Tutta la compagnia: circa una trentina di persone, era stata invitata in una villa della Valpantena. Che cosa si festeggiasse o quale fosse il motivo della festa non lo saprei, come non saprei chi ringraziare per quell’invito.
Arrivammo con il buio della notte. Vestito d’Arlecchino, l’autunno si presentava con freschi aliti che facevano volar le foglie e rabbrividire chi era ancora, come me, in maniche di camicia. Pizzicava il naso con l’odor di terra e, con spirito romantico, rivestiva di malinconia la vallata con bianchi veli di nebbia. Sotto un bel cielo stellato dove brillava anche la luna, i padroni di casa ci accolsero sulla soglia e, dopo un piccolo brindisi, c’invitarono a visitarla.
Un vero obbrobrio! Arredata con tendaggi, quadri, mobili e suppellettili di cattivo gusto e in tale abbondanza da sembrare un magazzino. Potevano esserci anche pezzi di pregio, ma così ammassati e mal disposti erano orribili. Quella da letto, nonostante ai suoi piedi facesse bella mostra in stile Liberty una vasca per l’idromassaggio, era talmente cupa e così opprimente che avevo la sensazione di soffocare. Migliori erano quelle degli ospiti.
Spaziosa come la villa e di tutt’altro respiro era la taverna dove si svolgeva la festa. Nel mezzo troneggiava un imponente camino circolare; alla sinistra, oltre a una piccola piscina, si accede in locali atti ai servizi e attrezzati per la sauna. Chiudeva la parete di fondo il mio regno: un piccolo bar.
Già ci attendevano una ventina di ospiti in gran parte a noi sconosciuti. Rimboccate le maniche, passai tutta la serata dietro al banco del bar ad aiutare il padrone di casa a stappar bottiglie, servir caffè, a creare drink tropicali e cocktail micidiali. Che non si creda! a volte, erano intrugli che la gente, pur di bere, mandava giù senza fiatare. Con la stessa frequenza dei piatti che arrivavano dalla cucina di casa, giungevano a più riprese decine d’invitati alla volta. Gli uomini sbarbati e profumati, pur girando a vuoto, andavano a caccia di conquiste; scatenate nei balli, quasi tutte le femmine davano sfogo alla loro vanità.
Era appena passata la mezzanotte quando venne da me una donna grassa e piccola che con fare sospettoso e subdolo mi sussurò all’orecchio:
– Devi far ballare la padrona di casa, ha molta simpatia per te.
Dopo tre o quattro balli con quel barilotto di vecchia che mi avvinghiava senza poter riconoscere se fossi a contatto con panza o tette, me ne tornai a servire al bar. Anche perché quella pasta di marito non meritava che gli si facesse un torto.
Verso le due, durante una pausa per un brindisi, ci giunsero le invocazioni d’aiuto d’una donna ch’era rimasta chiusa in un cesso. In parecchi si precipitarono alla porta. La donna chiedeva di tener lontano il marito perché la innervosiva ancor di più.
Accompagnato da Toni Gussa e da Gianni Chitarra, arrivò al banco il marito, anch’egli mio amico da vecchia data, che smaniava e se la prendeva con la moglie per quel suo caratteraccio. Il proprietario di casa consegnò a Gianni le chiavi di riserva per aprire i bagni, mentre di persona si recò nello sgabuzzino degli attrezzi alla ricerca di quelli adatti per forzare eventualmente la serratura.
Padrone della situazione, stappai una bottiglia di champagne e versai a profusione da bere agli altri due, cercando di far cantare l’amico sulle virtù della moglie. Una ventina di minuti durarono le sue lagne, finché l’urlo liberatorio coprì la musica, e un caloroso applauso salutò l’ingresso della donna in sala.
Merito del successo andava a Gianni che, con gran pazienza, era riuscito ad aprire senza danneggiare la porta, anche perché nella stanza dei servizi era stato l’unico ad essere voluto dalla signora. E lui, quando ritornò a consegnarmi le chiavi, mi soffiò:
– Nel cesso, non era sola.
E mi lasciò a bocca aperta, portandosi via il bicchiere d’un altro.
Senza altri intoppi, tra balli, canti, brindisi, e barzellette la serata proseguì fino all’alba. Per via dela discrezione di Gianni, parecchi sguardi erano puntati sulla donna per capirne il favorito.
Due giorni dopo, come dimostrazione che le ciacole(1) girano, al bar circolava già il nome del fedifrago. La verità, ammesso che la verità avesse solo la voce di Gianni, saltò fuori comunque dopo una settimana, quando quest’ultimo si confessò davanti a me e a Toni.
Eccovi il suo laconico racconto:
– Volevo rinfrescarmi la faccia con un po’ d’acqua fresca, ero entrato ai servizi e mi trovavo davanti al grande specchio dei lavabi, quando mi parve che da uno dei box dei cessi uscissero dei lamenti. Sembrava che qualcuno piangesse o stesse male. D’ora in poi, me ne guarderò bene di aprire la porta d’un gabinetto senza prima bussare o chiederne il permesso. La porta era socchiusa e ingenuamente l’aprii. Che spettacolo! La donna sgranò gli occhi e spaventatamormorò: – O Dio!
Marco, il marito della professoressa che folleggiava in sala, gridò: – Va via! – e girò la chiave con tale violenza che la ruppe dentro … Ah, già! Ma questo a voi non interessa. Voi volete sapere come si presentarono, e in quale gioco d’amore fossero impegnati? E’ piuttosto facile da descrivere: lei era piegata e appoggiava le mani alla parete di destra, mentre lui le faceva il servizio da dietro. La montava come fanno gli animali: in quella posizione detta pecorina.(2)
Beh, che c’è? Per brindare, tutti i motivi sono buoni e, quella volta, si brindò alla salute di tutte le donne generose che riescono con furbizia a far felice più d’uno.
(1) Chiacchiere.
(2) Il modo di fornicare della maggior parte degli animali, pecore comprese, da cui il nome.
Fonte: srs di Enzo Monti del 28 ottobre 2013
Link: http://enzo-monti.blogspot.it/2013/10/chiusa-nel-cesso.html