Negli anni Settanta, l’Università di Verona non ha ancora la Facoltà di Medicina, e la maggior parte degli studenti sono invogliati, per la breve distanza e per la frequenza dei treni sulla linea Milano-Venezia, a iscriversi all’Università di Padova. Che è una fortuna non indifferente essere iscritti in una facoltà che fin dal Medio Evo vanta nobili origini e chiara fama in tutto il mondo.
Tra questi giovani ce n’è un paio che non sono affatto male. Svegli, e già fin troppo navigati per la loro età. Oltre che compagni di corso si vedono spesso in giro per il centro circondati da quel benevolo alone d’ammirazione e d’invidia che rendono mitiche le loro imprese.
Michele, dai capelli neri e corti, dal sorriso smagliante, appena al di sotto del metro e ottanta su un viso dai lineamenti delicati, è sempre in jeans e maglione più o meno pesanti secondo le stagioni. Flaviano, leggermente più piccolo e più maschio, porta i capelli lunghi fino al collo: sono castani e ben curati dalla tartaruga del suo pettine. Eternamente abbronzato, con scarpe all’inglese, con i risvolti ai calzoni e in giacca e cravatta, veste come un elegantone d’altri tempi. Ora, con un paio d’avventure capitate in treno, potrete inquadrarli meglio.
Soprattutto nelle prime ore del mattino, la linea Milano-Venezia a causa dei pendolari e degli studenti che si recano quotidianamente a Padova e a Venezia è sempre affollatissima. Capita sovente di salire e di farsi strada a fatica, il più delle volte disgustati dall’alito e dal sudore cipollino di certe ascelle. A volte, si deve anche ringraziare il Cielo se non si prendono spintoni e pestoni da alcuni energumeni.
In un mattino di ressa, sono appena arrivati a metà vagone, quando incrociano Manuela. Questa loro amica, studentessa in Biologia, li avvisa che nello scompartimento prima del gabinetto c’è un posto libero. Non par vero! Un’ora in piedi e poi seduti per delle ore sui banchi di scuola sono troppo faticosi. A Michele s’accende una lampadina, e rivolgendosi alla ragazza:
– Avvisa gli altri che oggi si gioca.
Rumorosamente, i nostri eroi entrano nello scompartimento del posto libero; Flaviano recita la parte di chi ha un terribile mal di pancia, e Michele, da attore consumato, quello dell’amico preoccupato.
Flaviano, piegato su se stesso per la finta sofferenza, si fa strada pestando qualche piede. Nel frattempo, Michele chiede il permesso di abbassare il finestrino avendo l’amico perdite odorose. Il quarantenne che sta accanto allo studente, seccatissimo, non sopportando l’aria in faccia, cede il posto a Michele.
Nello scompartimento nessuno fiata. Gli occhi degli astanti non abbandonano Flaviano e di nascosto fiutano l’aria. Arrivano altri studenti che s’informano sul falso sofferente. Dopo qualche minuto s’affaccia Manuela che, storcendo il naso, riferisce che ha messo Giuseppe a guardia della porta del gabinetto in modo che sia libero per un’eventuale urgenza. L’espressione disgustata di Michele, come se respirasse odori pestilenziali, e l’aria che entra dal finestrino obbligano i viaggiatori a brontolare e a lasciar liberi i loro posti. Come l’ultimo abbandona lo scompartimento, arrivano i compagni d’università a riempirlo di nuovo. Tirano le tendine, chiudono il finestrino, ridono a crepapelle e cantano vittoria.
Scoperti una volta a cantare O Bella Ciao, a causa d’una discussione troppo accesa, prestano ora più attenzione.
Questa è una delle tante chiassate che fanno in treno per scacciare la noia del viaggio. Eh, eh! Ma non sempre va tutto liscio. Anzi, a volte si prendono delle martellate sui denti, come quella volta che, ai primi di giugno e in tarda mattinata, vanno per assistere all’esame in preappello d’un loro amico.
Sono interessati alle domande che farà l’insegnante per poterne trarre qualche vantaggio. Stanno passando nel corridoio della prima classe, Flaviano, avanti di tre passi rispetto all’amico, all’improvviso si blocca, si volta e fa cenno a Michele di dare un’occhiata all’interno dello scompartimento appena superato. Sedute di fronte al senso di marcia, un gran bel pezzo di figliola e una signora anziana. Michele, senza pensarci due volte, apre lo sportello e s’accomoda, subito raggiunto dall’amico.
