Lapide di L. STATIVS , Museo Maffeiano di Verona
CAPO I – I
SOMMARIO.
– Verona antica – Primi cristiani – Un’iscrizione – I martiri – Gli Acta SS. Firmi et Rustici – S. Siro – Obbiezione aprioristica – Obbiezione storica.
Compito assai difficile è rintracciare le prime origini di Verona, i suoi fondatori, l’epoca della sua fondazione, l’origine del suo nome, i primi suoi fasti.(1)
Fondata probabilmente dai Lebui e dagli Euganei, Verona dapprincipio forse si limitava alla parte superiore del luogo ora detto Colle S.Pietro: più tardi si estese al declivio meridionale del colle: quando poi si costruì sulla riva destra dell’Adige, questa parte nuova prese il nome di « civitas »; quella sulla sinistra si disse « arx »: ma sono congetture, e nulla più.
Dopo varie ed assai incerte vicende, verso l’anno di Roma 500 Verona passò alla soggezione dei Romani: da quell’epoca seguì essa pure le vicissitudini di Roma e da Roma prese religione e costumi: della magnificenza di Verona romana ci sono testimoni i monumenti romani; basterebbero il Teatro e l’Anfiteatro. Romana era Verona, quando cominciò a diffondersi in occidente, e particolarmente a Roma, il cristianesimo; il che avvenne sulla fine del secolo VIII di Roma, che risponde alla metà del secolo I dell’era volgare.
Presso i nostri maggiori era comune l’opinione che già dai tempi apostolici il cristianesimo da Roma sia stato introdotto a Verona, e che il primo nostro vescovo Euprepio, uno dei settantadue discepoli di Gesù Cristo, sia stato mandato a fondare la chiesa di Verona dallo stesso S. Pietro. Questa opinione verso la metà del secolo XVI era detta dal Panvinio «majorum nostrorum constans firmaque traditio ». – Può ella sostenersi al giorno d’oggi?
Gli scrittori di cose ecclesiastiche, riguardo alle prime origini delle chiese particolari, sogliono distinguere due stadi.
Il primo è quello, in cui la dottrina evangelica penetra in qualche regione e vi acquista proseliti: il secondo è quello, in cui, cresciuto notevolmente il numero dei fedeli, questi vi formano una vera comunità cristiana con propri sacerdoti e col proprio vescovo. Che devano distinguersi questi due stadi, è cosa assai probabile in se stessa, ed è confermata dalla storia di alcune chiese: così, per recare un solo esempio, S. Celestino papa nel 431 mandò come primo vescovo Palladio « ad Scotos in Christum credentes » (2)
Lasciando ora in disparte la questione dell’epoca dei primi vescovi, già è di per sè assai verosimile che la dottrina del Vangelo sia penetrata in Verona nei primi secoli della chiesa, e forse anche nel secolo I. Ci dànno diritto a congetturarlo l’importanza di Verona romana, e le sue relazioni con Roma. Se, al dir di S. Leone, « beatissimus Petrus ad arcem Romani destinatur imperii, ut lux veritatis… efficacius se ab ipso capite per totum mundi corpus effunderet » (3), sarà temerità congetturare che questa luce di verità sia si estesa fino a Verona, che massime nei secoli I e II era in continuo contatto con Roma?
In favore di questa congettura ed a conferma di essa sta un’iscrizione conservata nel nostro Museo lapidario, che, secondo il nostro Maffei, proverebbe l’esistenza del cristianesimo in Verona nel secolo I dell’era volgare:
DEO MAG
NO AETERN
L. STATIVS DI
ODORVS QUOT
SE PRECIBVS
COMPOTEM.
FECISSET.
V S L M.
Questa iscrizione, secondo il Maffei, è cristiana, ed inoltre appartiene al secolo d’oro della lingua latina, ossia al secolo I: dunque già nel secolo I erano cristiani in Verona, e tra questi era Lucio Stazio, che per benefici impetrati rendea grazie al Dio grande eterno (4).
Noi non diremo che l’argomento sia dimostrativo: sia perchè non è cosa facile arguire l’età di un’iscrizione dal suo stile; sia perché i critici recenti dicono tale iscrizione poter anche essere gentile.
La palma
Tuttavia non ci pare di dover negare a tale iscrizione ogni valore; massime se col Maffei si avverta alla corona d’olivo ed alla palma, che stanno ai lati di essa, in luogo dei vasi soliti apporsi sulle lapidi pagane.
La corona di ulivo
In questa opinione ci conferma un fatto accennato da S. Zeno nel suo sermone De spirituali aedificatione domus Dei. Parlando egli della chiesa da lui edificata e dei tesori che la decoravano, li colloca tutti nei corpi dei martiri in essa sepolti: «Non aurum, non argentum; quia in suis martyribus computat totum».
