Gen 18 2016

CONFESSIONI DI UN NOSTALGICO

Category: Società e politica,Storia moderna e revisionismogiorgio @ 00:02

Milano-famiglia-ventennio

 

 

Di Gianfredo Ruggiero

 

Ebbene si, lo confesso: sono un nostalgico.

 

Rimpiango quel periodo della nostra storia recente quando i nostri nonni potevano lasciare la porta aperta e dormire con le finestre spalancate. Ora, invece, siamo costretti a barricarci in casa con allarmi e porte blindate.

 

Allora si poteva passeggiare fino a notte fonda senza temere nulla e non c’erano, come adesso, telecamere ad ogni angolo di strada, carabinieri, polizia, vigili e vigilantes.

 

Per ritirare la pensione la nonna non aveva bisogno della scorta armata, bastava il nipotino.

 

Le piazze e le strade erano dei cittadini e non delle prostitute, degli spacciatori o dei balordi d’ogni specie ed etnia.

 

Il pugno duro del regime e la piena occupazione, che tolse manovalanza alla criminalità, costrinse la Mafia a traslocare in America dove, non a caso, trovò terreno fertile per prosperare e prepararsi a tornare in Patria con i liberatori americani.

 

Per punire i delinquenti allora bastavano poche carceri perché la giustizia ordinaria funzionava davvero(1). Ora invece le prigioni scoppiano, anche a causa della delinquenza immigrata, della lentezza della giustizia che trattiene in carcere imputati ancora in attesa di giudizio(2), e alla politicizzazione e smania di protagonismo di parte della Magistratura a cui è concessa assoluta libertà e totale impunità, anche quando commette gravi errori.

 

I dipendenti statali, è vero, erano privilegiati, ma sentivano la responsabilità del ruolo svolto e rispondevano col massimo impegno e se meritevoli facevano carriera. Provate ora ad andare in un qualsiasi ufficio pubblico e vi accorgerete come lo Stato non faccia differenza tra un dipendente coscienzioso ed uno lavativo.

 

I giovani venivano educati al senso civico(3), all’amor di Patria, al rispetto per il prossimo e al cameratismo. Sapevano cos’era il sacrificio e lo sport era il loro principale svago. Ora invece…lasciamo perdere.

 

Le famiglie – e per famiglie intendo quelle vere e non i surrogati gay   facevano figli perché lo Stato le sosteneva con Istituiti, molti dei quali poi abrogati, come l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, gli assegni familiari e l’esonero dal pagamento delle tasse per le famiglie numerose e indigenti, le case popolari, le colonie per i figli degli operai, ecc.(4).

 

Le famiglie povere facevano sacrifici per istruire i loro figli, ma avevano la certezza che una volta conquistato (si, conquistato perché allora si studiava sul serio) il tanto agognato pezzo di carta” i loro figlioli avevano un futuro certo e ben retribuito e se non avevano voglia di studiare un posto da muratore, operaio o contadino per loro si trovava. Per questi lavori ora ci sono gli immigrati.

 

I treni popolari hanno permesso ai meno abbienti di conoscere l’Italia e i dopolavoro di dare svago e istruzione agli operai.

 

In ogni città sorgevano le colonie elioterapiche per la cura di malattie croniche, come la tubercolosi e la TBC, allora molto diffuse.

 

Il sostegno del Governo per il rilancio dell’economia, l’enorme piano di opere pubbliche, i nuovi servizi e le bonifiche integrali del Regime hanno permesso di estendere a tutta l’Italia la piena occupazione e, di conseguenza, a ridurre il fenomeno emigratorio (prima dell’avvento del Fascismo la fame e la mancanza di lavoro costringeva le nostre braccia ad emigrare in paesi dove gli italiani venivano spesso sfruttati e mal tollerati).

 

Un operaio con il suo lavoro e con l’aiuto della moglie che praticava una sana economia domestica riusciva a mantenere una famiglia, spesso numerosa, e a mettere da parte qualche soldo per poi, una volta andato in pensione, grazie alla liquidazione (istituita in quegli anni), riscattare la casa in affitto e vivere serenamente la sua vecchiaia. Adesso, a parte i ricchi e chi eredita la casa dei nonni, quale famiglia è in grado di comprarsi un pur modesto appartamento in periferia? E la pensione? Per i giovani di oggi una chimera.

