I primi secoli del Cristianesimo furono caratterizzati, oltre che dalle persecuzioni anticristiane poste in atto dai pagani, anche dal dilagare delle eresie. Sette, chiese e movimenti ereticali gnostici, dualistici, pseudo giudaici, orientaleggianti, misterici, apocalittici, sorsero come funghi in tutte le province del vasto Impero di Roma, seminando ovunque il loro devastante veleno e le loro assurde dottrine che si contrapposero alle mistificazioni e alle alterazioni del cristianesimo delle origini poste in atto dalla dominante Chiesa di Roma.
I Padri della Chiesa si trovarono in prima linea nel combattere queste deliranti eresie e dettero così vita ad una memorabile guerra intellettuale, teologica e filosofica, tra i campioni della libertà di pensiero e i rigorosi difensori dell’ortodossia cristiana.
In quei secoli, il veleno delle eresie si diffuse come una sorta di cancro malefico nel seno di tutte le comunità cristiane d’Oriente e d’Occidente, pullulando nel cuore stesso della Chiesa cattolica come un morbo immondo e compromettendone in vario modo l’unità e la stabilità.
Alcune di queste eresie pretendevano di definire e spiegare meglio, da un punto di vista meramente teologico e dottrinale, alcuni aspetti incerti e oscuri della teologia trinitaria cristiana. Altre, invece, erano bizzarre dottrine, molto stravaganti, piene zeppe di elementi fantasiosi e irrazionali, le quali elucubravano non soltanto sulla corporeità del Cristo o sulla perenne verginità della Madonna, ma anche sulla Natura dello Spirito Santo e sul presunto ruolo “sessuale” avuto da questi nell’Incarnazione del Cristo e sulla Sua compartecipazione alla Creazione del Mondo e dell’Uomo. Altre, invece, disquisivano e fantasticavano fino al delirio sulla natura dell’anima umana e sulle differenze esistenti fra le Tre Persone della Divina Trinità.
Su questi e su molti altri argomenti, ogni fondatore di setta, ogni filosofo gnostico ed ogni profeta eretico diede la propria versione dei fatti, il più delle volte discordanti e contrastanti tra loro, adducendo a sostegno della propria dottrina il fatto che tali “verità” erano state rivelate loro direttamente da Dio Padre, oppure dal Cristo, o dallo Spirito Santo, o dagli spiriti trapassati degli apostoli di Gesù o addirittura dei profeti dell’Antico Israele.
Si originò così una proliferazione mostruosa e smisurata di dottrine, di idee, di mitologie, di cosmogonie, di escatologie, di favole e di credenze che, spesso, rasentavano anche il ridicolo.
Eppure, queste dottrine eretiche e queste fantasie gnostiche seppero essere così affascinanti, tanto da attrarre nelle sette che le predicavano, anche arguti intellettuali e valenti filosofi, i quali rimasero incantati dai miti della Pistis Sophia, del Pleroma, delle Ipostasi degli Arconti, dell’Autogenerato e del Demiurgo.
A molti intellettuali dell’epoca, sembrò di ritrovare in tali dottrine buona parte dell’antica sapienza greca, cioè, di quella filosofia neoplatonica, stoica e aristotelica che ancora costituiva la colonna portante della cultura filosofica tardo antica.
Ma anche se gli gnostici saccheggiarono a piene mani la filosofia di Platone o di Plotino, le loro dottrine restano talmente intrise di elementi eterogenei provenienti dalla cultura giudaica, frigia, egizia, siriaca ed iranica, tanto che non possono essere assolutamente paragonate con l’ordine logico e la sobrietà di pensiero che caratterizzano le dottrine teologiche di Platone e di Aristotele.
Eppure, le fantasie mirabolanti degli gnostici riscossero un successo strepitoso, non solo tra le classi colte, ma anche tra le plebi delle grandi metropoli, le quali, all’epoca, pur nella loro ignoranza, partecipavano con estrema passione (e persino faziosità) alle dispute teologiche.
Sembra incredibile, eppure, tra il II e il V secolo dopo Cristo, nelle piazze di enormi città come Edessa, Cesarea, Alessandria, Tessalonica, Atene, Palmira, oppure tra le bancarelle dei mercati delle maggiori città dell’Asia Minore e dell’Oriente romano-bizantino, si poteva assistere a infervorate discussioni (che spesso terminavano anche con violente scazzottate) tra ariani e pauliciani, arcontici e seleuciani, bardesaniti e basilidiani, saturniani e valentiniani, e via dicendo.
Le disquisizioni teologiche sulla Natura del Cristo, sulla consustanzialità del Padre e del Figlio o sulla Verginità di Maria, provocavano dispute interminabili, accesissime, che si protraevano per ore ed ore, coinvolgendo passanti, mendicanti, stranieri, mercanti, talora persino soldati, e che terminavano, il più delle volte, in feroci risse o in violenti pestaggi che finivano col turbare la pubblica quiete e che, in taluni casi, dettero anche vita a rivolte popolari e a sommosse sanguinose duramente represse dal potere imperiale.
Alcune di queste sette eretiche furono perseguitate dalle autorità romane e bizantine a causa delle loro tumultuose predicazioni che turbavano l’ordine pubblico e la stabilità sociale dell’Impero. I Pepuziani in Frigia, i Circoncellioni in Numidia, i Pauliciani in Asia minore, i Bardesaniti in Siria, i Manichei in Egitto e in Palestina, conobbero a lungo l’estrema brutalità delle persecuzioni imperiali.
Le sette apocalittiche e quelle dualistiche furono le più duramente colpite, soprattutto sotto gli imperatori Teodosio e Giustiniano, quando ormai l’Impero aveva ufficialmente adottato il cristianesimo come religione di Stato.
Si trattò di repressioni spietate che diedero luogo a spaventosi crimini contro il libero pensiero, la libera fede e la libertà di coscienza: non si comprende infatti perché il manicheismo, il paulicianesimo e il bardesanismo, fossero ritenute così tanto pericolose dagli imperatori di Roma e Costantinopoli.
Le dottrine dualistiche che stavano alla base di queste ultime sopra citate tre eresie non erano certo le più perverse e le più depravate rispetto alle decine e decine di sette eretiche che pullulavano allora nel bacino del Mediterraneo: i Carpocraziani, i Fibioniti, i Cainiti, i Paterniani, i Menandriani, i Barbelognostici furono assai peggiori dei Manichei e dei Bardesaniti, se si esaminano le loro concezioni e le loro dottrine da un punto di vista etico-morale.
Eppure, tali sette, non vennero affatto perseguitate con la sistematica ed implacabile ferocia con cui invece, nell’Impero Romano d’Oriente, furono perseguitate le sette dualistiche. Talvolta, però, il potere imperiale, sobillato e istigato da quello ecclesiastico, colpì con spietata durezza soltanto i fondatori e i capi di queste farneticanti movimenti eretici.
Fu il caso, per esempio, di Priscilliano. Costui fu un colto ed aristocratico spagnolo, vissuto nel 300 dopo Cristo. Dopo avere aderito al Cristianesimo fu influenzato dalla dottrina dualistica manichea, che giudicava però troppo rigida sulle problematiche morali. Fondò così una setta, che da lui prese nome, i cui aderenti ritenevano che il mondo fosse conteso tra Dio e il Maligno, un mondo in cui le anime umane erano costituite dalla stessa natura e sostanza di Dio, il che le rendeva capaci di resistere alle tentazioni del Maligno.
Secondo Priscilliano fu il Maligno a creare il mondo materiale nel quale viviamo, e lo creò apposta per sedurre le anime umane e imprigionarle nella materia, chimera allettante e letale, la quale le ottenebra e le mantiene prigioniere grazie al fascino esercitato su di esse dai piaceri sessuali.
Ma sempre secondo Priscilliano, ogni anima umana è legata ad un astro e questo, con i suoi benefici influssi, può aiutarla a sottrarsi alla prigionia della materia. Inoltre, sembra che Priscilliano, al pari di altri gnostici licenziosi (ma potrebbe essere una menzogna diffusa ad ulteriore discredito di questo maestro eretico, in quanto le testimonianze antiche affermano che i priscillianisti avevano una rigida morale e praticavano astinenze sessuali, digiuni e distacco dai beni terreni) ), sostenesse che le anime, se vogliono sublimarsi ed elevarsi verso la sfera spirituale dell’esistenza, debbano prima mortificare il corpo immondo in cui sono rinchiuse, attraverso l’abbrutimento osceno nei piaceri carnali e nei gorghi delle bramosie sessuali, in quanto, soltanto dopo essersi abbrutita nelle laide bassezze della carne, l’anima è veramente disciolta da ogni appetito terreno e libera di ascendere verso le vette della suprema conoscenza spirituale.
Forse, a causa di questo eccessivo (ma ipotetico) libertinismo sessuale, unitamente alle sue concezioni dualistiche, Priscilliano venne arrestato e condannato, prima dal potere ecclesiastico e poi da quello imperiale, nonostante fosse stato nominato Vescovo di Avila.
Nel 380 subì una prima condanna e fu incarcerato. Nel 385, fu condotto a Treviri, in Germania, al cospetto dell’imperatore, l’usurpatore Magno Massimo, davanti al quale fu accusato di empietà, eresia e stregoneria. Sottoposto, insieme ai suoi più stretti seguaci, ad efferate torture tramite le quali i suoi carnefici ottennero una totale confessione delle colpe richieste, Priscilliano venne condannato a morte dall’imperatore. La condanna fu eseguita tramite decapitazione e insieme a Priscilliano furono uccisi anche i suoi seguaci Armenio, Eucrocia, Felicissimo, Latroniano, Aurelio e Assarino.
Quella di Priscilliano (il primo eretico affidato dalla Chiesa cattolica all’autorità civile affinché venisse da questa giustiziato per reati di empietà e stregoneria) fu una condanna spietata e brutale, che sconvolse molti ingegni cristiani dell’epoca, tra cui Martino di Tours e il vescovo di Milano, Ambrogio, il quale, nell’apprendere la notizia dell’avvenuta esecuzione del Vescovo di Avila, non esitò a dichiararsi inorridito.
Purtroppo, nei secoli a seguire, questa pratica aberrante di condannare a morte i fondatori di sette ereticali o i profeti di movimenti gnostici e dualistici continuò a diffondersi, soprattutto nei territori dell’Impero romano d’Oriente e, successivamente, in quelli di Bisanzio, ma anche nell’Impero persiano dei Sasanidi, dove, più di un secolo prima, era stato messo a morte il grande Mani, profeta e fondatore dell’eresia manichea.
Mani nacque in Mesopotamia, a Seleucia, nel 216 dopo Cristo. Suo padre apparteneva alla setta gnostica degli Elcasaiti e lo iniziò ben presto alle dottrine segrete della comunità. All’età di dodici anni e all’età di ventiquattro ebbe due rivelazioni angeliche che lo istruirono sulla grande missione che doveva compiere.
Iniziò a predicare le sue dottrine dualistiche, basate sul dissidio tra anima e corpo e tra luce e tenebra, nonché sull’eterna lotta cosmica tra il Re del Paradiso delle Luci e il Principe delle Tenebre, ovvero il Dio del Bene e d il Dio del Male, verso il 240, dapprima negli estremi territori orientali dell’Impero Sasanide (pare si sia recato anche in India, nell’attuale Punjab, e sino in Cina, nell’odierno Xinjiang, oltre che nei territori degli odierni Afghanistan e Pakistan) e poi nel cuore dello stesso impero iranico: nella Perside, nella Media, a Babilonia.
Il Re dei Re, Shapur I, incuriosito dalle voci che gli giungevano su questo nuovo profeta del Dio della Luce, gli concesse il grande onore di predicare a corte e di confrontarsi in pubbliche dispute con i magi zoroastriani, dei quali divenne ben presto acerrimo nemico.
Con la sua grande eloquenza e con il suo mirabile rigore morale, Mani riuscì a raccogliere attorno a sé centinaia di discepoli, gettando così i magi, timorosi di perdere i privilegi di cui godevano, in una crescente inquietudine. Questi, allora, gli mossero guerra, lo accusarono di eresia e di diffondere dottrine incompatibili con la religione di Zoroastro, e convinsero il Re dei Re Bahram I (successo nel frattempo a suo padre Shapur) a fare arrestare l’empio Mani.
Così il profeta venne incarcerato e gli fu impedito di predicare. Poi, istigato e sobillato dai magi (che vedevano in Mani un pericoloso rivale), Bahram decise di metterlo a morte.
Mani fu rinchiuso in una oscura prigione, con il collo, le braccia e le gambe gravati da pesantissime catene, dove venne lasciato a patire la fame e la sete, tormentato dagli insetti e dai topi. Infine, quando era già moribondo, venne decapitato, Gli furono mazzate anche le mani, poi, il suo corpo venne scorticato e la sua pelle, riempita di paglia, fu appesa alle mura di Ctesifonte, capitale dell’Impero Sasanide, mentre le sue mani e la sua testa furono esposte dinanzi alla porta d’ingresso della città. Il resto del suo corpo, come sommo gesto di spregio, venne dato in pasto ai cani randagi.
Dopo la sua morte, anche i discepoli di Mani vennero ferocemente perseguitati. A centinaia furono uccisi in Mesopotamia, nella Perside e in Armenia, dove si erano rifugiati. Moltissimi fuggirono in Siria, altri in Egitto e in Palestina, altri ancora in Cina e in India, sempre incalzati da persecuzioni spietate.
In questo modo, le dottrine dualistiche manichee si diffusero in tutto il bacino del Mediterraneo e in gran parte dei territori dell’Asia centrale.
Nell’Impero romano d’Oriente, la repressione contro i manichei fu particolarmente brutale. Dapprima furono perseguitati da Costantino e Teodosio, poi da Giustiniano, il quale, nel 527, promulgò addirittura un editto che prevedeva la pena di morte per i manichei e per tutti i seguaci delle eresie dualistiche (bardesaniti, arcontici, pauliciani), dando il via ad un vero e proprio soffocamento del libero pensiero teologico.
Un’altra illustre vittima gnostica del repressivo potere imperiale fu Patrizio, mago e astrologo, fondatore della setta dei Patriziani.
Patrizio predicò in Numidia, in Spagna e in Italia, approssimativamente tra la seconda metà del 200 e la prima metà del 300 dopo Cristo. Egli affermava che l’arcangelo Michele e Giovanni l’Evangelista, apparendogli in sogno per volere divino, gli avevano rivelato le supreme verità sul mistero dell’uomo e dell’universo, verità che erano state volutamente taciute dal Cristo, in quanto il Redentore si era rivolto soprattutto a pescatori, mendicanti, prostitute, usurai e gente incolta, incapaci di comprendere esoteriche dottrine.
Secondo Patrizio, la sostanza di cui sono fatti i corpi umani non fu creata da Dio bensì dal Maligno, il quale la utilizzò come un carcere immondo per imprigionarvi dentro le anime che l’Altissimo aveva inviato sulla Terra. Egli infatti riteneva che le anime tendono verso la Luce, ma il fatto stesso di essere imprigionate dentro quegli involucri di carne immonda che sono i nostri corpi, finiscono con l’essere condizionate dalla materia e quindi indotte a peccare. Liberandosi poi, con la morte, dalla prigione corporea, l’anima riacquisterà la perduta libertà e potrà tornare ad aspirare alle eterne beatitudini celesti.
Perciò, affermava Patrizio, la morte era un evento lieto, liberatorio, da ricercarsi a tutti i costi, in quanto restituiva la libertà all’anima, sottraendola per sempre alle laide, disgustose e volgari bassezze del corpo.
La predicazione eretica di Patrizio raccoglieva adepti e proseliti soprattutto tra i poveri, gli emarginati, i miserabili, gli schiavi, i sofferenti, gli ammalati, gli storpi, e tra tutti coloro per i quali la vita era un peso insopportabile.
Infiammati ed esaltati dalle virulente prediche di Patrizio, caratterizzate appunto da accese invettive contro la corporeità, la materia e la limitatezza umana, molti suoi seguaci giunsero a suicidarsi e a darsi spontaneamente la morte pur di affrettare la liberazione della propria anima.
In pratica, lo gnostico Patrizio si fece campione di una sorta di indefessa “esortazione al suicidio”, come già, secoli prima, aveva fatto il filosofo cirenaico Egesìa, che era chiamata con il sinistro appellativo di “avvocato della morte”.
Quando, però, iniziarono a suicidarsi alcuni giovanissimi rampolli di nobili famiglie i quali erano rimasti fatalmente sedotti dal lato oscuro della predicazione patriziana, le autorità imperiali lo fecero arrestare e processare. Condannato come “corruttore di giovani menti”, “istigatore al suicidio” e “perturbatore dell’ordine pubblico”, anche Patrizio, esattamente come Priscilliano, venne condotto al patibolo, forse nella prima metà del quarto secolo dopo Cristo. Fu decapitato, non si sa con precisione se in Spagna o in Nordafrica, su una pubblica piazza, e la sua setta venne perseguitata e dispersa con tale violenza che, nel volgere di pochi decenni, si estinse del tutto.
Ma nonostante queste feroci persecuzioni, nonostante tutte queste violenze e questi supplizi, le eresie continuarono a diffondere il loro devastante veleno tanto in Oriente quanto in Occidente. Infatti, non furono certo le persecuzioni di Costantino contro gli ariani, quelle di Teodosio contro i pagani o quelle di Giustiniano contro i manichei a fermare il dilagare delle eresie.
Il Cristianesimo, una volta entrato in combutta con il potere politico, fece della Chiesa una istituzione gerarchica che si comportò in maniera fanatica ed intollerante non solo contro ogni altra espressione religiosa, ma anche contro ogni forma di dissenso teologico o intellettuale.
Fu la Chiesa ad istigare imperatori come Teodosio a perseguitare i pagani e gli eretici, e fu una bigotta e fanatica religiosità ispiratagli dalla devozione totale verso la Chiesa a spingere Giustiniano ad emanare l’esecrando editto con il quale si condannavano alla pena capitale i seguaci del manicheismo e delle altre eresie dualistiche. Un editto, questo, seguito da quello che impose la chiusura delle scuole delle scuole filosofiche ad Atene (l’Accademia, il Peripato, la Stoa, il Giardino) infliggendo un ultimo terribile colpo alla cultura pagana e costringendo gli ultimi filosofi dell’Accademia a cercare scampo nella lontana Persia, alla corte degli imperatori sasanidi.
Ma nonostante tutti questi divieti e tutte queste persecuzioni, le eresie continuarono a diffondersi e a prosperare, tanto a Bisanzio quanto a Roma, anzi, ne sorsero addirittura di nuove, quasi a voler sfidare la dispotica autorità della Chiesa e dell’Impero.
Il diffondersi di così tante bizzarre eresie, da un lato fu testimonianza di una grande vivacità intellettuale e di una fortissima passione religiosa, dall’altro, però, manifestò apertamente la fantasia stupefacente e il personalismo delirante che si scatenarono con la diffusione delle dottrine cristiane con quelle dell’antica cultura filosofica pagana.