Non è la prima volta che si siedono in prima classe. Se pescati dal controllore, si scusano affermando che hanno bisogno di tranquillità. Devono interrogarsi per preparare meglio l’esame. Hanno un così bel modo che trovano sempre controllori teneri, sedotti dal fascino di questi due futuri dottori. Questa volta però, hanno tutt’altro in testa. La giovane dagli occhi incantevoli, oltre a esser bella, ha un corpo da far girar la testa. Sui vent’anni, leggermente abbronzata, capelli biondi raccolti a coda, labbra carnose e purpuree, e che occhi! Porta la minigonna e le gambe sono degne dei manichini esposti nelle vetrine d’abbigliamento. La signora supera i sessanta: capelli bianchi e ricci su un viso tondo e fatto per il sorriso. Fin troppo ingioiellata è in tailleur rosa. Legge un quotidiano, mentre la giovane sfoglia un settimanale di moda.
Appena entrati, i due giovani applicano la regola di Verona: “Se non te tacchi ti sì un mona”(1), che in parole povere vuol dire: “se non attacchi bottone sei un cretino”.
Anzitutto fan capire, anche se non richiesto, che sono studenti in medicina, e come scusa si rivolgono alla signora anziana commentando la bella giornata e il ritardo del treno. La prendono alla larga, come si suol dire.
La giovane però non ci casca. Perché i pesci abbocchino ci vuole un’esca allettante. Allora Michele offre delle caramelle e Flaviano le sue, vantando che sono senza zucchero. Solo la sessantenne accetta.
Caduta la possibilità d’un dialogo, i ragazzi cambiano gioco e passano alla provocazione: Flaviano la fissa incantato come fosse una madonna, mentre Michele punta alle gambe che ogni tanto lei accavalla. Gli occhi addosso prudono più d’una orticaria. Nonostante gli sforzi per l’autocontrollo, la ragazza dà evidenti segni di nervosismo.
Dopo un lungo silenzio, i ragazzi ci riprovano ripassando le lezioni di Anatomia. Fanno cenno alle fogge delle rotule, alla pienezza dei gemelli, alla bellezza e luminosità dell’iride, per arrivare poi alle sviolinate più sfacciate, appena velate ma perfettamente percettibili: – Mi sembra d’averla vista in tv – . – Potrebbe essere una ballerina. – oppure – Che sia una fotomodella? – e altre leccate simili.
Alzando lo sguardo, la giovane di tanto in tanto risponde con occhiate piene d’odio. I ragazzi sperano solo che prima o poi debba scoppiare e aprir bocca.
Senza sapere che il silenzio pesa più del respiro, erano sul punto di darsi per vinti quando alla giovane saltano i nervi. Dando sfogo alla rabbia e al rancore, all’improvviso sbatte la rivista sul sedile e, alquanto inviperita, rivolgendosi a Michele:
– Non ne posso più! Che hanno le mie gambe da essere esaminate con così tanta insistenza?
– Ne ammiro la bellezza.
– Ma cosa spera di vedere più di quel che già vede?
– Seguendo i binari, mi piacerebbe arrivare in stazione.
– Tutte le stazioni sono uguali, – diventando viola.
Soddisfatto d’aver provocato questa reazione, dopo uno sguardo all’amico, con il sorriso sulle labbra e dando sfoggio a una sottile ironia:
– Non è affatto vero. Quelle di paese sono profumate, vivono in mezzo ai fiori e son poco frequentate; quelle delle città son piuttosto ordinarie; in fine, son rimaste quelle monumentali delle metropoli di solito fredde, superaffollate e piene di caligine. Se vuol sapere le mie preferenze.
La signora si trattiene dal ridere; la giovane si alza di scatto, afferra la sua trolley, sulla porta si volta e dando sfogo al suo veleno:
– Se volete visitare tante stazioni, vi do un consiglio: iscrivetevi a Ginecologia! Attenzione però!…Per i professionisti c’è il divieto di sosta.
(1) Mona è la vulva, ma in questo caso vuol dire cretino.
Fonte: srs di Enzo Monti del 24 giugno 2013
Link: http://enzo-monti.blogspot.it/2013/06/la-stazione.html