 

Le Fabbriche per produrre bene e a costi contenuti non avevano bisogno del lavoro precario e della mano d’opera extracomunitaria di oggi. Anzi, sia imprenditori che operai avevano uno stimolo in più per dare il meglio di sé: fare grande l’Azienda per fare grande l’Italia.

 

Le più grandi Aziende italiane sono nate, o si sono consolidate, proprio in quegli anni grazie alla diffusa libertà d’Impresa assicurata dal Governo (si soppresse la libertà politica per esaltare le libertà civili, afferma lo storico Gioacchino Volpe) ed al controllo statale sul sistema bancario sottratto al potere dell’alta finanza e posto al servizio dell’economia, ma soprattutto grazie alla fiducia nelle Istituzioni e all’amor di Patria, quello vero non quello estemporaneo e patetico della nazionale di calcio o del 150° anniversario.

 

Si producevano di tutto, in Italia e con lavoratori italiani e l’agricoltura ci assicurava l’autosufficienza alimentare.

 

Ricordate la tanto sbeffeggiata campagna per il grano? E’ servita a ridurre la nostra dipendenza dall’estero(5), a dare lavoro ai nostri contadini e a risanare terre incolte. Adesso, in nome del libero mercato, importiamo di tutto, perfino i pomodori dalla Cina, gli agrumi da Israele e le verdure dalla Spagna e, nel contempo, distruggiamo le nostre arance pur essendo le migliori del mondo e multiamo gli allevatori che producono latte per poi importalo dalla Francia.

 

Si costruivano autostrade, ferrovie, acquedotti – come quello pugliese, il più grande d’Europa – e intere città rispettando tempi e costi, si bonificavano paludi e s’istituivano parchi nazionali.

 

L’Italia era un immenso cantiere, dalla Sicilia alle Alpi, e i servizi pubblici funzionava (i treni arrivavano veramente in orario). Ora per togliere la spazzatura dalle strade di Napoli è dovuto intervenire l’esercito. In compenso costruiamo ospedali e strutture pubbliche a costi esorbitanti per poi abbandonarli, come ci documenta quotidianamente “striscia la notizia”.

 

Per un semplice raccordo autostradale ci voglio decenni e i nostri pendolari  sono ammassati in vagoni fatiscenti o costretti ad alzarsi all’alba per prevenire il traffico.

 

Con lo slogan “nulla si distrugge” fu avviata, nel 1939, una capillare raccolta differenziata porta a porta per il riciclaggio dei rifiuti.

 

Il terremoto dell’Aquila ha distrutto tutti gli edifici, tranne quelli costruiti in epoca fascista, un caso?

 

Le Università sfornavano fior di laureati che sarebbero diventati capitani d’industria, economisti affermati, scienziati di alto livello o uomini di Stato. I grandi statisti del dopoguerra, i Moro, i De Gasperi, i Berlinguer e lo stesso Presidente Napolitano si sono formati come politici integerrimi proprio durante gli anni del Fascismo. Oggi non esistono più statisti, ma solo politicanti che badano ai loro interessi personali e di parte e solo di riflesso a quelli nazionali.

 

I conti pubblici erano in ordine. Il 1° Aprile del 1924, dopo soli 18 mesi di governo, senza imporre nuove tasse o incrementare quelle esistenti e senza deprimere l’economia il Ministro delle Finanze De Stefani poté annunciare il raggiungimento del pareggio di bilancio.

 

La crisi finanziaria di Wall Street del ’29, che – come oggi – mise in ginocchio tutte le economie occidentali, fu assorbita senza grossi traumi grazie al vasto piano di opere pubbliche varato dal Governo e allo Stato Sociale istituito dal Fascismo.

 

Dal 1992 è in atto la vendita (o meglio la svendita) dei beni dello Stato. Beni immobili, demaniali, Aziende e partecipazioni azionari. Ma questi beni quando sono stati creati se non in buona parte durante il fatidico ventennio?

 

L’attenzione del fascismo alla cultura non fu da meno. Istituti come l’Accademia d’Italia, l’Enciclopedia Italiana, i littoriali della Cultura, l’Istituto Nazionale di Cultura, la Biennale di Venezia, la Mostra Internazionale del Cinema (la prima al mondo, istituita nel ‘32), divennero subito palestre per le migliori menti e permisero a intellettuali, artisti e uomini di cultura dell’epoca di affermarsi e di proseguire la loro attività anche dopo il Fascismo.