Furono infatti i vari tentativi di cristianizzazione del platonismo e di platonizzazione del cristianesimo a favorire la nascita di così tante bizzarre dottrine ereticali.
Questi assurdi connubi tra religione cristiana e filosofia pagana (ai quali occorre aggiungere anche una fortissima commistione di elementi propri della religiosità ebraica ed iranica) dette origine ad un proliferare inesausto di fantasie incredibili, di idee bizzarre, di dottrine aberranti, e persino di fantasticherie blasfeme e di reinterpretazioni allucinate dei Vangeli e delle Sacre Scritture dell’Antico Testamento.
Per esempio, Saturnino (o Saturnilo) di Antiochia, vissuto nella prima metà del II secolo dopo Cristo, discepolo di Simone Mago e di Menandro, portò alle estreme conseguenze l’eresia simoniana. Secondo Saturnino, il Dio buono, cioè il Padre Celeste, creò la vita spirituale (angeli, eòni, e ogni altra sorta di spiriti celesti) e le anime umane. Il Demiurgo, essere celeste perverso e malvagio, sorta di cattivo angelo bramoso di imitare la creatività divina (che Saturnino identifica con il feroce dio ebraico Jahwé), invidioso della perfetta creazione spirituale, volle stoltamente imitare il Padre Celeste e dette vita alla materia, creando il mondo fisico e i corpi umani.
Quando le anime decaddero dalla loro condizione originaria, furono imprigionate dal malvagio Demiurgo nei corpi materiali che egli stesso aveva creato, subendo così il ripugnante dominio della fisicità.
Secondo Saturnino, gli uomini si dividono in buoni e malvagi. Per la salvezza dei primi, il Padre Celeste inviò sulla Terra il Cristo, con al missione di indicare loro la via da seguire. Per i secondi, invece, non esiste salvezza, condannati come sono ad essere schiavi per l’eternità dell’iniquo Demiurgo.
Inoltre Saturnino affermava che non ci si deve nutrire di carne (essendo questa la più immonda espressione della materia), ingiungeva ai suoi discepoli di non sposarsi e non procreare (in quanto il desiderio dell’uomo e della donna di congiungersi e fare figli è desiderio immondo ispirato direttamente da Satana) e affermava che per volere del Padre, Cristo era venuto sulla Terra per distruggere il Dio dei Giudei (nient’altro che una spirito immondo e sanguinario, cioè un malvagio arconte) e per salvare i veri credenti (quelli dotati di una scintilla di vita divina infusa loro dal Padre), cioè i membri stessi della setta di Saturnino.
Ma pare che Saturnino sia stato anche predicatore di fantasie blasfeme che suscitarono ilarità e disgusto, come affermò Epifanio di Salamina, Padre della Chiesa, autore di un celebre trattato contro le eresie, intitolato Panarion. Per esempio, sembra abbia sostenuto che l’amore di Gesù per i suoi discepoli fosse anche un amore carnale, di natura sodomitica, come avveniva in gran parte delle scuole filosofiche pagane, dove, tra il maestro e i più fedeli allievi si instauravano intensi rapporti di erotismo maschile.
Secondo Saturnino (o forse, più realisticamente, secondo qualcuno dei suoi seguaci che poi attribuì al maestro queste fantasie invereconde), tale genere di rapporti era praticato anche da Gesù con alcuni dei suoi discepoli, e il favorito del Cristo pare fosse Giovanni l’Evangelista, il quale fu l’unico tra gli Apostoli che andò a piangere ai piedi della Croce e che mostrò nei confronti del Maestro nazareno un attaccamento quasi morboso e di totale sottomissione.
Si tratta di fantasticherie su Gesù che ben rivelano come le dottrine di questi eretici mescolassero elementi teologici e filosofici con elementi bizzarri e fantastici, frutto di invenzioni assurde e, talora, rasentanti persino il ridicolo, ma nel variegato mondo delle antiche eresie cristiane si possono davvero trovare ogni genere di assurdità.
Un’altra setta gnostica che predicava dottrine assurdamente fantastiche fu quella degli Arcontici, fondata nel IV secolo dopo Cristo da un vecchio sacerdote palestinese, di Cesarea, un tale Pietro da Cabarbaricha. Costui non aveva mai accettato il fatto che il Cristo non avesse esposto chiaramente e minuziosamente agli Apostoli una ben precisa dottrina teologica, ragion per cui aveva svolto l’intero suo ministero pastorale tentando di spiegare teologicamente ciò che era stato taciuto da Gesù di Nazareth a proposito della Creazione del mondo, della natura delle anime, della vita nell’Oltretomba, delle creature angeliche che reggono l’ordine cosmico per volere dell’Altissimo…
Intorno al 340 dopo Cristo, Pietro da Cabarbaricha ebbe una visione miracolosa che cambiò per sempre la sua esistenza. Nella notte tra il sabato e la domenica di Pasqua, nel chiuso della sua povera ed austera stanza da letto, apparve una colossale colonna di fuoco. A fianco della colonna fiammeggiante c’erano Mosé e al Beata Vergine Maria, mentre dal fuoco crepitante uscì la voce dello Spirito Santo.
Pietro fu destato di soprassalto e, inginocchiatosi con la fronte appoggiata al pavimento, ricevette dal Paraclito stesso la segreta dottrina degli Arconti, quella che il Cristo, secondo quanto affermato da molti intellettuali, aveva rivelato segretamente ai soli Apostoli.
Stupefatto e sconvolto, Pietro memorizzò prodigiosamente tutto ciò che lo Spirito Santo gli andava dicendo intorno alla dottrina degli Arconti. Poi, secondo le dicerìe degli gnostici, ad un tratto la sua perpetua ed un diacono (che vivevano insieme a Pietro), vedendo una gran luce filtrare da sotto la porta della stanza del sacerdote, vollero entrare per vedere di cosa si trattava.
Non l’avessero mai fatto! Lo Spirito Santo, che non voleva essere disturbato, fece diventare muta la perpetua e cieco il diacono, punendoli in tal modo per avere osato curiosare mentre era intento ad indottrinare il sacerdote.
Il mattino seguente, Pietro da Cabarbaricha, tutto infervorato, iniziò a predicare per tutta Cesarea la nuova dottrina rivelatagli dallo Spirito Santo, ma né i suoi parrocchiani né il suo vescovo vollero prestargli ascolto. Soltanto un giovane astrologo, che si guadagnava da vivere predicendo il futuro nelle piazze dei mercati e nei crocicchi delle strade, un certo Eutatto, lo seguì nella sua affabulata predicazione e divenne ben presto suo fido discepolo.
Accusato di eresia, Pietro da Cabarbaricha subì l’anatema dal proprio vescovo, così fu costretto ad abbandonare il sacerdozio. Si rifugiò allora presso una comunità di ebioniti che risiedeva lungo le sponde del Giordano, dove riuscì a convertire alle sue dottrine molte persone. Poi, intorno al 360, Pietro si ritirò con alcune centinaia di fedelissimi discepoli ai piedi di un’altura costellata di grotte, non lontano da Gerusalemme, e ivi compose gran parte delle opere letterarie che divennero i libri sacri della setta degli Arcontici.
Verso il 370, Pietro morì, pare soffocato mentre si ingozzava di datteri. Poco dopo, contro gli Arcontici, si scatenò una violenta persecuzione che costrinse Eutatto a fuggire dalla Palestina, portandosi dietro, però, tutti i libri sacri scritti da Pietro.
Rifugiatosi in Armenia, Eutatto prese a predicare e a diffondere la dottrina del maestro, raccogliendo attorno a sé molti seguaci, i quali, a loro volta, diffusero le dottrine arconti che in Siria, in Cappadocia, in Cilicia, in Mesopotamia, a Cipro e persino in Egitto.
Ma in che cosa consistevano queste strabilianti dottrine che, secondo quanto affermato da Pietro da Cabarbaricha, gli erano state rivelate addirittura dallo Spirito Santo? Secondo Pietro, il cosmo è costituito da Sette Cieli, ognuno dei quali è governato da un principe angelico (cioè, un Arconte), che vive circondato da legioni angeli aventi il compito di imprigionare le anime umane nella vile materia corporea.
Nell’ottavo cielo, infinito, che si estende al di là del ristretto dominio degli Arconti, dimora invece la Madre di Luce, che prova pietà per la sorte degli uomini e che li accoglie nel suo regno luminoso se le anime riescono a sfuggire agli angeli degli Arconti, ma che, in nessun modo, può intervenire in loro difesa contro gli stessi Arconti.
Il principe del settimo cielo, Sabaoth, dio dei Giudei, è, secondo la dottrina di Pietro, genitore del Demonio, ovvero Satana. Quest’ultimo si era ribellato all’autorità di Sabaoth ed era sceso sulla Terra. Ivi aveva sedotto la bella e ingenua Eva e si era congiunto carnalmente con lei, generando Caino, Abele e molti altri figli, i quali, poi, accoppiatisi oscenamente tra loro, generarono l’intera umanità.
Secondo quanto affermato da Pietro e da Eutatto, compito delle anime è raggiungere la Suprema Conoscenza, ovvero la Gnosi, alfine di sfuggire al potere tenebroso di Sabaoth e di volare attraverso i Sette Cieli sino a raggiungere l’ottavo, dove si viene amorevolmente accolti dalla Madre Suprema.
Pietro impose ai suoi discepoli norme comportamentali molto rigorose ed austere: dovevano essere poveri, praticare il digiuno, dedicare almeno metà della giornata allo studio e alla preghiera, astenersi dai piaceri carnali, evitare di sposarsi e concepire figli, maledire il nome di Satana appena alzati al mattino e prima di coricarsi la sera.
Inoltre, gli Arcontici negavano la resurrezione del corpo (il quale, dopo al morte, verrebbe completamente distrutto dalla decomposizione) e condannavano i Sacri Misteri della Liturgia cattolica, in particolare l’Eucarestia (che, secondo Pietro, istigava gli uomini a mangiare e a bere) e il Battesimo (quest’ultimo, soprattutto secondo Eutatto, era stato ispirato al Cristo nientemeno che da Sabaoth, con il fine di tenere le anime umane avvinte alla sua nefasta influenza tramite il magico potere dell’acqua).
Al pari dei seguaci di Saturnino, dunque, anche gli Arcontici fecero un uso sfrenato della fantasia, elucubrando dottrine assolutamente fantastiche che ebbero il potere di sedurre poeti, maghi, astrologi, fattucchieri, marinai, mercanti, avventurieri e monaci millenaristi, ma che non riuscirono affatto a contendere al Cristianesimo la grande massa dei fedeli, come invece auspicava Pietro da Cabarbaricha.
Costui inventò delle belle favole teologiche e cosmogoniche, anche molto poetiche, spacciandole quali rivelazioni dello Spirito Santo, ma non fu creduto dalla moltitudine delle masse cristiane, come invece desiderava.
Il che, ovviamente, dimostra come non sia possibile pretendere che una fantasiosa religione, creata dall’oggi al domani in seguito a un sogno, ad una fantasticheria (o ad un delirio), possa subitaneamente essere seguita e praticata da milioni di persone.
Quella fondata da Pietro da Cabarbaricha, così come quella fondata da Saturnino, non fu altro che una setta, una setta che comprendeva qualche migliaio di seguaci ma che non giunse mai a poter seriamente rivaleggiare con la religione cristiana.
Ma vi fu ancora un’altra setta gnostica che, attraverso dottrine fantastiche e comportamenti scellerati ed immorali, giunse a diffondere il proprio letale veleno psicologico tra le popolazioni latino-africane del tardo Impero romano, e cioè, quella dei Quintillianiti.
Il fondatore di tale setta, attiva nel Nordafrica (Numidia, Tingitania, Mauritania, Cirenaica) tra il terzo e il quinto secolo dopo Cristo, pare sia stata fondata da un certo Quintillo (da cui il nome), un losco individuo, piuttosto misterioso, una sorta di avventuriero che pare avesse fatto il marinaio, il mercante di schiavi, il tenutario di un lupanare e, infine, il taverniere. Dopo aver fatto parte, per qualche tempo, della setta dei Cainiti, che veneravano l’eòne Caino, Quintillo se ne distaccò e iniziò a predicare le sue dottrine, fondando una setta sua, che da lui prese nome.
Sembra che Quintillo si mise a predicare dopo aver fatto un sogno in cui gli erano apparsi Abramo, Maria Maddalena e Giuda Iscariota, i quali gli avevano rivelato che Cristo aveva scelto lui come suo nuovo apostolo, con il preciso incarico di avversare la legge mosaica, fonte di male non solo per i Giudei, ma anche per i cristiani.
Così, Quintillo iniziò a combattere la legge di Mosé affermando che non solo non andava rispettata, ma che, al contrario, il vero credente doveva praticare tutti gli atti proibiti dal Decalogo, in quanto era proprio questo che faceva davvero piacere al Cristo.
In breve tempo diventò un predicatore fanatico, e in base a quanto gli era stato rivelato in sogno da Abramo stesso, come egli sosteneva, esortava le masse a fornicare, a rubare, a dire falsa testimonianza, a commettere adulterio, a bestemmiare e a disprezzare i genitori, a rapire e a violentare le donne altrui.
Ovviamente, questo suscitò la condanna delle autorità ecclesiastiche e il drastico intervento di quelle imperiali, le quali presero ben presto a perseguitare la setta e il suo fondatore, ma, nonostante ciò, furono migliaia e migliaia i furfanti, i malviventi, i tagliagole, i ladri e i ribaldi di ogni risma che aderirono alla setta di Quintillo e che si dichiaravano pronti ad obbedire alle sue deliranti dottrine.
I loro testi sacre pare fossero due apocrifi, Il Vangelo di Giuda e L’Apocalisse di Caino, già testi in uso presso i più moderati Cainiti, che Quintillo rimaneggiò opportunamente e che fece circolare tra i suoi adepti. Oltre a Caino, che per Quintillo era un vero e proprio idolo, egli esaltava in maniera smodata anche la figura di Giuda Iscariota, il quale, come affermava, gli compariva più volte in sogno per rivelargli la volontà di Cristo.
Secondo Quintillo, Giuda era l’unico tra gli Apostoli dotato di vera conoscenza, ovvero la Gnosi, il solo mezzo che consente agli uomini di salvarsi e di liberarsi dalla prigionia immonda del mondo materiale. Egli sosteneva che Giuda aveva tradito Gesù di Nazareth non per malvagità ma per troppo zelo, in quanto riteneva che Cristo fosse un emissario del malvagio Demiurgo, noto come Jahwé, il terrificante e vendicativo dio degli Ebrei.
Per tale motivo, secondo Quintillo, Giuda non era stato condannato da Cristo, pur essendosi impiccato per disperazione. Anzi, al contrario, Cristo, appena risorto, era disceso agli Inferi e, insieme alle anime dei patriarchi, aveva liberato anche l’anima di Giuda, portandola con sé in Paradiso.
Oltre allo studio dei Sacri Testi e alla repellente messa in pratica dei cosiddetti “anticomandamenti”, Quintillo imponeva ai suoi seguaci di abbandonarsi a qualsiasi genere di esperienza sessuale, in quanto, attraverso il sesso, la carne viene mortificata e l’anima, finalmente liberata dalla bramosia della lussuria, può ascendere verso le mete superiori del pensiero, libera da qualsiasi condizionamento carnale.
Anche Quintillo (che fu attivo in tutto il Nordafrica, dalla Numidia alla Libia), come già Saturnino e Pietro da Cabarbaricha, utilizzò fantasie assurde e dottrine deliranti per proporre la sua visione della vita e dell’uomo. Ingiungendo però ai suoi discepoli di comportarsi esattamente al contrario di ciò che prescrivono i Dieci Comandamenti, avallò, sebbene indirettamente, furti, rapine, omicidi, stupri, tanto da indurre le autorità imperiali ad agire energicamente contro la setta, utilizzando la repressione più spietata.
A partire dall’impero di Alessandro Severo sino a giungere all’epoca di Teodosio, cioè all’incirca dal 220-222 al 450 dopo Cristo, i Quintillianiti furono sottoposti a brutali repressioni, caratterizzate da arresti, incarcerazioni, esecuzioni capitali.
Pare che lo stesso Quintillo (ma non ci sono fonti storicamente certe) sia stato decapitato, forse a Tagaste, durante il regno di Aureliano, nel corso di una persecuzione anticristiana durante la quale vennero uccisi anche centinaia di appartenenti ad altre sette gnostiche e pseudo giudaiche.
Eppure, nonostante tutte queste violenze, il veleno letale dell’eresia seguitò a diffondersi nel mondo cristiano e a conquistare alle proprie fantasiose dottrine anime e cuori insoddisfatti della scarsa sapienza teologica e filosofica dei predicatori cristiani. Infatti, uno degli elementi che maggiormente favorirono il nascere e il dilagare delle eresie gnostiche, fu proprio la scarsità di rivelazioni teologiche che caratterizzò negativamente la predicazione di Cristo.
Oltre all’esasperato protagonismo di tanti falsi profeti, maghi e ciarlatani che fondarono sette più o meno longeve, ci fu la colossale carenza di informazioni teologiche ed escatologiche nelle rivelazioni evangeliche ad indurre tanti cristiani a passare nelle file dei valentiniani, dei basilidiani, dei manichei, dei barbelognostici o degli arcontici.
La gente vissuta nei primi secoli del Cristianesimo – esattamente come gli uomini di oggi – non si accontentava di semplici insegnamenti come“Ama il prossimo tuo come te stesso”, “Chi di spada ferisce di spada perisce”, “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel Regno dei Cieli” e altre elementari sentenze del genere.
La gente, inquieta e dubbiosa, voleva risposte precise e dettagliate sulla natura di Dio Padre e del Cristo, sull’essenza dello Spirito Santo, sul mistero dell’Incarnazione e sull’enigma della Resurrezione, sulla natura degli angeli e dei demoni, sulle caratteristiche dell’Aldilà e sul destino delle anime dopo la morte del corpo.
A queste e a mille altre domande del genere, precise, minuziose, incalzanti, Cristo non volle dare esaurienti risposte, e neppure vollero darle i suoi Apostoli e i pontefici che vennero dopo gli Apostoli.
Ecco il motivo per cui sorsero così tante sette eretiche e così tanti movimenti gnostici: i loro fondatori – si chiamassero Saturnino, Carpocrate, Mani, Valentino, Cerdone, Ierace, Apelle o Bardesane – intesero, nei loro sistemi teologici e filosofici, dare risposte precise ed esaustive a tutti i sopra elencati quesiti lasciati irrisolti da Gesù e dai sui discepoli.
Essi vedevano che le masse non si accontentavano semplicemente di rispettare i Dieci Comandamenti o le Beatitudini del Discorso della Montagna: la gente esigeva, giustamente, descrizioni precise su come è fatto Dio, come è fatto l’Aldilà, come si vive nell’Oltretomba, di quali essenze spirituali sono costituiti il Logos Divino e lo Spirito santo Paraclito, come è fatta l’anima umana, quando verrà la Fine del Mondo, e i maestri gnostici, con le loro dottrine pur complicate e fantasticamente elaborate, tentarono di dare risposte soddisfacenti a queste pressanti richieste.
