Negli anni Settanta, l’Università di Verona non ha ancora la Facoltà di Medicina, e la maggior parte degli studenti sono invogliati, per la breve distanza e per la frequenza dei treni sulla linea Milano-Venezia, a iscriversi all’Università di Padova. Che è una fortuna non indifferente essere iscritti in una facoltà che fin dal Medio Evo vanta nobili origini e chiara fama in tutto il mondo.
Tra questi giovani ce n’è un paio che non sono affatto male. Svegli, e già fin troppo navigati per la loro età. Oltre che compagni di corso si vedono spesso in giro per il centro circondati da quel benevolo alone d’ammirazione e d’invidia che rendono mitiche le loro imprese.
Michele, dai capelli neri e corti, dal sorriso smagliante, appena al di sotto del metro e ottanta su un viso dai lineamenti delicati, è sempre in jeans e maglione più o meno pesanti secondo le stagioni. Flaviano, leggermente più piccolo e più maschio, porta i capelli lunghi fino al collo: sono castani e ben curati dalla tartaruga del suo pettine. Eternamente abbronzato, con scarpe all’inglese, con i risvolti ai calzoni e in giacca e cravatta, veste come un elegantone d’altri tempi. Ora, con un paio d’avventure capitate in treno, potrete inquadrarli meglio.
Soprattutto nelle prime ore del mattino, la linea Milano-Venezia a causa dei pendolari e degli studenti che si recano quotidianamente a Padova e a Venezia è sempre affollatissima. Capita sovente di salire e di farsi strada a fatica, il più delle volte disgustati dall’alito e dal sudore cipollino di certe ascelle. A volte, si deve anche ringraziare il Cielo se non si prendono spintoni e pestoni da alcuni energumeni.