Apr 24 2018

UN REFOLO

Category: Enzo Monti Raccontigiorgio @ 22:27

 

 

  – Ma hai anche il coraggio di ridere?

 

 Gianni “ Chitarra”, mostrando una protesi di pregevole fattura, di rimando:

 – Mi vengono in mente gli occhi stralunati e la faccia compiaciuta d’un vecchietto che, iersera, s’è visto sfrecciare davanti due chiappe nude.

 

 Fissandolo con rabbia: – Ed io che t’ho aspettato fino a mezzanotte riempiendomi di birra. Potevi almeno telefonare!

 

 – M’è stato impossibile.

 

 – Figuriamoci! – con sarcasmo: – Viviamo nel Medio Evo e nel deserto – . Rivolto a Toni: – Che tu sappia, c’è stato un black-out telefonico iersera?

 

 Me ne sto beato sotto gli ombrelloni, fuori dal bar Sinico, in Via Leoni. Mi tiene compagnia il mio amico Toni, per antonomasia ”Gussa”. Si beve in silenzio, del resto, quando si è con un amico, l’animo è pervaso da una calda disposizione e da una candida condiscendenza che spesso non s’avverte la necessità d’un dialogo.

 

 Un caldo fermo e pesante intorpidisce questa giornata d’agosto, sono le tredici passate, pochi avventori e rari passanti in quest’ora oziosa. Ammiro divertito i capelli cotonati e riportati di Toni: pregevole opera di pettine, lacca e specchio. Ne osservo le rughe profonde, lo sguardo irrequieto, pronto a puntare come un cane da caccia, qualsiasi donna, quando arriva ‘sto seccatore, che, per giunta, ride.

 

 Ordiniamo altri tre bicchieri di vino con l’accordo che, se Gianni è in grado di dare una spiegazione plausibile al suo mancato appuntamento, li offrirò io, altrimenti toccherà a lui. Gianni, con invidia mia e di Toni, s’è sviluppato oltre il metro e ottanta, impettito come se fosse legato a un palo, possiede i requisiti per rispondere agli annunci pubblicitari che richiedono la “bella presenza”. Dotato di buon orecchio e di ottima tenuta nello scolar bicchieri, con la chitarra rallegra le nostre serate, e appunto per questo c’eravamo dati appuntamento la sera precedente.

 

 Ecco qui il suo racconto, parola per parola.

 

 – Ieri sera, dopo il lavoro e prima di cena, sono andato a trovare una mia conoscente. Era ritornata temporaneamente dal mare, dove aveva lasciato il marito e il figlio, per dare un’occhiata alla posta, per pagar bollette, per annaffiare i fiori; insomma, anche per dar aria alla casa.

 

 – Avanti! nome, cognome e indirizzo, – interviene Toni, picchiando il pugno sul tavolo.

 

 Gianni accenna a un sorriso e continua:- Abbiamo trascorso una serata meravigliosa. Per cena: un prosciutto di Parma morbido, dolce, come si può avere alla Buca di Zibello; un melone profumato, succoso, come pochi se ne assaggiano; poi un Vezena con la goccia; e infine … champagne! Una vedova Clicquot ghiacciata che faceva frizzare la punta del naso.

 

 Dopo il caffè siamo ritornati a letto. Ragazzi, non ho mai conosciuto una femmina così scatenata. Così dovrebbero essere tutte quante … insaziabili! Certo che avere una moglie così fatta corri il rischio d’esser becco, ma, in compenso, il letto diventa un paradiso. Per queste donne l’amore è un rito oltre a una necessità; anche la saliva ne è più dolce.

 

 Toni deglutisce e sospira gonfiando le froge, sicuramente perso in sogni proibiti; io ascolto con sospetto quest’ipocrita nella speranza che menta.

 

 Fissandomi negli occhi e ivi leggendovi: – Non ti racconto balle. Alle dieci e un quarto ero pronto a venir da te. E invece … Ah, sapessi com’è diventata complicata la vita! Un errore o una distrazione ti possono essere fatali … Porca galera! Anche nel divertimento e negli appuntamenti galanti si deve prestare attenzione, basta un imprevisto o una banale distrazione e sei rovinato.

 

 Mi trovavo dunque sul pianerottolo in attesa dell’ascensore, quando la mia amica, aperta la porta, venne a darmi un ultimo bacio. Vi ricordate dell’afa di ieri sera? Vi ricordate che non c’era una bava d’aria?… Be’, un refolo: uno stramaledetto  alito d’aria, creatosi tra l’appartamento e la rampa delle scale, la chiuse fuori. Gettò un grido spaventoso, sbiancò; nei  suoi occhi lessi orrore e disperazione. Le tappai la bocca per paura che le sfuggisse qualche altro lamento e, per qualche secondo, restammo uniti in ascolto dei rumori provenienti dagli appartamenti vicini. Sentivamo solo i nostri respiri. Giunse l’ascensore: la spinsi dentro con così scarsa destrezza e con tal fracasso che, se avessi voluto svegliare il condominio, non avrei potuto far meglio.