Perciò, non si può negare che il seducente veleno delle eresie si diffuse nel mondo cristiano soprattutto a causa della scarsità di precisazioni sulla natura di Dio e dell’Oltretomba e sul destino ultimo dell’Uomo, di cui, nella predicazione di Cristo e nei Vangeli non si parla né concretamente né esaurientemente. A ciò, e al già citato personalismo di cui accennavo poco fa, vanno aggiunti, ovviamente, elementi di rivendicazioni politiche e sociali, attese millenaristiche ed utopistiche speranze di giustizia sociale di cui, sovente, tali sette si fecero portavoce.
Ma furono soprattutto le mancate precisazioni di Cristo su tante questioni teologiche a far sì che le menti più curiose, più vivaci e più intelligenti, si rivolgessero alle sette gnostiche per ottenere quelle delucidazioni escatologiche che Gesù si era ostinatamente (e inspiegabilmente) rifiutato di rivelare sia alle masse sia ai suoi stessi Apostoli. Perciò, se le eresie ebbero così tanta diffusione nell’antichità cristiana, ciò è in massima parte da attribuire alla stessa incompleta ed imperfetta predicazione di Gesù di Nazareth (non basta resuscitare i Lazzaro, bisogna anche spiegare minuziosamente come è fatto e che cosa ci attende nell’Aldilà!).
Egli disse e non disse, rivelò poche cose e ne tacque moltissime, non dette delucidazioni precise in merito alle problematiche escatologiche e si rifiutò nel modo più assoluto di descrivere, nei minimi particolari, l’essenza e la natura di Dio, la vita delle anime nell’Oltretomba, l’organizzazione delle schiere angeliche e di quelle demoniache, le peculiarità di Dio Padre e della sua esistenza così misteriosa e così lontana dal mondo fisico dell’Uomo e dei suoi impellenti bisogni materiali.
Ecco perché le eresie, anche le più bizzarre, anche le più blasfeme, anche le più risibili e deliranti, trovarono un facile e fertile terreno umano nel quale attecchire ed ebbero l’opportunità di diffondersi tanto rapidamente in tutte le province dell’Impero Romano.
Il veleno seducente, affascinante, ma anche letale, delle eresie, insidiò la religione cristiana e ne intaccò le fondamenta, ma fu anche, al tempo stesso, un balsamo vigoroso per tutti quegli intelletti vivaci ed arguti che non si rassegnavano a veder spiegati i misteri di Dio, dell’Uomo e dell’Universo, in quelle quattro favolette per sognatori creduloni, riportate nei Testi Sacri del Nuovo Testamento.
Fonte:
srs di di Fabrizio Legger da Dazebao del(21 Novembre 2009)
I primi secoli del Cristianesimo furono caratterizzati, oltre che dalle persecuzioni anticristiane poste in atto dai pagani, anche dal dilagare delle eresie. Sette, chiese e movimenti ereticali gnostici, dualistici, pseudo giudaici, orientaleggianti, misterici, apocalittici, sorsero come funghi in tutte le province del vasto Impero di Roma, seminando ovunque il loro devastante veleno e le loro assurde dottrine che si contrapposero alle mistificazioni e alle alterazioni del cristianesimo delle origini poste in atto dalla dominante Chiesa di Roma.
I Padri della Chiesa si trovarono in prima linea nel combattere queste deliranti eresie e dettero così vita ad una memorabile guerra intellettuale, teologica e filosofica, tra i campioni della libertà di pensiero e i rigorosi difensori dell’ortodossia cristiana.
In quei secoli, il veleno delle eresie si diffuse come una sorta di cancro malefico nel seno di tutte le comunità cristiane d’Oriente e d’Occidente, pullulando nel cuore stesso della Chiesa cattolica come un morbo immondo e compromettendone in vario modo l’unità e la stabilità.
Alcune di queste eresie pretendevano di definire e spiegare meglio, da un punto di vista meramente teologico e dottrinale, alcuni aspetti incerti e oscuri della teologia trinitaria cristiana. Altre, invece, erano bizzarre dottrine, molto stravaganti, piene zeppe di elementi fantasiosi e irrazionali, le quali elucubravano non soltanto sulla corporeità del Cristo o sulla perenne verginità della Madonna, ma anche sulla Natura dello Spirito Santo e sul presunto ruolo “sessuale” avuto da questi nell’Incarnazione del Cristo e sulla Sua compartecipazione alla Creazione del Mondo e dell’Uomo. Altre, invece, disquisivano e fantasticavano fino al delirio sulla natura dell’anima umana e sulle differenze esistenti fra le Tre Persone della Divina Trinità.
Su questi e su molti altri argomenti, ogni fondatore di setta, ogni filosofo gnostico ed ogni profeta eretico diede la propria versione dei fatti, il più delle volte discordanti e contrastanti tra loro, adducendo a sostegno della propria dottrina il fatto che tali “verità” erano state rivelate loro direttamente da Dio Padre, oppure dal Cristo, o dallo Spirito Santo, o dagli spiriti trapassati degli apostoli di Gesù o addirittura dei profeti dell’Antico Israele.
Si originò così una proliferazione mostruosa e smisurata di dottrine, di idee, di mitologie, di cosmogonie, di escatologie, di favole e di credenze che, spesso, rasentavano anche il ridicolo.
Eppure, queste dottrine eretiche e queste fantasie gnostiche seppero essere così affascinanti, tanto da attrarre nelle sette che le predicavano, anche arguti intellettuali e valenti filosofi, i quali rimasero incantati dai miti della Pistis Sophia, del Pleroma, delle Ipostasi degli Arconti, dell’Autogenerato e del Demiurgo.
A molti intellettuali dell’epoca, sembrò di ritrovare in tali dottrine buona parte dell’antica sapienza greca, cioè, di quella filosofia neoplatonica, stoica e aristotelica che ancora costituiva la colonna portante della cultura filosofica tardo antica.
Ma anche se gli gnostici saccheggiarono a piene mani la filosofia di Platone o di Plotino, le loro dottrine restano talmente intrise di elementi eterogenei provenienti dalla cultura giudaica, frigia, egizia, siriaca ed iranica, tanto che non possono essere assolutamente paragonate con l’ordine logico e la sobrietà di pensiero che caratterizzano le dottrine teologiche di Platone e di Aristotele.
Eppure, le fantasie mirabolanti degli gnostici riscossero un successo strepitoso, non solo tra le classi colte, ma anche tra le plebi delle grandi metropoli, le quali, all’epoca, pur nella loro ignoranza, partecipavano con estrema passione (e persino faziosità) alle dispute teologiche.
Sembra incredibile, eppure, tra il II e il V secolo dopo Cristo, nelle piazze di enormi città come Edessa, Cesarea, Alessandria, Tessalonica, Atene, Palmira, oppure tra le bancarelle dei mercati delle maggiori città dell’Asia Minore e dell’Oriente romano-bizantino, si poteva assistere a infervorate discussioni (che spesso terminavano anche con violente scazzottate) tra ariani e pauliciani, arcontici e seleuciani, bardesaniti e basilidiani, saturniani e valentiniani, e via dicendo.
Le disquisizioni teologiche sulla Natura del Cristo, sulla consustanzialità del Padre e del Figlio o sulla Verginità di Maria, provocavano dispute interminabili, accesissime, che si protraevano per ore ed ore, coinvolgendo passanti, mendicanti, stranieri, mercanti, talora persino soldati, e che terminavano, il più delle volte, in feroci risse o in violenti pestaggi che finivano col turbare la pubblica quiete e che, in taluni casi, dettero anche vita a rivolte popolari e a sommosse sanguinose duramente represse dal potere imperiale.
Alcune di queste sette eretiche furono perseguitate dalle autorità romane e bizantine a causa delle loro tumultuose predicazioni che turbavano l’ordine pubblico e la stabilità sociale dell’Impero. I Pepuziani in Frigia, i Circoncellioni in Numidia, i Pauliciani in Asia minore, i Bardesaniti in Siria, i Manichei in Egitto e in Palestina, conobbero a lungo l’estrema brutalità delle persecuzioni imperiali.
Le sette apocalittiche e quelle dualistiche furono le più duramente colpite, soprattutto sotto gli imperatori Teodosio e Giustiniano, quando ormai l’Impero aveva ufficialmente adottato il cristianesimo come religione di Stato.
Si trattò di repressioni spietate che diedero luogo a spaventosi crimini contro il libero pensiero, la libera fede e la libertà di coscienza: non si comprende infatti perché il manicheismo, il paulicianesimo e il bardesanismo, fossero ritenute così tanto pericolose dagli imperatori di Roma e Costantinopoli.
Le dottrine dualistiche che stavano alla base di queste ultime sopra citate tre eresie non erano certo le più perverse e le più depravate rispetto alle decine e decine di sette eretiche che pullulavano allora nel bacino del Mediterraneo: i Carpocraziani, i Fibioniti, i Cainiti, i Paterniani, i Menandriani, i Barbelognostici furono assai peggiori dei Manichei e dei Bardesaniti, se si esaminano le loro concezioni e le loro dottrine da un punto di vista etico-morale.
Eppure, tali sette, non vennero affatto perseguitate con la sistematica ed implacabile ferocia con cui invece, nell’Impero Romano d’Oriente, furono perseguitate le sette dualistiche. Talvolta, però, il potere imperiale, sobillato e istigato da quello ecclesiastico, colpì con spietata durezza soltanto i fondatori e i capi di queste farneticanti movimenti eretici.
Fu il caso, per esempio, di Priscilliano. Costui fu un colto ed aristocratico spagnolo, vissuto nel 300 dopo Cristo. Dopo avere aderito al Cristianesimo fu influenzato dalla dottrina dualistica manichea, che giudicava però troppo rigida sulle problematiche morali. Fondò così una setta, che da lui prese nome, i cui aderenti ritenevano che il mondo fosse conteso tra Dio e il Maligno, un mondo in cui le anime umane erano costituite dalla stessa natura e sostanza di Dio, il che le rendeva capaci di resistere alle tentazioni del Maligno.
Secondo Priscilliano fu il Maligno a creare il mondo materiale nel quale viviamo, e lo creò apposta per sedurre le anime umane e imprigionarle nella materia, chimera allettante e letale, la quale le ottenebra e le mantiene prigioniere grazie al fascino esercitato su di esse dai piaceri sessuali.
Ma sempre secondo Priscilliano, ogni anima umana è legata ad un astro e questo, con i suoi benefici influssi, può aiutarla a sottrarsi alla prigionia della materia. Inoltre, sembra che Priscilliano, al pari di altri gnostici licenziosi (ma potrebbe essere una menzogna diffusa ad ulteriore discredito di questo maestro eretico, in quanto le testimonianze antiche affermano che i priscillianisti avevano una rigida morale e praticavano astinenze sessuali, digiuni e distacco dai beni terreni) ), sostenesse che le anime, se vogliono sublimarsi ed elevarsi verso la sfera spirituale dell’esistenza, debbano prima mortificare il corpo immondo in cui sono rinchiuse, attraverso l’abbrutimento osceno nei piaceri carnali e nei gorghi delle bramosie sessuali, in quanto, soltanto dopo essersi abbrutita nelle laide bassezze della carne, l’anima è veramente disciolta da ogni appetito terreno e libera di ascendere verso le vette della suprema conoscenza spirituale.
Forse, a causa di questo eccessivo (ma ipotetico) libertinismo sessuale, unitamente alle sue concezioni dualistiche, Priscilliano venne arrestato e condannato, prima dal potere ecclesiastico e poi da quello imperiale, nonostante fosse stato nominato Vescovo di Avila.
Nel 380 subì una prima condanna e fu incarcerato. Nel 385, fu condotto a Treviri, in Germania, al cospetto dell’imperatore, l’usurpatore Magno Massimo, davanti al quale fu accusato di empietà, eresia e stregoneria. Sottoposto, insieme ai suoi più stretti seguaci, ad efferate torture tramite le quali i suoi carnefici ottennero una totale confessione delle colpe richieste, Priscilliano venne condannato a morte dall’imperatore. La condanna fu eseguita tramite decapitazione e insieme a Priscilliano furono uccisi anche i suoi seguaci Armenio, Eucrocia, Felicissimo, Latroniano, Aurelio e Assarino.
Quella di Priscilliano (il primo eretico affidato dalla Chiesa cattolica all’autorità civile affinché venisse da questa giustiziato per reati di empietà e stregoneria) fu una condanna spietata e brutale, che sconvolse molti ingegni cristiani dell’epoca, tra cui Martino di Tours e il vescovo di Milano, Ambrogio, il quale, nell’apprendere la notizia dell’avvenuta esecuzione del Vescovo di Avila, non esitò a dichiararsi inorridito.
Purtroppo, nei secoli a seguire, questa pratica aberrante di condannare a morte i fondatori di sette ereticali o i profeti di movimenti gnostici e dualistici continuò a diffondersi, soprattutto nei territori dell’Impero romano d’Oriente e, successivamente, in quelli di Bisanzio, ma anche nell’Impero persiano dei Sasanidi, dove, più di un secolo prima, era stato messo a morte il grande Mani, profeta e fondatore dell’eresia manichea.
Mani nacque in Mesopotamia, a Seleucia, nel 216 dopo Cristo. Suo padre apparteneva alla setta gnostica degli Elcasaiti e lo iniziò ben presto alle dottrine segrete della comunità. All’età di dodici anni e all’età di ventiquattro ebbe due rivelazioni angeliche che lo istruirono sulla grande missione che doveva compiere.
Iniziò a predicare le sue dottrine dualistiche, basate sul dissidio tra anima e corpo e tra luce e tenebra, nonché sull’eterna lotta cosmica tra il Re del Paradiso delle Luci e il Principe delle Tenebre, ovvero il Dio del Bene e d il Dio del Male, verso il 240, dapprima negli estremi territori orientali dell’Impero Sasanide (pare si sia recato anche in India, nell’attuale Punjab, e sino in Cina, nell’odierno Xinjiang, oltre che nei territori degli odierni Afghanistan e Pakistan) e poi nel cuore dello stesso impero iranico: nella Perside, nella Media, a Babilonia.
Il Re dei Re, Shapur I, incuriosito dalle voci che gli giungevano su questo nuovo profeta del Dio della Luce, gli concesse il grande onore di predicare a corte e di confrontarsi in pubbliche dispute con i magi zoroastriani, dei quali divenne ben presto acerrimo nemico.
Con la sua grande eloquenza e con il suo mirabile rigore morale, Mani riuscì a raccogliere attorno a sé centinaia di discepoli, gettando così i magi, timorosi di perdere i privilegi di cui godevano, in una crescente inquietudine. Questi, allora, gli mossero guerra, lo accusarono di eresia e di diffondere dottrine incompatibili con la religione di Zoroastro, e convinsero il Re dei Re Bahram I (successo nel frattempo a suo padre Shapur) a fare arrestare l’empio Mani.
Così il profeta venne incarcerato e gli fu impedito di predicare. Poi, istigato e sobillato dai magi (che vedevano in Mani un pericoloso rivale), Bahram decise di metterlo a morte.
Mani fu rinchiuso in una oscura prigione, con il collo, le braccia e le gambe gravati da pesantissime catene, dove venne lasciato a patire la fame e la sete, tormentato dagli insetti e dai topi. Infine, quando era già moribondo, venne decapitato, Gli furono mazzate anche le mani, poi, il suo corpo venne scorticato e la sua pelle, riempita di paglia, fu appesa alle mura di Ctesifonte, capitale dell’Impero Sasanide, mentre le sue mani e la sua testa furono esposte dinanzi alla porta d’ingresso della città. Il resto del suo corpo, come sommo gesto di spregio, venne dato in pasto ai cani randagi.
Dopo la sua morte, anche i discepoli di Mani vennero ferocemente perseguitati. A centinaia furono uccisi in Mesopotamia, nella Perside e in Armenia, dove si erano rifugiati. Moltissimi fuggirono in Siria, altri in Egitto e in Palestina, altri ancora in Cina e in India, sempre incalzati da persecuzioni spietate.
In questo modo, le dottrine dualistiche manichee si diffusero in tutto il bacino del Mediterraneo e in gran parte dei territori dell’Asia centrale.
Nell’Impero romano d’Oriente, la repressione contro i manichei fu particolarmente brutale. Dapprima furono perseguitati da Costantino e Teodosio, poi da Giustiniano, il quale, nel 527, promulgò addirittura un editto che prevedeva la pena di morte per i manichei e per tutti i seguaci delle eresie dualistiche (bardesaniti, arcontici, pauliciani), dando il via ad un vero e proprio soffocamento del libero pensiero teologico.
Un’altra illustre vittima gnostica del repressivo potere imperiale fu Patrizio, mago e astrologo, fondatore della setta dei Patriziani.
Patrizio predicò in Numidia, in Spagna e in Italia, approssimativamente tra la seconda metà del 200 e la prima metà del 300 dopo Cristo. Egli affermava che l’arcangelo Michele e Giovanni l’Evangelista, apparendogli in sogno per volere divino, gli avevano rivelato le supreme verità sul mistero dell’uomo e dell’universo, verità che erano state volutamente taciute dal Cristo, in quanto il Redentore si era rivolto soprattutto a pescatori, mendicanti, prostitute, usurai e gente incolta, incapaci di comprendere esoteriche dottrine.
Secondo Patrizio, la sostanza di cui sono fatti i corpi umani non fu creata da Dio bensì dal Maligno, il quale la utilizzò come un carcere immondo per imprigionarvi dentro le anime che l’Altissimo aveva inviato sulla Terra. Egli infatti riteneva che le anime tendono verso la Luce, ma il fatto stesso di essere imprigionate dentro quegli involucri di carne immonda che sono i nostri corpi, finiscono con l’essere condizionate dalla materia e quindi indotte a peccare. Liberandosi poi, con la morte, dalla prigione corporea, l’anima riacquisterà la perduta libertà e potrà tornare ad aspirare alle eterne beatitudini celesti.
Perciò, affermava Patrizio, la morte era un evento lieto, liberatorio, da ricercarsi a tutti i costi, in quanto restituiva la libertà all’anima, sottraendola per sempre alle laide, disgustose e volgari bassezze del corpo.
La predicazione eretica di Patrizio raccoglieva adepti e proseliti soprattutto tra i poveri, gli emarginati, i miserabili, gli schiavi, i sofferenti, gli ammalati, gli storpi, e tra tutti coloro per i quali la vita era un peso insopportabile.
Infiammati ed esaltati dalle virulente prediche di Patrizio, caratterizzate appunto da accese invettive contro la corporeità, la materia e la limitatezza umana, molti suoi seguaci giunsero a suicidarsi e a darsi spontaneamente la morte pur di affrettare la liberazione della propria anima.
In pratica, lo gnostico Patrizio si fece campione di una sorta di indefessa “esortazione al suicidio”, come già, secoli prima, aveva fatto il filosofo cirenaico Egesìa, che era chiamata con il sinistro appellativo di “avvocato della morte”.
