8 GENNAIO 2018, Ci rattrista l’improvvisa scomparsa del collega Peter Hudson, figura di riferimento non solo per l’archeologia urbana. Esprimiamo le nostre condoglianze ai familiari. I funerali si terranno alle 15,15, sabato 12 gennaio nella sala evangelica presso il cimitero monumentale di Verona.
SAP società archeologica srl.
Peter Hudson in foto del 2002
E’ MORTO ALL’OSPEDALE DI NEGRAR L’ARCHEOLOGO INGLESE, MA VERONESE DI ADOZIONE, PETER HUDSON.
8 GENNAIO 2018 – Si è spento all’ospedale di Negrar l’archeologo inglese, ma veronese di adozione, Peter Hudson, nato a Manchester il 26 settembre 1954. Ne ha dato notizia su Twitter la Soprintendenza di Verona: «A lui si devono tutte le maggiori conoscenze sull’altomedioevo veronese. La Soprintendenza lo ricorda come uomo di grande cultura e conoscenza archeologica e come persona e di notevoli vedute e umanità».
Peter Hudson, per citare alcuni dei suoi molteplici interventi, ha diretto gli scavi nel Cortile del Tribunale, ha lavorato agli scavi scaligeri, ha diretto gli scavi archeologici durante i lavori del sottopasso di Porta Palio, in occasione dei Mondiali ’90, e poi la Postumia in corso Cavour.
IL LUTTO. IL RICORDO DELL’ARCHEOLOGO CHE SI È SPENTO A 64 ANNI: È STATO IL PROTAGONISTA DELLE PIÙ IMPORTANTI CAMPAGNE DI SCAVO TRA GLI ANNI OTTANTA E NOVANTA IN CITTÀ
L’inglese che ci ha fatto scoprire Verona
Peter Hudson, nato a Manchester, si era stabilito qui dopo aver lavorato per Porta Palio, la via Postumia, il cortile del Tribunale
Peter Hudson fotografato nel 1997 al lavoro negli scavi di via Mazzini
Alto, barba e capelli rossi, mani grandi da portiere: era inconfondibile Peter Hudson da Manchester, l’archeologo inglese che ha fatto scoprire Verona ai veronesi guidando le più importanti campagne di scavo in città tra gli anni Ottanta e Novanta insieme con la sovrintendente di allora Giuliana Cavalieri Manasse.
Se n’è andato in poche settimane all’età di 64 anni (come anticipato ieri da L’Arena), lasciando la compagna Gabriella e il figlio Thomas, all’ospedale di Negrar dove era ricoverato da alcuni giorni e lasciando una enorme mole di ricordi e di testimonianze in chi ha vissuto con lui quella stagione che il suo amico e collega Simon Thompson, pure lui di Manchester, compagno di studi di Peter, che come tanti altri inglesi ha scelto di stabilirsi nella nostra città, chiama «periodo d’oro».
Peter Hudson, una laurea in archeologia all’università di Lancaster, ha avuto meriti enormi: grazie a lui, a un inglese che amava il calcio e il cricket, sono state riportate alla luce le pagine più interessanti del passato di Verona, chiudendo definitivamente l’era degli scavi fatti con le ruspe per sostituirli con campagne di scavo certosine, da quelle romane a quelle altomedievali, con pennello e pazienza.
1991: Peter Hudson con Giuliana Cavalieri Manasse nell’area di scavi per il sottopasso di Porta Palio
«Negli anni Ottanta e Novanta eravamo in pochi ad occuparci di archeologia in quel modo», racconta Simon Thompson, compagno di scuola, collega di tante avventure archeologiche di Peter Hudson. «Peter arrivò in Italia cominciando da alcuni lavori di scavo a Pavia, poi si trasferì a Verona per gli scavi condotti dalla soprintendente Cavalieri Manasse. Cominciò alla Rocca di Rivoli. Poi si spostò in città per gli scavi del Cortile del Tribunale, ora Scavi Scaligeri, insieme con l’architetto Libero Cecchini e fu un apripista nel Nord Italia».
Con quegli interventi di recupero archeologico infatti si aprì, spiega Thompson, una nuova epoca: «Cambiò completamente il metodo di lavoro perché si cominciò a lavorare in modo stratigrafico, nel rispetto delle varie epoche, sotto la direzione degli esperti. Si chiuse il periodo delle ruspe che scavavano tutto e degli operai che buttavano via qualunque cosa. Questo fu uno dei suoi grandi contributi all’archeologia: il metodo stratigrafico».
