VOLUME II – EPOCA IV – CAPO IX
Nell’anno 1850 il nostro sac. Cesare Cavattoni, pubblicò un opuscolo prezioso per la storia della chiesa veronese. È una Reletio dello stato della nostra chiesa negli ultimi mesi dell’ anno 1606 e nei primi dell’anno seguente, scritta dal sac. Agostino Bettini, attribuita ufficialmente al vescovo Alberto Valier, succeduto nel maggio 1606 allo zio Agostino. Questa Reletio darà la materia principale del capo presente; nel quale ci serviremo anche delle preziose note illustrative, che vi aggiunse l’erudito editore(1). Lo stesso sac. Cavattoni nel 1862 in occasione del solenne ingresso di mons. Luigi Canossa a vescovo di Verona, pubblicò un altro prezioso opuscolo storico anonimo; una Informazione dello stato di Verona nel 1600, trascritta dall’originale, che si trovava nell’ Archivio dei Frari di Venezia: benché essa si occupi specialmente dello stato civile, tuttavia ci dà anche notizie sulle condizioni ecclesiastiche(2). Ci gioverà pure una relazione anonima sullo stato di Verona nel 1600, che si trovava presso il nostro concittadino Giulio Lando nunzio residente a Venezia per la città di Verona, della quale si vale talvolta il nostro Biancolini; forse in origine è la stessa Informazione, benché non sempre siano identiche le cifre. Aggiungeremo in fine altri particolari, che trarremo da varie fonti, e specialmente da alcune monografie recenti. (a)
Per maggiore chiarezza divideremo questo Capo in quattro paragrafi:
1. Clero secolare;
2. Istituzioni religiose;
3. Istituzioni benefiche;
4. L’interdetto contro il Dominio Veneto.
– Seguiremo approssimativamente l’ordine della Relatio, non però rigorosamente; e ciò allo scopo che l’esposizione riesca più ordinata.
NOTE
1 – CAVATTONI, De sta tu Ecclesiae Veronensis relatio Alberti Valerii Episcopi ejusdem Ecclesiae (Verona MDCCCL). – La dicitura in tempo presente « è, sono, insegnano, ecc. » ordinariamente indicherà le notizie prese dalla Relatio.
2 – CAVATTONI, Informazione delle cose di Verona e del Veronese fornita il primo di Marzo MDC. (Verona 1862).
§ 1. CLERO SECOLARE.
SOMMARIO. – Estensione della diocesi. – Numero degli abitanti e delle parrocchie nella città e nella diocesi. – Giurisdizione del vescovo. – Cattedrale, canonici, cappellani. – Scuola degli Accoliti. – Seminario. – Congregazione del Clero intrinseco. – Adunanze dei sacerdoti nella città e nella diocesi. – Visite. – Sinodo diocesano. – Scuole della Dottrina cristiana. – Compagnia dell’orazione. – Oratorio.
La Reletio, dopo aver lodato Verona per la sua ampiezza ed amenità del sito, la elogia soprattutto per la sua fede e pietà cristiana, ricevuta, come dice l’autore, fino dai tempi di S. Pietro.
La diocesi ha una lunghezza di settantamila passi; poiché allora si estendeva un po’ più verso il Trentino ed il Mantovano: la sua larghezza dal Vicentino al Bresciano è di passi quarantamila. Suo metropolita è il patriarca di Aquileja.
Alcuni paesi della diocesi sono soggetti al duca di Mantova: oltre Correzzo e Pradelle, (b) erano Castelbelforte, Ostiglia e Villimpenta. Altri sono soggetti ai signori Madrucci di Trento; ed erano Avio, Brentonico, Borghetto e Pilcante.
Nella città sono circa settantamila abitanti: così pure nella Informazione per l’anno 1600; mentre nella relazione Lando sarebbero sessantacinquernila(3).
Le parrocchie sono quarantasei.
Nell’anno 1336 il vescovo Nicolò di concerto con Ognibene, arciprete della Congregazione del clero intrinseco, e coi rettori delle chiese, riformando la ripartizione delle parrocchie, le avea determinate in numero di cinquantadue: in seguito alcune di esse perdettero il diritto parrocchiale; altre lo acquistarono, come quella di S. Giusto concentrata poi in quella di S. Giovanni in Fonte, quelle di S. Donato, di Sant’Eufemia: cosicché nel 1470 erano quarantasette; nel 1607 quarantasei(4)
Nella diocesi sono duecento vent’ otto parrocchie, delle quali parecchie erette sotto i vescovi Giberti, Lippomani ed Agostino Valier.
La popolazione si calcola essere di circa centocinquantamila persone: dodicimila tra queste, progenie dei Cimbri, stanno sui monti a settentrione, ed usano sempre della loro lingua semigermanica.
Questi paesi, secondo Cavattoni, sarebbero Giazza, Campo fontana, Bolca, S. Bartolomeo delle Montagne e Selva di Progno. Ma nel secolo XVI ai tempi del Giberti troviamo curati tedeschi a Roveré di Velo ed a Valdiporro: nel 1566 gli abitanti di Roveré domandano come curato al vescovo Agostino Valier « virum idiomatis teutonici satis peritum »: nel 1572 la comunità di Chiesanuova presenta al vicario vescovile un sacerdote di Salisburgo, ed al principio del secolo seguente cercava sacerdoti in Baviera ed altri paesi tedeschi(5).
Una aggiunta posta qui più tardi nella Relatio dice che nella diocesi vi erano ottocento e cinquanta benefici semplici, detti chiericati sotto trentanove pievi.
Il vescovo ha giurisdizione su Bovolone e Monteforte: giurisdizione già sancita dagli Statuti Veronesi nel Libro I Capo 26.
Per largizione di Alberto dei conti di S. Bonifacio fatta nell’anno 1135 il vescovo di Verona avea possedimenti e giurisdizioni anche a Legnago, Roverchiara, Tomba, Canova, Caldiero, Tregnago, Marcemigo, Centro, Montorio e S. Giorgio Ingannapoltron; ma ne fu privato dalla Repubblica Veronese sotto il governo del podestà Azzone da Este l’anno 1207(6).
Il palazzo vescovile sta presso la cattedrale: in un’aula di esso, detta ginnasio, ogni giorno si spiega qualche punto di filosofia e dei casi di coscienza: questo ginnasio durante l’interdetto (1606-1607) fu trasferito nel Seminario.
Nella cattedrale, chiesa magnifica, oltre le tre dignità l’arciprete, il prevosto, l’arcidiacono, vi sono diciotto canonici, il tesoriere, quattro mansionari, sessanta cappellani(7), ventiquattro accoliti, sette chierici inservienti per le messe, quattro ostiari, e la fabbrica, la quale viene amministrata da un uomo scelto dal vescovo e provvede quanto è necessario per il culto di Dio e l’ornamento della chiesa.
Il capitolo un tempo pretendeva di essere esente dalla giurisdizione del vescovo: ora però per mezzo di nuovi accordi è ridotto alla forma prescritta dal Concilio di Trento: esso è più onorato, che ricco: vi sono personaggi nobili della città e non pochi dottori: ha giurisdizione in alcuni luoghi mista col vescovo, in alcuni separata. I canonici riconoscono loro superiore il patriarca di Aquileja. Il canonicato sta presso la cattedrale. Nella cattedrale vi è un canonico penitenziere, ed un altro canonico con prebenda teologale, che per tutto l’anno espone la sacra teologia. Vi è pure un sacerdote maestro di cerimonie. Nella chiesa cattedrale si predica in tutte le feste la parola di Dio « verbum Dei ». Si predica pure la divina parola in altre chiese insigni, specialmente nel tempo dell’Avvento e della Quaresima e nelle feste più solenni. Anzi nel tempo della Quaresima si mandano circa sessanta predicatori regolari a predicare nei castelli e nei paesi più popolati del territorio diocesano(8).
Non vi è alcuna chiesa collegiata, sia in città, sia nella diocesi. Così la Relatio.