Quando, però, iniziarono a suicidarsi alcuni giovanissimi rampolli di nobili famiglie i quali erano rimasti fatalmente sedotti dal lato oscuro della predicazione patriziana, le autorità imperiali lo fecero arrestare e processare. Condannato come “corruttore di giovani menti”, “istigatore al suicidio” e “perturbatore dell’ordine pubblico”, anche Patrizio, esattamente come Priscilliano, venne condotto al patibolo, forse nella prima metà del quarto secolo dopo Cristo. Fu decapitato, non si sa con precisione se in Spagna o in Nordafrica, su una pubblica piazza, e la sua setta venne perseguitata e dispersa con tale violenza che, nel volgere di pochi decenni, si estinse del tutto.
Ma nonostante queste feroci persecuzioni, nonostante tutte queste violenze e questi supplizi, le eresie continuarono a diffondere il loro devastante veleno tanto in Oriente quanto in Occidente. Infatti, non furono certo le persecuzioni di Costantino contro gli ariani, quelle di Teodosio contro i pagani o quelle di Giustiniano contro i manichei a fermare il dilagare delle eresie.
Il Cristianesimo, una volta entrato in combutta con il potere politico, fece della Chiesa una istituzione gerarchica che si comportò in maniera fanatica ed intollerante non solo contro ogni altra espressione religiosa, ma anche contro ogni forma di dissenso teologico o intellettuale.
Fu la Chiesa ad istigare imperatori come Teodosio a perseguitare i pagani e gli eretici, e fu una bigotta e fanatica religiosità ispiratagli dalla devozione totale verso la Chiesa a spingere Giustiniano ad emanare l’esecrando editto con il quale si condannavano alla pena capitale i seguaci del manicheismo e delle altre eresie dualistiche. Un editto, questo, seguito da quello che impose la chiusura delle scuole delle scuole filosofiche ad Atene (l’Accademia, il Peripato, la Stoa, il Giardino) infliggendo un ultimo terribile colpo alla cultura pagana e costringendo gli ultimi filosofi dell’Accademia a cercare scampo nella lontana Persia, alla corte degli imperatori sasanidi.
Ma nonostante tutti questi divieti e tutte queste persecuzioni, le eresie continuarono a diffondersi e a prosperare, tanto a Bisanzio quanto a Roma, anzi, ne sorsero addirittura di nuove, quasi a voler sfidare la dispotica autorità della Chiesa e dell’Impero.
Il diffondersi di così tante bizzarre eresie, da un lato fu testimonianza di una grande vivacità intellettuale e di una fortissima passione religiosa, dall’altro, però, manifestò apertamente la fantasia stupefacente e il personalismo delirante che si scatenarono con la diffusione delle dottrine cristiane con quelle dell’antica cultura filosofica pagana.
Furono infatti i vari tentativi di cristianizzazione del platonismo e di platonizzazione del cristianesimo a favorire la nascita di così tante bizzarre dottrine ereticali.
Questi assurdi connubi tra religione cristiana e filosofia pagana (ai quali occorre aggiungere anche una fortissima commistione di elementi propri della religiosità ebraica ed iranica) dette origine ad un proliferare inesausto di fantasie incredibili, di idee bizzarre, di dottrine aberranti, e persino di fantasticherie blasfeme e di reinterpretazioni allucinate dei Vangeli e delle Sacre Scritture dell’Antico Testamento.
Per esempio, Saturnino (o Saturnilo) di Antiochia, vissuto nella prima metà del II secolo dopo Cristo, discepolo di Simone Mago e di Menandro, portò alle estreme conseguenze l’eresia simoniana. Secondo Saturnino, il Dio buono, cioè il Padre Celeste, creò la vita spirituale (angeli, eòni, e ogni altra sorta di spiriti celesti) e le anime umane. Il Demiurgo, essere celeste perverso e malvagio, sorta di cattivo angelo bramoso di imitare la creatività divina (che Saturnino identifica con il feroce dio ebraico Jahwé), invidioso della perfetta creazione spirituale, volle stoltamente imitare il Padre Celeste e dette vita alla materia, creando il mondo fisico e i corpi umani.
Quando le anime decaddero dalla loro condizione originaria, furono imprigionate dal malvagio Demiurgo nei corpi materiali che egli stesso aveva creato, subendo così il ripugnante dominio della fisicità.
Secondo Saturnino, gli uomini si dividono in buoni e malvagi. Per la salvezza dei primi, il Padre Celeste inviò sulla Terra il Cristo, con al missione di indicare loro la via da seguire. Per i secondi, invece, non esiste salvezza, condannati come sono ad essere schiavi per l’eternità dell’iniquo Demiurgo.
Inoltre Saturnino affermava che non ci si deve nutrire di carne (essendo questa la più immonda espressione della materia), ingiungeva ai suoi discepoli di non sposarsi e non procreare (in quanto il desiderio dell’uomo e della donna di congiungersi e fare figli è desiderio immondo ispirato direttamente da Satana) e affermava che per volere del Padre, Cristo era venuto sulla Terra per distruggere il Dio dei Giudei (nient’altro che una spirito immondo e sanguinario, cioè un malvagio arconte) e per salvare i veri credenti (quelli dotati di una scintilla di vita divina infusa loro dal Padre), cioè i membri stessi della setta di Saturnino.
Ma pare che Saturnino sia stato anche predicatore di fantasie blasfeme che suscitarono ilarità e disgusto, come affermò Epifanio di Salamina, Padre della Chiesa, autore di un celebre trattato contro le eresie, intitolato Panarion. Per esempio, sembra abbia sostenuto che l’amore di Gesù per i suoi discepoli fosse anche un amore carnale, di natura sodomitica, come avveniva in gran parte delle scuole filosofiche pagane, dove, tra il maestro e i più fedeli allievi si instauravano intensi rapporti di erotismo maschile.
Secondo Saturnino (o forse, più realisticamente, secondo qualcuno dei suoi seguaci che poi attribuì al maestro queste fantasie invereconde), tale genere di rapporti era praticato anche da Gesù con alcuni dei suoi discepoli, e il favorito del Cristo pare fosse Giovanni l’Evangelista, il quale fu l’unico tra gli Apostoli che andò a piangere ai piedi della Croce e che mostrò nei confronti del Maestro nazareno un attaccamento quasi morboso e di totale sottomissione.
Si tratta di fantasticherie su Gesù che ben rivelano come le dottrine di questi eretici mescolassero elementi teologici e filosofici con elementi bizzarri e fantastici, frutto di invenzioni assurde e, talora, rasentanti persino il ridicolo, ma nel variegato mondo delle antiche eresie cristiane si possono davvero trovare ogni genere di assurdità.
Un’altra setta gnostica che predicava dottrine assurdamente fantastiche fu quella degli Arcontici, fondata nel IV secolo dopo Cristo da un vecchio sacerdote palestinese, di Cesarea, un tale Pietro da Cabarbaricha. Costui non aveva mai accettato il fatto che il Cristo non avesse esposto chiaramente e minuziosamente agli Apostoli una ben precisa dottrina teologica, ragion per cui aveva svolto l’intero suo ministero pastorale tentando di spiegare teologicamente ciò che era stato taciuto da Gesù di Nazareth a proposito della Creazione del mondo, della natura delle anime, della vita nell’Oltretomba, delle creature angeliche che reggono l’ordine cosmico per volere dell’Altissimo…
Intorno al 340 dopo Cristo, Pietro da Cabarbaricha ebbe una visione miracolosa che cambiò per sempre la sua esistenza. Nella notte tra il sabato e la domenica di Pasqua, nel chiuso della sua povera ed austera stanza da letto, apparve una colossale colonna di fuoco. A fianco della colonna fiammeggiante c’erano Mosé e al Beata Vergine Maria, mentre dal fuoco crepitante uscì la voce dello Spirito Santo.
Pietro fu destato di soprassalto e, inginocchiatosi con la fronte appoggiata al pavimento, ricevette dal Paraclito stesso la segreta dottrina degli Arconti, quella che il Cristo, secondo quanto affermato da molti intellettuali, aveva rivelato segretamente ai soli Apostoli.
Stupefatto e sconvolto, Pietro memorizzò prodigiosamente tutto ciò che lo Spirito Santo gli andava dicendo intorno alla dottrina degli Arconti. Poi, secondo le dicerìe degli gnostici, ad un tratto la sua perpetua ed un diacono (che vivevano insieme a Pietro), vedendo una gran luce filtrare da sotto la porta della stanza del sacerdote, vollero entrare per vedere di cosa si trattava.
Non l’avessero mai fatto! Lo Spirito Santo, che non voleva essere disturbato, fece diventare muta la perpetua e cieco il diacono, punendoli in tal modo per avere osato curiosare mentre era intento ad indottrinare il sacerdote.
Il mattino seguente, Pietro da Cabarbaricha, tutto infervorato, iniziò a predicare per tutta Cesarea la nuova dottrina rivelatagli dallo Spirito Santo, ma né i suoi parrocchiani né il suo vescovo vollero prestargli ascolto. Soltanto un giovane astrologo, che si guadagnava da vivere predicendo il futuro nelle piazze dei mercati e nei crocicchi delle strade, un certo Eutatto, lo seguì nella sua affabulata predicazione e divenne ben presto suo fido discepolo.
Accusato di eresia, Pietro da Cabarbaricha subì l’anatema dal proprio vescovo, così fu costretto ad abbandonare il sacerdozio. Si rifugiò allora presso una comunità di ebioniti che risiedeva lungo le sponde del Giordano, dove riuscì a convertire alle sue dottrine molte persone. Poi, intorno al 360, Pietro si ritirò con alcune centinaia di fedelissimi discepoli ai piedi di un’altura costellata di grotte, non lontano da Gerusalemme, e ivi compose gran parte delle opere letterarie che divennero i libri sacri della setta degli Arcontici.
Verso il 370, Pietro morì, pare soffocato mentre si ingozzava di datteri. Poco dopo, contro gli Arcontici, si scatenò una violenta persecuzione che costrinse Eutatto a fuggire dalla Palestina, portandosi dietro, però, tutti i libri sacri scritti da Pietro.
Rifugiatosi in Armenia, Eutatto prese a predicare e a diffondere la dottrina del maestro, raccogliendo attorno a sé molti seguaci, i quali, a loro volta, diffusero le dottrine arconti che in Siria, in Cappadocia, in Cilicia, in Mesopotamia, a Cipro e persino in Egitto.
Ma in che cosa consistevano queste strabilianti dottrine che, secondo quanto affermato da Pietro da Cabarbaricha, gli erano state rivelate addirittura dallo Spirito Santo? Secondo Pietro, il cosmo è costituito da Sette Cieli, ognuno dei quali è governato da un principe angelico (cioè, un Arconte), che vive circondato da legioni angeli aventi il compito di imprigionare le anime umane nella vile materia corporea.
Nell’ottavo cielo, infinito, che si estende al di là del ristretto dominio degli Arconti, dimora invece la Madre di Luce, che prova pietà per la sorte degli uomini e che li accoglie nel suo regno luminoso se le anime riescono a sfuggire agli angeli degli Arconti, ma che, in nessun modo, può intervenire in loro difesa contro gli stessi Arconti.
Il principe del settimo cielo, Sabaoth, dio dei Giudei, è, secondo la dottrina di Pietro, genitore del Demonio, ovvero Satana. Quest’ultimo si era ribellato all’autorità di Sabaoth ed era sceso sulla Terra. Ivi aveva sedotto la bella e ingenua Eva e si era congiunto carnalmente con lei, generando Caino, Abele e molti altri figli, i quali, poi, accoppiatisi oscenamente tra loro, generarono l’intera umanità.
Secondo quanto affermato da Pietro e da Eutatto, compito delle anime è raggiungere la Suprema Conoscenza, ovvero la Gnosi, alfine di sfuggire al potere tenebroso di Sabaoth e di volare attraverso i Sette Cieli sino a raggiungere l’ottavo, dove si viene amorevolmente accolti dalla Madre Suprema.
Pietro impose ai suoi discepoli norme comportamentali molto rigorose ed austere: dovevano essere poveri, praticare il digiuno, dedicare almeno metà della giornata allo studio e alla preghiera, astenersi dai piaceri carnali, evitare di sposarsi e concepire figli, maledire il nome di Satana appena alzati al mattino e prima di coricarsi la sera.
Inoltre, gli Arcontici negavano la resurrezione del corpo (il quale, dopo al morte, verrebbe completamente distrutto dalla decomposizione) e condannavano i Sacri Misteri della Liturgia cattolica, in particolare l’Eucarestia (che, secondo Pietro, istigava gli uomini a mangiare e a bere) e il Battesimo (quest’ultimo, soprattutto secondo Eutatto, era stato ispirato al Cristo nientemeno che da Sabaoth, con il fine di tenere le anime umane avvinte alla sua nefasta influenza tramite il magico potere dell’acqua).
Al pari dei seguaci di Saturnino, dunque, anche gli Arcontici fecero un uso sfrenato della fantasia, elucubrando dottrine assolutamente fantastiche che ebbero il potere di sedurre poeti, maghi, astrologi, fattucchieri, marinai, mercanti, avventurieri e monaci millenaristi, ma che non riuscirono affatto a contendere al Cristianesimo la grande massa dei fedeli, come invece auspicava Pietro da Cabarbaricha.
Costui inventò delle belle favole teologiche e cosmogoniche, anche molto poetiche, spacciandole quali rivelazioni dello Spirito Santo, ma non fu creduto dalla moltitudine delle masse cristiane, come invece desiderava.
Il che, ovviamente, dimostra come non sia possibile pretendere che una fantasiosa religione, creata dall’oggi al domani in seguito a un sogno, ad una fantasticheria (o ad un delirio), possa subitaneamente essere seguita e praticata da milioni di persone.
Quella fondata da Pietro da Cabarbaricha, così come quella fondata da Saturnino, non fu altro che una setta, una setta che comprendeva qualche migliaio di seguaci ma che non giunse mai a poter seriamente rivaleggiare con la religione cristiana.
Ma vi fu ancora un’altra setta gnostica che, attraverso dottrine fantastiche e comportamenti scellerati ed immorali, giunse a diffondere il proprio letale veleno psicologico tra le popolazioni latino-africane del tardo Impero romano, e cioè, quella dei Quintillianiti.
Il fondatore di tale setta, attiva nel Nordafrica (Numidia, Tingitania, Mauritania, Cirenaica) tra il terzo e il quinto secolo dopo Cristo, pare sia stata fondata da un certo Quintillo (da cui il nome), un losco individuo, piuttosto misterioso, una sorta di avventuriero che pare avesse fatto il marinaio, il mercante di schiavi, il tenutario di un lupanare e, infine, il taverniere. Dopo aver fatto parte, per qualche tempo, della setta dei Cainiti, che veneravano l’eòne Caino, Quintillo se ne distaccò e iniziò a predicare le sue dottrine, fondando una setta sua, che da lui prese nome.
Sembra che Quintillo si mise a predicare dopo aver fatto un sogno in cui gli erano apparsi Abramo, Maria Maddalena e Giuda Iscariota, i quali gli avevano rivelato che Cristo aveva scelto lui come suo nuovo apostolo, con il preciso incarico di avversare la legge mosaica, fonte di male non solo per i Giudei, ma anche per i cristiani.
Così, Quintillo iniziò a combattere la legge di Mosé affermando che non solo non andava rispettata, ma che, al contrario, il vero credente doveva praticare tutti gli atti proibiti dal Decalogo, in quanto era proprio questo che faceva davvero piacere al Cristo.
In breve tempo diventò un predicatore fanatico, e in base a quanto gli era stato rivelato in sogno da Abramo stesso, come egli sosteneva, esortava le masse a fornicare, a rubare, a dire falsa testimonianza, a commettere adulterio, a bestemmiare e a disprezzare i genitori, a rapire e a violentare le donne altrui.
Ovviamente, questo suscitò la condanna delle autorità ecclesiastiche e il drastico intervento di quelle imperiali, le quali presero ben presto a perseguitare la setta e il suo fondatore, ma, nonostante ciò, furono migliaia e migliaia i furfanti, i malviventi, i tagliagole, i ladri e i ribaldi di ogni risma che aderirono alla setta di Quintillo e che si dichiaravano pronti ad obbedire alle sue deliranti dottrine.
I loro testi sacre pare fossero due apocrifi, Il Vangelo di Giuda e L’Apocalisse di Caino, già testi in uso presso i più moderati Cainiti, che Quintillo rimaneggiò opportunamente e che fece circolare tra i suoi adepti. Oltre a Caino, che per Quintillo era un vero e proprio idolo, egli esaltava in maniera smodata anche la figura di Giuda Iscariota, il quale, come affermava, gli compariva più volte in sogno per rivelargli la volontà di Cristo.
Secondo Quintillo, Giuda era l’unico tra gli Apostoli dotato di vera conoscenza, ovvero la Gnosi, il solo mezzo che consente agli uomini di salvarsi e di liberarsi dalla prigionia immonda del mondo materiale. Egli sosteneva che Giuda aveva tradito Gesù di Nazareth non per malvagità ma per troppo zelo, in quanto riteneva che Cristo fosse un emissario del malvagio Demiurgo, noto come Jahwé, il terrificante e vendicativo dio degli Ebrei.
Per tale motivo, secondo Quintillo, Giuda non era stato condannato da Cristo, pur essendosi impiccato per disperazione. Anzi, al contrario, Cristo, appena risorto, era disceso agli Inferi e, insieme alle anime dei patriarchi, aveva liberato anche l’anima di Giuda, portandola con sé in Paradiso.
Oltre allo studio dei Sacri Testi e alla repellente messa in pratica dei cosiddetti “anticomandamenti”, Quintillo imponeva ai suoi seguaci di abbandonarsi a qualsiasi genere di esperienza sessuale, in quanto, attraverso il sesso, la carne viene mortificata e l’anima, finalmente liberata dalla bramosia della lussuria, può ascendere verso le mete superiori del pensiero, libera da qualsiasi condizionamento carnale.
Anche Quintillo (che fu attivo in tutto il Nordafrica, dalla Numidia alla Libia), come già Saturnino e Pietro da Cabarbaricha, utilizzò fantasie assurde e dottrine deliranti per proporre la sua visione della vita e dell’uomo. Ingiungendo però ai suoi discepoli di comportarsi esattamente al contrario di ciò che prescrivono i Dieci Comandamenti, avallò, sebbene indirettamente, furti, rapine, omicidi, stupri, tanto da indurre le autorità imperiali ad agire energicamente contro la setta, utilizzando la repressione più spietata.
A partire dall’impero di Alessandro Severo sino a giungere all’epoca di Teodosio, cioè all’incirca dal 220-222 al 450 dopo Cristo, i Quintillianiti furono sottoposti a brutali repressioni, caratterizzate da arresti, incarcerazioni, esecuzioni capitali.
Pare che lo stesso Quintillo (ma non ci sono fonti storicamente certe) sia stato decapitato, forse a Tagaste, durante il regno di Aureliano, nel corso di una persecuzione anticristiana durante la quale vennero uccisi anche centinaia di appartenenti ad altre sette gnostiche e pseudo giudaiche.
