di Alberto Alpozzi
Breve storia della nascita dell’IN(F)PS “Istituto Nazionale (Fascista) di Previdenza Sociale”
La Previdenza Sociale nasce oltre cento anni fa, nel 1898, con lo scopo di garantire i lavoratori dai rischi di invalidità, vecchiaia e morte. Era la Cassa Nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. Ma si trattava esclusivamente di un’assicurazione facoltativa e volontaria, finanziata prevalentemente dai contributi versati dai lavoratori, che poteva essere integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e da un contributo libero da parte degli imprenditori.
Non essendo obbligatoria, riscosse adesioni limitate. Venne quindi introdotta nel 1904 l’obbligatorietà per i dipendenti pubblici e nel 1910 per i ferrovieri.
Nel 1919, con il governo Orlando, venne istituita la CNAS “Cassa nazionale per le assicurazioni sociali” l’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia. Divenne obbligatoria e riguarderà circa 12 milioni di lavoratori.
Nel 1924, il Governo Fascista, costituisce per la prima volta quello che sarà l’antenato del TFR “Trattamento di fine rapporto”cioè un’indennità da concedere al lavoratore licenziato.
Nel 1933, con regio decreto legge 27 marzo 1933, n. 371 , la CNAS assume la denominazione di INFPS “Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale”, ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica e gestione autonoma. Primo presidente fu Giuseppe Bottai a cui successe nel 1935 Bruno Biagi.
Nel 1935 l’intera normativa pensionistica venne unificata in un unico decreto legislativo, che resterà un punto di riferimento fino ai giorni nostri.
Nel 1939 il fascismo istituisce le assicurazioni contro la disoccupazione e la tubercolosi e gli assegni familiari. Vengono altresì introdotte le integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o a orario ridotto, i sussidi in caso di disoccupazione, di malattia professionale e di maternità.
Il limite di età per il conseguimento della pensione di vecchiaia viene ridotto a 60 anni per gli uomini e a 55 per le donne ed introdotta la pensione di reversibilità cioè la parte della pensione spettante ad uno dei due coniugi alla morte dell’altro.
Nel 1942 il TFR, l’indennità in caso di licenziamento, introdotta nel 1924, venne trasformata in indennità di anzianità da riconoscere al lavoratore in proporzione al salario e agli anni di servizio.
Nel 1943, la sua denominazione perde la F di Fascista divenendo definitivamente INPS “Istituto Nazionale della Previdenza Sociale”.
L’IN(F)PS attualmente è il principale ente previdenziale del sistema pensionistico pubblico italiano, presso cui debbono essere obbligatoriamente iscritti tutti i lavoratori dipendenti pubblici o privati e la maggior parte dei lavoratori autonomi qualora privi di una propria cassa previdenziale autonoma.
RIASSUMENDO: durante il fascismo venne creato un unico testo legislativo pensionistico, introdotta la pensione di reversibilità, il TFR, i sussidi di disoccupazione e di maternità.
L’I.N.F.P.S. in Libia sotto il governo del Quadrumviro Italo Balbo
Nel 1934 Italo Balbo diviene Governatore della Libia Italiana, nata dall’unificazione della Tripolitania italiana e della Cirenaica italiana, ex R.d.L. 3 dicembre 1934, n. 2012).
La nuova politica agraria del Quadrumviro era tesa al rafforzamento della colonizzazione demografica per privilegiare la costituzione di grandi insediamenti di immigrati metropolitani a cui dare in proprietà piccoli poderi al fine di scoraggiare la crescita del latifondo.
Impulso decisivo per la costruzione dei primi villaggi nella Tripolitania giunse in quello stesso anno dall’I.N.F.P.S. “Istituto Nazionale Fascista di Previdenza Sociale” attraverso l’erogazione dei fondi dell’«assicurazione contro la disoccupazione». L’erogazione di questi fondi supportarono l’E.C.L. “Ente di Colonizzazione della Libia” che poté così rilevare alcune aziende private ed ottenere in concessione 23.500 ettari e avviare la costruzione dei primi villaggi.
In Tripolitania quindi l’affiancamento dell’Istituto Nazionale Fascista per la Previdenza Sociale, che disponeva di ingenti fondi per la disoccupazione, all’opera dell’Ente per la Colonizzazione della Libia, permise a Bir-Terrina l’appoderamento di un vasto comprensorio dove, quattro anni dopo, fu costruito il villaggio rurale “Michele Bianchi”. Vennero inoltre attuati programmi di colonizzazione demografica e dal 1938 l’I.N.F.P.S., oltre al villaggio “Bianchi” realizzò i centri “Marconi”, “Giordani”, “Micca”, “Tazzoli” e “Corradini”, mentre L’E.C.L. costruì i centri “Oliveti”, “Breviglieri”, “Crispi”, “Gioda” e “Garibaldi”.
Villaggio agricolo Bianchi
Tutti i nuovi insediamenti vennero realizzati con il lavoro di 10.000 operai italiani (metà giunti appositamente dall’Italia e metà reclutati sul posto) e di 23.000 manovali libici, che crearono in totale 1.800 poderi con estensione variabile dai 15 ettari, per quelli irrigui, ai 30-50 per quelli senza irrigazione.
Nello stesso anno venne approvato un piano affidato all’E.C.L e all’I.N.F.P.S. per insediare nell’arco di un quinquennio 20.000 coloni, che dovevano garantire la detassazione dei terreni e la costruzione delle case rurali con le relative attrezzature per avviare l’attività. Il Ministero dell’Africa Italiana mise a disposizione un programma di finanziamenti e la Cassa di Risparmio di Tripoli venne autorizzata a concedere prestiti ai privati per incentivare una colonizzazione parallela di tipo capitalistico sotto controllo statale.
Parallelamente venne predisposto un nuovo stato giuridico per la Libia al fine di integrarla nel territorio italiano e nel gennaio 1939 le quattro province in cui era divisa vennero aggregate alla madrepatria e alle popolazioni indigene venne concesso il diritto di cittadinanza italiana.
Fonte:srs di Alberto Alpozzi, da Italia Coloniale del 27 settembre 2018