In Verona sono due seminari. Il primo è detto anche Scuola degli Accoliti: questi sono giovani chierici, che vivono nelle case della propria famiglia, hanno maestri comuni e prestano il loro servizio nella cattedrale. Per questa scuola è un onore l’appellativo di Seminerio: onore che le procacciarono specialmente i due vescovi Giberti ed Agostino Valier, procurando che per mezzo di pii e bravi sacerdoti fossero istruiti nelle lettere e nelle scienze sacre, ed insieme con opportune conferenze fossero educati alla vera pietà e preparati per la carriera ecclesiastica. « Negli ultimi anni dell’episcopato del Valier gli accoliti studenti di teologia si radunavano in un locale del Capitolo per udir la lezione da qualche canonico o sacerdote incaricato(9)»,
Istituzione più recente era il seminario propriamente detto, conforme ai decreti del Concilio di Trento. Il vescovo Agostino Valier lo avea fondato nel 1567 presso la chiesa di Sant’Antonio di Vienna, detto Sant’Antonio grande o della Ghiaja. Più tardi nel 1572 lo trasferì nel convento di S. Bartolomeo della Levata, dopo che dovettero abbandonare questo convento gli Umiliati, causa la soppressione dell’Ordine decretata dal pontefice S. Pio V con bolla del 1571.(10).
Verso il 1586 lo fece ritornare a Sant’Antonio, dove rimase sino all’anno 1690; quando fu trasferito nel monastero di Sant’Angelo presso il castello di S. Felice. Vi insegnano lettere e filosofia e scienze sacre alcuni sacerdoti destinati a tali offici dal vescovo ed anche i Gesuiti.
La Reletio si occupa molto della Congregazione del clero intrinseco, la cui origine risale almeno al secolo X, e la quale fu ripetutamente dotata di privilegi e giurisdizioni dagli imperatori e da romani Pontefici. Tratta delle adunanze dei confratelli, delle ufficiature funebri per turno in diverse chiese, delle prediche ai fedeli, e del gran frutto religioso e morale che ne ritraevano i fedeli.
Nell’anno 1598 fu stampata in Verona «Tabula anniversariorum, quae a S. C. Cleri intrinseci Veronae quotannis celebrantur», riformata nel detto anno per decreto del vicario generale Pietro Stridonio: in essa troviamo notato che già allora « consuetudo est S. Congregationis ut Nocturnum cum Litaniis ante Missam cantetur »(11): questa nota è una piena giustificazione di un simile uso esistente anche oggi nella nostra diocesi.
Nel 1604 fu stampato altro libro Sanctae Congregationis Cleri intrinseci Veronae Constitutioncs. In esso è stabilito che tutti i confratelli presenti ai suffragi nel primo venerdì di ogni mese ricevano tre soldi, e coloro che mancassero od uscissero prima della fine dell’ufficiatura pagassero una multa di sei soldi. Dal complesso di queste Constitutiones apparisce che scopi precipui della Congregazione erano la santificazione dei suoi membri, i suffragi ai defunti e le sovvenzioni di mezzi da vivere agli ìndigenti(12).
I sacerdoti della città si radunano due volte ogni settimana per discutere alcuni casi di coscienza ed istruirsi a vicenda. I sacerdoti della diocesi si radunano una volta al mese secondo la Costituzione, forse del vescovo Giberti(13), e secondo che fu stabilito nel libretto composto per i visitatori foranei. La città e la diocesi furono visitate recentemente. Alberto Valerio già le avea visitate per circa dieci anni: nel 1605, non potendo egli visitarle per le troppe occupazioni, con atto 15 giugno deputò a questo ufficio il canonico Marcello Carloto dottor utriusque juris; il quale prima ancora della fine dell’anno avea visitato una gran parte della diocesi nella parte superiore(14), Inoltre furono stabiliti altri visitatori particolari.
Ogni anno si tiene una specie di sinodo diocesano nella settimana dopo l’ottava di Pasqua; intervengono specialmente i parrochi, e riferiscono dello stato delle loro chiese; anzitutto dell’ esecuzione dei decreti delle visite, e di coloro che dimentichi della loro salute non si accostarono nella Pasqua ai sacramenti, affinché per opera del canonico preposto, quasi vicario del vescovo, si possa agire canonicamente. In questa adunanza vien pure pubblicata la bolla In Coena Domini.
Vi sono in città sessanta scuole della dottrina cristiana; mentre ai tempi del Giberti erano sedici. Quest’opera era stata promossa mirabilmente per lo zelo di Agostino Valier, che ne avea stabilito regole speciali: la Compagnia avea un capo generale dipendente dal vescovo col nome di rettore: dovea essere suo coadiutore un gesuita col nome di Padre spirituale; inoltre vi doveano essere un vicerettore, dodici visitatori, un cancelliere e un cassiere(15). In queste scuole i giovanetti e le giovanette, separate queste da quelli, vengono con sommo studio istruiti nei primi elementi della dottrina cristiana. Altrettanto si fa dai parrochi con l’assistenza di pie persone in tutte le chiese parrocchiali della diocesi.
Fioriva molto la Compagnia detta dell’ Orazione, istituita in occasione della pestilenza dell’anno 1575: contava fra i suoi membri molti nobili ed altri pii personaggi; i quali si accostavano alla santa comunione una volta al mese, e tutte le feste si univano in una od altra chiesa: nelle singole chiese si facevano pubbliche preghiere, con torci e e candele, stando tutti genuflessi per lunghe ore davanti al SS. Sacramento.
Un’istituzione preziosa, massime per la gioventù maschile, era quella dell’Oratorio, che il vescovo Agostino Valier ave a fondata nella chiesa di S. Giovanni in Fonte, ad imitazione di quello che a Roma nella chiesa di S. Maria in Vallicella avea fondato S. Filippo, al quale era intrinseco famigliare.(16) Così ebbe origine tra noi l’opera degli Oratorii: speriamo che per l’odierno indifferentismo non abbia a svanire.
NOTE
3 – 0pina diversamente CIPOLLA, Compendio della Storia politica di Verona, pag. 333, seg. (Verona 1900).
4 – BIANCOLINI, Chiese di Verona, IV, pag. 553; e questi, Cenni storici, Epoca III, Cap. XVII. Nello, Stato personale, 1922, pag. 4, sono designate le singole parrocchie.
5 – CIPOLLA, Le popolazioni del XIII Comuni Veronesi, pag. 152, 156, 166 (Venezia 1882).
6 – BIANCOLINI, Cronaca del Zagata, Vol. II, pag. 296. III. 331; e Dissertazione intorno ai Vescovi e Governatori di Verona, pag. 95.
7 – Nel 1600 i canonici erano vent’uno, i cappellani quarantasei.
8 – Già nel secolo XVI la missione di predicare fuori della propria chiesa ordinariamente era affidata ai regolari, e verso la fine anche ai chierici religiosi. TACCHI VENTURI, Storia della Compagnia di Gesù, I, pag. 31, (Roma 1900).
9 – SPAGNOLO, Le scuole accolitali, pag. 80.
10 – Nell’attentato contro la vita di S. Carlo perpetrato il 26 ottobre del 1569 ebbe gran parte il P. Clemente Preposto agli Umiliati di S. Bartolomeo della Levata.
11 – Tabula … , pag. 10 (Veronae, apud Angelum Tamum, MDIC).
12 – S. Congregationis. Const. Cap XXIV Duecento e trent’una libbre di pane si distribuiscono, parte ai poveri della parrocchia dell’ufficiatura, parte ai campanari, inservienti e poveri di altre parrocchie. Cap. XXXIV.
13 -GIBERTI, Constitutiones, Tit I, Cap. 23.
14 – Liber Visito anni 1605 vol. XVII, nell’Archivio della Curia di Verona.
15 – BIANCOLINI, Chiese di Verona, I, pag. 242.
16 – CALOGERÀ, Vita Card. August. Valerii in Raccolta di Opuscoli scientifici ecc; XXV, pag. 88 (Venezia 1741).
§ 2 – ISTITUZIONI RELIGIOSE.
SOMMARIO. – Monasteri maschili in città – Teatini – Gesuiti Cappuccini – Minimi – Camaldolesi – Abbazie – Monasteri femminili in città – Monasteri maschili e femminili nella diocesi – Orsoline – Dimesse
Nella città si trovano diciassette monasteri di religiosi; tra i quali sono certo da computare tre monasteri, dei quali la Relatio parla più sotto. Sono i seguenti:
– 1°. Domenicani a Sant’Anastasia; ai quali da S. Pio V era stato commesso l’ufficio della S. Inquisizione l’anno 1570(17). Nella loro chiesa dopo la battaglia di Lepanto (1571) fiorì di molto la confraternita del santo Rosario: nel 1600, secondo la Informazione vi erano quaranta religiosi.