Eppure, nonostante tutte queste violenze, il veleno letale dell’eresia seguitò a diffondersi nel mondo cristiano e a conquistare alle proprie fantasiose dottrine anime e cuori insoddisfatti della scarsa sapienza teologica e filosofica dei predicatori cristiani. Infatti, uno degli elementi che maggiormente favorirono il nascere e il dilagare delle eresie gnostiche, fu proprio la scarsità di rivelazioni teologiche che caratterizzò negativamente la predicazione di Cristo.
Oltre all’esasperato protagonismo di tanti falsi profeti, maghi e ciarlatani che fondarono sette più o meno longeve, ci fu la colossale carenza di informazioni teologiche ed escatologiche nelle rivelazioni evangeliche ad indurre tanti cristiani a passare nelle file dei valentiniani, dei basilidiani, dei manichei, dei barbelognostici o degli arcontici.
La gente vissuta nei primi secoli del Cristianesimo – esattamente come gli uomini di oggi – non si accontentava di semplici insegnamenti come “Ama il prossimo tuo come te stesso”, “Chi di spada ferisce di spada perisce”, “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel Regno dei Cieli” e altre elementari sentenze del genere.
La gente, inquieta e dubbiosa, voleva risposte precise e dettagliate sulla natura di Dio Padre e del Cristo, sull’essenza dello Spirito Santo, sul mistero dell’Incarnazione e sull’enigma della Resurrezione, sulla natura degli angeli e dei demoni, sulle caratteristiche dell’Aldilà e sul destino delle anime dopo la morte del corpo.
A queste e a mille altre domande del genere, precise, minuziose, incalzanti, Cristo non volle dare esaurienti risposte, e neppure vollero darle i suoi Apostoli e i pontefici che vennero dopo gli Apostoli.
Ecco il motivo per cui sorsero così tante sette eretiche e così tanti movimenti gnostici: i loro fondatori – si chiamassero Saturnino, Carpocrate, Mani, Valentino, Cerdone, Ierace, Apelle o Bardesane – intesero, nei loro sistemi teologici e filosofici, dare risposte precise ed esaustive a tutti i sopra elencati quesiti lasciati irrisolti da Gesù e dai sui discepoli.
Essi vedevano che le masse non si accontentavano semplicemente di rispettare i Dieci Comandamenti o le Beatitudini del Discorso della Montagna: la gente esigeva, giustamente, descrizioni precise su come è fatto Dio, come è fatto l’Aldilà, come si vive nell’Oltretomba, di quali essenze spirituali sono costituiti il Logos Divino e lo Spirito santo Paraclito, come è fatta l’anima umana, quando verrà la Fine del Mondo, e i maestri gnostici, con le loro dottrine pur complicate e fantasticamente elaborate, tentarono di dare risposte soddisfacenti a queste pressanti richieste.
Perciò, non si può negare che il seducente veleno delle eresie si diffuse nel mondo cristiano soprattutto a causa della scarsità di precisazioni sulla natura di Dio e dell’Oltretomba e sul destino ultimo dell’Uomo, di cui, nella predicazione di Cristo e nei Vangeli non si parla né concretamente né esaurientemente. A ciò, e al già citato personalismo di cui accennavo poco fa, vanno aggiunti, ovviamente, elementi di rivendicazioni politiche e sociali, attese millenaristiche ed utopistiche speranze di giustizia sociale di cui, sovente, tali sette si fecero portavoce.
Ma furono soprattutto le mancate precisazioni di Cristo su tante questioni teologiche a far sì che le menti più curiose, più vivaci e più intelligenti, si rivolgessero alle sette gnostiche per ottenere quelle delucidazioni escatologiche che Gesù si era ostinatamente (e inspiegabilmente) rifiutato di rivelare sia alle masse sia ai suoi stessi Apostoli. Perciò, se le eresie ebbero così tanta diffusione nell’antichità cristiana, ciò è in massima parte da attribuire alla stessa incompleta ed imperfetta predicazione di Gesù di Nazareth (non basta resuscitare i Lazzaro, bisogna anche spiegare minuziosamente come è fatto e che cosa ci attende nell’Aldilà!).
Egli disse e non disse, rivelò poche cose e ne tacque moltissime, non dette delucidazioni precise in merito alle problematiche escatologiche e si rifiutò nel modo più assoluto di descrivere, nei minimi particolari, l’essenza e la natura di Dio, la vita delle anime nell’Oltretomba, l’organizzazione delle schiere angeliche e di quelle demoniache, le peculiarità di Dio Padre e della sua esistenza così misteriosa e così lontana dal mondo fisico dell’Uomo e dei suoi impellenti bisogni materiali.
Ecco perché le eresie, anche le più bizzarre, anche le più blasfeme, anche le più risibili e deliranti, trovarono un facile e fertile terreno umano nel quale attecchire ed ebbero l’opportunità di diffondersi tanto rapidamente in tutte le province dell’Impero Romano.
Il veleno seducente, affascinante, ma anche letale, delle eresie, insidiò la religione cristiana e ne intaccò le fondamenta, ma fu anche, al tempo stesso, un balsamo vigoroso per tutti quegli intelletti vivaci ed arguti che non si rassegnavano a veder spiegati i misteri di Dio, dell’Uomo e dell’Universo, in quelle quattro favolette per sognatori creduloni, riportate nei Testi Sacri del Nuovo Testamento.
Fonte:
srs di di Fabrizio Legger da Dazebao del (21 Novembre 2009)
primi secoli del Cristianesimo furono caratterizzati, oltre che dalle persecuzioni anticristiane poste in atto dai pagani, anche dal dilagare delle eresie. Sette, chiese e movimenti ereticali gnostici, dualistici, pseudo giudaici, orientaleggianti, misterici, apocalittici, sorsero come funghi in tutte le province del vasto Impero di Roma, seminando ovunque il loro devastante veleno e le loro assurde dottrine che si contrapposero alle mistificazioni e alle alterazioni del cristianesimo delle origini poste in atto dalla dominante Chiesa di Roma.
I Padri della Chiesa si trovarono in prima linea nel combattere queste deliranti eresie e dettero così vita ad una memorabile guerra intellettuale, teologica e filosofica, tra i campioni della libertà di pensiero e i rigorosi difensori dell’ortodossia cristiana.
In quei secoli, il veleno delle eresie si diffuse come una sorta di cancro malefico nel seno di tutte le comunità cristiane d’Oriente e d’Occidente, pullulando nel cuore stesso della Chiesa cattolica come un morbo immondo e compromettendone in vario modo l’unità e la stabilità.
Alcune di queste eresie pretendevano di definire e spiegare meglio, da un punto di vista meramente teologico e dottrinale, alcuni aspetti incerti e oscuri della teologia trinitaria cristiana. Altre, invece, erano bizzarre dottrine, molto stravaganti, piene zeppe di elementi fantasiosi e irrazionali, le quali elucubravano non soltanto sulla corporeità del Cristo o sulla perenne verginità della Madonna, ma anche sulla Natura dello Spirito Santo e sul presunto ruolo “sessuale” avuto da questi nell’Incarnazione del Cristo e sulla Sua compartecipazione alla Creazione del Mondo e dell’Uomo. Altre, invece, disquisivano e fantasticavano fino al delirio sulla natura dell’anima umana e sulle differenze esistenti fra le Tre Persone della Divina Trinità.
Su questi e su molti altri argomenti, ogni fondatore di setta, ogni filosofo gnostico ed ogni profeta eretico diede la propria versione dei fatti, il più delle volte discordanti e contrastanti tra loro, adducendo a sostegno della propria dottrina il fatto che tali “verità” erano state rivelate loro direttamente da Dio Padre, oppure dal Cristo, o dallo Spirito Santo, o dagli spiriti trapassati degli apostoli di Gesù o addirittura dei profeti dell’Antico Israele.
Si originò così una proliferazione mostruosa e smisurata di dottrine, di idee, di mitologie, di cosmogonie, di escatologie, di favole e di credenze che, spesso, rasentavano anche il ridicolo.
Eppure, queste dottrine eretiche e queste fantasie gnostiche seppero essere così affascinanti, tanto da attrarre nelle sette che le predicavano, anche arguti intellettuali e valenti filosofi, i quali rimasero incantati dai miti della Pistis Sophia, del Pleroma, delle Ipostasi degli Arconti, dell’Autogenerato e del Demiurgo.
A molti intellettuali dell’epoca, sembrò di ritrovare in tali dottrine buona parte dell’antica sapienza greca, cioè, di quella filosofia neoplatonica, stoica e aristotelica che ancora costituiva la colonna portante della cultura filosofica tardo antica.
Ma anche se gli gnostici saccheggiarono a piene mani la filosofia di Platone o di Plotino, le loro dottrine restano talmente intrise di elementi eterogenei provenienti dalla cultura giudaica, frigia, egizia, siriaca ed iranica, tanto che non possono essere assolutamente paragonate con l’ordine logico e la sobrietà di pensiero che caratterizzano le dottrine teologiche di Platone e di Aristotele.
Eppure, le fantasie mirabolanti degli gnostici riscossero un successo strepitoso, non solo tra le classi colte, ma anche tra le plebi delle grandi metropoli, le quali, all’epoca, pur nella loro ignoranza, partecipavano con estrema passione (e persino faziosità) alle dispute teologiche.
Sembra incredibile, eppure, tra il II e il V secolo dopo Cristo, nelle piazze di enormi città come Edessa, Cesarea, Alessandria, Tessalonica, Atene, Palmira, oppure tra le bancarelle dei mercati delle maggiori città dell’Asia Minore e dell’Oriente romano-bizantino, si poteva assistere a infervorate discussioni (che spesso terminavano anche con violente scazzottate) tra ariani e pauliciani, arcontici e seleuciani, bardesaniti e basilidiani, saturniani e valentiniani, e via dicendo.
Le disquisizioni teologiche sulla Natura del Cristo, sulla consustanzialità del Padre e del Figlio o sulla Verginità di Maria, provocavano dispute interminabili, accesissime, che si protraevano per ore ed ore, coinvolgendo passanti, mendicanti, stranieri, mercanti, talora persino soldati, e che terminavano, il più delle volte, in feroci risse o in violenti pestaggi che finivano col turbare la pubblica quiete e che, in taluni casi, dettero anche vita a rivolte popolari e a sommosse sanguinose duramente represse dal potere imperiale.
Alcune di queste sette eretiche furono perseguitate dalle autorità romane e bizantine a causa delle loro tumultuose predicazioni che turbavano l’ordine pubblico e la stabilità sociale dell’Impero. I Pepuziani in Frigia, i Circoncellioni in Numidia, i Pauliciani in Asia minore, i Bardesaniti in Siria, i Manichei in Egitto e in Palestina, conobbero a lungo l’estrema brutalità delle persecuzioni imperiali.
Le sette apocalittiche e quelle dualistiche furono le più duramente colpite, soprattutto sotto gli imperatori Teodosio e Giustiniano, quando ormai l’Impero aveva ufficialmente adottato il cristianesimo come religione di Stato.
Si trattò di repressioni spietate che diedero luogo a spaventosi crimini contro il libero pensiero, la libera fede e la libertà di coscienza: non si comprende infatti perché il manicheismo, il paulicianesimo e il bardesanismo, fossero ritenute così tanto pericolose dagli imperatori di Roma e Costantinopoli.
Le dottrine dualistiche che stavano alla base di queste ultime sopra citate tre eresie non erano certo le più perverse e le più depravate rispetto alle decine e decine di sette eretiche che pullulavano allora nel bacino del Mediterraneo: i Carpocraziani, i Fibioniti, i Cainiti, i Paterniani, i Menandriani, i Barbelognostici furono assai peggiori dei Manichei e dei Bardesaniti, se si esaminano le loro concezioni e le loro dottrine da un punto di vista etico-morale.
Eppure, tali sette, non vennero affatto perseguitate con la sistematica ed implacabile ferocia con cui invece, nell’Impero Romano d’Oriente, furono perseguitate le sette dualistiche. Talvolta, però, il potere imperiale, sobillato e istigato da quello ecclesiastico, colpì con spietata durezza soltanto i fondatori e i capi di queste farneticanti movimenti eretici.
Fu il caso, per esempio, di Priscilliano. Costui fu un colto ed aristocratico spagnolo, vissuto nel 300 dopo Cristo. Dopo avere aderito al Cristianesimo fu influenzato dalla dottrina dualistica manichea, che giudicava però troppo rigida sulle problematiche morali. Fondò così una setta, che da lui prese nome, i cui aderenti ritenevano che il mondo fosse conteso tra Dio e il Maligno, un mondo in cui le anime umane erano costituite dalla stessa natura e sostanza di Dio, il che le rendeva capaci di resistere alle tentazioni del Maligno.
Secondo Priscilliano fu il Maligno a creare il mondo materiale nel quale viviamo, e lo creò apposta per sedurre le anime umane e imprigionarle nella materia, chimera allettante e letale, la quale le ottenebra e le mantiene prigioniere grazie al fascino esercitato su di esse dai piaceri sessuali.
Ma sempre secondo Priscilliano, ogni anima umana è legata ad un astro e questo, con i suoi benefici influssi, può aiutarla a sottrarsi alla prigionia della materia. Inoltre, sembra che Priscilliano, al pari di altri gnostici licenziosi (ma potrebbe essere una menzogna diffusa ad ulteriore discredito di questo maestro eretico, in quanto le testimonianze antiche affermano che i priscillianisti avevano una rigida morale e praticavano astinenze sessuali, digiuni e distacco dai beni terreni) ), sostenesse che le anime, se vogliono sublimarsi ed elevarsi verso la sfera spirituale dell’esistenza, debbano prima mortificare il corpo immondo in cui sono rinchiuse, attraverso l’abbrutimento osceno nei piaceri carnali e nei gorghi delle bramosie sessuali, in quanto, soltanto dopo essersi abbrutita nelle laide bassezze della carne, l’anima è veramente disciolta da ogni appetito terreno e libera di ascendere verso le vette della suprema conoscenza spirituale.
Forse, a causa di questo eccessivo (ma ipotetico) libertinismo sessuale, unitamente alle sue concezioni dualistiche, Priscilliano venne arrestato e condannato, prima dal potere ecclesiastico e poi da quello imperiale, nonostante fosse stato nominato Vescovo di Avila.
Nel 380 subì una prima condanna e fu incarcerato. Nel 385, fu condotto a Treviri, in Germania, al cospetto dell’imperatore, l’usurpatore Magno Massimo, davanti al quale fu accusato di empietà, eresia e stregoneria. Sottoposto, insieme ai suoi più stretti seguaci, ad efferate torture tramite le quali i suoi carnefici ottennero una totale confessione delle colpe richieste, Priscilliano venne condannato a morte dall’imperatore. La condanna fu eseguita tramite decapitazione e insieme a Priscilliano furono uccisi anche i suoi seguaci Armenio, Eucrocia, Felicissimo, Latroniano, Aurelio e Assarino.
Quella di Priscilliano (il primo eretico affidato dalla Chiesa cattolica all’autorità civile affinché venisse da questa giustiziato per reati di empietà e stregoneria) fu una condanna spietata e brutale, che sconvolse molti ingegni cristiani dell’epoca, tra cui Martino di Tours e il vescovo di Milano, Ambrogio, il quale, nell’apprendere la notizia dell’avvenuta esecuzione del Vescovo di Avila, non esitò a dichiararsi inorridito.
Purtroppo, nei secoli a seguire, questa pratica aberrante di condannare a morte i fondatori di sette ereticali o i profeti di movimenti gnostici e dualistici continuò a diffondersi, soprattutto nei territori dell’Impero romano d’Oriente e, successivamente, in quelli di Bisanzio, ma anche nell’Impero persiano dei Sasanidi, dove, più di un secolo prima, era stato messo a morte il grande Mani, profeta e fondatore dell’eresia manichea.
Mani nacque in Mesopotamia, a Seleucia, nel 216 dopo Cristo. Suo padre apparteneva alla setta gnostica degli Elcasaiti e lo iniziò ben presto alle dottrine segrete della comunità. All’età di dodici anni e all’età di ventiquattro ebbe due rivelazioni angeliche che lo istruirono sulla grande missione che doveva compiere.
Iniziò a predicare le sue dottrine dualistiche, basate sul dissidio tra anima e corpo e tra luce e tenebra, nonché sull’eterna lotta cosmica tra il Re del Paradiso delle Luci e il Principe delle Tenebre, ovvero il Dio del Bene e d il Dio del Male, verso il 240, dapprima negli estremi territori orientali dell’Impero Sasanide (pare si sia recato anche in India, nell’attuale Punjab, e sino in Cina, nell’odierno Xinjiang, oltre che nei territori degli odierni Afghanistan e Pakistan) e poi nel cuore dello stesso impero iranico: nella Perside, nella Media, a Babilonia.
Il Re dei Re, Shapur I, incuriosito dalle voci che gli giungevano su questo nuovo profeta del Dio della Luce, gli concesse il grande onore di predicare a corte e di confrontarsi in pubbliche dispute con i magi zoroastriani, dei quali divenne ben presto acerrimo nemico.
Con la sua grande eloquenza e con il suo mirabile rigore morale, Mani riuscì a raccogliere attorno a sé centinaia di discepoli, gettando così i magi, timorosi di perdere i privilegi di cui godevano, in una crescente inquietudine. Questi, allora, gli mossero guerra, lo accusarono di eresia e di diffondere dottrine incompatibili con la religione di Zoroastro, e convinsero il Re dei Re Bahram I (successo nel frattempo a suo padre Shapur) a fare arrestare l’empio Mani.
Così il profeta venne incarcerato e gli fu impedito di predicare. Poi, istigato e sobillato dai magi (che vedevano in Mani un pericoloso rivale), Bahram decise di metterlo a morte.
Mani fu rinchiuso in una oscura prigione, con il collo, le braccia e le gambe gravati da pesantissime catene, dove venne lasciato a patire la fame e la sete, tormentato dagli insetti e dai topi. Infine, quando era già moribondo, venne decapitato, Gli furono mazzate anche le mani, poi, il suo corpo venne scorticato e la sua pelle, riempita di paglia, fu appesa alle mura di Ctesifonte, capitale dell’Impero Sasanide, mentre le sue mani e la sua testa furono esposte dinanzi alla porta d’ingresso della città. Il resto del suo corpo, come sommo gesto di spregio, venne dato in pasto ai cani randagi.
Dopo la sua morte, anche i discepoli di Mani vennero ferocemente perseguitati. A centinaia furono uccisi in Mesopotamia, nella Perside e in Armenia, dove si erano rifugiati. Moltissimi fuggirono in Siria, altri in Egitto e in Palestina, altri ancora in Cina e in India, sempre incalzati da persecuzioni spietate.
In questo modo, le dottrine dualistiche manichee si diffusero in tutto il bacino del Mediterraneo e in gran parte dei territori dell’Asia centrale.
Nell’Impero romano d’Oriente, la repressione contro i manichei fu particolarmente brutale. Dapprima furono perseguitati da Costantino e Teodosio, poi da Giustiniano, il quale, nel 527, promulgò addirittura un editto che prevedeva la pena di morte per i manichei e per tutti i seguaci delle eresie dualistiche (bardesaniti, arcontici, pauliciani), dando il via ad un vero e proprio soffocamento del libero pensiero teologico.