 

In quegli anni si aprono biblioteche pubbliche, teatri e cinematografi in ogni città e si assiste ad un fiorire di riviste e giornali.

 

La radio fa la sua prima apparizione come pure le prime trasmissioni televisive. Cinecittà apre i battenti.

 

Nell’arte, nel costume e nella comunicazione il futurismo, uno dei pilastri della cultura fascista,  svecchiò l’Italietta borghese e bigotta.

 

La minigonna, quella di Mary Quant degli anni sessanta, la vediamo proprio in quegli anni, nei saggi ginnici delle studentesse fasciste.

 

In campo architettonico un nuovo stile, il razionalismo italiano di Piacentini e Terragni, ha saputo conciliare la tradizione romana con il modernismo più avanzato.

 

L’Italia primeggiava in tutti i campi, nella scienza con Enrico Fermi e suoi avanzatissimi studi sull’energia nucleare, nella tecnica con Guglielmo Marconi inventore del telegrafo, nell’aeronautica con Italo Balbo. Umberto Nobile, con i suoi dirigibili, fu il primo al mondo a raggiungere il  Polo Nord.

 

Perfino nello sport la nuova Italia si impose vincendo in continuazione olimpiadi e mondiali di calcio(6).

 

In soli 15 anni il nostro Paese, arretrato sotto ogni punto di vista, si trasforma in uno Stato moderno ed all’avanguardia mondiale nel campo sociale, tecnico ed economico.

 

Ora invece siamo un paese super indebitato e succube dei mercati, con una disoccupazione crescente e una immigrazione senza freno, una economia depressa e una pressione fiscale asfissiante, giovani senza futuro e politici affamati, delinquenza dilagante e mafie radicate, Stato sociale distrutto e diritti dei lavoratori cancellati: questa è l’Italia nata dalla resistenza.

 

Non tenere conto di quanto di positivo fu realizzato durante il Fascismo in un momento drammatico e senza futuro come quello attuale non è solo da stolti presuntuosi, è da criminali.

 

Qui non si tratta di riscrivere la storia, ma di studiarla per trarne benefici, tenendo ben presente che l’alternativa non è tra libertà e dittatura, come vorrebbero farci credere i nostri politici e i tanti che in questo sistema ci sguazzano, ma tra una democrazia fallimentare ed una che funziona, tra un sistema basato sul potere assoluto e soffocante dei partiti e un rinnovato Stato Sociale a Democrazia Diretta.

 

Il Fascismo che voglio ricordare non è quello della guerra persa o della lotta fratricida che hanno portato in sé morte e distruzione, questo lo sappiamo già, ci viene rammentato con ossessione da oltre sessant’anni, quello che voglio ricordare è il Fascismo sociale che ha modernizzato un Paese arretrato.

 

Un Paese, l’italietta giolittiana, privo di servizi pubblici. L’istruzione era un privilegio di pochi e la sanità esclusivamente privata.

 

Un Paese dove vigeva il lavoro minorile e costringeva le sue braccia ad emigrare, dove – come nel resto del mondo – gli operai non avevano né pensione, né liquidazione e se si ammalavano si dovevano arrangiare. Questa era l’Italia prefascista e che ora sta velocemente ritornando.

 

E’ vero il fascismo si affermò anche con i manganelli e l’olio di ricino (i social-comunisti che negli anni precedenti hanno terrorizzato l’Italia  non erano certo da meno e a differenza dei fascisti usavano roncole e pistole(7)), ma quale rivoluzione avvenne senza un minimo di violenza? Pensiamo alla madre di tutte le rivoluzioni, quella francese, da cui nacquero le attuali democrazie capitaliste, cosa fu se non un’immensa carneficina? Pensiamo alla rivoluzione bolscevica con il suo corollario d’orrori, per non parlare delle stragi partigiane che hanno accompagnato la lotta di “liberazione” e le nefandezze dei Savoia nel sud d’Italia in epoca risorgimentale.

 

Il Fascismo fu una dittatura? Anche questo è vero, ma che razza di dittatore fu mai questo Mussolini se per rimanere al potere non ebbe bisogno di campi di concentramento, fosse comuni e deportazioni  di massa?