– 2°. Minori Conventuali a S. Bernardino: nel 1600 vi erano sessanta frati.
– 3°. Francescani Conventuali a S. Fermo, i quali già da tempo non davano buon odore di santità: erano trenta.
– 4°. Agostiniani a Sant’Eufemia: erano cinquanta.
– 5°. Serviti a S. Maria della Scala ed al Paradiso.
– 6°. Benedettini Cassinesi o neri a S. Nazaro: nel 1600 erano trenta, e la Informazione aggiunge « poco ospitali e poco cortesi »,
– 7°. Benedettini bianchi od Olivetani a S. Maria in Organo: erano trentasei « cortesissimi e molto ospitali ».
– 8°. Carmelitani a S. Tommaso: nel 1600 erano trenta.
– 9°. Canonici Lateranesi a S. Leonardo: erano venticinque; il loro convento era stato insignito della dignità abbaziale dal pontefice S. Pio V con breve del 12 gennaio 1565: vi stettero fino alla soppressione veneta dell’anno 1773(18).
– 10°. Canonici Regolari a S. Giorgio in Braida(19): nel 1600 erano quaranta. Nel 1669 fu soppressa quella Congregazione, ed il monastero passò alle monache Agostiniane di S. Maria di Reggio, che prima erano al Redentore.
– 11 ° Crocigeri a S. Luca, i quali erano in diminuzione; nel 1600 erano dieci. Furono poi soppressi da Alessandro VII nel 1656(20).
– 12°. Eremiti Gerolimini o Fiesolani a S. Zeno in Monte; erano sedici: soppressi da Clemente IX nel 1668, vennero in quel monastero i Somaschi.
– 13°. Gesuiti a S. Sebastiano.
– 14°. Cappuccini a S. Croce.
– 15°. Minimi di S. Francesco di Paola in Campo Marzo.
– 16°. Teatini a S. Maria della Ghiaja.
– 17°. Benedettini dell’ordine di S. Giustina di Padova a S. Zeno: nel 1600 erano undici, tutti tedeschi, ai quali da alcuni Commendatori era stata affidata l’ufficiatura della basilica sino dal 1425. Nell’abbazia, come dice la Relatio, « praeter Abatem saecularem, sunt Prior et Monachi teutonici ordinis sancti Benedicti, proprios redditus habentes »: Abbate commendatario era Marco Cornelio vescovo di Padova dal 1594.
– Oltre questi, vi erano i Gesuati a S. Bartolomeo in Monte, in numero di ventiquattro;
– ed i monaci Camaldolesi presso il santuario di S. Maria della Pace in numero di otto(21).
Daremo brevi notizie dei monasteri stabiliti a Verona di recente.
I Chierici Teatini, fondati da S. Gaetano e da G. Pietro Caraffa, nel 1591 ebbero il convento e la chiesa di S. Maria della Ghiaja in Cittadella, dal quale già dal 1571 erano stati rimossi gli Umiliati dopo la loro soppressione decretata dal pontefice S. Pio V: secondo la Informazione nel 1600 vi erano diciotto religiosi. Nell’anno 1602 il vescovo Agostino Valier concesse loro anche la chiesa di S. Nicolò con residenza conveniente; e la concessione fu confermata dal pontefice Clemente VIII con breve dato il 18 aprile dell’anno 1603. In seguito i Teatini pensarono di rinnovare la chiesa, mutandone il primitivo orientamento rituale: l’opera cominciata nel 1627 fu compita nel 1683. Tuttavia i Teatini tennero pure la chiesa di S. Maria della Ghiaja: la Relatio dice di loro che « ecclesiam dictae Praepositurae cum magno Dei cultus augmento optime tenent »: ne avea la commenda Pietro Aldobrandini creato cardinale dallo zio Clemente VIII, morto poi a Roma l’anno 1621.
La Reletio si estende molto nel riferire le benemerenze dei Gesuiti.
Li avea ammessi in Verona il vescovo Agostino Valier nel 1573; della qual cosa si congratulò molto con lui S. Carlo Borromeo(22). Nel 1578 il dì 8 febbraio concesse loro la chiesa di S. Sebastiano, dividendo la cura di quella parrocchia tra S. Tomaso Apostolo, S. Fermo, Sant’Andrea. Probabilmente la chiesa, allora romanica, era in stato di deperimento: perciò i Gesuiti pensarono subito a rinnovarla ed ampliarla, e la Relatio ne fa loro un elogio: « eamdem ecclesiam, magnificentius tamen, tenent extructam; et, tum concionum et Sacramentorum usu, tum etiam scholarum et congregationum frequentia, maximos in civitate fructus faciunt ». Ivi aprivano tosto collegio e scuole per l’educazione ed istruzione della gioventù: tanto è vero che il vescovo in una lettera indirizzata ai fedeli della città e diocesi nell’avvento dello stesso anno 1578, alla vigilia della sua partenza per la visita della Dalmazia, tra le altre cose, raccomandava « ai padri che sappino bene educare i suoi figlioli e servirsi della comodità che di presente gli è offerta di questo collegio dei padri Gesuiti, procurando che i loro figlioli imparino insieme la vera pietà et le lettere ».
Aggiunge la Relatio che i Gesuiti insieme con altri pii sacerdoti presiedevano agli Oratorii nei quali nei giorni festivi convenivano molti giovani; e vi spiegavano il santo Vangelo o qualche cosa di simile: presiedevano pure alle scuole della Dottrina cristiana, alle quali intervenivano giovani di ambedue i sessi. In fine aggiunge che i Gesuiti fungevano pure da precettori nelle scuole del seminario, ma che dovettero cessare da questo ufficio ritirandosi da Verona per l’interdetto del 1606: non vi ritornarono se non nel 1656; quando il pontefice Alessandro VII ottenne che la Serenissima ritirasse il bando perpetuo lanciato contro i Gesuiti nel 1606.
I Padri Cappuccini, venuti a Verona al tempo del vescovo Giberti, vagarono prima in diversi luoghi della diocesi e poi della città; finché il vescovo Agostino Valier nel 1571 assegnò loro il convento di S. Croce vicino alla chiesa di S. Francesco, ceduto ad essi dalle monache Benedettine di S. Silvestro. Ivi restaurarono la chiesa ormai ridotta a pessimo stato; e questa fu consacrata dal vescovo Alberto Valier il giorno 28 ottobre del 1618. Nel 1600 vi erano sessanta religiosi. I Cappuccini dovettero sloggiare dal loro convento nei primi giorni di giugno del 1810(23).
I Chierici Minimi di S. Francesco di Paola vennero a Verona nel 1593; dove per l’attività del P. Paterno di Calabria e le sovvenzioni dei conti Giusti e di altri ricchi generosi poterono edificare un grandioso convento in Campo Marzo. Ivi eressero pure una chiesa ad onore del loro santo fondatore, la quale fu consacrata nel giorno 9 marzo 1596 dal vescovo coadiutore Alberto Valier. Secondo la Informazione nel 1600 vi erano sedici religiosi. Quando per la legge napoleonica anche i Minimi dovettero sottostare alla soppressione, l’altare di S. Francesco fu trasportato nella chiesa di S. Paolo.
I monaci Camaldolesi di S. Romualdo già fin dal secolo XIII aveano un piccolo monastero con chiesa presso Avesa, nel luogo detto poi S. Maria del Camaldolina: poi nel 1513 parte del monastero e la chiesa furono assegnate al monastero di S. Michele di Murano; parte del fabbricato passò poi in proprietà di persone private(24). Dietro istanza dei rettori della città alcuni camaldolesi da Murano vennero alla chiesa di S. Maria della Pace il giorno 28 febbrajo 1596, ed ivi canonicamente fu approvata la nuova fondazione con un breve di Clemente VIII dato il 25 giugno dello stesso anno. In breve con le elargizioni della città e dei fedeli devoti di quel santuario fu fabbricata una abitazione capace di almeno dodici religiosi: essi poi si assunsero il dovere di ufficiare convenientemente il santuario, ascoltare le confessioni ed amministrare la SS. Eucaristia, chiamando nelle feste maggiori altri monaci dai monasteri della loro congregazione.