Dunque non v’ha dubbio che la chiesa veronese avea avuto i suoi martiri; e questi non erano i santi Fermo e Rustico sepolti nella propria cripta, ma altri, dei quali non si conoscono i nomi: se questi martiri spettassero alla persecuzione di Diocleziano, ci pare che se ne sarebbero conosciuti i nomi.
Inoltre, se potessimo prestar fede assoluta al racconto degli Acta SS. Firmi et Rustici (a) dovremmo riconoscere, che la chiesa nostra ebbe martiri anche nelle persecuzioni precedenti, ossia almeno nel secolo III.
Gli Acta narrano che Anolino, avendo fatto decapitare i due confessori della fede cristiana, ordinò pure che venissero ricercate ed abbruciate le memorie dei martiri: indizio chiaro che Verona prima del 304 già avea avuto i suoi martiri, e che, non solo ne custodiva gelosamente i sepolcri e li venerava «magis quam templa deorum », ma che ne conservava altresì le memorie scritte a loro onore ed a stimolo d’emulazione per i fedeli viventi (6).
Ne ci sembra doversi al tutto trascurare o rigettare la tradizione antichissima nelle due chiese di Verona e di Pavia intorno ad un miracolo operato in Verona da S. Siro.
L’abate prof. Prelini ammette che l’episcopato di S. Siro nell’antica Ticino sia da ascrivere alla fine del secolo II (7); inoltre appoggiato ad una cronaca del secolo VII da lui edita ed alle antiche tradizioni veronesi, ritiene abbastanza fondato che S. Siro abbia in Verona risuscitato il figlio d’una nobilissima vedova, per il qual miracolo, dice la cronaca «immensa multitudo paganorum» si convertì al cristianesimo: ammette pure che S. Siro abbia in Verona celebrato i sacri misteri là, dove dietro il coro della Chiesa dei SS. Siro e Libera si vede in affresco una testa, che alcuni vorrebbero rappresentare san Siro. (8)
Anche il Brunati ammetteva il fatto della Messa celebrata da S. Siro in Verona. Così pure lo ammetteva nel 1904 l’erudito nostro concittadino sac. Antonio Pighi; che anzi lo riferiva all’anno 47 dell’era volgare; ed all’obbiezione « ma tutto ciò pur troppo viene oggidì demolito dalla moderna critica, che porta S. Siro nient’altro che al secolo IV » rispondeva: «ma che cosa non niegano gli odierni ipercritici? ».
Noi non possiamo accettare come certo questo racconto in tutte le sue particolarità. Ma quanto al luogo della celebrazione della Messa, non potrebbe esso avere qualche fondamento in ciò, che assai vicino al luogo designato esisteva il ponte Postumio (9), il quale univa i due capi della via, che dalle Alpi Giulie andava alla Liguria, e per la quale dovea transitare S. Siro, se da Aquileia volea recarsi all’antica Ticino? E per assegnare a S.Siro un’epoca assai remota, non potrebbe invocarsi l’iscrizione posta sul suo sarcofago in Pavia SYRVS EPC? Di essa diceva il De Rossi che, massime per la sua parte prima, risponde al carattere laconico delle primitive iscrizioni cristiane, e la pareggiava all’iscrizione LlNVS trovata in un sarcofago sotto le fondamenta della basilica di S. Pietro; ne da tale opinione sono al tutto alieni gli archeologi più recenti (10).
Che poi S. Siro abbia avuto speciali relazioni con la chiesa veronese, ci par poterlo confermare dal culto, che egli ebbe presso di noi. Ce lo testifica la chiesa a suo onore eretta da Giovanni cancelliere di Berengario sul principio del secolo X; e così pure il nome di lui riferito nel Carpsum ed in altri documenti liturgici (11), ed invocato subito dopo quello dei nostri santi vescovi Zenone, Procolo e Massimo in antichissime litanie della chiesa veronese conservate nella biblioteca Capitolare.
Confessiamo che ciascuna di queste prove presa separatamente non basta a provare storicamente che a Verona fossero cristiani nei primi due o tre secoli del cristianesimo: ma nessuno vorrà negare che prese nel loro complesso abbiano valore sufficiente a rendere moralmente sicura l’antica e costante tradizione dei nostri maggiori; la quale, se non si potrà sostenere in tutte le sue particolarità, probabilmente non avrà avuto principio senza qualche fondo di vero.
Del resto, quali argomenti recano i critici moderni per negare che nei primi due o tre secoli il cristianesimo in occidente abbia avuto proseliti fuori di Roma, e particolarmente nell’alta Italia?