Un’altra illustre vittima gnostica del repressivo potere imperiale fu Patrizio, mago e astrologo, fondatore della setta dei Patriziani.
Patrizio predicò in Numidia, in Spagna e in Italia, approssimativamente tra la seconda metà del 200 e la prima metà del 300 dopo Cristo. Egli affermava che l’arcangelo Michele e Giovanni l’Evangelista, apparendogli in sogno per volere divino, gli avevano rivelato le supreme verità sul mistero dell’uomo e dell’universo, verità che erano state volutamente taciute dal Cristo, in quanto il Redentore si era rivolto soprattutto a pescatori, mendicanti, prostitute, usurai e gente incolta, incapaci di comprendere esoteriche dottrine.
Secondo Patrizio, la sostanza di cui sono fatti i corpi umani non fu creata da Dio bensì dal Maligno, il quale la utilizzò come un carcere immondo per imprigionarvi dentro le anime che l’Altissimo aveva inviato sulla Terra. Egli infatti riteneva che le anime tendono verso la Luce, ma il fatto stesso di essere imprigionate dentro quegli involucri di carne immonda che sono i nostri corpi, finiscono con l’essere condizionate dalla materia e quindi indotte a peccare. Liberandosi poi, con la morte, dalla prigione corporea, l’anima riacquisterà la perduta libertà e potrà tornare ad aspirare alle eterne beatitudini celesti.
Perciò, affermava Patrizio, la morte era un evento lieto, liberatorio, da ricercarsi a tutti i costi, in quanto restituiva la libertà all’anima, sottraendola per sempre alle laide, disgustose e volgari bassezze del corpo.
La predicazione eretica di Patrizio raccoglieva adepti e proseliti soprattutto tra i poveri, gli emarginati, i miserabili, gli schiavi, i sofferenti, gli ammalati, gli storpi, e tra tutti coloro per i quali la vita era un peso insopportabile.
Infiammati ed esaltati dalle virulente prediche di Patrizio, caratterizzate appunto da accese invettive contro la corporeità, la materia e la limitatezza umana, molti suoi seguaci giunsero a suicidarsi e a darsi spontaneamente la morte pur di affrettare la liberazione della propria anima.
In pratica, lo gnostico Patrizio si fece campione di una sorta di indefessa “esortazione al suicidio”, come già, secoli prima, aveva fatto il filosofo cirenaico Egesìa, che era chiamata con il sinistro appellativo di “avvocato della morte”.
Quando, però, iniziarono a suicidarsi alcuni giovanissimi rampolli di nobili famiglie i quali erano rimasti fatalmente sedotti dal lato oscuro della predicazione patriziana, le autorità imperiali lo fecero arrestare e processare. Condannato come “corruttore di giovani menti”, “istigatore al suicidio” e “perturbatore dell’ordine pubblico”, anche Patrizio, esattamente come Priscilliano, venne condotto al patibolo, forse nella prima metà del quarto secolo dopo Cristo. Fu decapitato, non si sa con precisione se in Spagna o in Nordafrica, su una pubblica piazza, e la sua setta venne perseguitata e dispersa con tale violenza che, nel volgere di pochi decenni, si estinse del tutto.
Ma nonostante queste feroci persecuzioni, nonostante tutte queste violenze e questi supplizi, le eresie continuarono a diffondere il loro devastante veleno tanto in Oriente quanto in Occidente. Infatti, non furono certo le persecuzioni di Costantino contro gli ariani, quelle di Teodosio contro i pagani o quelle di Giustiniano contro i manichei a fermare il dilagare delle eresie.
Il Cristianesimo, una volta entrato in combutta con il potere politico, fece della Chiesa una istituzione gerarchica che si comportò in maniera fanatica ed intollerante non solo contro ogni altra espressione religiosa, ma anche contro ogni forma di dissenso teologico o intellettuale.
Fu la Chiesa ad istigare imperatori come Teodosio a perseguitare i pagani e gli eretici, e fu una bigotta e fanatica religiosità ispiratagli dalla devozione totale verso la Chiesa a spingere Giustiniano ad emanare l’esecrando editto con il quale si condannavano alla pena capitale i seguaci del manicheismo e delle altre eresie dualistiche. Un editto, questo, seguito da quello che impose la chiusura delle scuole delle scuole filosofiche ad Atene (l’Accademia, il Peripato, la Stoa, il Giardino) infliggendo un ultimo terribile colpo alla cultura pagana e costringendo gli ultimi filosofi dell’Accademia a cercare scampo nella lontana Persia, alla corte degli imperatori sasanidi.
Ma nonostante tutti questi divieti e tutte queste persecuzioni, le eresie continuarono a diffondersi e a prosperare, tanto a Bisanzio quanto a Roma, anzi, ne sorsero addirittura di nuove, quasi a voler sfidare la dispotica autorità della Chiesa e dell’Impero.
Il diffondersi di così tante bizzarre eresie, da un lato fu testimonianza di una grande vivacità intellettuale e di una fortissima passione religiosa, dall’altro, però, manifestò apertamente la fantasia stupefacente e il personalismo delirante che si scatenarono con la diffusione delle dottrine cristiane con quelle dell’antica cultura filosofica pagana.
Furono infatti i vari tentativi di cristianizzazione del platonismo e di platonizzazione del cristianesimo a favorire la nascita di così tante bizzarre dottrine ereticali.
Questi assurdi connubi tra religione cristiana e filosofia pagana (ai quali occorre aggiungere anche una fortissima commistione di elementi propri della religiosità ebraica ed iranica) dette origine ad un proliferare inesausto di fantasie incredibili, di idee bizzarre, di dottrine aberranti, e persino di fantasticherie blasfeme e di reinterpretazioni allucinate dei Vangeli e delle Sacre Scritture dell’Antico Testamento.
Per esempio, Saturnino (o Saturnilo) di Antiochia, vissuto nella prima metà del II secolo dopo Cristo, discepolo di Simone Mago e di Menandro, portò alle estreme conseguenze l’eresia simoniana. Secondo Saturnino, il Dio buono, cioè il Padre Celeste, creò la vita spirituale (angeli, eòni, e ogni altra sorta di spiriti celesti) e le anime umane. Il Demiurgo, essere celeste perverso e malvagio, sorta di cattivo angelo bramoso di imitare la creatività divina (che Saturnino identifica con il feroce dio ebraico Jahwé), invidioso della perfetta creazione spirituale, volle stoltamente imitare il Padre Celeste e dette vita alla materia, creando il mondo fisico e i corpi umani.
Quando le anime decaddero dalla loro condizione originaria, furono imprigionate dal malvagio Demiurgo nei corpi materiali che egli stesso aveva creato, subendo così il ripugnante dominio della fisicità.
Secondo Saturnino, gli uomini si dividono in buoni e malvagi. Per la salvezza dei primi, il Padre Celeste inviò sulla Terra il Cristo, con al missione di indicare loro la via da seguire. Per i secondi, invece, non esiste salvezza, condannati come sono ad essere schiavi per l’eternità dell’iniquo Demiurgo.
Inoltre Saturnino affermava che non ci si deve nutrire di carne (essendo questa la più immonda espressione della materia), ingiungeva ai suoi discepoli di non sposarsi e non procreare (in quanto il desiderio dell’uomo e della donna di congiungersi e fare figli è desiderio immondo ispirato direttamente da Satana) e affermava che per volere del Padre, Cristo era venuto sulla Terra per distruggere il Dio dei Giudei (nient’altro che una spirito immondo e sanguinario, cioè un malvagio arconte) e per salvare i veri credenti (quelli dotati di una scintilla di vita divina infusa loro dal Padre), cioè i membri stessi della setta di Saturnino.
Ma pare che Saturnino sia stato anche predicatore di fantasie blasfeme che suscitarono ilarità e disgusto, come affermò Epifanio di Salamina, Padre della Chiesa, autore di un celebre trattato contro le eresie, intitolato Panarion. Per esempio, sembra abbia sostenuto che l’amore di Gesù per i suoi discepoli fosse anche un amore carnale, di natura sodomitica, come avveniva in gran parte delle scuole filosofiche pagane, dove, tra il maestro e i più fedeli allievi si instauravano intensi rapporti di erotismo maschile.
Secondo Saturnino (o forse, più realisticamente, secondo qualcuno dei suoi seguaci che poi attribuì al maestro queste fantasie invereconde), tale genere di rapporti era praticato anche da Gesù con alcuni dei suoi discepoli, e il favorito del Cristo pare fosse Giovanni l’Evangelista, il quale fu l’unico tra gli Apostoli che andò a piangere ai piedi della Croce e che mostrò nei confronti del Maestro nazareno un attaccamento quasi morboso e di totale sottomissione.
Si tratta di fantasticherie su Gesù che ben rivelano come le dottrine di questi eretici mescolassero elementi teologici e filosofici con elementi bizzarri e fantastici, frutto di invenzioni assurde e, talora, rasentanti persino il ridicolo, ma nel variegato mondo delle antiche eresie cristiane si possono davvero trovare ogni genere di assurdità.
Un’altra setta gnostica che predicava dottrine assurdamente fantastiche fu quella degli Arcontici, fondata nel IV secolo dopo Cristo da un vecchio sacerdote palestinese, di Cesarea, un tale Pietro da Cabarbaricha. Costui non aveva mai accettato il fatto che il Cristo non avesse esposto chiaramente e minuziosamente agli Apostoli una ben precisa dottrina teologica, ragion per cui aveva svolto l’intero suo ministero pastorale tentando di spiegare teologicamente ciò che era stato taciuto da Gesù di Nazareth a proposito della Creazione del mondo, della natura delle anime, della vita nell’Oltretomba, delle creature angeliche che reggono l’ordine cosmico per volere dell’Altissimo…
Intorno al 340 dopo Cristo, Pietro da Cabarbaricha ebbe una visione miracolosa che cambiò per sempre la sua esistenza. Nella notte tra il sabato e la domenica di Pasqua, nel chiuso della sua povera ed austera stanza da letto, apparve una colossale colonna di fuoco. A fianco della colonna fiammeggiante c’erano Mosé e al Beata Vergine Maria, mentre dal fuoco crepitante uscì la voce dello Spirito Santo.
Pietro fu destato di soprassalto e, inginocchiatosi con la fronte appoggiata al pavimento, ricevette dal Paraclito stesso la segreta dottrina degli Arconti, quella che il Cristo, secondo quanto affermato da molti intellettuali, aveva rivelato segretamente ai soli Apostoli.
Stupefatto e sconvolto, Pietro memorizzò prodigiosamente tutto ciò che lo Spirito Santo gli andava dicendo intorno alla dottrina degli Arconti. Poi, secondo le dicerìe degli gnostici, ad un tratto la sua perpetua ed un diacono (che vivevano insieme a Pietro), vedendo una gran luce filtrare da sotto la porta della stanza del sacerdote, vollero entrare per vedere di cosa si trattava.
Non l’avessero mai fatto! Lo Spirito Santo, che non voleva essere disturbato, fece diventare muta la perpetua e cieco il diacono, punendoli in tal modo per avere osato curiosare mentre era intento ad indottrinare il sacerdote.
Il mattino seguente, Pietro da Cabarbaricha, tutto infervorato, iniziò a predicare per tutta Cesarea la nuova dottrina rivelatagli dallo Spirito Santo, ma né i suoi parrocchiani né il suo vescovo vollero prestargli ascolto. Soltanto un giovane astrologo, che si guadagnava da vivere predicendo il futuro nelle piazze dei mercati e nei crocicchi delle strade, un certo Eutatto, lo seguì nella sua affabulata predicazione e divenne ben presto suo fido discepolo.
Accusato di eresia, Pietro da Cabarbaricha subì l’anatema dal proprio vescovo, così fu costretto ad abbandonare il sacerdozio. Si rifugiò allora presso una comunità di ebioniti che risiedeva lungo le sponde del Giordano, dove riuscì a convertire alle sue dottrine molte persone. Poi, intorno al 360, Pietro si ritirò con alcune centinaia di fedelissimi discepoli ai piedi di un’altura costellata di grotte, non lontano da Gerusalemme, e ivi compose gran parte delle opere letterarie che divennero i libri sacri della setta degli Arcontici.
Verso il 370, Pietro morì, pare soffocato mentre si ingozzava di datteri. Poco dopo, contro gli Arcontici, si scatenò una violenta persecuzione che costrinse Eutatto a fuggire dalla Palestina, portandosi dietro, però, tutti i libri sacri scritti da Pietro.
Rifugiatosi in Armenia, Eutatto prese a predicare e a diffondere la dottrina del maestro, raccogliendo attorno a sé molti seguaci, i quali, a loro volta, diffusero le dottrine arconti che in Siria, in Cappadocia, in Cilicia, in Mesopotamia, a Cipro e persino in Egitto.
Ma in che cosa consistevano queste strabilianti dottrine che, secondo quanto affermato da Pietro da Cabarbaricha, gli erano state rivelate addirittura dallo Spirito Santo? Secondo Pietro, il cosmo è costituito da Sette Cieli, ognuno dei quali è governato da un principe angelico (cioè, un Arconte), che vive circondato da legioni angeli aventi il compito di imprigionare le anime umane nella vile materia corporea.
Nell’ottavo cielo, infinito, che si estende al di là del ristretto dominio degli Arconti, dimora invece la Madre di Luce, che prova pietà per la sorte degli uomini e che li accoglie nel suo regno luminoso se le anime riescono a sfuggire agli angeli degli Arconti, ma che, in nessun modo, può intervenire in loro difesa contro gli stessi Arconti.
Il principe del settimo cielo, Sabaoth, dio dei Giudei, è, secondo la dottrina di Pietro, genitore del Demonio, ovvero Satana. Quest’ultimo si era ribellato all’autorità di Sabaoth ed era sceso sulla Terra. Ivi aveva sedotto la bella e ingenua Eva e si era congiunto carnalmente con lei, generando Caino, Abele e molti altri figli, i quali, poi, accoppiatisi oscenamente tra loro, generarono l’intera umanità.
Secondo quanto affermato da Pietro e da Eutatto, compito delle anime è raggiungere la Suprema Conoscenza, ovvero la Gnosi, alfine di sfuggire al potere tenebroso di Sabaoth e di volare attraverso i Sette Cieli sino a raggiungere l’ottavo, dove si viene amorevolmente accolti dalla Madre Suprema.
Pietro impose ai suoi discepoli norme comportamentali molto rigorose ed austere: dovevano essere poveri, praticare il digiuno, dedicare almeno metà della giornata allo studio e alla preghiera, astenersi dai piaceri carnali, evitare di sposarsi e concepire figli, maledire il nome di Satana appena alzati al mattino e prima di coricarsi la sera.
Inoltre, gli Arcontici negavano la resurrezione del corpo (il quale, dopo al morte, verrebbe completamente distrutto dalla decomposizione) e condannavano i Sacri Misteri della Liturgia cattolica, in particolare l’Eucarestia (che, secondo Pietro, istigava gli uomini a mangiare e a bere) e il Battesimo (quest’ultimo, soprattutto secondo Eutatto, era stato ispirato al Cristo nientemeno che da Sabaoth, con il fine di tenere le anime umane avvinte alla sua nefasta influenza tramite il magico potere dell’acqua).
Al pari dei seguaci di Saturnino, dunque, anche gli Arcontici fecero un uso sfrenato della fantasia, elucubrando dottrine assolutamente fantastiche che ebbero il potere di sedurre poeti, maghi, astrologi, fattucchieri, marinai, mercanti, avventurieri e monaci millenaristi, ma che non riuscirono affatto a contendere al Cristianesimo la grande massa dei fedeli, come invece auspicava Pietro da Cabarbaricha.
Costui inventò delle belle favole teologiche e cosmogoniche, anche molto poetiche, spacciandole quali rivelazioni dello Spirito Santo, ma non fu creduto dalla moltitudine delle masse cristiane, come invece desiderava.
Il che, ovviamente, dimostra come non sia possibile pretendere che una fantasiosa religione, creata dall’oggi al domani in seguito a un sogno, ad una fantasticheria (o ad un delirio), possa subitaneamente essere seguita e praticata da milioni di persone.
Quella fondata da Pietro da Cabarbaricha, così come quella fondata da Saturnino, non fu altro che una setta, una setta che comprendeva qualche migliaio di seguaci ma che non giunse mai a poter seriamente rivaleggiare con la religione cristiana.
Ma vi fu ancora un’altra setta gnostica che, attraverso dottrine fantastiche e comportamenti scellerati ed immorali, giunse a diffondere il proprio letale veleno psicologico tra le popolazioni latino-africane del tardo Impero romano, e cioè, quella dei Quintillianiti.
Il fondatore di tale setta, attiva nel Nordafrica (Numidia, Tingitania, Mauritania, Cirenaica) tra il terzo e il quinto secolo dopo Cristo, pare sia stata fondata da un certo Quintillo (da cui il nome), un losco individuo, piuttosto misterioso, una sorta di avventuriero che pare avesse fatto il marinaio, il mercante di schiavi, il tenutario di un lupanare e, infine, il taverniere. Dopo aver fatto parte, per qualche tempo, della setta dei Cainiti, che veneravano l’eòne Caino, Quintillo se ne distaccò e iniziò a predicare le sue dottrine, fondando una setta sua, che da lui prese nome.
Sembra che Quintillo si mise a predicare dopo aver fatto un sogno in cui gli erano apparsi Abramo, Maria Maddalena e Giuda Iscariota, i quali gli avevano rivelato che Cristo aveva scelto lui come suo nuovo apostolo, con il preciso incarico di avversare la legge mosaica, fonte di male non solo per i Giudei, ma anche per i cristiani.
Così, Quintillo iniziò a combattere la legge di Mosé affermando che non solo non andava rispettata, ma che, al contrario, il vero credente doveva praticare tutti gli atti proibiti dal Decalogo, in quanto era proprio questo che faceva davvero piacere al Cristo.
In breve tempo diventò un predicatore fanatico, e in base a quanto gli era stato rivelato in sogno da Abramo stesso, come egli sosteneva, esortava le masse a fornicare, a rubare, a dire falsa testimonianza, a commettere adulterio, a bestemmiare e a disprezzare i genitori, a rapire e a violentare le donne altrui.
Ovviamente, questo suscitò la condanna delle autorità ecclesiastiche e il drastico intervento di quelle imperiali, le quali presero ben presto a perseguitare la setta e il suo fondatore, ma, nonostante ciò, furono migliaia e migliaia i furfanti, i malviventi, i tagliagole, i ladri e i ribaldi di ogni risma che aderirono alla setta di Quintillo e che si dichiaravano pronti ad obbedire alle sue deliranti dottrine.
I loro testi sacre pare fossero due apocrifi, Il Vangelo di Giuda e L’Apocalisse di Caino, già testi in uso presso i più moderati Cainiti, che Quintillo rimaneggiò opportunamente e che fece circolare tra i suoi adepti. Oltre a Caino, che per Quintillo era un vero e proprio idolo, egli esaltava in maniera smodata anche la figura di Giuda Iscariota, il quale, come affermava, gli compariva più volte in sogno per rivelargli la volontà di Cristo.