Già nel 1603 troviamo gravi lamenti della città e dei fedeli a carico dei camaldolesi; quasi essi non si prestassero per l’ufficiatura del santuario secondo i patti convenuti nell’anno 1596(25). Tuttavia si aggiustarono in qualche modo le controversie; poiché i camaldolesi stettero presso quel santuario sino alla soppressione veneta decretata ed eseguita l’anno 1771. Primo abbate della nuova fondazione fu il P. Faustino Todeschi veronese.
In città vi sono tre abbazie. Nella abbazia di S. Zeno, era allora commendatario Marco Cornelio: l’abbazia esercita giurisdizione separata dall’Ordinario. – L’abbazia di S. Fermo e Rustico, di cui è abbate il card. Mantica(26), ha un vicario perpetuo, però sotto la dipendenza del vescovo. – L’abbazia della SS. Trinità, di cui è abbate Giorgio Marini vescovo di Brescia, ha la cura, la quale viene esercitata per mezzo di un cappellano amovibile – Vi è pure la chiesa di S. Vitale, di cui è commissario un cavaliere Gerosolimitano; ha annessa la cura delle anime, la quale viene essa pure esercitata per mezzo di un cappellano amovibile.
Tornando alla Relatio, essa dice che nella città vi sono diciotto monasteri di monache.
Erano Francescane:
– 1. Le monache di S. Chiara, soggette ai frati di S. Bernardino: nel 1600 erano centoventicinque o centocinquanta;
– 2. Le monache delle Maddalene a S. Maria delle Vergini; nel 1600 erano settanta, e ricche, soggette al vescovo sin dall’episcopato del Giberti. Erano Benedettine:
– 3. A Sant’Antonio al Corso;
– 4. S. Bartolomeo della Levata, assegnata loro da Gregorio XIII, col breve 29 novembre 1579: nel 1600 v’erano trentotto religiose.
– 5. S. Lucia presso Porta del Pallio
– 6. S. Catterina della Ruota presso l’attuale Ricovero: v’erano cinquantacinque suore
– 7. S. Cristoforo in via Cantarane: soppresse ivi le umiliate, il vescovo Agostino Valier nel 1571 vi trasferì cinque benedettine da S. Maria degli Angeli; alle quali si associarono, adottando il nuovo ordine, cinque delle umiliate che ivi abitavano(27): nel 1600 erano quaranta monache.
– 8. S. Daniele appena fuori dalla Porta Rofiolana.
– 9. S. Silvestro.
– 10. S. Maria degli Angeli.
– 11. S. Salvar in Corte Regia; essendo stato ceduto il convento e la chiesa alle benedettine di Sant’Agostino con breve di Innocenzo VIII 1486: nel 1600 vi erano trentacinque religiose.
– 12. S. Spirito presso la Porta di S. Sisto o del Pallio: erano sessanta.(28)
– 13. S. Giovanni della Beverara: vennero a questo convento dopo che il Seminario fu ritornato a Sant’Antonio della Ghiara l’anno 1586: nel 1600 erano sessantotto.
– 14. SS. Giuseppe e Fidenzio, chiamate così dall’essere stato ceduto alle monache di S. Giuseppe quanto possedevano le monache di S. Fidenzio in Monte; « monache di pessimo nome »(29), e perciò soppresse dal vescovo Giberti nel 1536: nell’anno 1600 vi erano quarantacinque religiose.
– 15. Tra i monasteri della città è pur annoverato quello delle Benedettine del monastero di S. Michele in Campagna: il vescovo Agostino Valier tentò di astringerle all’osservanza degli statuti del Concilio di Trento, particolarmente riguardo alla clausura; ma ottenne poco o nulla; cosicché per sentenza di Clemente VIII nel 1595 quel convento fu interdetto, e la sentenza fu poi rinnovata da Leone XI e da Paolo V: ciò nonostante « le monache tengono funzioni pubbliche in chiesa, celebrate con maggior frequenza e pompa di canonici pur essi interdetti »(30): come poi e quando siasi composta la controversia, non lo troviamo.
– 16. Tra i monasteri di benedettine della città va pur annoverato quello di S. Martino di Avesa, dove attualmente è la chiesa parrocchiale: ivi erano quaranta religiose.
– 17. Erano religiose, Domenicane a S. Catterina da Siena (nella via ora Venti Settembre), soggette ai Domenicani di Sant’Anastasia: nel 1600 erano cento e venti.
– 18. Erano pure Domenicane le monache presso la chiesa di S. Domenico: dall’ Acqua traversa vi erano venute dopo la famosa spianata del 1518, ed il vescovo Giberti le sottrasse all’ autorità dei Domenicani: nel 1600 vi erano sessanta religiose.
‘
La diocesi, secondo la Reletio, ha dieci monasteri maschili.
Tre di questi erano dei Cappuccini:
– 1. A Caprino, dove erano stati chiamati e sovvenuti da alcuni possidenti nella seconda metà del secolo XVI (31)
– 2. A Villafranca.
– 3. A Monteforte.
– Tre erano dei Minori Osservanti:
– 4. Ad Isola della Scala.
– 5. A Bussolengo, dove per desiderio di questa popolazione, con permesso del vescovo Agostino Valier fondarono un convento nel 1596, e vi stettero sino al decreto napoleonico di concentrazione del 1805853)
– 6. Al Frassino presso Peschiera: v’ erano andati ai tempi del vescovo card. Marco Cornaro, dietro bolla di Leone X del 14 gennaio 1514, e vi stettero sino all’anno 1810(33).
– Due erano di monaci Olivetani:
-7. A S. Pietro di Villanova, dove essi si stabilirono nel 1562: ora quella chiesa appartiene alla diocesi di Vicenza.
– 8. A S. Jacopo del Grigiano: chiesa che essi ottennero dalla magnifica città il 10 marzo 1451.
– 9. I Carmelitani aveano chiesa e convento a Desenzano.
– Il Cavattoni mette qui come decimo convento quello dei Camaldolesi a Garda: ma quel convento fu costituito e costrutto dopo il 1661(34); quindi non poté essere recensito dalla Relatio; né poi sapremmo quale altro sostituirvi. (c)
Nella diocesi v’ è un solo monastero femminile, cioè a Legnago.
La comunità di Legnago, avendo eretto una chiesa ad onore di S. Bartolomeo con annessa abitazione per un numero conveniente di monache, nel 1587 dal vescovo Agostino Valier ottenne che vi si trasferissero tre monache del convento di S. Catterina della Ruota, le quali in breve riuscirono a costituirvi una numerosa famiglia di Benedettine. In seguito per il buon andamento del nuovo monastero la comunità stabilì alcuni Capitoli, che furono approvati dal vescovo Coadiutore il 16 aprile 1596(35).
La Reletio dice che per ogni monastero di monache era stabilito un numero determinato; ed aggiunge che da oltre quarant’anni, cioè dalla fine del Concilio di Trento, « clausura ubique servatur arctissime ». Certamente ciò non era vero per il monastero delle Benedettine di S. Michele, e forse per qualche altro della città: ma speriamo che questa stretta osservanza della clausura siasi almeno assicurata nel 1606.
Partecipavano della vita monastica le Orsoline (d); Congregazione fondata da Sant’Angela Merici sotto la protezione di Sant’Orsola e delle undicimila vergini.
Secondo la primitiva istituzione le Orsoline abitavano ciascuna nella propria famiglia, unendosi in epoche determinate per la formazione del loro spirito e per alcune opere di pietà: tuttavia nel 1603 cominciarono a vivere in una casa comune(36); e la Relatio nel 1606 dice che « partim in propriis domibus, partim in communibus … vitam coelibem ducunt ». Pare che questa casa di vita comune dall’8 febbraio 1616 fosse in Cittadella, ove ora è lo stallo del Cavallino.
Della Congregazione dice la Relatio che « floret mirum in modum »: nelle cose spirituali vi attendevano « duo spectatae vitae sacerdotes »; nelle temporali due nobili uomini e circa dodici matrone; « omnesque ab episcopo vel praeferuntur, vel saltem approbantur et confirmantur ». La Informazione nel 1600 pone una casa di Orsoline converse in numero di sedici presso la chiesa di S. Faustino.