 

Che invece di fucilare i suoi oppositori, come facevano i suoi colleghi Hitler e Stalin, li mandava al confino trovandogli casa e passandogli un vitalizio? E permetteva a Gramsci, uno dei pochissimi avversari incarcerati, di scrivere i suoi libri contro il regime e di assisterlo, quando si ammalò, in una clinica privata a spese dello Stato?

 

Gli si rinfaccia di essere entrato in guerra (poteva forse restarne fuori?(8)), ma adesso, dopo quasi settant’anni, siamo forse in pace?  Non vi è angolo del mondo senza guerre, ingiustizie, fame e miseria. Grazie anche alle ingerenze “umanitarie” dell’occidente e alle multinazionali degli armamenti che non lavorano certo per la pace.

 

Mussolini fece molti errori, come l’anacronistica guerra coloniale, le vergognose leggi razziale e la guerra persa a fianco di un alleato che non volle scaricare quando le vicende belliche volsero al peggio, ma pagò. Pagò con la vita e con lo scempio del suo corpo.

 

Quanti dei responsabili dello sfacelo in cui si trova oggi l’Italia stanno pagando per la loro incapacità e bramosia di potere.

 

E ora che le vestali dell’antifascismo si scatenino pure!

 

 

Gianfredo Ruggiero

 

 

Note.

(1)    Per non inquinare la giustizia civile furono istituiti i tribunali speciali che giudicavano i reati connessi alla politica e contro lo Stato. Vigeva la pena di Morte è vero, ma come deterrente. Infatti fu applicata in pochissimi casi e per reati particolarmente efferati (a differenza della democratica America  e della comunista Cina che ancora oggi mandano sulla sedia elettrica o impiccano decine di condannati a morte).

(2)    Circa il 40% della popolazione carceraria è in attesa di giudizio, metà della quale poi risulta innocente.

(3)    L’educazione civica era materia di studio.

(4)    Michele Giovanni Bontempo “Lo Stato Sociale nel Ventennio”, ed. I libri del Borghese, Roma 2010.

(5)    L’importazione del grano, principalmente dall’Argentina, fu ridotta del 75%.  Nel 1922 i braccianti erano oltre 2 milioni: nei primi anni del ‘40 il loro numero si ridusse a soli 700 mila, gli altri erano divenuti proprietari, mezzadri o compartecipi di piccole o grandi aziende. Nella sola Sicilia i proprietari terrieri passarono dai 54 mila a 223 mila.             

(6)    Secondo posto alle olimpiadi americane di Los Angeles del ‘32, duplice vittoria ai mondiali di calcio del ’32 e del ’34. Primo Carnera è campione mondiale dei pesi massini nel ‘33, Gino Bartali in quegli anni vince due giri d’Italia  nel 1936 e nel 1937 e un Tour De France nel 1938.

(7)    Durante il famigerato “biennio rosso” 1919-22 la sinistra massimalista mise a ferro e fuoco l’Italia con occupazioni di fabbriche e scioperi selvaggi, di aggressioni e violenze a carico dei soldati che tornavano dal fronte a cui la polizia e l’esercito rispondevano con altrettanto durezza e i padroni con le serrate. Il Fascismo si affermò anche come risposta dei ceti medi e popolari stanchi delle violenze dei social-comunisti e delle imposizioni dalle leghe rosse e bianche nelle campagne.

(8)    L’Italia non poteva rimanere fuori da un conflitto di dimensioni mondiali e che si sarebbe sviluppato nel Mediterraneo. Mussolini entrò in guerra un anno dopo in quanto perfettamente conscio dell’impreparazione militare dell’Italia e dell’assoluta inaffidabilità dei vertici militari ed in particolare di quelli della Regia Marina legati ai circoli massonici inglesi. Quando si decise a compiere il passo la Germania era vittoriosa su tutti i fronti, aveva occupato gran parte dell’Europa e si apprestava ad invadere l’Inghilterra. Con chi avrebbe dovuto allearsi l’Italia in quelle circostanze, con la parte soccombente per essere a sua volta occupata dai tedeschi?

 

 

Fonte: srs di Gianfredo Ruggiero, da Excalibur del   21 aprile 2012

Link: http://excaliburitalia.wordpress.com/2012/04/21/confessioni-di-un-nostalgico-2/

 

 

 

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