Urna di San Florenzo, Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista, Velo veronese
Quando vogliamo menzionare un santo, per comodità o per antica abitudine, ci riesce più facile farlo coincidere con la sua provenienza; così, per esempio, diciamo “Sant’Antonio da Padova”, “San Francesco d’Assisi”, “Santa Rita da Cascia”, “San Giorgio di Cappadocia”, “Santa Margherita da Cortona” e via dicendo.
Velo Veronese è forse l’unico centro della Lessinia “cimbra” che annovera un suo santo – “San Fiorenzo da Velo”.
È risaputo che nel Medioevo non erano proprio del tutto fortuiti i casi di spoliazioni, di ruberie di corpi interi o di reliquie piuttosto consistenti di santi che venivano fatte su commissione e dietro pagamento.
Esempio classico: la mattina del 23 giugno 1053, ricorda mons. G.P. Pighi, della chiesa di Santa Maria in Organo a Verona, un certo Gotschaldo, del monastero benedettino di Burn in Germania, rubò il corpo di Santa Anastasia, con la complicità del custode, lo infagottò nel pallio dell’altare e fuggì.
Le cronache storiche del passato narrano che il vescovo di Verona, Francesco Barbarigo, nel 1700 fece un giro di visite pastorali nelle parrocchie della Lessinia; giunto nella parrocchia di Velo si accorse che dietro l’altare maggiore c’era una porticina che custodiva all’interno la sacra reliquia del martire Fiorenzo, conservata in un decoroso reliquiario.
Una verifica del contenuto del piccolo sacrario ebbe luogo già nel 1687, durante un’altra visita pastorale. La popolazione, quella volta, si rivolse al vescovo chiedendogli il permesso di estrarne, alla presenza dei canonici, un frammento osseo da porre in un reliquiario, da portare durante le processioni, ovviamente chiuso e sigillato e accompagnato da un documento canonico autentico. Sorge inevitabile l’interrogativo di come sia giunto a Velo il corpo del martire.
Illustri studiosi del passato hanno cercato di dare una risposta a questo quesito, per tentare di stabilire l’epoca in cui San Fiorenzo sarebbe vissuto, il luogo, com’è stato martirizzato e altro ancora, ma sono venuti a capo di ben scarse notizie. La tradizione popolare, invece, ha trovato quello che la storia e i documenti non sono stati in grado di rintracciare.
Il Cav. Attilio Benetti, che della tradizione popolare lessinica era oltre che un insigne studioso anche un profondo conoscitore, ha ricordato nei sui scritti quello che i suoi avi gli raccontavano a tal proposito; dimostrando così ancora una volta che quanto viene tramandato oralmente dalla tradizione popolare spesso integra o completa le informazioni che la storia ufficiale spesso non riesce a determinare con maggiore chiarezza e certezza.
La nonna materna gli raccontava — ma lo dicevano un po’ tutti gli anziani del suo tempo — infatti che nei tempi lontani, gli abitanti di Velo, segretamente, avevano organizzato una spedizione in Germania, proprio nel paese da dove erano partiti i loro progenitori, con il preciso scopo di trafugare i resti mortali del loro santo martire e riportarseli a Velo.
L’impresa riuscì perfettamente, ma non è dato sapere, in difetto di fonti certe, quando essa abbia avuto luogo. Si tenta di collocarla nel tardo Trecento o nel primo Quattrocento, quando cioè gli insediamenti “cimbri” sui nostri monti lessinici si erano già radicati nel tessuto sociale della realtà del mondo montanaro di quell’epoca e avevano acquisito anche la solidità economica e la sicurezza politica che permise loro di tentare un’impresa del genere.
Fonte: srs di Alfred Sternberg, da facebook MACIGA LESSINIA del 29 luglio 2017