 

 C’è un piccolo particolare che non vi ho ancora raccontato e che non è affatto trascurabile. Dovete sapere che la mia amica, oltre al fatto d’essere rimasta chiusa fuori, non aveva nulla indosso … Sì, sì! Avete capito bene: era nuda!

 

 In ascensore mi ricoprii subito di sudore, e credo di non aver mai sgocciolato così neppure durante una partita di tennis o in una sauna. Nelle stesse condizioni c’era pure la mia compagna che dava stura alla sua collera e al suo dolore. Disperatamente continuava a gemere: – Come faccio a entrare? Sono rovinata! Oh, se telefona mio marito sono rovinata!- Con il viso solcato dalle lacrime, con il petto che sussultava per i singhiozzi, tutta umidiccia s’era attaccata a me. Mi sforzai di confortarla, senza sortire effetto. Fu presa dai rimorsi: – Me lo merito! – sospirava – Dio ha voluto punire il mio peccato! Sono stata castigata! Oh, se mi trovasse mio marito!

 

 Non c’è nulla da fare, è comune a tutte le donne. Se mi vedesse mia madre! Se mi scorgesse mio figlio! Se lo sapesse mio marito! … Per la madosca! Possibile che abbiano sempre qualcuno?

 

 Quel complesso di colpa m’infastidiva, mi feriva; e, d’altra parte, provavo una gran pena per quella misera che non si dava pace, che in pochi attimi era passata dallo smarrimento alla disperazione, dal dolore al pentimento. La pietà mi strinse. Mi tolsi la maglietta e la coprii. L’ascensore andava su e giù, era diventato un forno: perfino i vetri delle ante sgocciolavano. Sentendomi mancare il respiro, le chiesi di attendere un mio segnale e uscii.

 

 Non vi racconto il senso di liberazione e di sollievo che delle boccate d’aria fresca mi procurarono. Portai la macchina in seconda fila: m’era impossibile arrivare al marciapiede, diedi un colpo di clacson e attesi.

 

 Un vecchietto, sbucato dall’angolo della via, venne a incrociarla, per poco non ne fu travolto. Lei arrivò a piccoli passi, frettolosi, trotterellando, con le mani sul davanti che si copriva. Certo che ci si può presentare così ad Adamo; ma per carità! non ditemi che si può correre in quel modo.

 

 Ripensando ora al vecchio che spalancò le palpebre, strabuzzò le pupille e il cui volto assunse quell’espressione sorpresa, compiaciuta, mi scappa ancor da ridere. Probabilmente, questa sera ripasserà: alla ricerca ancora di incontri così piccanti.

 

 Come giunse in macchina, mormorò ansando: – Mi ha vista?- Per far lo spiritoso: – Come no! Ti ha riconosciuta.

 

 Non era il caso. Quella battuta fuori luogo diede origine a una valanga di titoli. Me ne disse tante e poi tante che non saprei ripeterli tutti in una volta sola. Tribolai un bel po’ per quietarla.

 

 Andammo a casa di una sua amica, ma non c’era. Sarebbe stata la salvezza per entrambi. Lei avrebbe telefonato in albergo al marito, e con una scusa qualsiasi avrebbe spiegato l’inconveniente. Invece, mi ritrovavo seduto in macchina, a torso nudo con un gingillo erotico privo di mutande. Chissà quanti uomini sognano una situazione del genere! Al contrario, io non vedevo l’ora di venirne fuori.

 

 L’unica via d’uscita, a rigor di logica, restava di condurla a casa mia. Allora con voce dolce e suadente: – Che ci siano delle tue amiche in città d’agosto è poco probabile: ti conviene venire a dormire da me, visto che anch’io ho la famiglia al mare. In queste condizioni, risulta impossibile cercare letto altrove: te ne rendi conto anche tu. C’è però un pericolo: dobbiamo far attenzione alla vecchia Maria. Questa mia coinquilina ha lingua lunga, occhi e orecchi dappertutto.

 

 – E per entrare in casa mia? – mi rispose lei ancora sconvolta.

 

 La portai allora a un isolato dalla sua abitazione, davanti a un portone vicino a una salumeria. Le spiegai che nel cortile interno lavorava un vecchio fabbro, e che con probabilità non era in ferie, altrimenti avrebbe dovuto rivolgersi al magnano di Piazza delle Erbe. – Vicino alla colonna sormontata dal leone di San Marco, c’è un chiosco dove fanno le chiavi, ti daranno il nome d’uno scassinatore – le dissi. Tornando indietro, passai accanto alla mia villetta; ma argo vegliava.