Secondo Quintillo, Giuda era l’unico tra gli Apostoli dotato di vera conoscenza, ovvero la Gnosi, il solo mezzo che consente agli uomini di salvarsi e di liberarsi dalla prigionia immonda del mondo materiale. Egli sosteneva che Giuda aveva tradito Gesù di Nazareth non per malvagità ma per troppo zelo, in quanto riteneva che Cristo fosse un emissario del malvagio Demiurgo, noto come Jahwé, il terrificante e vendicativo dio degli Ebrei.
Per tale motivo, secondo Quintillo, Giuda non era stato condannato da Cristo, pur essendosi impiccato per disperazione. Anzi, al contrario, Cristo, appena risorto, era disceso agli Inferi e, insieme alle anime dei patriarchi, aveva liberato anche l’anima di Giuda, portandola con sé in Paradiso.
Oltre allo studio dei Sacri Testi e alla repellente messa in pratica dei cosiddetti “anticomandamenti”, Quintillo imponeva ai suoi seguaci di abbandonarsi a qualsiasi genere di esperienza sessuale, in quanto, attraverso il sesso, la carne viene mortificata e l’anima, finalmente liberata dalla bramosia della lussuria, può ascendere verso le mete superiori del pensiero, libera da qualsiasi condizionamento carnale.
Anche Quintillo (che fu attivo in tutto il Nordafrica, dalla Numidia alla Libia), come già Saturnino e Pietro da Cabarbaricha, utilizzò fantasie assurde e dottrine deliranti per proporre la sua visione della vita e dell’uomo. Ingiungendo però ai suoi discepoli di comportarsi esattamente al contrario di ciò che prescrivono i Dieci Comandamenti, avallò, sebbene indirettamente, furti, rapine, omicidi, stupri, tanto da indurre le autorità imperiali ad agire energicamente contro la setta, utilizzando la repressione più spietata.
A partire dall’impero di Alessandro Severo sino a giungere all’epoca di Teodosio, cioè all’incirca dal 220-222 al 450 dopo Cristo, i Quintillianiti furono sottoposti a brutali repressioni, caratterizzate da arresti, incarcerazioni, esecuzioni capitali.
Pare che lo stesso Quintillo (ma non ci sono fonti storicamente certe) sia stato decapitato, forse a Tagaste, durante il regno di Aureliano, nel corso di una persecuzione anticristiana durante la quale vennero uccisi anche centinaia di appartenenti ad altre sette gnostiche e pseudo giudaiche.
Eppure, nonostante tutte queste violenze, il veleno letale dell’eresia seguitò a diffondersi nel mondo cristiano e a conquistare alle proprie fantasiose dottrine anime e cuori insoddisfatti della scarsa sapienza teologica e filosofica dei predicatori cristiani. Infatti, uno degli elementi che maggiormente favorirono il nascere e il dilagare delle eresie gnostiche, fu proprio la scarsità di rivelazioni teologiche che caratterizzò negativamente la predicazione di Cristo.
Oltre all’esasperato protagonismo di tanti falsi profeti, maghi e ciarlatani che fondarono sette più o meno longeve, ci fu la colossale carenza di informazioni teologiche ed escatologiche nelle rivelazioni evangeliche ad indurre tanti cristiani a passare nelle file dei valentiniani, dei basilidiani, dei manichei, dei barbelognostici o degli arcontici.
La gente vissuta nei primi secoli del Cristianesimo – esattamente come gli uomini di oggi – non si accontentava di semplici insegnamenti come “Ama il prossimo tuo come te stesso”, “Chi di spada ferisce di spada perisce”, “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel Regno dei Cieli” e altre elementari sentenze del genere.
La gente, inquieta e dubbiosa, voleva risposte precise e dettagliate sulla natura di Dio Padre e del Cristo, sull’essenza dello Spirito Santo, sul mistero dell’Incarnazione e sull’enigma della Resurrezione, sulla natura degli angeli e dei demoni, sulle caratteristiche dell’Aldilà e sul destino delle anime dopo la morte del corpo.
A queste e a mille altre domande del genere, precise, minuziose, incalzanti, Cristo non volle dare esaurienti risposte, e neppure vollero darle i suoi Apostoli e i pontefici che vennero dopo gli Apostoli.
Ecco il motivo per cui sorsero così tante sette eretiche e così tanti movimenti gnostici: i loro fondatori – si chiamassero Saturnino, Carpocrate, Mani, Valentino, Cerdone, Ierace, Apelle o Bardesane – intesero, nei loro sistemi teologici e filosofici, dare risposte precise ed esaustive a tutti i sopra elencati quesiti lasciati irrisolti da Gesù e dai sui discepoli.
Essi vedevano che le masse non si accontentavano semplicemente di rispettare i Dieci Comandamenti o le Beatitudini del Discorso della Montagna: la gente esigeva, giustamente, descrizioni precise su come è fatto Dio, come è fatto l’Aldilà, come si vive nell’Oltretomba, di quali essenze spirituali sono costituiti il Logos Divino e lo Spirito santo Paraclito, come è fatta l’anima umana, quando verrà la Fine del Mondo, e i maestri gnostici, con le loro dottrine pur complicate e fantasticamente elaborate, tentarono di dare risposte soddisfacenti a queste pressanti richieste.
Perciò, non si può negare che il seducente veleno delle eresie si diffuse nel mondo cristiano soprattutto a causa della scarsità di precisazioni sulla natura di Dio e dell’Oltretomba e sul destino ultimo dell’Uomo, di cui, nella predicazione di Cristo e nei Vangeli non si parla né concretamente né esaurientemente. A ciò, e al già citato personalismo di cui accennavo poco fa, vanno aggiunti, ovviamente, elementi di rivendicazioni politiche e sociali, attese millenaristiche ed utopistiche speranze di giustizia sociale di cui, sovente, tali sette si fecero portavoce.
Ma furono soprattutto le mancate precisazioni di Cristo su tante questioni teologiche a far sì che le menti più curiose, più vivaci e più intelligenti, si rivolgessero alle sette gnostiche per ottenere quelle delucidazioni escatologiche che Gesù si era ostinatamente (e inspiegabilmente) rifiutato di rivelare sia alle masse sia ai suoi stessi Apostoli. Perciò, se le eresie ebbero così tanta diffusione nell’antichità cristiana, ciò è in massima parte da attribuire alla stessa incompleta ed imperfetta predicazione di Gesù di Nazareth (non basta resuscitare i Lazzaro, bisogna anche spiegare minuziosamente come è fatto e che cosa ci attende nell’Aldilà!).
Egli disse e non disse, rivelò poche cose e ne tacque moltissime, non dette delucidazioni precise in merito alle problematiche escatologiche e si rifiutò nel modo più assoluto di descrivere, nei minimi particolari, l’essenza e la natura di Dio, la vita delle anime nell’Oltretomba, l’organizzazione delle schiere angeliche e di quelle demoniache, le peculiarità di Dio Padre e della sua esistenza così misteriosa e così lontana dal mondo fisico dell’Uomo e dei suoi impellenti bisogni materiali.
Ecco perché le eresie, anche le più bizzarre, anche le più blasfeme, anche le più risibili e deliranti, trovarono un facile e fertile terreno umano nel quale attecchire ed ebbero l’opportunità di diffondersi tanto rapidamente in tutte le province dell’Impero Romano.
Il veleno seducente, affascinante, ma anche letale, delle eresie, insidiò la religione cristiana e ne intaccò le fondamenta, ma fu anche, al tempo stesso, un balsamo vigoroso per tutti quegli intelletti vivaci ed arguti che non si rassegnavano a veder spiegati i misteri di Dio, dell’Uomo e dell’Universo, in quelle quattro favolette per sognatori creduloni, riportate nei Testi Sacri del Nuovo Testamento.
Fonte:
srs di di Fabrizio Legger da Dazebao del (21 Novembre 2009)
primi secoli del Cristianesimo furono caratterizzati, oltre che dalle persecuzioni anticristiane poste in atto dai pagani, anche dal dilagare delle eresie. Sette, chiese e movimenti ereticali gnostici, dualistici, pseudo giudaici, orientaleggianti, misterici, apocalittici, sorsero come funghi in tutte le province del vasto Impero di Roma, seminando ovunque il loro devastante veleno e le loro assurde dottrine che si contrapposero alle mistificazioni e alle alterazioni del cristianesimo delle origini poste in atto dalla dominante Chiesa di Roma.
I Padri della Chiesa si trovarono in prima linea nel combattere queste deliranti eresie e dettero così vita ad una memorabile guerra intellettuale, teologica e filosofica, tra i campioni della libertà di pensiero e i rigorosi difensori dell’ortodossia cristiana.
In quei secoli, il veleno delle eresie si diffuse come una sorta di cancro malefico nel seno di tutte le comunità cristiane d’Oriente e d’Occidente, pullulando nel cuore stesso della Chiesa cattolica come un morbo immondo e compromettendone in vario modo l’unità e la stabilità.
Alcune di queste eresie pretendevano di definire e spiegare meglio, da un punto di vista meramente teologico e dottrinale, alcuni aspetti incerti e oscuri della teologia trinitaria cristiana. Altre, invece, erano bizzarre dottrine, molto stravaganti, piene zeppe di elementi fantasiosi e irrazionali, le quali elucubravano non soltanto sulla corporeità del Cristo o sulla perenne verginità della Madonna, ma anche sulla Natura dello Spirito Santo e sul presunto ruolo “sessuale” avuto da questi nell’Incarnazione del Cristo e sulla Sua compartecipazione alla Creazione del Mondo e dell’Uomo. Altre, invece, disquisivano e fantasticavano fino al delirio sulla natura dell’anima umana e sulle differenze esistenti fra le Tre Persone della Divina Trinità.
Su questi e su molti altri argomenti, ogni fondatore di setta, ogni filosofo gnostico ed ogni profeta eretico diede la propria versione dei fatti, il più delle volte discordanti e contrastanti tra loro, adducendo a sostegno della propria dottrina il fatto che tali “verità” erano state rivelate loro direttamente da Dio Padre, oppure dal Cristo, o dallo Spirito Santo, o dagli spiriti trapassati degli apostoli di Gesù o addirittura dei profeti dell’Antico Israele.
Si originò così una proliferazione mostruosa e smisurata di dottrine, di idee, di mitologie, di cosmogonie, di escatologie, di favole e di credenze che, spesso, rasentavano anche il ridicolo.
Eppure, queste dottrine eretiche e queste fantasie gnostiche seppero essere così affascinanti, tanto da attrarre nelle sette che le predicavano, anche arguti intellettuali e valenti filosofi, i quali rimasero incantati dai miti della Pistis Sophia, del Pleroma, delle Ipostasi degli Arconti, dell’Autogenerato e del Demiurgo.
A molti intellettuali dell’epoca, sembrò di ritrovare in tali dottrine buona parte dell’antica sapienza greca, cioè, di quella filosofia neoplatonica, stoica e aristotelica che ancora costituiva la colonna portante della cultura filosofica tardo antica.
Ma anche se gli gnostici saccheggiarono a piene mani la filosofia di Platone o di Plotino, le loro dottrine restano talmente intrise di elementi eterogenei provenienti dalla cultura giudaica, frigia, egizia, siriaca ed iranica, tanto che non possono essere assolutamente paragonate con l’ordine logico e la sobrietà di pensiero che caratterizzano le dottrine teologiche di Platone e di Aristotele.
Eppure, le fantasie mirabolanti degli gnostici riscossero un successo strepitoso, non solo tra le classi colte, ma anche tra le plebi delle grandi metropoli, le quali, all’epoca, pur nella loro ignoranza, partecipavano con estrema passione (e persino faziosità) alle dispute teologiche.
Sembra incredibile, eppure, tra il II e il V secolo dopo Cristo, nelle piazze di enormi città come Edessa, Cesarea, Alessandria, Tessalonica, Atene, Palmira, oppure tra le bancarelle dei mercati delle maggiori città dell’Asia Minore e dell’Oriente romano-bizantino, si poteva assistere a infervorate discussioni (che spesso terminavano anche con violente scazzottate) tra ariani e pauliciani, arcontici e seleuciani, bardesaniti e basilidiani, saturniani e valentiniani, e via dicendo.
Le disquisizioni teologiche sulla Natura del Cristo, sulla consustanzialità del Padre e del Figlio o sulla Verginità di Maria, provocavano dispute interminabili, accesissime, che si protraevano per ore ed ore, coinvolgendo passanti, mendicanti, stranieri, mercanti, talora persino soldati, e che terminavano, il più delle volte, in feroci risse o in violenti pestaggi che finivano col turbare la pubblica quiete e che, in taluni casi, dettero anche vita a rivolte popolari e a sommosse sanguinose duramente represse dal potere imperiale.
Alcune di queste sette eretiche furono perseguitate dalle autorità romane e bizantine a causa delle loro tumultuose predicazioni che turbavano l’ordine pubblico e la stabilità sociale dell’Impero. I Pepuziani in Frigia, i Circoncellioni in Numidia, i Pauliciani in Asia minore, i Bardesaniti in Siria, i Manichei in Egitto e in Palestina, conobbero a lungo l’estrema brutalità delle persecuzioni imperiali.
Le sette apocalittiche e quelle dualistiche furono le più duramente colpite, soprattutto sotto gli imperatori Teodosio e Giustiniano, quando ormai l’Impero aveva ufficialmente adottato il cristianesimo come religione di Stato.
Si trattò di repressioni spietate che diedero luogo a spaventosi crimini contro il libero pensiero, la libera fede e la libertà di coscienza: non si comprende infatti perché il manicheismo, il paulicianesimo e il bardesanismo, fossero ritenute così tanto pericolose dagli imperatori di Roma e Costantinopoli.
Le dottrine dualistiche che stavano alla base di queste ultime sopra citate tre eresie non erano certo le più perverse e le più depravate rispetto alle decine e decine di sette eretiche che pullulavano allora nel bacino del Mediterraneo: i Carpocraziani, i Fibioniti, i Cainiti, i Paterniani, i Menandriani, i Barbelognostici furono assai peggiori dei Manichei e dei Bardesaniti, se si esaminano le loro concezioni e le loro dottrine da un punto di vista etico-morale.
Eppure, tali sette, non vennero affatto perseguitate con la sistematica ed implacabile ferocia con cui invece, nell’Impero Romano d’Oriente, furono perseguitate le sette dualistiche. Talvolta, però, il potere imperiale, sobillato e istigato da quello ecclesiastico, colpì con spietata durezza soltanto i fondatori e i capi di queste farneticanti movimenti eretici.
Fu il caso, per esempio, di Priscilliano. Costui fu un colto ed aristocratico spagnolo, vissuto nel 300 dopo Cristo. Dopo avere aderito al Cristianesimo fu influenzato dalla dottrina dualistica manichea, che giudicava però troppo rigida sulle problematiche morali. Fondò così una setta, che da lui prese nome, i cui aderenti ritenevano che il mondo fosse conteso tra Dio e il Maligno, un mondo in cui le anime umane erano costituite dalla stessa natura e sostanza di Dio, il che le rendeva capaci di resistere alle tentazioni del Maligno.
Secondo Priscilliano fu il Maligno a creare il mondo materiale nel quale viviamo, e lo creò apposta per sedurre le anime umane e imprigionarle nella materia, chimera allettante e letale, la quale le ottenebra e le mantiene prigioniere grazie al fascino esercitato su di esse dai piaceri sessuali.
Ma sempre secondo Priscilliano, ogni anima umana è legata ad un astro e questo, con i suoi benefici influssi, può aiutarla a sottrarsi alla prigionia della materia. Inoltre, sembra che Priscilliano, al pari di altri gnostici licenziosi (ma potrebbe essere una menzogna diffusa ad ulteriore discredito di questo maestro eretico, in quanto le testimonianze antiche affermano che i priscillianisti avevano una rigida morale e praticavano astinenze sessuali, digiuni e distacco dai beni terreni) ), sostenesse che le anime, se vogliono sublimarsi ed elevarsi verso la sfera spirituale dell’esistenza, debbano prima mortificare il corpo immondo in cui sono rinchiuse, attraverso l’abbrutimento osceno nei piaceri carnali e nei gorghi delle bramosie sessuali, in quanto, soltanto dopo essersi abbrutita nelle laide bassezze della carne, l’anima è veramente disciolta da ogni appetito terreno e libera di ascendere verso le vette della suprema conoscenza spirituale.
Forse, a causa di questo eccessivo (ma ipotetico) libertinismo sessuale, unitamente alle sue concezioni dualistiche, Priscilliano venne arrestato e condannato, prima dal potere ecclesiastico e poi da quello imperiale, nonostante fosse stato nominato Vescovo di Avila.
Nel 380 subì una prima condanna e fu incarcerato. Nel 385, fu condotto a Treviri, in Germania, al cospetto dell’imperatore, l’usurpatore Magno Massimo, davanti al quale fu accusato di empietà, eresia e stregoneria. Sottoposto, insieme ai suoi più stretti seguaci, ad efferate torture tramite le quali i suoi carnefici ottennero una totale confessione delle colpe richieste, Priscilliano venne condannato a morte dall’imperatore. La condanna fu eseguita tramite decapitazione e insieme a Priscilliano furono uccisi anche i suoi seguaci Armenio, Eucrocia, Felicissimo, Latroniano, Aurelio e Assarino.
Quella di Priscilliano (il primo eretico affidato dalla Chiesa cattolica all’autorità civile affinché venisse da questa giustiziato per reati di empietà e stregoneria) fu una condanna spietata e brutale, che sconvolse molti ingegni cristiani dell’epoca, tra cui Martino di Tours e il vescovo di Milano, Ambrogio, il quale, nell’apprendere la notizia dell’avvenuta esecuzione del Vescovo di Avila, non esitò a dichiararsi inorridito.
Purtroppo, nei secoli a seguire, questa pratica aberrante di condannare a morte i fondatori di sette ereticali o i profeti di movimenti gnostici e dualistici continuò a diffondersi, soprattutto nei territori dell’Impero romano d’Oriente e, successivamente, in quelli di Bisanzio, ma anche nell’Impero persiano dei Sasanidi, dove, più di un secolo prima, era stato messo a morte il grande Mani, profeta e fondatore dell’eresia manichea.
Mani nacque in Mesopotamia, a Seleucia, nel 216 dopo Cristo. Suo padre apparteneva alla setta gnostica degli Elcasaiti e lo iniziò ben presto alle dottrine segrete della comunità. All’età di dodici anni e all’età di ventiquattro ebbe due rivelazioni angeliche che lo istruirono sulla grande missione che doveva compiere.
Iniziò a predicare le sue dottrine dualistiche, basate sul dissidio tra anima e corpo e tra luce e tenebra, nonché sull’eterna lotta cosmica tra il Re del Paradiso delle Luci e il Principe delle Tenebre, ovvero il Dio del Bene e d il Dio del Male, verso il 240, dapprima negli estremi territori orientali dell’Impero Sasanide (pare si sia recato anche in India, nell’attuale Punjab, e sino in Cina, nell’odierno Xinjiang, oltre che nei territori degli odierni Afghanistan e Pakistan) e poi nel cuore dello stesso impero iranico: nella Perside, nella Media, a Babilonia.
