Un quadro che racconta la tragedia di centinaia di soldati in grigioverde: morti davanti al plotone d’esecuzione per vigliaccheria o diserzione. Ma in tanti tra loro scelti a caso, per punire il reparto che si era battuto – secondo i comandi – senza sufficiente coraggio
Fucilati dai carabinieri appena arrivati al fronte disertori e ammutinati, i veri eroi della grande guerra
“Presso un reggimento di fanteria, avviene un’insurrezione. Si tirano dei colpi di fucile, si grida non vogliamo andare in trincea. Il colonnello ordina un’inchiesta, ma i colpevoli non sono scoperti. Allora comanda che siano estratti a sorte dieci uomini; e siano fucilati. Sennonché, i fatti erano avvenuti il 28 del mese, e il giudizio era pronunciato il 30.
Il 29 del mese erano arrivati i ” complementi”, inviati a colmare i vuoti prodotti dalle battaglie già sostenute: 30 uomini per ciascuna compagnia. Si domanda al colonnello: “Dobbiamo imbussolare anche i nomi dei complementi? Essi non possono aver preso parte al tumulto del 28: sono arrivati il 29 “. Il colonnello risponde:.” Imbussolate tutti i nomi”.
Così avviene che, su dieci uomini da fucilare, due degli estratti sono complementi arrivati il 29. All’ora della fucilazione la scena è feroce. Uno dei due complementi, entrambi di classi anziane, è svenuto. Ma l’altro, bendato, cerca col viso da che parte sia il comandante del reggimento, chiamando a gran voce: “Signor colonnello! signor colonnello! “. Si fa un silenzio di tomba. Il colonnello deve rispondere. Risponde: “Che c’è figliuolo? “
” Signor colonnello! ” grida l’uomo bendato “io sono della classe del ’75. Io sono padre di famiglia. Io il giorno 28 non c’ero. In nome di Dio! “.
“Figliuolo” risponde paterno il colonnello “io non posso cercare tutti quelli che c’erano e che non c’erano. La nostra giustizia fa quello che può. Se tu sei innocente, Dio te ne terrà conto. Confida in Dio”.
Così Silvio D’amico, in “La vigilia di Caporetto”, racconta uno dei tanti episodi di repressione interna operata dai comandi dell’Esercito Italiano durante la Grande Guerra.
D’ Amico, esonerato dal servizio militare si era arruolato volontario.
Infarcito della propaganda bellica e dei proclami interventisti, giunto come tenente artigliere al fronte si era reso conto perfettamente che la guerra, quella vera, non era affatto come la raccontavano i giornali e i manuali militari.
Nemmeno l’ombra di grandi manovre, di saggi generali, di eroici combattimenti.
Piuttosto orfani, vedove, mutilati. Deportati, profughi, sfollati.
Sangue, merda, e morte.
Morte per migliaia e migliaia di poveracci mandati a combattere in nome di una patria di cui non sapevano nulla. Uccisi dalla fame, dal freddo, dalle malattie, dai colpi del nemico e quelli dei carabinieri. Si perché furono 350.000 i soldati italiani a finire davanti ai tribunali militari. 210.000 vennero condannati a svariate pene e 750 alla fucilazione (l’Italia detiene questo infame primato).
E così in questo quadro tragico, i veri eroi erano quei soldati che gridavano “abbasso la guerra”, che scappavano per tornare nei campi a mietere il grano, che chiamavano vigliacchi gli alti comandi per cui la vita dei sottoposti spesso valeva meno degli stivali che avevano ai piedi.