Peter Hudson non si sposterà più da Verona e dal suo centro storico. «Dopo il cortile del Tribunale, lavorammo insieme per gli scavi del Campidoglio cittadino, sotto Palazzo Maffei e Corte Sgarzerie dove ora gli scavi sono visitabili».
Arrivarono i Mondiali di calcio del 1990 e gli scavi dei sottopassi in circonvallazione. «Ricordo la campagna di scavo per il sottopasso di Porta Palio con la soprintendente Cavalieri Manasse. Vennero trovati tantissimi resti medievali e tombe. Per non parlare poi del lastricato della via Postumia, riportato alla luce sotto corso Cavour».
1999: Peter Hudson al lavoro sulla Postumia in corso Cavour
Che cosa resta di tutto questo? «È stato trovato tantissimo materiale interessante e prezioso, di epoca romana e medievale; servirebbe ora per la città il museo archeologico nazionale, ma non si riesce ad andare avanti, è ancora fermo».Una Verona che rischia di dimenticare queste pagine della sua storia e i suoi protagonisti. «Io spero che la città trovi il modo di ricordare il lavoro prezioso di Peter Hudson. Lui non era solo un archeologo da campo ma un vero studioso, un grande appassionato del periodo Longobardo e altomedievale, si immergeva negli studi in biblioteca, cercava e studiava documenti, ceramiche, testimonianze. Ha dato un contributo enorme alla storia di Verona e del Nord Italia. Il modo migliore per ricordarlo sarebbe riaprire in suo onore gli Scavi Scaligeri, con il suo nome, una foto. E magari la cittadinanza onoraria alla memoria….».
LA «CAMPAGNA DI RIVOLI». NEL 1978 SULLA ROCCA COMINCIÒ L’AVVENTURA VERONESE DELLO STUDIOSO
Il giovane Peter con gli amici alla riscoperta del Castello
Banterla: «Fu “adottato” dalla gente e tanti giovani diedero un aiuto»
Un legame speciale unisce Peter Hudson e Rivoli. Proprio qui, infatti, a partire dal 1978 l’archeologo anglo veronese diresse la campagna di scavi ai resti del castello medievale sulla Rocca a picco sulla Chiusa su incarico della pro loco del paese. E qui fece le sue prime, importanti scoperte.
«A Rivoli ebbe inizio il brillante percorso scientifico di Hudson, che divenne uno dei più importanti ricercatori di archeologia medievale e urbana, fino ad allora non molto considerata in Italia per il “primato” dell’archeologia classica» svela l’amico Gino Banterla, allora presidente della pro loco e oggi consigliere comunale. «Me lo aveva indicato il suo professore all’università di Lancaster, Hugo Blake, con cui si laureò in archeologia medievale. Da allora diventammo amici».
Il segno distintivo di quegli scavi fu la grande partecipazione della popolazione locale e gli studiosi inglesi furono “adottati” dalla gente. A tal punto che l’esperienza della campagna medievale alla Rocca è ancora viva nella memoria collettiva, a Rivoli. «Hudson conquistò la simpatia della gente con il suo carattere espansivo e ironico» continua Banterla. «Al gruppo di archeologi inglesi si affiancarono alcuni volontari rivolesi e le donne si diedero da fare per garantire a tutti un buon pasto ogni giorno».
Gli scavi condotti dall’esperto archeologo misero bene in rilievo l’importanza strategica di quel castello, in cui nell’Ottocento venne ambientato il romanzo storico di Osvaldo Perini “La Castellana di Rivoli”, e portarono alla luce una serie di manufatti che furono poi oggetto di una mostra.
«Quei reperti, che non si sa bene dove siano finiti, nei progetti del Comitato Rivoli ’97 avrebbero dovuto costituire una sezione medievale di un grande museo del territorio da istituire al Forte» conclude Banterla. E rivela: «Con Peter ne avevamo parlato più volte. Purtroppo non c’è stato il tempo di realizzare insieme a lui quel sogno».