Affine a questa congregazione era quella delle Dimesse fondate a Vicenza nel 1584 dal P. Antonio Pagani francescano, ed ivi approvata dal card. Agostino Valier nella visita apostolica a quella diocesi: non, aveano, né voti, né clausura; ubbidivano a una superiora eletta col titolo di principale. La prima casa di Dimesse fu fondata in Verona dal sacerdote Galese Nichesola rettore di S. Maria in Chiavica il 20 agosto 1602, approvata dallo stesso card. Valier: poi sulla fine del 1606 si stabilirono in Cittadella, nel luogo ove ora sono le Figlie del S. Cuore di Bergamo (Seghetti). La Relatio non parla di questa congregazione, forse perché nel 1606 era ancora in via di formazione: il vescovo Alberto Valier la approvò con decreto del giorno 13 novembre 1607(37).
NOTE
17 – Primo Inquisitore fu fra Marco Medici, poi vescovo di Chioggia, vissuto dal 1521 al 1584. FEDERICI, Elogi di illustri eccl. veron., III, Append. pag. 18.
18 – SPAGNOLO, Vita di S. Leonardo … , pag. 86 (Verona 1901).
19 – Avevano altra casa del loro ordine a Sant’Angelo presso il Castello S Felice; ivi erano altri quindici Canonici Regolari: più tardi vi fu trasferito il Seminario.
20 – Il vescovo Sebastiano Pisani concesse allora questa chiesa alla Compagnia del SS. Sacramento, detta delle Quarantore
21 – In quest’epoca le località Avesa e S. Michele erano considerate come parte della città.
22 – Presso CAVATTONI, Due opere del Card. Ag. Valerio, pag. XIII; Anzi GIUSSANO, Vita S. Caroli, pag. 217 (Mediol. 1751) dice che i Gesuiti vennero a Verona per opera di S. Carlo.
23 – Alla località restò il nome Cappuccini vecchi.
24 – A. DA LISCA, La chiesetta di S. Maria della Camaldola in Avesa, in Verona Fedele, Anno 1909, 29 Dicembre.
25 – FINETTI, Monografia della Madonna di Campagna, pago 19-22. (Verona 1893). – Del coccodrillo tratta diffusamente ANT. PIGHI, La Madonna della Pace, pag. 6-10 (Verona 1907).
26 – Creato cardinale da Clemente VIII, fu consacrato sacerdote dal Card. Agostino Valier: mori nel 1614
27 – CAVATTONI, Due opere di Agostino Valerio, pag. XII (Verona 1862).
28 – La storia di questo monastero scritta dal can. Carinelli è riportata presso BIANCOLINI, Notizie storiche delle Chiese di Verona, II, pag. 632-695.
29 – M. SANUTO, Diarii, Vol. LVIII, pag. 148.
30 – FINETTI, L’antico monastero delle Benedettine a S. Michele in Campagna, pag. 50 (Mantova 1900).
31 – BIANCOLINI, Chiese di Verona, IV, 451.
32 – BACILIERI, Bussolengo, pag. 30, 58 (Verona 1903).
33 -P. MIGLIORINI, Il Frassino, pag. 98, seq., 146 (Verona 1909)
34 – BUSSINELLO, L’eremo dei Camaldolesi sopra Garda, pag. 17 seqq. (Verona
1916).
35 – Il decreto del vescovo ed i capitoli presso BIANCOLINI, Chiese di Verona, IV, pag. 419-493.
36 – GRANCELLI, Di Sant’Angela Merici e del suo Istituto, pag. 50 (Verona 1919); BIANCOLINI, Chiese di Verona, IV, pag. 327, sqq.
37 – SODERINI, Vita del P. Antonio Pagani, (Venezia 1723); BIANCOLINI, Op. cit; IV, 422-426, VIII, 261, seq.
§ 3. ISTITUZIONI DI BENEFICENZA.
SOMMARIO. – Ospitali Compagnia della Carità Derelitti – Convertite – Franceschine – Monte di Pietà – Fonteghetto – Ebrei – Accademia Filarmonica.
La città, secondo la Reletio, ha ospitali per gli infermi, tenuti e governati assai bene(38).
I più insigni sono tre: primo è quello di Santa Maria della Misericordia; nel quale si ricevono i bambini orfani di genitori e gli infermi di malattia incurabile. Questo ospitale era stato fondato dal vescovo Giberti con la cooperazione di S. Girolamo Emiliani e le contribuzioni di ottimi cittadini: esso era presso la chiesa di Sant’Agnese, nel luogo ove è ora il palazzo municipale. Più tardi fu trasferito questo ospitale presso la chiesa di sant’Antonio di Valverde, e presso la chiesa di Sant’ Agnese si volle erigere un nuovo ospitale, « cominciato, come dice lo storico nostro Venturi, nel 1786 colla disapprovazione di molti, ed atterrato non ha molto coll’approvazione di tutti »(39). Secondo la Informazione, nel 1600 vi erano poveri incurabili circa sessanta, pupilli ventidue.
Il secondo ospitale è quello detto della Pietà, destinato per i bambini esposti e per gli uomini febbricitanti o feriti. La sua origine risale all’epoca scaligera, alla metà incirca del secolo XIV: era situato presso la cattedrale, e la via ne porta ancora il nome. Nel 1813 fu trasferito nella parrochia di S. Stefano.
Il terzo ospitale è quello detto di S. Jacopo, nel quale vengono ricoverati i lebbrosi. Nota il Cavattoni che tre erano gli ospedali di questo nome e con questa destinazione: quello di S. Jacopo detto del soccorso vicino a S. Spirito; prima della soppressione dei monasteri era divenuto rifugio delle penitenti, e fu poi assorbito dall’ ospitale militare: quello di S. Jacopo della rogna era presso Tomba, il terzo nella parrochia di S. Paolo in Campo Marzo era presso la chiesa detta di S. Giacometto.
Dice la Relatio che questi sono i tre ospitali più insigni. La Informazione dice che ve n’erano diciannove e ne dà i nomi: il Biancolini aggiunge quelli della diocesi, ed indica che parecchi di essi esistevano al principio del secolo XVII. Degli ospitali della città e di alcuni di quelli della diocesi, aggiunge la Reletio che davano ospitalità anche alle persone miserabili ed ai pellegrini.
Oltre gli ospitali v’ erano parecchie altre istituzioni a sollievo dei poveri bisognosi(40),
In città ed in parecchi luoghi della diocesi esiste una compagnia utilissima, detta degli Operai della Carità; i cui soci vanno a raccogliere qua e là elemosine per distribuirle poi ai poveri nelle loro case, e così sovvenire ai loro bisogni. Questa compagnia era stata istituita nella città e raccomandata ai parrochi della diocesi dal vescovo Giberti, il quale ne avea pure stabilito i capitoli(41). La compagnia si radunava ogni mese nella cattedrale, ed eran presenti e davano elemosine il vescovo, i rettori della città ed altri nobili e pii personaggi. Il vescovo Agostino Valier si studiò di ravvivare questa compagnia, e nel 1568 compose e fece stampare l’opuscolo: Ordinetiones societetis charitatis, sive de institutione societatis charitatis civitetis Veronae.
Da alcuni anni nella città si è pur provveduto ai fanciulli e fanciulle abbandonate (Derelitti).
Vi avea provveduto il vescovo Agostino Valier nel 1572, affine di rimuovere lo scandalo di fanciulli e fanciulle, che andavano mendicando per le vie. Egli aveva per loro provveduto una casa nella via che va al Terraglio tra la chiesa di S. Gregorio e quella di S. Stefano: poi, essendo aumentato il numero dei ricoverati, trasportò l’ospizio in una casa, che dovea far angolo tra la via Sant’Alessio e il vicolo Cigno; e finalmente nel 1589 ampliò il fabbricato, per poter in esso tener separati i fanciulli dalle fanciulle, ed unirvi l’opera dei Mendicanti; ivi eresse pure nel 1600 la chiesa di S. Maria del Giglio, ed i Derelitti vi durarono fino al 1807, quando fu soppressa e spogliata anche la chiesa(42). (e)
Quest’opera benefica dei mendicanti fu istituita essa pure da Agostino Valier nel 1602 dopo una sua assenza da Verona per circa due anni. Essa era pure presso la chiesa di S. Maria del Giglio, nelle case della famiglia Navarini, o dove ora è l’ospizio; raccoglieva uomini e donne, che in gran numero vagavano mendicando per le piazze, per i vicoli e le chiese, « non sine scandalo et cum magno christifidelium incommodo »: l’ospizio li manteneva, ed insieme li faceva lavorare diverse arti « pie et catholice vivendo ad laudem Domini nostri Jesu Christi ».