Grazie a Cannibali e Re
Fonte: da le foto che hanno fatto la storia
L’ONORE (PERDUTO MA RESTITUITO) DEI SOLDATI FUCILATI NELLA GRANDE GUERRA
Su una targa di bronzo da affiggere in un’ala del Vittoriano, la Repubblica italiana renderà evidente «la volontà di chiedere il perdono» per i caduti dimenticati della Grande guerra condannati a morte per motivi disciplinari o giustiziati sul campo per atti di ribellione: si tratta dei 750 militari fucilati al termine di un regolare processo, dei 350 soldati passati per la decimazione o giustiziati direttamente dai superiori, del numero imprecisato dei soldati uccisi durante i combattimenti da «fuoco amico» per impedire che arretrassero dalle posizioni loro assegnate. Tutto in nome di un codice militare ottocentesco che subì la più spietata applicazione grazie alla circolare Cadorna: un ordine di servizio del capo di Stato maggiore dell’esercito che, come testimonierà la commissione affidata al generale Tommasi a ridosso della fine della guerra, permise agli alti comandi e ai tribunali militari di andare ben oltre i limiti imposti dalla legge. Esattamente dopo cento anni, la Camera ha approvato (331 favorevoli, nessun contrario, un astenuto) la legge per la riabilitazione dei caduti dimenticati (primo firmatario Gian Paolo Scanu, relatore Giorgio Zanin) che è arrivata in aula prima del 24 maggio, la data di inizio delle attività belliche nel 1915, grazie all’impegno del presidente deal commissione Difesa Elio Vito (FI). Il testo ora passa al Senato.
Gli oltre 1000 davanti al plotone d’esecuzione
Nel corso della Grande Guerra, davanti ai tribunali militari comparvero 323.527 imputati di cui 262.481 in divisa, 61.927 civili e 1.119 prigionieri di guerra. Le condanne interessarono il 60 per cento dei processi. 4.028 dibattimenti si conclusero con la pena capitale (2.967 con gli imputati contumaci). Le sentenze di morte eseguite furono 750. A un secolo di distanza – dopo che nel 2007 la pena di morte è stata definitivamente cancellata anche dal codice militare di guerra – queste cifre danno il senso di una tragedia dimenticata così come appaiono anacronistiche le motivazioni utilizzate dai giudici militari davanti agli episodi di insubordinazione: «Il tribunale non ritiene di dover concedere le attenuanti generiche nell’interesse della disciplina militare per la necessità che un salutare esempio neutralizzi i frutti della propaganda demoralizzatrice». E anche in caso di denuncia per «sbandamento» le toghe militari usavano il massimo del rigore «in chiave di ammonimento e di prevenzione generale».
«La richieste deve essere proposta dall’interessato…»
Le famiglie di alcuni dei caduti dimenticati della Grande Guerra hanno tentato di chiedere la riabilitazione dei propri congiunti ma spesso, conferma il relatore della legge Giorgio Zanin, si sono sentiti rispondere che «la richiesta doveva essere proposta dall’interessato.…».
Dunque, si legge nella relazione di accompagno alla legge, «nella ovvia impossibilità di fare cessare l’esecuzione di una pena incostituzionale e non più prevista dall’ordinamento, rimane la via della riabilitazione». Ecco allora che l’articolo 1 della legge affida al procuratore generale militare il compito di avanzare d’ufficio la richiesta di riabilitazione al tribunale militare di sorveglianza dei miliari condannati a morte nel corso della Prima Guerra Mondiale per reati di assenza dal servizio (diserzione) e per reati in servizio come lo sbandamento e i fati di disobbedienza ancorché collettiva…esclusi i delitti di omicidio, saccheggio e violenza sessuale.
Passati per le armi senza processo
Su istanza di parte al ministero della Difesa (si pensa ai comuni di nascita dei militari fucilati) verrà poi restituito l’onore militare e la dignità di vittime della guerra a quanti «furono passati per le armi addirittura senza processo facendo anche ricorso alla intollerabile pratica della decimazione o per esecuzione diretta e immediata da parte dei superiori».
I nomi dei caduti dimenticati della Grande Guerra _ una volta approvata la legge che dopo l’aula della Camera dovrà andare al Senato – verranno inseriti nell’Albo d’oro del Commissariato generale per le onoranze I caduti.
Fonte: srs di Dino Martirano, da il Corriere della Sera del 21 maggio 2015
10 Ottobre, 2018 12:06
[…] Continua qui: http://www.veja.it/2018/01/06/fucilati-dai-carabinieri-appena-arrivati-al-fronte-disertori-ammutinat… […]