Oltre l’argomento negativo del non aversi documenti per affermare, i critici recenti, anche cattolici, portano un argomento molto aprioristico: S. Pietro ne potea venire personalmente, ne potea da Roma mandar altri a predicare il cristianesimo fuori di Roma; dunque ne egli, ne altri predicarono il cristianesimo nell’alta Italia. Riportiamo testualmente da un lavoro del P. Savio: «Concedendo pure (forse a malincuore?) che S. Pietro venisse assai per tempo a Roma, qui è certo che a due cure principalmente egli dovette consacrarsi; continuare, cioè, con l’oriente le cominciate relazioni, e convertire i Romani. Queste cure erano tali da assorbire tutta la sua attività e da escludere che egli potesse occuparsi di evangelizzare altre provincie… S. Pietro non potea molto pensare all’occidente. Poiché non poteva egli aver alla mano un numero sufficiente di missionari, che si volessero sobbarcare alle fatiche ed ai pericoli dell’apostolato e vi avessero le necessarie attitudini, ossia conoscessero la lingua, gli usi, le inclinazioni degli abitanti, che avrebbero dovuto convertire » (12).
Che questo argomento abbia valore per Harnack e per tutti gli avversari dell’intervento soprannaturale nella prima propagazione del cristianesimo, ben si capisce: ma che valore può esso avere per uno scrittore cattolico e per i lettori cattolici? Questo argomento aprioristico evidentemente è nullo; e, quando per una tesi si ricorre ad argomenti di tal fatta, povera tesi! La necessità del P. Savio di ricorrere a tale argomento è una conferma indiretta della tradizione della nostra chiesa.
Il medesimo scrittore a sostegno della sua tesi, per quanto riguarda Verona, reca un versetto del Ritmo Pipiniano; il quale di san Zeno dice: « Qui Veronam praedicando traxit ad Baptismum »: con ciò egli intende provare che prima di S. Zeno non erano cristiani a Verona. Ma prima di S. Zeno furono a Verona altri sette vescovi, e li nomina lo stesso Ritmo; e lo stesso P. Savio in altro suo scritto tra i padri del concilio di Sardica nell’anno 343 trova un « Lucillus» Vescovo di Verona (13). Dunque da lungo tempo prima di S. Zeno erano in Verona vescovi e sacerdoti e per conseguenza fedeli cristiani; e perciò la frase del Ritmo va intesa in un senso molto relativo.
Nel capo seguente tratteremo l’altra questione, ben più importante, della fondazione della chiesa veronese.
NOTE
-1 Vedi CIPOLLA, Compendio della storia di Verona. I, II.
-2 S. PROSPER, Chronicon ad annum 431; P.L. 51, 595.
-3 S. LEO M., Sermo I. de 55. Apost. Petro et Paulo; P.L. 54, 424.
-4 MAFFEI, Verona illustr. Storia Lib. VII; VENTURI, Storia… di Verona, pag. 34 (Verona 1825).
-5 S. ZENO, Serm. Lib. I. Tract. 14.
-6 I BOLLANDISTI, Acta 55. Tom. l. aug. (pag. 155) sotto il giorno 2 agosto pongono un S. Felice Martire a Verona, appoggiati a codici antichissimi, i quali hanno: «In civitate Italiae Verona Natalis S. Felicis ».
-7 PRELINI, S. Siro primo Vescovo di Pavia, Vol. I, pag. 343-349 (Pavia 1880).
– Recentemente sull’epoca e sulla persona di sant’Ermagora, che avrebbe mandato S. Siro a Pavia, mosse dei dubbi il prof. PASCHINI nella Rivista di scienze storiche (Pavia 1904): ma tali dubbi poco influiscono sull’epoca di S. Siro e del suo passaggio per Verona.
-8 PRELINI, Op. cit., pag. 179-233. – Vedi anche SALVARO, La chiesa dei SS. Siro e Libera, pag. 3-7 (Verona 1882).
-9 Una lapide nel parapetto dei muraglioni a sera della ex-chiesa di S. Faustino ne segna il luogo preciso.
-10 Vedi SCAGLIA. Manuale di Archeologia cristiana, pag. 318 (Roma 1911); CIPOLLA. Compendio della storia di Verona, pag. 38.
-11 Vedi PRELINI, Op. cit., Vol. I, pagg. 84, 85, 91, 92.
-12 P. FED. SAVIO, Alcune Considerazioni sulla prima diffusione del Cristianesimo, in Rivista di scienze storiche, Anno I, pag. 198 segg. (Pavia 1904).
-13 Una lista di vescovi presso sant’Atanasio, in Archivio storico lombardo, vol. XXIX (1902), pag. 238.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAPO I (a cura di A. Orlandi)
(a) pag. 15. – Sui santi Fermo e Rustico. L’autore dedica ai due martiri il capitolo III, che seguirà. Per lo stato attuale degli studi sull’argomento cfr. SILVIO TONOLLI, Fermo e Rustico di Verona, in Bibliotheca sanctorum, vol. V, Roma, 1964.