Presso la chiesa di S. Gregorio esisteva pure un altro ospizio per i poveri.
In occasione della visita fatta dal vescovo coadiutore Alberto Valier alla parrochia di S. Stefano nella domenica 30 ottobre 1605, il vicario generale Florio Pindemonti visitava quell’ ospizio provvisto « cum octo cubilibus satis bene tentis in quibus nonnullae mulieres amore Dei dormiunt »(43).
Altra opera provvidenziale è quella delle Convertite: sono donne, le quali, annoiate della vanità del secolo, si sono date al servizio di Dio in perpetuo e conducono una vita quasi monastica: esse abitano in alcune case adiacenti all’abbazia della Santissima Trinità. In una parte separata di queste case sono custodite ed educate sotto la cura di alcune matrone le ragazze nobili prive di madre; esse però somministrano quanto è necessario per le spese del loro mantenimento.
Quest’opera istituita dal vescovo Giberti, forse per l’indole stessa dell’ opera, era retta da matrone, ma però sotto la dipendenza dei governatori della casa della Misericordia: nel 1569 le Convertite fecero istanza al vescovo Agostino Valier di passare sotto il governo di lui; ma Valier con lettera del 26 giugno si rifiutò e le esortò a non voler cambiamenti ed esse si acquietarono(44).
Nel 1600 nella casa della SS. Trinità, vi erano gentildonne circa cinquanta, convertite perpetue venti, pupille trenta.
Ad uno scopo simile mira l’opera detta più tardi delle Franceschine o Zitelle.
Siccome, dice la Reletio, sono troppo frequenti i pericoli per le ragazze e le cadute delle donne, e per tutte non è sufficiente l’edificio della SS. Trinità, nel 1548 si fabbricarono alcune case presso la chiesa e monastero di S. Francesco al Corso(45); dove le pericolanti e le cadute, divise le une dalle altre, sotto la direzione d’una società di pie persone della Congregazione di S. Francesco, sono educate ad una vita religiosa, procurando insieme che le ragazze « honeste et cum timore Dei nubant ». Secondo la Informazione nel 1600 si contavano in questo conservatorio novantacinque persone tra zitelle e donne convertite. La Congregazione di S. Francesco si adunava ogni settimana nell’ episcopio, ed ivi rendeva ragione al vescovo dell’andamento dell’opera.
Oltre queste istituzioni tendenti direttamente al bene spirituale e morale, ve n’erano altre, che allo stesso scopo tendevano indirettamente, procurando di promuovere e migliorare gli interessi economici dei cittadini.
La più importante di quelle istituzioni era il Monte di Pietà istituito sulla fine del secolo XV, e nel 1544 dotato dal vescovo Giberti di seimila scudi d’oro; esso provvedeva ai bisogni degli indigenti dando loro una certa somma di danaro dietro un pegno di qualche suppellettile(46).
Fino al tempo del vescovo Navagero erano sorti dei litigi riguardo ai prestiti: si volea che fossero al tutto gratuiti, ossia veri mutui; ma insieme si vedeva che in questo modo il Monte non avrebbe potuto sopperire alle spese necessarie per il mantenimento dell’ opera. Il vescovo Agostino Valier interpellò su questa controversia la Penitenziaria: era una specie di tribunale da lui istituito, di teologi, canonisti, giureconsulti, allo scopo di definire le controversie, massime nel campo giuridico.
Convennero che il Monte per sopperire alle spese necessarie comperasse fondi ed altri beni fruttiferi, e li desse in affitto, col ricavato si provvedesse alle spese, senza imporre alcun onere ai mutuatori.
Fu una soluzione, che piacque molto al nostro Pietro Ballerini per sostenere la sua tesi, che qualunque prestito di denaro deve essere al tutto gratuito(47).
La Informazione del 1600 dice che il Monte « ha bisogno di provvisione, altrimenti potrebbe prendere un crollo », La Relatio nel 1606 dice che esso è « opulentus ».
Quasi appendice al Monte è il Fonteghetto, una specie di granaio sorto in tempo di carestia per sollievo dei poveri.
Con danaro pubblico, messo in deposito dal vescovo e da altre pie persone, si compera una quantità di frumento in tempo della mietitura; e così si conserva molta farina, la quale poi di giorno in giorno si distribuisce per un prezzo basso ai poveri bisognosi di cibo(48).
La Reletio, parlando del Monte, avea fatto rilevare che per mezzo di esso i cittadini potevano sfuggire le usure degli Ebrei. In seguito dice qualche cosa di essi; ed in particolare riferisce che, mentre prima essi abitavano sontuosi palazzi, mercanteggiavano sulle pubbliche piazze, ora per opera del vescovo Agostino Valier s’erano ridotti tutti entro un circuito di case ristretto e chiuso, « quod vulgo ghettum appellari consuevit ». Di fatti con l’appoggio dei rettori della città il vescovo vi era riuscito nel 1599. Nel 1600 secondo la Informazione vi erano « teste quattrocento circa »: nel 1606 secondo la Relatio erano circa cinquecento. Le chiusure furono tolte sulla fine del secolo XVIII.
Diamo pure un cenno dell’Accademia Filarmonica; giacchè di essa pure si occupa la Reletio, dicendo che essa abbastanza antica vige, anzi fiorisce.
Fondata in Verona nel 1543 in origine tendeva solo alla coltura della musica, ma poi estese i suoi studi alle lettere e belle arti: di essa fu membro assai onorato il vescovo Agostino Valier, nominatone Protettore nel 1602(49). In essa, come dice la Reletio, i giovani nobili si esercitavano nella musica, sia di voce, sia di mano, e ciò senza pregiudizio della modestia o dignità; inoltre di spesso uomini dotti (oltre il Valier vi erano Francesco Pola(50), Ottavio Cipolla ed altri illustri Veronesi) vi trattano argomenti belli ed utili in diverse materie scientifiche.
NOTE
38 – BAGATTA, Storia degli spedali ed altri istituti in Verona (Verona 1862).
39 – VENTURI, Storia di Verona, II, pag. 225.
40 – CANOBBIO, Breve compendio … della sua historia di Verona (Verona 1598).
41 – BALLERINI, Giberti opera, pag. 228. Ne abbiamo trattato nella nostra monografia G. M Giberti P. II. Capo X
42 – SIMEONI, Guida di Verona, pag. 225.
43 – Lib. Visito XIV nella Curia vescovile.
44 – BIANCOLINI, Chiese di Verona, Lib. V, P. 11, pag. 163, riporta la lettera del vescovo: « Alle Convertite nostre in Cristo dilettissime ».
45 – Era la chiesa, presso la quale sarebbe la pretesa tomba di Giulietta e Romeo.
46 – Ne abbiamo trattato in questi, Cenni storici, Ep. III, Capo XXI. Si vegga anche BALLERINI, De jure divino circa usuram, II, 245 – 256 (Bononiae 1747).
47 – BALLERINI, Op. cit., II, 108.
48 – La località del Fonteghetto è ora indicata da un vicolo, che ne porta il nome, presso la via S. Vitale.
§ 4 L’INTERDETTO 1606-1607
SOMMARIO – Deficienza di documenti – Il dissidio tra la S. Sede e la Repubblica di Venezia – La sentenza di scomunica ed interdetto – Relazione della Relatio – Il vescovo – I canonici – Sacerdoti e fedeli – Religiosi – Giustificazione.
Il vescovo Alberto Valier chiude la sua Reletio con alcuni cenni sull’interdetto, che colpì il Dominio Veneto, e quindi anche Verona negli anni 1606-1607. Sono però cenni un po’ vacillanti, forse perché egli pure, come lo zio Agostino, era veneziano.
