La prima volta mi successe a Padova.
Tanti anni fa, la ricorrenza di Sant’Antonio di Padova capitò di domenica, e con mia moglie si fece un salto al santuario. La bella giornata, nonostante gli aliti della Bora, invogliava all’aperto. Dopo la cerimonia in chiesa, a piedi si prese la direzione che porta alla stazione ferroviaria. All’altezza del Comune e dell’antico ingresso dell’Università, mia moglie mi fece notare un cagnolino che seguiva la sua padrona.
– Guarda, Enzo, com’è carino!
Dirlo cane è una parola un po’ grossa, in ogni caso, era un batuffolo riccio, pieno di nastri e di gale, con una copertina ricca di lustrini e brillantini come se dovesse andare a una festa.
Chissà cosa mi prese! Forse un attacco di logorrea, oppure la voglia di esibirmi e far lo scemo; sta di fatto che mi fermai davanti al cane e a voce alta:
– Non dirmi che sei un cane? Ma ti sei visto bene allo specchio?… Non sei affatto carino, lo sai? Sei solo ridicolo!… Ah, già! Ma non è colpa tua … Vorrei vedere la faccia di quella cretina che ti ha conciato così! … Fa una cosa: ritorna a casa e va a struccarti! Se poi ti riesce di cambiar padrona fallo! … e alla svelta!
Qualche secondo dopo, una quarantenne in pelliccia si chinò, raccolse il cane e, dopo avermi dato un’occhiata di quelle che ti accoppano, s’infilò nella prima via di sinistra e sparì.
Quel che non mi disse mia moglie ve lo lascio solo immaginare, e solo dopo aver risposto che:
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