La Palazzina Azzurra
Mi scuso con gli stranieri per non aver tradotto le parti dialettali e alcuni termini poco comprensibili o addirittura introvabili sui vocabolari, non credevo d’avere un pubblico cosmopolita. Perdonatemi!
In ogni compagnia, c’è sempre qualcuno che conta balle. Io ho avuto la fortuna di aver Memo, amico di mio fratello e suo compagno di classe, che ne sparava a raffica.
Dotato di sfacciata disinvoltura e di notevole capacità nel raccontar frottole, rivestiva le sue affermazioni con tale sicurezza da farle sembrare più vere di quanto non lo fossero. Non che lo facesse per cattiveria o per scopi particolari. Con probabilità, solo per farsi bello.
Per quanto si faccia, con i bugiardi non si riesce mai a cambiarli, anche se ripetutamente gliele canti. Mi vengono in mente alcuni scritti di Oscar Wilde a proposito dei mentitori,” con le loro franche e intrepide asserzioni, con le loro superbe irresponsabilità “e pronti a falsificare perfino le prove più evidenti. E lui era fatto così, era capace di mentire anche sul mentito.
Avvenne che per qualche anno frequentasse il bar Ariston ai tempi d’oro di Ugo, e m’invitasse assieme a un suo amico a trascorrere le vacanze estive. Come un pesce abboccai. Anche perché davanti agli inviti e alle lusinghe son talmente debole che m’attacco alla prima esca.
Sopra il metro e settanta, snello, dai capelli neri e dai lineamenti gentili passava per un ragazzo intelligente. Alla fine degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, frequentava con ottimi risultati la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Parma e, oltre a studiare, suonava il pianoforte nell’orchestra dei Solitari: il gruppo di musicisti che avevano accompagnato i primi passi della nostra Mina.
Mi propose d’andare a trascorrere le vacanze estive a San Benedetto del Tronto, dove l’anno prima aveva suonato al seguito di Mina, e dove c’era, a sentir lui, un sacco di amici che ci aspettavano. Abboccai all’amo. Per rendere il piatto più appetitoso, vantava, tra le ragazze che fremevano per il nostro arrivo, la presenza di un paio di fotomodelle. L’altro sventurato nostro compagno era il chitarrista di quello stesso gruppo.
Partimmo con la sua Giulietta bianca. Io davanti e il chitarrista dietro, che chiamerò Gianni, visto che non ne ricordo più il nome. Appena saliti in macchina ne sparò una grossa come una casa. Subito fuori di Cremona, sul ponte che attraversa il Po, per superare un camion con rimorchio, durante l’accelerazione mi scappò l’occhio sulla lancetta del contachilometri. Notai che segnava i centoquaranta. Anche se di solito questi strumenti segnano una velocità superiore di quella che si fa realmente, mi spaventai.
– Va pian! (1)Stai facendo i centoquaranta. Non vorrei morire appena passata la soglia di casa, – implorai.
– Ma non stiamo mica andando ai centoquaranta, stiamo facendo i centosessanta. Ho fatto ritoccare il contachilometri in modo da ridurre la velocità per non spaventare i miei passeggeri.
Questa non l’avevo mai sentita. Mi voltai all’indietro per cercar conforto, e Gianni buttò gli occhi al cielo e allargò le braccia come per dirmi “ Porta pazienza”.
Salto tutte le balle sentite durante il viaggio e racconto ciò che trovai a San Benedetto.
Le fotomodelle erano due comuni ragazze di Milano, il cui aspetto era ben lontano dalle immagini che noi abbiamo di chi al giorno d’oggi esercita questa professione. Roberta bionda, con coda di cavallo, sul metro e sessanta, piacevole senza essere una bellezza, faceva la parrucchiera e, di tanto in tanto, avendo un corpicino ben fatto posava per la pubblicità di mutande e reggipetto. Una volta la pubblicità era molto parsimoniosa: tagliavano testa e gambe, e stampavano in piccoli spazi il necessario per mettere in mostra il prodotto da vendere. Irene, molto più alta, magra e dal viso cavallino, portava i capelli mechati di bianco e di grigio cenere come dettava la moda in quel periodo e, oltre a frequentare l’università, le venivano fotografate le mani per pubblicizzare la crema d’una famosa ditta. Mani scarne e affusolate di indicibile bellezza.
Quel tremendo bugiardo e mistificatore aveva promesso che ci avrebbe accolto un folto gruppo di amici e di belle ragazze. In realtà, oltre alle due menzionate prima, di tutta quella millantata compagnia trovammo solo un paio di giovani avvocati di Napoli con le loro ragazze.
Al mattino sul tardi, s’andava qualche volta in spiaggia per vedere il mare, si passava il pomeriggio al matinèe e la sera a ballare sempre nello stesso posto. Obbligati dal fatto che il proprietario ci faceva dei prezzacci (3) grazie all’incremento ricevuto dal locale ospitando Mina.
Ora, questo episodio che sto per narrare, me l’ero proprio scordato. Me lo rammentò Memo un giorno che al bar eravamo in compagnia di alcune ragazze.
Era successo che una notte, mentre danzavo con Roberta, le si sfilasse l’abito da sera che, per fortuna, s’arrestò alla cintola lasciandole scoperta i seni. In quelle condizioni, si fece un paio di balli richiamando l’attenzione dei ballerini in pedana. Presi dal ballo o fatti dall’alcol, ce ne rendemmo conto solo dopo che un cameriere con garbo venne a battermi sulla spalla. La strinsi ancor di più, in modo che l’abito non scivolasse a terra, finché pian pianino lo riallacciai.
Il dir bugie è un’arte, una grande arte anche se non riconosciuta. Oltre a raccontarle, in modo che diano l’impressione d’essere vere e credibili, si devono poi sostenere a viso aperto con tutta la fantasia che intelligenza e logica permettono. Mentre la verità è una e una sola, la falsità ha parecchie versioni. Roba da paragonarsi alle musiche atonali e alle pitture astratte, se vogliamo considerarla un’arte.
Ascoltate ora come quel bellimbusto, senza conoscerne le intenzioni, a voce alta e in qual modo mi presentò:
– Lo sapevate che Monti ha denudato in una sala da ballo la sorella di Miss Europa?
Mi caddero le braccia.
Gli amici del bar che giocavano a carte rimasero invece con il braccio alzato e l’asse in mano. Tutti quelli che l’avevano sentito mi guardarono con il disprezzo riservato a chi recita la parte di chi affetta modestia, visto che non avevo mai confessato né vantato un fatto del genere.
Chiesi con stupore come mai Roberta non mi avesse mai parlato d’una sorella. Sapevo che era carina, forse anche bella, ma che avesse in casa una miss m’era ignoto. Questo spudorato bastardo, per farmi passar per mostro, mi rispose:
– Non lo dice a nessuno perché con una sorella così bella ne teme la concorrenza.
Potenza della menzogna: battuto 1 a 0, nonostante giocassi in casa.
(1) Frottole.
(2) Va piano.
(3) Prezzi stracciati.
Fonte: srs di Enzo Monti del 12 settembre 2013
Link: http://enzo-monti.blogspot.it/2013/09/la-sorella-di-miss-europa.html