Noi terremo conto di essi: però esporremo la storia di quell’interdetto, massime per quanto riguarda la città e diocesi di Verona, appellandoci ad altri documenti, che, pur troppo, dobbiamo confessare essere un po’ scarsi. Ci spiace soprattutto di non aver nè poter trovare in Verona due opere recenti, che forse ci potrebbero dare altri documenti per chiarire l’atteggiamento di Verona di fronte all’interdetto(51).
Già altrove abbiamo accennato alla causa delle discordie sorte sul principio del secolo XVII tra la Serenissima Repubblica e la Santa Sede.
Furono due: alcune leggi del Senato Veneto lesive del diritto della Chiesa a possedere liberamente beni temporali, e la carcerazione di due sacerdoti, un canonico vicentino e l’abate di Nervesa (degni di star in prigione), che la Santa Sede volea fossero consegnati al Nunzio Pontificio. Chi fomentava queste opposizioni della Repubblica ai diritti della Chiesa era il famoso frate Paolo Sarpi col suo confratello Fulgenzio. Dopo molte ed inutili trattative il pontefice Paolo V nel concistoro tenuto il 16 aprile 1606 interrogò ciascuno dei cardinali se si avesse a ricorrere a misure coercitive: quaranta di essi risposero affermativamente; il nostro vescovo Agostino Valier, non si oppose direttamente a questi rimedi estremi, ma solo propose una dilazione, anche a fine di non provocare mali maggiori: a lui aderì in qualche modo il card. Delfino vescovo di Vicenza. Ciò non ostante Paolo V nel giorno seguente fece pubblicare in Roma la bolla, nella quale si intimava la scomunica contro il Doge ed i Senatori, e l’interdetto su tutta la Repubblica, se entro 24 giorni non si ritirassero le leggi lesive dei diritti della Chiesa e non si consegnassero al Nunzio i due sacerdoti carcerati.
La notizia della bolla da Roma fu tosto divulgata in Venezia e in tutto il Dominio della Repubblica e, massime a Venezia, sollevò un vero pandemonio. Subito furono emanati ordini severissimi ai Rettori delle città, ai vescovi, ai superiori degli ordini religiosi, ai parrochi, ecc., nei quali sotto la minaccia di gravissime pene si proibiva la pubblicazione di quella bolla ed anche la semplice notizia della medesima: si prescriveva pure che in nessuna chiesa si osservasse l’interdetto, ma si continuasse a celebrare le messe e tutti gli altri divini uffici, a predicare, a confessare, a fare le esequie, ecc. ecc.: e tutto ciò sotto minaccia di confisca dei beni, di prigionia e forse anche di pena capitale.
Diremo di un fatto particolare. Un vicario di Padova, al quale il podestà intimava questa proibizione, avendo detto che sopra ciò farebbe quello che gli sarebbe inspirato dallo Spirito Santo: ed io, rispose il podestà, vi fo sapere che lo Spirito Santo ha già inspirato al Consiglio dei X di far appiccare tutti quelli che non obbediranno(52). E di simili fatti ne ricorrono ovunque.
Verso la fine di aprile fu trovato a Verona scritto sui muri Viva il Papa. Fu un delitto enorme. Il Consiglio dei X, « stimando per ogni rispetto grandemente considerabile l’accidente di persone che avevano avuto ardire di promuovere novità di tanto scandalo ordinò si cercassero e si punissero grandemente i rei»(53). Inoltre per deliberazione presa in Senato l’8 maggio fu spedito al Papa un protesto, sottoscritto da sette teologi, ma composto dal Sarpi; in cui si dichiarava esser nullo il decreto pontificio: il protesto fu tosto pubblicato in tutte le città dello Stato, anche a Verona.
La sentenza di scomunica e di interdetto, proferita nel concistoro il 16 aprile 1606, pubblicata in Roma il giorno seguente, avea vigore per l’11 o 12 maggio: fu ritirata il 21 aprile 1607(54).
Lasciando a parte la scomunica al Doge ed altri magistrati, a noi interessa un punto solo; quello, cioè, di sapere come si diportò la città e diocesi di Verona riguardo all’interdetto; e come questo con tutte le sue conseguenze fu osservato, nonostante le minaccie e le esecuzioni inflitte ai sacerdoti e religiosi, che non celebrassero la messa e gli altri offici, ed ai fedeli che per ubbidire al Papa si astenessero dall’intervenire alle sacre funzioni.
Il documento principale per questa ricerca dovrebbe essere la Reletio, compilata durante l’interdetto, a nome del vescovo, ed a scopo di riferire lo stato della chiesa veronese.
Ma essa, oltrecchè ha almeno due incisi indecifrabili, usa forme di dire troppo generali ed ambigue, e quindi insufficienti a farci conoscere se e fino a qual punto la chiesa veronese osservasse l’interdetto.
Parlando di sè il vescovo dice: « Ipse in primis … religione et debita oboedientia erga sanctam Apostolicam Sedem flagrans, in magnum rerum discrimen adducti sumus ». Dice che di simile spirito erano i sacerdoti veronesi e tutto il clero; e soggiunge: « omnes fere, quantum fieri potest, parere nituntur interdicto, quod magna ex parte sequuntur ».
Aggiunge che tutti, compreso il vescovo « ob illatam vim et metum magno moerore afflicti » vorrebbero ubbidire; ma non lo possono fare « sine magno vitae discrimine ».
Quanto al popolo, « qui singulari Dei beneficio semper catholicus exstitit », dice che si mantiene fermo nella vera religione, se si adopera ogni mezzo per evitare il pericolo che esso perda irreparabilmente la fede (qui è nel testo una lacuna), ed aggiunge « pietatis opera, ut ante, vigent ». – Che cosa possiamo ricavare di certo da questa relazione sull’ osservanza dell’interdetto?
Cominciando dal vescovo, parrebbe che egli lo avesse osservato rigorosamente, attesa la professione dell’ubbidienza dovuta alla Santa Sede: ma simili professioni generiche le faceva in alcuni atti di questo tempo anche la Serenissima. Secondo le teorie diffuse in quell’ epoca, altro era ubbidire alla Santa Sede, altro era ubbidire al papa Paolo V. Ma v’ha di più. In un ordine dato il 16 agosto di quell’anno ai rettori di Verona il Senato imponeva « che il vescovo di Verona, del quale la Repubblica era paga e contenta, consegnasse ai rettori qualsivoglia lettera da Roma o dai vescovi ai confini »(55). Veramente quell’elogio al nostro vescovo fa sospettare che di lui non dovesse esser paga e contenta la Santa Sede.
La Relatio non ci dice se osservassero l’interdetto i canonici della cattedrale. Secondo un documento dei primi giorni di maggio parrebbe che nella cattedrale l’interdetto fosse osservato secundum quid.
Il padre Ludovico Gagliardi superiore dei Gesuiti di S. Sebastiano, chiamato presso i rettori di Verona a dichiarare se i Gesuiti intendessero ubbidire al Papa, oppure agli ordini del Senato, rispose che egli, appoggiato ad una decretale di Clemente V, senza scrupolo, nell’ osservanza dell’interdetto avrebbe in tutto seguito l’esempio della cattedrale; ma il di appresso, avendo ricevuto lettera del P. Provinciale con ordini precisi del P. Generale e di Sua Santità, si protestò che egli ed i suoi avrebbero a qualunque costo obbedito alla decisione di Roma(56). Dunque l’osservanza dell’interdetto nella cattedrale non era conforme alla decisione di Roma: tutt’al più sarà stata parziale, forse limitata ad alcune esteriorità più solenni. Di più non sappiamo.
Così nulla sappiamo dei sacerdoti delle altre chiese. Ma difficilmente si può sperare che essi osservassero perfettamente l’interdetto, quando non veniva loro il buon esempio dall’alto.
Una Relazione di Giulio Contarini letta al podestà il 17 luglio diceva: « I Veronesi (forse più laici, che ecclesiastici), sempre fedelissimi alla Repubblica, raggirati dai Gesuiti (erano partiti da Verona il giorno 11 maggio) non manifestarono quella ilarità et quel fervore che altre volte ha accompagnato le deliberazioni della Serenità Vostra »(57). Il Dolfin scriveva: « Brescia e Bergamo sono le città che ci travagliano più delle altre »(58).