 

 Non potendo sostare nella mia via, per timore che qualche vicino potesse riconoscermi, iniziai a girare per la città e a sostare nelle zone oscure  di piazzette solitarie e di tranquilli sagrati, facendo, di tanto in tanto, dei giri attorno a casa. In macchina avevo acceso il condizionatore d’aria; sono però senza radio: è la terza che mi rubano nel giro di pochi mesi, e mai ne ho sofferto la mancanza come in quelle ore d’attesa. 

 

 

Fonte: srs di Enzo monti del 3 gennaio 2018

Link: http://enzo-monti.blogspot.it/2014/01/un-refolo.html

 

 

UN REFOLO seconda parte

 

 

 

 

La mia compagna era poco loquace. Ma che dico! non lo era affatto. Sembrava che la colpa fosse solo mia. Tentai di sdrammatizzare la situazione, ma non ci fu verso. Con dei secchi: – Sta zitto! – mi liquidava ogni volta. Mi sentivo solo, anche se ero in compagnia. Non più tardi di un’ora c’eravamo baciati, stretti, posseduti, ma una porta s’era chiusa. Un silenzio soffocante, più opprimente di quello che si soffre nei salotti d’attesa di medici o d’avvocati, separava due estranei reciprocamente insofferenti. Avrei voluto essere lontano, al bar, da te che mi attendevi.

 

 Durante una di quelle soste, mentre aspettavo che il tempo passasse, sbirciai un soriano; ne seguivo i passi felpati e la felina eleganza, quando il riflesso d’un lampone sul parabrezza mi offese. Che fortuna! Mi misi a giocare come un ragazzino con le luci che si riflettevano e si rifrangevano sul vetro. Strizzando gli occhi, mi perdevo alla ricerca di composizioni geometriche, di figure irreali, che i fasci luminosi e gli aloni con un leggero movimento sapevano creare. Bastava un nonnulla a raggiare un punto luminoso in lamine laceranti, e lungo quei fili dardeggianti smarrivo il mio tempo, lenivo il mio affanno. 

 

 La mia compagna, appoggiata alla maniglia della portiera, si sorreggeva il capo in un atteggiamento mesto, pensieroso; i suoi capelli biondi, indorati dal sole estivo e dal mare, scendevano scomposti sin alle spalle; il suo profilo fine, da cammeo, si stagliava sul fondo oscuro. Anche scattando una foto non avrei mai impressionato tanta bellezza e una così languida malinconia. Sapevo che era bella, ma non a tal punto. Fui preso dall’impulso di darle un bacio, di stringerla: dominai l’istinto. Sarebbe stato come calpestare una distesa di neve o come strappare un fiore, non potevo rompere l’incanto di quel momento.

 

 Guardando con disprezzo sia me che Toni: – Brutte bestie! … Si può essere qualche volta delicati e sentimentali o è proibito? Va bene, non mi credete, pensate sempre che io sia uno scannatore di donne. Non importa, – beve un sorso e riprende.

 

 – La mia polo le stava stretta, evidenziava i suoi grossi seni a pera, arrivava a coprire sì e no l’ombelico. Fra le cosce spuntavano e spiccavano, sull’impronta lasciata dal costume, un ciuffo di peli; e quell’eccitante immagine vellicò le peccaminose intemperanze della mia fantasia.

 

 Sognai d’essere un principe dell’Ottocento. Alla mia corte, dame e cortigiane, invece di farmi la riverenza, alzavano i sottanoni e me la mostravano. A turno, i miei sudditi venivano ospiti al mio castello, che ovviamente era sempre in festa. Avrei conosciuto in tal modo tutto il pelo del reame. Con un editto avevo fatto abolire le mutande e avevo introdotto la nobile consuetudine, che la donna, incrociando un amico o un conoscente, dovesse alzare le sottane e gentilmente  mostrarla. Si sarebbe così potuto comprendere, dalla fretta o dall’indugio, la disponibilità della femmina. Naturalmente ne sarebbero state esonerate le minori di diciotto e le maggiori di sessanta. 

 

 Per sradicare cattive abitudini e inveterati pregiudizi, istituii premi favolosi per le donna più generose, e severe punizioni a chi la lasciava marcire. Le donne ricche, pensavano d’averla più bella, le povere, d’averla più brutta, osteggiarono l’attuazione di queste riforme. Quando le classi sociali s’avvidero che, dietro alle apparenze, l’umanità era uguale, fu una gara a chi alzava maggiormente. 

 

 Ero amato dalla borghesia e dalle classi meno abbienti di tutta Europa, perfino da oltre Oceano. Uomini di scienza e artisti mi manifestavano la loro simpatia. Sulle barricate i rivoluzionari brandivano il mio vessillo; i miei sudditi vivevano felici e contenti in rispetto delle leggi e con un gran senso di Giustizia. Per ovvi motivi, sarei stato in lotta con la Chiesa e l’Inghilterra. Ma sì, anche con l’Inghilterra. Avrei avuto grossi problemi con gli stati confinanti: orde assetate di libertà avrebbero premuto alle frontiere. Per farla breve: avevo liberalizzato il sesso, liberato la donna, offuscato Napoleone.

