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Giornata della Memoria: una scritta razzista del 1942 ancora in parte visibile sul Liston, documento della propaganda fascista che preparò la Shoah. È come un capitolo del libro che Claudio Magris ha dedicato alla tragedia
C’è un Muro del Pianto a Verona, documento della Shoah, il genocidio degli ebrei di cui ogni anno si fa memoria il 27 gennaio. E’ in Bra, sul Liston. Sta proprio davanti al posto dove da lunedì 23 gennaio, per una settimana, sarà portato un vecchio carro bestiame delle Ferrovie dello Stato italiane: quello è un simbolo, è un vagone del tipo che fu usato anche per deportare i catturati nei lager. Il muro invece è un documento storico autentico. Reca tuttora i resti di una scritta che vi fu impressa nel 1942 dalla propaganda fascista a caratteri maiuscoli: OGNI EBREO E’ UNA SPIA.
Sappiamo tutta la storia grazie a un personaggio tanto affascinante da aver ispirato a Claudio Magris, lo scrittore triestino, il suo libro Non luogo a procedere (Garzanti, 2015). Questa storia veronese sembra quasi un capitolo mancante del libro: la realtà si dimostra per l’ennesima volta più della fantasia. Perché Magris scrive di essersi liberamente ispirato alle vicende di Diego de Henriquez (Trieste, 1909-1974) e alla sua ossessione di collezionare tutto ciò che documenta le guerre: il libro immagina, anche con personaggi d’invenzione, che si compia il progetto di Henriquez, cioè creare un grande “Museo della guerra per la pace”. Ecco invece, in verità, che qui in Bra abbiamo – all’aperto, sotto gli occhi di chi vuol vedere – un angolo autentico di quella raccolta dell’orrore, in realtà “museo diffuso” nelle nostre vie.
I fatti. Henriquez, che morirà nel 1974 in circostanze mai chiarite (nell’incendio di un suo deposito di reperti bellici, accatastati in grandi depositi a Trieste), nel dicembre 1942 è a Verona. L’Italia è da due anni in guerra a fianco dei tedeschi; lui è sotto le armi, ma è riuscito a imboscarsi al XXV Settore di copertura Timavo, vicino alla sua Trieste, e lì può avviare il progetto che già allora lo ossessionava: raccogliere reperti bellici di ogni tipo. Per questo arriva a Verona, per ottenere cannoni della Prima guerra mondiale dalla Direzione artiglieria che stava alla Caserma Ederle (a Veronetta, dove ora c’è l’Università). Di ogni suo spostamento Henriquez tiene appunti nei suoi diari. Tra le pagine 2.233 e 2.335, quaderno numero 14 dei diari, c’è il resoconto della missione veronese. Vi si legge: “In diversi punti di Verona, sulle vie principali, vidi riprodotte numerose volte sulle pareti delle case la seguente scritta: OGNI EBREO E’ UNA SPIA.
La foto scattata nel 1942 da Henriquez a Verona
Questa scritta era quasi sempre riprodotta in colore nero”, continua Enriquez nel diario, e più avanti dimostra la meticolosità del collezionista annotando particolari tecnici: la scritta “era stata riprodotta per mezzo di uno stampo, qualche volta però era stata tracciata liberamente con il pennello a caratteri cubitali più grandi. Gli stampi adoperati per questa scritta apparivano di più tipi. Fotografai due tipi differenti della medesima scritta (una volta tracciata con lo stampo, una volta senza)”. E’ rimasta una fotografia, inventariata con il numero 1.488. C’è scritto sul retro: “Fotografia scattata da Diego de Henriquez il 4.12.1942 a Verona in una delle vie centrali della città, quasi di fronte al Castelvecchio. Scritte tracciate in colore nero”. E’ una scritta perfettamente sovrapponibile a quella di cui restano le tracce su una pietra, ad altezza d’uomo, sul Palazzo degli Onorij (quello dello storico ristorante Tre Corone, poi Trattoria Giovanni Rana e oggi ancora ribattezzato), nella faccia su vicoletto Listone del primo arco sanmicheliano.
Come nel romanzo di Magris, ma stavolta è realtà, la storia affiora. Perché un ragazzo veronese di allora si ricorda di quelle scritte apparse sui muri in tempo di guerra e porta il cronista a vedere la traccia rimasta in Bra. E’ coperta con mani successive di colore, qualcuno in passato ha iniziato anche a scalfire la pietra per cancellare, ma la scritta si legge ancora: fu usata vernice ferrigna, che ha corroso la pietra, imprimendovi la traccia. Non si cancella, come la vergogna della Shoah. Il cronista si appassiona e prova a cercare documenti d’epoca.
Forse quel matto di Henriquez… Telefonata al Comune di Trieste, dove l’archivista Antonella Cosenzi è alle prese con l’enorme eredità lasciata da Henriquez: il Museo della guerra per la pace, già compiuto sulla carta da Magris, sta nascendo anche in realtà. «Ma è come cercare un ago nel pagliaio», dice l’archivista alla richiesta di una foto, di un documento sulle scritte razziste a Verona. «Abbiamo capannoni pieni di tutto: dai cannoni ai carriarmati, dalle uniformi a scaffali di carte..».
Comunque si vede che a Trieste valgono ancora le vecchie regole dell’amministrazione absburgica: ogni richiesta della cittadinanza deve avere risposta entro tre giorni. Dopo 48 ore, anzi, la risposta: la fotografia e le annotazioni dal diario di Henriquez. Il collezionista triestino aveva anche trascritto le scritte sui muri lasciate dai martiri dei nazisti a San Sabba, il lager triestino, ma quei taccuini non sono stati trovati, non sono stati ereditati dal Comune di Trieste. Forse c’erano i nomi di delatori? Non luogo a procedere, decretò la giustizia, per la morte di Henriquez. La memoria, almeno, nella sua giornata ha anche luogo.
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Fonte: srl di Giuseppe Anti, da L’Arena di Verona del 21/01/2017