Negli anni Settanta la pro loco di Rivoli, guidata da Banterla insieme a Dario Testi e Giorgio Zerbini, era una realtà giovane, battagliera e all’avanguardia sotto molti aspetti. Chiedeva un rinnovamento e promuoveva iniziative culturali di valorizzazione sia delle testimonianze storiche, archeologiche e monumentali sia dei prodotti locali. Combatté anche dure battaglie per difendere il territorio dalle lottizzazioni selvagge, dall’apertura indiscriminata di cave e dagli insediamenti industriali.
Fonte: srs di MAURIZIO BATTISTA, da L’Arena di Verona del 10 gennaio 2018
PETER JOHN HUDSON, L’ARCHEOLOGO CHE AVEVA VERONA NEL CUORE
Foto in alto: Peter John Hudson a Verona con alcuni suoi giovani collaboratori (Paola Fresco).
CON LUI I VERONESI PERDONO UN TESTIMONE IMPORTANTE DELL’EVOLUZIONE DELLA CITTÀ DALLA SUA FONDAZIONE, UN INNOVATORE DELLA TECNICA DI SCAVO STRATIGRAFICO, CHE SI POI SI È DIFFUSA IN TUTTA ITALIA.
Una dedizione indefessa al lavoro di scavo archeologico e un approfondito studio della storia della nostra città: ecco i tratti distintivi della figura dell’archeologo Peter John Hudson che ci ha lasciato improvvisamente martedì 8 gennaio. L’archeologo inglese, nato a Manchester il 26 settembre 1954, era arrivato a Verona nel 1981, per dedicarsi con uno straordinario lavoro agli Scavi Scaligeri dell’ex tribunale, purtroppo oggi chiusi al pubblico. Si trattò del primo scavo urbano così esteso fatto in una città italiana con l’utilizzo del metodo stratigrafico: circa 1500 metri quadrati per una profondità di 3,5 m. che hanno attestato l’evoluzione della storia di Verona dal suo primo insediamento romano nell’ansa del fiume, intorno al 48 a.C., fino al periodo scaligero. Ciò che colpiva in lui era la capacità di sintesi e di interpretazione del dato archeologico che sapeva collocare e datare con grande competenza.
Nel ’90 entra, come socio fondatore e direttore tecnico, nella cooperativa veronese Multiartacquisendo l’importante commessa del sottopasso di Porta Palio, al quale parteciparono anche vari studenti inglesi. Quindi a Povegliano diresse lo scavo della Madonna dell’Uva Secca da cui emersero tombe pre-romane e longobarde, lavorando sempre in collaborazione con la direttrice del nucleo operativo della Soprintendenza del Veneto Giuliana Cavalieri Manasse.
1988: Gli scavi davanti a Porta Borsari
Tra il 1997 e il 1999, durante gli scavi Agsm in via Mazzini, fu il protagonista della scoperta delle mura che Gallieno costruì nel 265 d.C. intorno all’Arena affinché non rimanesse baluardo nelle mani dei barbari: nell’area della farmacia Due Campane egli scoprì il tratto che le collegava all’allineamento di via Alberto Mario. Emersero tra gli altri i resti di una bella scalinata di un tempio che fu demolito per far spazio alle mura. L’anno dopo fu la volta degli scavi in Corso Cavour dove mise in luce, in tutta la sua maestosità, la via Postumia che denominò “autostrada dell’antichità” larga 14 m fino ai 16 m dell’area di Castelvecchio.
Fu poi la volta di Palazzo Maffei e quindi della Basilica romana in fondo a via Mazzini, dove oggi un tratto di pavimentazione più scuro ricorda la presenza dell’abside sottostante, solo per citare i suoi lavori più eclatanti. I problemi burocratici che incontrava sugli scavi e che ne ostacolavano il lavoro affliggevano il suo cuore di leone appassionato, dalla criniera fulva e dalla corporatura imponente, sempre pronto all’azione: alla città rimane l’esempio della sua figura dal carattere sensibile, umile e generoso, e tutti i dati storici che sono stati raccolti ed elaborati grazie al suo amore profondo per l’archeologia.
Con lui Verona perde un testimone importante dell’evoluzione della città dalla sua fondazione, un innovatore della tecnica di scavo stratigrafico, che da Verona poi si è diffusa in tutta Italia. A lui il mondo accademico, che poco frequentava per la sua predilezione al lavoro sul campo, deve molto.
Giulia Cortella
Fonte: Srs di Giulia Cortella da Verona -in, del 10 gennaio 2019-01-10