 

 Dalle risate ci rotoliamo sotto i tavoli. Saltan fuori tante e tali spiritosaggini da riempire un libro. In questo regno felice io vengo incoronato Gran Cerimoniere; Toni il Reale Collaudatore: sarebbe andato di paese in paese, di città in città a provare le donne che ambivano al premio. Ombre e dubbi svaniscono; siamo di nuovo amici. Vuotiamo i bicchieri; il vino infuoca maggiormente la calura estiva. Gianni, come una macina:

 

 – Mentre almanaccavo su questo stato bordello, uscii da uno stop. E per un pelo non mi trovai una Mercedes nel fianco. Il tizio alla guida strombazzò, imprecò, tirò degli accidenti, e, per mia fortuna, proseguì. Ci pensate in che casino mi sarei messo, se avessi provocato un incidente, o, peggio ancora, fossi finito all’ospedale? Io con solo i calzoni e l’altra senza mutande?

 

 Per l’inquirente ci sarebbe stato il mistero; per il prete lo zampino del diavolo; per l’etologo una nuova regola di vita; per il cronista un articolo in prima pagine. Se poi i particolari dell’incidente fossero giunti alle stampe, si sarebbero scatenate le quotidiane e capziose polemiche tra sociologi e psicologi; mentre dalla Germania, probabilmente, sarebbe giunta la notizia che un noto filosofo avesse interpretato l’episodio come l’avvenimento intellettuale più significativo dell’ultimo cinquantennio. Il liberarsi dagli indumenti in automobile sarebbe stato considerato come l’affrancamento dall’ultimo residuo di schiavitù. Allo scopo, sarebbe sorta una nuova filosofia, di cui sarei diventato l’indiscusso antesignano. Dietro questo vento, i firmaioli avrebbero sfornato fiumi di etichette; i naturalisti avrebbero scelto un nuovo vessillo; gli incapaci avrebbero creato una nuova Art; e così via …

 

 Adesso, mi permetto di celiare, ma iersera, ve l’assicuro, abbiamo preso un tale spavento, tant’è vero che la mia amica sconsolata mugolò: – Ma mi vuoi rovinare?

 

 E non è finita qui. Lo sapete bene anche voi che quando la sfiga vi prende di mira poi non vi molla. Orbene, iersera, non mi ha lasciato un momento di respiro. Ancora adesso porto addosso le impronte e lo strazio dei suoi terribili artigli. Non le fu sufficiente l’avermi guastato la serata con un refolo, con un vecchietto e con lo spavento d’un incidente, sentite un po’ quel che mi accadde ancora.

 

 Entrammo in casa verso le due e ci precipitammo a bere; calmata la sete, le mostrai l’abitazione: ne rimase entusiasta. Che brave le donne! Vanno e vengono in casa d’altri come se fosse la propria …

 

 Noo … non chiedetemi queste cose. Come potevo non aver rispetto di quella povera diavola dopo tutto quel che le era successo. Mascalzone sì! ma fino a un cento punto … Prima di questa interruzione, volevo dirvi che non ero affatto preoccupato che la mia amica girasse per casa: tanto non avrebbe potuto dimenticare o perdere qualcosa.

 

 Questa mattina, un po’ prima delle otto, è venuta a portarmi il caffè a letto. Con mia sorpresa, l’ho trovata serena, sicura di sé e vestita: s’era messa un abito di mia moglie. Dopo avermi dato un bacio, mi spiegò che aveva preso ventimila lire per il magnano e, senza darmi il tempo di dir qualcosa, se ne andò via.

 

 Intontito e ancora mezzo addormentato mi alzai. Con la tazza del caffè in mano andai alla finestra della cucina. La vidi attraversare il giardinetto e avviarsi al cancello. Il vestito di lino le stava corto e stretto, in controluce, manco a farlo apposta, notai che era ancora senza mutande. In quella, sentii gridare dalla Maria il nome di mia moglie. Lei, vedi beffa! Si voltò.

 

 La tazzina mi cadde e il caffè m’andò di traverso, lo sputai tossendo; m’uscì pure dal naso, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime. Eh, eh! … sono stato veramente fortunato: ho salvato le orecchie.

 

Guardo il Toni che non la smette di ridere, mi alzo, e vado al banco a pagare il conto.

 

 

Fonte: srs  di Enzo Monti  del 7 gennaio 2018

Link: http://enzo-monti.blogspot.it/2014/01/un-refolo-seconda-parte.html

 

 

 

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