi. Invece, nella relazione inviata nei giorni scorsi dall’Istituto di Preistoria, i professori Pasquino Pallecchi e Fabio Martini forniscono una spiegazione molto diversa, che apre scenari inquietanti.
Lo smalto. Gli esperti hanno scansionato i reperti, analizzandoli con uno spettrometro. Le analisi delle aree colorate hanno dimostrato che uno dei reperti presenta sulla superficie tracce di «prodotto filmogeno». Quindi sulla selce potrebbe essere stato spalmato uno smalto o qualcosa di simile.
Il solvente. Non solo. Sui reperti sono state eseguite delle prove per capire quali sostanze possano provocare la colorazione blu. Tra i «numerosi solventi» testati, si legge nella relazione inviata alla Soprintendenza del Veneto, l’unico a fornire un risultato è «l’acetone, che dopo circa un’ora prende una colorazione tendente all’azzurro». Quanto basta per far sostenere agli esperti che la misteriosa tinta «è dovuta all’assorbimento da parte della selce, nelle zone a porosità maggiore, di un composto organico» che non è ancora stato identificato con certezza. Le analisi non sono ultimate, e infatti il laboratorio di Archeometria chiede al Ministero per i Beni culturali l’autorizzazione «a procedere con metodologie invasive », cioè rompendo una selce per studiarne la composizione chimica interna. Solo così si potrà dissipare ogni dubbio.
I sospetti. Eppure, queste prime osservazioni fanno sorgere dei sospetti. I reperti erano infatti inseriti in buste sigillate che a loro volta si trovavano all’interno di cassetti. Inoltre per alcuni mesi (fino a febbraio) gli accessi alla stanza sarebbero stati murati per consentire di svolgere alcuni lavori nell’ex Arsenale senza il rischio che il locale venisse invaso dalla polvere. Quindi ora ci si chiede in quale modo le selci siano entrate in contatto con l’acetone e con lo smalto trasparente. La prima spiegazione, quella che si augurano tutti, è che ci sia stata una contaminazione accidentale, senza quindi alcuna responsabilità da parte di chi dovrebbe garantire la conservazione e la tutela dei reperti. La seconda è che si sia trattato di un vero e proprio sabotaggio, con qualcuno che ha intenzionalmente estratto alcuni reperti dalle custodie per cospargerli («recentemente», come attestano gli esperti) di smalto e acetone.
Fonte: srs di Andrea Priante dal Corriere del Veneto del 15 giugno 2010
SELCI BLU: I RISULTATI DELL’ISTITUTO DI PREISTORIA CONTRASTANO CON QUELLI DELL’ATENEO DI PADOVA
Ma l’autore dei test: incidente o azione dolosa
VERONA — Il mistero delle selci blu si complica. Ieri sulla questione è intervenuto il sovrintendente ai beni Archeologici Vincenzo Tinè, contrario alla tesi individuata dall’Istituto fiorentino di preistoria. Per gli esperti toscani, la tinta cobalto assunta dai reperti conservati nell’ex Arsenale sarebbe dovuta probabilmente all’assorbimento di una sostanza colorata. In pratica le pietre sarebbero state cosparse, non è chiaro se volontariamente o in modo accidentale, con un solvente o qualcosa di simile. Ma per Tinè la realtà è un’altra.
«L’Università di Padova – spiega – ha avuto modo di effettuare delle analisi invasive e quindi più accurate di quelle fatte finora dagli esperti fiorentini. E i risultati parlano chiaro: la colorazione blu è dovuta a un inquinamento ambientale. In pratica, nell’aria dei saloni dell’ex Arsenale c’erano degli idrocarburi, che hanno reagito chimicamente con le selci, colorandole. Non credo che qualcuno abbia versato sostanze sui reperti». Tinè ha già sollecitato un’indagine all’interno dell’area utilizzata come deposito, in modo da individuare la fonte inquinante.
Sul fronte opposto si inserisce la relazione protocollata il 24 maggio proprio dalla sovrintendenza e redatta da Fabio Martini, il docente che (assieme a Pasquino Pallecchi) ha eseguito i test sulle selci per conto dell’Istituto fiorentino di preistoria.
«Non credo ci sia stata contaminazione dovuta all’ambiente in cui le selci erano conservate – ha confermato ieri Martini – ritengo invece più probabile che siano entrate in contatto con una sostanza». Un prodotto che non è ancora stato identificato con certezza. «Forse un solvente – spiega – ma potrebbe essere anche qualcos’altro. L’unico modo per capire con certezza di cosa si tratti è prelevare dei campioni al di sotto dello strato superficiale e analizzarli. Ma per farlo ci serve l’autorizzazione della Sovrintendenza che spero arrivi presto. Poi, nell’arco di un paio di settimane, avremo le risposte».
Nella relazione i due esperti spiegano che «la selce, trattandosi di un materiale microcristallino, presenta una buona porosità che può permettere l’assorbimento di soluzioni colorate». Se le cose stanno così, resterebbe da capire come ci sia finita una soluzione colorata su quei reperti, visto che l’esperto sembra escludere la contaminazione dovuta all’ambiente nel quale erano conservati. «Direi che l’ipotesi incidentale e quella del dolo sono ciascuna al 50 per cento», si limita a constatare Martini.
Fonte: dal Corriere del Veneto, di mercoledì 16 giugno 2010