I Gesuiti partirono da Verona il giorno 11 maggio, colpiti dal bando perpetuo della Repubblica, costretti a lasciare qui tutti i loro beni, senza facoltà di portar seco neppure uno stecco delle cose di casa … pronti a partire anche in camisa, piuttosto che mancare all’obbedienza dovuta al Papa(59)
I Cappuccini ed i Teatini partirono il giorno 16, per non trovarsi nella necessità di cessare dalla celebrazione della messa e degli altri divini officii.
Dunque gli altri religiosi, Francescani, Serviti, Carmelitani, Camaldolesi ecc., rimasero nei loro conventi, forse riducendo un po’ le solennità delle sacre funzioni.
La Relatio aggiunge che « postea nonnulli monasticorum Superiores, quidam Parochi aliique Presbysteri, tam civitatis, quam dioecesis, clam aufugerunt ». Per l’assenza di questi il vescovo trasferì nella casa del seminario il ginnasio, che si solea aprire nel palazzo vescovile.
L’ultima notizia che ci dà la Reletio, è: « Et cum absint Reverendi patres Jesuitae, alii electi sunt praeceptores, viri litterati, qui omnia eorum studia ad Clericorum Seminarii utilitatem conferunt, ac nulla in re illis desunt, in reliquo nil est immutatum. – Oremus omnes Deum optimum etc. ». Così termina la Relatio.
L’interdetto dopo varie trattative, specialmente per l’interposizione del re di Francia Enrico IV, fu ritirato e cessò il giorno 21 aprile dell’anno 1607.
Nonostante moltissime ricerche intorno al contegno della nostra città e diocesi, non abbiamo trovato altri particolari sulla maggiore o_ minore osservanza delle proibizioni date dalla Santa Sede(60).
A giustificare in qualche modo l’adattamento d’una grande parte del nostro clero secolare e regolare alle proibizioni date dalla Serenissima di cessare dalle sacre funzioni, osserviamo che quelle proibizioni erano sancite con pene gravissime e perfino con la pena di morte. Ora qui non si tratta di negare la fede od il dovere di ubbidire agli ordini della Chiesa: si trattava della inosservanza di una legge determinata della Chiesa, nel qual caso i teologi con Sant’Alfonso insegnano che secondo l’intenzione stessa del legislatore « lex ecclesiastica cum gravi incommodo non obligat ». Certamente agirono meglio i Gesuiti, protestando francamente che essi ubbidirebbero agli ordini di Roma anche sotto la minaccia della pena di morte intimata loro dal doge(61)(f).
NOTE
49 – CANOBBIO, Breve trattato sopra le Accademie (Venezia 1571).
50 – Alla morte del Valier questi ne tenne presso gli accademici uno splendido elogio funebre.
51 – CAPPELLETTI, I Gesuiti e la Repubblica di Venezia … (Venezia 1873); CORNET, Paolo V e la Repubblica Veneta (ediz. Venezia 1873). Se talvolta citeremo la prima opera e la veneta edizione della seconda, lo faremo di seconda mano.
52 – BERCASTEL, Storia del cristianesimo. Libro LXXI, Num. 282.
53 – CORNET, Paolo V e la Repubblica veneta. Docum. 25, pag. 36 (Edizione di Venezia 1873).
54 – La Congregatio in Concistorio segreto 15 Aprilis 1606 è riportata letteralmente da ROMANIN, Storia documentata dalla Repubblica Veneta. Vol. VII, Docum. I pag. 561 – 568.
55 – CORNET, Paolo V e la Repubblica veneta, pag. 127, Nota 8 (Ed. Vienna 1859).
56 – CAPPELLETTI, I Gesuiti e la Repubblica di Venezia. Docum. 29, 30.
57 – CORNET, Op. cit., Append. Num. XVII, pag. 322 (Ed. Vienna)
58 – CORNET, Op. cit., Docum. 80, pag. 112 (Ed. Venezia).; dunque tra queste non era Verona.
Quanto ai religiosi in generale è troppo eloquente una comunicazione del Senato all’ambasciatore presso la Corte Cesarea, data il 14 giugno: « Abbiamo trovato ogni maggiore obbedienza e prontezza nei nostri religiosi, eccettuati li Cappuccini, Gesuiti e Teatini » CORNET, Op. cit; pag. 118 (Ed. Vienna).
59 – CAPPELLETTI, I Gesuiti… Docum. 10.
60 – Se qualcuno potesse e volesse comunicarci altre notizie, le pubblicheremo, come supplemento.
61 – CAPPELLETTI, I Gesuiti…, Docum. 23, 36, ecc.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. IX (a cura di Angelo Orlandi)
a) Recentemente sono state pubblicate le relazioni dei rettori veneti in Terraferma, che, per tutto il periodo del dominio veneziano, forniscono utili informazioni e specialmente per questo secolo, sulle condizioni civili ed economiche e qualche volta anche su aspetti religiosi. ISTITUTO DI STORIA ECONOMICA – UNIVERSITÀ DI TRIESTE, Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma. IX: Podestaria e Capitanata di Verona (A cura di Amelio Tagliaferri) Milano, 1977, pp. LXXXVIII-640. (Quando ci servirà, d’ora in poi si citerà: Relazioni dei Rettori, IX, pp.).
b) Non si tratta di Correzzo e Pradelle di Gazzo Veronese, che non appartennero mai a Mantova, ma di Correggioli presso Ostilia e Pradello vicino a Villimpenta. Cf. F. SEGALA, Correzzo. Profilo di storia locale, Verona 1978, pp. 72-73.
c) La Relatio sul dato di 10 monasteri e conventi nella diocesi non pare esatta; vi era infatti un convento di Francescani a Legnago, vi era quello dei Carmelitani a S. Felice del Benaco e forse sussistevano ancora quelli dei Domenicani a Soave e a Porto di Legnago. Per i primi si vede: C. BOSCAGIN, Storia di Legnago, Verona 1966, pp. 225-228; S.M. PIZZOL, Il Santuario del Carmine di S. Felice del Benaco, Vittorio Veneto 1962, p. 80.
d) Le Orsoline erano certamente presenti in Verona nel 1570, quando il vescovo Agostino Valier diresse loro una lettera. Le regole furono dallo stesso vescovo approvate nel 1586. A. VALIER, Lettera alla Compagnia di S. Orsola della città e diocesi di Verona, Verona 1570; Regola della Compagnia delle vergini di S. Orsola fatta nella magnifica città di Verona l’anno del Signore 1586, Verona 1594, pp. 26.
e) Per le vicende degli ospedali e per l’assistenza agli esposti si vedano: V. FAINELLI, Storia degli ospedali di Verona dai tempi di San Zeno ai giorni nostri, Verona 1962; G.F. VIVIANI, L’assistenza agli « esposti »nella provincia di Verona (1426-1969), Verona 1969.
f) Si può ritenere che l’interdetto fu osservato solo parzialmente, cioè solo limitando le solennità esterne. Il 27 luglio 1606 il podestà di Verona Giulio Contarini presentava a Venezia la sua relazione, in cui del vescovo di Verona diceva: « … non ha da dubitar punto la Serenità Vostra che esso Reverendissimo Vescovo non sia per mostrarsi sempre devotissimo et ossequentissimo figliuolo di questa Repubblica, potendo io per il vero confessar non solamente di non aver avuto con sua Signoria Reverendissima alcuna minima difficoltà o contesa né di giurisditione né d’altro, ma che in queste turbolenze ecclesiastiche ha usata tanta prudenza et circonspettione che con l’esempio della sua chiesa cathedrale si sono confirmate anco le altre chiese et monasteri nella ubidienza della Serenità Vostra, appresso la quale anco per questo rispetto egli viene a meritar gran laude », Cf. Relazioni dei rettori veneti IX, p. 172.
Anche successivamente il vescovo Alberto Valier sarà elogiato per questa piena soggezione alla Repubblica. Vi è il sospetto che anche la Relatio così ampia e minuziosa sia stata preparata anche in vista di influire su Roma, dimostrando che un popolo così ricco di elementi cristiani non meritava il rigore dell’interdetto; e forse voleva far riflettere anche i magistrati della Repubblica.
Fonte: srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II.