Il Re dei Re, Shapur I, incuriosito dalle voci che gli giungevano su questo nuovo profeta del Dio della Luce, gli concesse il grande onore di predicare a corte e di confrontarsi in pubbliche dispute con i magi zoroastriani, dei quali divenne ben presto acerrimo nemico.
Con la sua grande eloquenza e con il suo mirabile rigore morale, Mani riuscì a raccogliere attorno a sé centinaia di discepoli, gettando così i magi, timorosi di perdere i privilegi di cui godevano, in una crescente inquietudine. Questi, allora, gli mossero guerra, lo accusarono di eresia e di diffondere dottrine incompatibili con la religione di Zoroastro, e convinsero il Re dei Re Bahram I (successo nel frattempo a suo padre Shapur) a fare arrestare l’empio Mani.
Così il profeta venne incarcerato e gli fu impedito di predicare. Poi, istigato e sobillato dai magi (che vedevano in Mani un pericoloso rivale), Bahram decise di metterlo a morte.
Mani fu rinchiuso in una oscura prigione, con il collo, le braccia e le gambe gravati da pesantissime catene, dove venne lasciato a patire la fame e la sete, tormentato dagli insetti e dai topi. Infine, quando era già moribondo, venne decapitato, Gli furono mazzate anche le mani, poi, il suo corpo venne scorticato e la sua pelle, riempita di paglia, fu appesa alle mura di Ctesifonte, capitale dell’Impero Sasanide, mentre le sue mani e la sua testa furono esposte dinanzi alla porta d’ingresso della città. Il resto del suo corpo, come sommo gesto di spregio, venne dato in pasto ai cani randagi.
Dopo la sua morte, anche i discepoli di Mani vennero ferocemente perseguitati. A centinaia furono uccisi in Mesopotamia, nella Perside e in Armenia, dove si erano rifugiati. Moltissimi fuggirono in Siria, altri in Egitto e in Palestina, altri ancora in Cina e in India, sempre incalzati da persecuzioni spietate.
In questo modo, le dottrine dualistiche manichee si diffusero in tutto il bacino del Mediterraneo e in gran parte dei territori dell’Asia centrale.
Nell’Impero romano d’Oriente, la repressione contro i manichei fu particolarmente brutale. Dapprima furono perseguitati da Costantino e Teodosio, poi da Giustiniano, il quale, nel 527, promulgò addirittura un editto che prevedeva la pena di morte per i manichei e per tutti i seguaci delle eresie dualistiche (bardesaniti, arcontici, pauliciani), dando il via ad un vero e proprio soffocamento del libero pensiero teologico.
Un’altra illustre vittima gnostica del repressivo potere imperiale fu Patrizio, mago e astrologo, fondatore della setta dei Patriziani.
Patrizio predicò in Numidia, in Spagna e in Italia, approssimativamente tra la seconda metà del 200 e la prima metà del 300 dopo Cristo. Egli affermava che l’arcangelo Michele e Giovanni l’Evangelista, apparendogli in sogno per volere divino, gli avevano rivelato le supreme verità sul mistero dell’uomo e dell’universo, verità che erano state volutamente taciute dal Cristo, in quanto il Redentore si era rivolto soprattutto a pescatori, mendicanti, prostitute, usurai e gente incolta, incapaci di comprendere esoteriche dottrine.
Secondo Patrizio, la sostanza di cui sono fatti i corpi umani non fu creata da Dio bensì dal Maligno, il quale la utilizzò come un carcere immondo per imprigionarvi dentro le anime che l’Altissimo aveva inviato sulla Terra. Egli infatti riteneva che le anime tendono verso la Luce, ma il fatto stesso di essere imprigionate dentro quegli involucri di carne immonda che sono i nostri corpi, finiscono con l’essere condizionate dalla materia e quindi indotte a peccare. Liberandosi poi, con la morte, dalla prigione corporea, l’anima riacquisterà la perduta libertà e potrà tornare ad aspirare alle eterne beatitudini celesti.
Perciò, affermava Patrizio, la morte era un evento lieto, liberatorio, da ricercarsi a tutti i costi, in quanto restituiva la libertà all’anima, sottraendola per sempre alle laide, disgustose e volgari bassezze del corpo.
La predicazione eretica di Patrizio raccoglieva adepti e proseliti soprattutto tra i poveri, gli emarginati, i miserabili, gli schiavi, i sofferenti, gli ammalati, gli storpi, e tra tutti coloro per i quali la vita era un peso insopportabile.
Infiammati ed esaltati dalle virulente prediche di Patrizio, caratterizzate appunto da accese invettive contro la corporeità, la materia e la limitatezza umana, molti suoi seguaci giunsero a suicidarsi e a darsi spontaneamente la morte pur di affrettare la liberazione della propria anima.
In pratica, lo gnostico Patrizio si fece campione di una sorta di indefessa “esortazione al suicidio”, come già, secoli prima, aveva fatto il filosofo cirenaico Egesìa, che era chiamata con il sinistro appellativo di “avvocato della morte”.
Quando, però, iniziarono a suicidarsi alcuni giovanissimi rampolli di nobili famiglie i quali erano rimasti fatalmente sedotti dal lato oscuro della predicazione patriziana, le autorità imperiali lo fecero arrestare e processare. Condannato come “corruttore di giovani menti”, “istigatore al suicidio” e “perturbatore dell’ordine pubblico”, anche Patrizio, esattamente come Priscilliano, venne condotto al patibolo, forse nella prima metà del quarto secolo dopo Cristo. Fu decapitato, non si sa con precisione se in Spagna o in Nordafrica, su una pubblica piazza, e la sua setta venne perseguitata e dispersa con tale violenza che, nel volgere di pochi decenni, si estinse del tutto.
Ma nonostante queste feroci persecuzioni, nonostante tutte queste violenze e questi supplizi, le eresie continuarono a diffondere il loro devastante veleno tanto in Oriente quanto in Occidente. Infatti, non furono certo le persecuzioni di Costantino contro gli ariani, quelle di Teodosio contro i pagani o quelle di Giustiniano contro i manichei a fermare il dilagare delle eresie.
Il Cristianesimo, una volta entrato in combutta con il potere politico, fece della Chiesa una istituzione gerarchica che si comportò in maniera fanatica ed intollerante non solo contro ogni altra espressione religiosa, ma anche contro ogni forma di dissenso teologico o intellettuale.
Fu la Chiesa ad istigare imperatori come Teodosio a perseguitare i pagani e gli eretici, e fu una bigotta e fanatica religiosità ispiratagli dalla devozione totale verso la Chiesa a spingere Giustiniano ad emanare l’esecrando editto con il quale si condannavano alla pena capitale i seguaci del manicheismo e delle altre eresie dualistiche. Un editto, questo, seguito da quello che impose la chiusura delle scuole delle scuole filosofiche ad Atene (l’Accademia, il Peripato, la Stoa, il Giardino) infliggendo un ultimo terribile colpo alla cultura pagana e costringendo gli ultimi filosofi dell’Accademia a cercare scampo nella lontana Persia, alla corte degli imperatori sasanidi.
Ma nonostante tutti questi divieti e tutte queste persecuzioni, le eresie continuarono a diffondersi e a prosperare, tanto a Bisanzio quanto a Roma, anzi, ne sorsero addirittura di nuove, quasi a voler sfidare la dispotica autorità della Chiesa e dell’Impero.
Il diffondersi di così tante bizzarre eresie, da un lato fu testimonianza di una grande vivacità intellettuale e di una fortissima passione religiosa, dall’altro, però, manifestò apertamente la fantasia stupefacente e il personalismo delirante che si scatenarono con la diffusione delle dottrine cristiane con quelle dell’antica cultura filosofica pagana.
Furono infatti i vari tentativi di cristianizzazione del platonismo e di platonizzazione del cristianesimo a favorire la nascita di così tante bizzarre dottrine ereticali.
Questi assurdi connubi tra religione cristiana e filosofia pagana (ai quali occorre aggiungere anche una fortissima commistione di elementi propri della religiosità ebraica ed iranica) dette origine ad un proliferare inesausto di fantasie incredibili, di idee bizzarre, di dottrine aberranti, e persino di fantasticherie blasfeme e di reinterpretazioni allucinate dei Vangeli e delle Sacre Scritture dell’Antico Testamento.
Per esempio, Saturnino (o Saturnilo) di Antiochia, vissuto nella prima metà del II secolo dopo Cristo, discepolo di Simone Mago e di Menandro, portò alle estreme conseguenze l’eresia simoniana. Secondo Saturnino, il Dio buono, cioè il Padre Celeste, creò la vita spirituale (angeli, eòni, e ogni altra sorta di spiriti celesti) e le anime umane. Il Demiurgo, essere celeste perverso e malvagio, sorta di cattivo angelo bramoso di imitare la creatività divina (che Saturnino identifica con il feroce dio ebraico Jahwé), invidioso della perfetta creazione spirituale, volle stoltamente imitare il Padre Celeste e dette vita alla materia, creando il mondo fisico e i corpi umani.
Quando le anime decaddero dalla loro condizione originaria, furono imprigionate dal malvagio Demiurgo nei corpi materiali che egli stesso aveva creato, subendo così il ripugnante dominio della fisicità.
Secondo Saturnino, gli uomini si dividono in buoni e malvagi. Per la salvezza dei primi, il Padre Celeste inviò sulla Terra il Cristo, con al missione di indicare loro la via da seguire. Per i secondi, invece, non esiste salvezza, condannati come sono ad essere schiavi per l’eternità dell’iniquo Demiurgo.
Inoltre Saturnino affermava che non ci si deve nutrire di carne (essendo questa la più immonda espressione della materia), ingiungeva ai suoi discepoli di non sposarsi e non procreare (in quanto il desiderio dell’uomo e della donna di congiungersi e fare figli è desiderio immondo ispirato direttamente da Satana) e affermava che per volere del Padre, Cristo era venuto sulla Terra per distruggere il Dio dei Giudei (nient’altro che una spirito immondo e sanguinario, cioè un malvagio arconte) e per salvare i veri credenti (quelli dotati di una scintilla di vita divina infusa loro dal Padre), cioè i membri stessi della setta di Saturnino.
Ma pare che Saturnino sia stato anche predicatore di fantasie blasfeme che suscitarono ilarità e disgusto, come affermò Epifanio di Salamina, Padre della Chiesa, autore di un celebre trattato contro le eresie, intitolato Panarion. Per esempio, sembra abbia sostenuto che l’amore di Gesù per i suoi discepoli fosse anche un amore carnale, di natura sodomitica, come avveniva in gran parte delle scuole filosofiche pagane, dove, tra il maestro e i più fedeli allievi si instauravano intensi rapporti di erotismo maschile.
Secondo Saturnino (o forse, più realisticamente, secondo qualcuno dei suoi seguaci che poi attribuì al maestro queste fantasie invereconde), tale genere di rapporti era praticato anche da Gesù con alcuni dei suoi discepoli, e il favorito del Cristo pare fosse Giovanni l’Evangelista, il quale fu l’unico tra gli Apostoli che andò a piangere ai piedi della Croce e che mostrò nei confronti del Maestro nazareno un attaccamento quasi morboso e di totale sottomissione.
Si tratta di fantasticherie su Gesù che ben rivelano come le dottrine di questi eretici mescolassero elementi teologici e filosofici con elementi bizzarri e fantastici, frutto di invenzioni assurde e, talora, rasentanti persino il ridicolo, ma nel variegato mondo delle antiche eresie cristiane si possono davvero trovare ogni genere di assurdità.
Un’altra setta gnostica che predicava dottrine assurdamente fantastiche fu quella degli Arcontici, fondata nel IV secolo dopo Cristo da un vecchio sacerdote palestinese, di Cesarea, un tale Pietro da Cabarbaricha. Costui non aveva mai accettato il fatto che il Cristo non avesse esposto chiaramente e minuziosamente agli Apostoli una ben precisa dottrina teologica, ragion per cui aveva svolto l’intero suo ministero pastorale tentando di spiegare teologicamente ciò che era stato taciuto da Gesù di Nazareth a proposito della Creazione del mondo, della natura delle anime, della vita nell’Oltretomba, delle creature angeliche che reggono l’ordine cosmico per volere dell’Altissimo…
Intorno al 340 dopo Cristo, Pietro da Cabarbaricha ebbe una visione miracolosa che cambiò per sempre la sua esistenza. Nella notte tra il sabato e la domenica di Pasqua, nel chiuso della sua povera ed austera stanza da letto, apparve una colossale colonna di fuoco. A fianco della colonna fiammeggiante c’erano Mosé e al Beata Vergine Maria, mentre dal fuoco crepitante uscì la voce dello Spirito Santo.
Pietro fu destato di soprassalto e, inginocchiatosi con la fronte appoggiata al pavimento, ricevette dal Paraclito stesso la segreta dottrina degli Arconti, quella che il Cristo, secondo quanto affermato da molti intellettuali, aveva rivelato segretamente ai soli Apostoli.
Stupefatto e sconvolto, Pietro memorizzò prodigiosamente tutto ciò che lo Spirito Santo gli andava dicendo intorno alla dottrina degli Arconti. Poi, secondo le dicerìe degli gnostici, ad un tratto la sua perpetua ed un diacono (che vivevano insieme a Pietro), vedendo una gran luce filtrare da sotto la porta della stanza del sacerdote, vollero entrare per vedere di cosa si trattava.
Non l’avessero mai fatto! Lo Spirito Santo, che non voleva essere disturbato, fece diventare muta la perpetua e cieco il diacono, punendoli in tal modo per avere osato curiosare mentre era intento ad indottrinare il sacerdote.
Il mattino seguente, Pietro da Cabarbaricha, tutto infervorato, iniziò a predicare per tutta Cesarea la nuova dottrina rivelatagli dallo Spirito Santo, ma né i suoi parrocchiani né il suo vescovo vollero prestargli ascolto. Soltanto un giovane astrologo, che si guadagnava da vivere predicendo il futuro nelle piazze dei mercati e nei crocicchi delle strade, un certo Eutatto, lo seguì nella sua affabulata predicazione e divenne ben presto suo fido discepolo.
Accusato di eresia, Pietro da Cabarbaricha subì l’anatema dal proprio vescovo, così fu costretto ad abbandonare il sacerdozio. Si rifugiò allora presso una comunità di ebioniti che risiedeva lungo le sponde del Giordano, dove riuscì a convertire alle sue dottrine molte persone. Poi, intorno al 360, Pietro si ritirò con alcune centinaia di fedelissimi discepoli ai piedi di un’altura costellata di grotte, non lontano da Gerusalemme, e ivi compose gran parte delle opere letterarie che divennero i libri sacri della setta degli Arcontici.
Verso il 370, Pietro morì, pare soffocato mentre si ingozzava di datteri. Poco dopo, contro gli Arcontici, si scatenò una violenta persecuzione che costrinse Eutatto a fuggire dalla Palestina, portandosi dietro, però, tutti i libri sacri scritti da Pietro.
Rifugiatosi in Armenia, Eutatto prese a predicare e a diffondere la dottrina del maestro, raccogliendo attorno a sé molti seguaci, i quali, a loro volta, diffusero le dottrine arconti che in Siria, in Cappadocia, in Cilicia, in Mesopotamia, a Cipro e persino in Egitto.
Ma in che cosa consistevano queste strabilianti dottrine che, secondo quanto affermato da Pietro da Cabarbaricha, gli erano state rivelate addirittura dallo Spirito Santo? Secondo Pietro, il cosmo è costituito da Sette Cieli, ognuno dei quali è governato da un principe angelico (cioè, un Arconte), che vive circondato da legioni angeli aventi il compito di imprigionare le anime umane nella vile materia corporea.
Nell’ottavo cielo, infinito, che si estende al di là del ristretto dominio degli Arconti, dimora invece la Madre di Luce, che prova pietà per la sorte degli uomini e che li accoglie nel suo regno luminoso se le anime riescono a sfuggire agli angeli degli Arconti, ma che, in nessun modo, può intervenire in loro difesa contro gli stessi Arconti.
Il principe del settimo cielo, Sabaoth, dio dei Giudei, è, secondo la dottrina di Pietro, genitore del Demonio, ovvero Satana. Quest’ultimo si era ribellato all’autorità di Sabaoth ed era sceso sulla Terra. Ivi aveva sedotto la bella e ingenua Eva e si era congiunto carnalmente con lei, generando Caino, Abele e molti altri figli, i quali, poi, accoppiatisi oscenamente tra loro, generarono l’intera umanità.
Secondo quanto affermato da Pietro e da Eutatto, compito delle anime è raggiungere la Suprema Conoscenza, ovvero la Gnosi, alfine di sfuggire al potere tenebroso di Sabaoth e di volare attraverso i Sette Cieli sino a raggiungere l’ottavo, dove si viene amorevolmente accolti dalla Madre Suprema.
Pietro impose ai suoi discepoli norme comportamentali molto rigorose ed austere: dovevano essere poveri, praticare il digiuno, dedicare almeno metà della giornata allo studio e alla preghiera, astenersi dai piaceri carnali, evitare di sposarsi e concepire figli, maledire il nome di Satana appena alzati al mattino e prima di coricarsi la sera.
Inoltre, gli Arcontici negavano la resurrezione del corpo (il quale, dopo al morte, verrebbe completamente distrutto dalla decomposizione) e condannavano i Sacri Misteri della Liturgia cattolica, in particolare l’Eucarestia (che, secondo Pietro, istigava gli uomini a mangiare e a bere) e il Battesimo (quest’ultimo, soprattutto secondo Eutatto, era stato ispirato al Cristo nientemeno che da Sabaoth, con il fine di tenere le anime umane avvinte alla sua nefasta influenza tramite il magico potere dell’acqua).
Al pari dei seguaci di Saturnino, dunque, anche gli Arcontici fecero un uso sfrenato della fantasia, elucubrando dottrine assolutamente fantastiche che ebbero il potere di sedurre poeti, maghi, astrologi, fattucchieri, marinai, mercanti, avventurieri e monaci millenaristi, ma che non riuscirono affatto a contendere al Cristianesimo la grande massa dei fedeli, come invece auspicava Pietro da Cabarbaricha.
Costui inventò delle belle favole teologiche e cosmogoniche, anche molto poetiche, spacciandole quali rivelazioni dello Spirito Santo, ma non fu creduto dalla moltitudine delle masse cristiane, come invece desiderava.
Il che, ovviamente, dimostra come non sia possibile pretendere che una fantasiosa religione, creata dall’oggi al domani in seguito a un sogno, ad una fantasticheria (o ad un delirio), possa subitaneamente essere seguita e praticata da milioni di persone.
Quella fondata da Pietro da Cabarbaricha, così come quella fondata da Saturnino, non fu altro che una setta, una setta che comprendeva qualche migliaio di seguaci ma che non giunse mai a poter seriamente rivaleggiare con la religione cristiana.
Ma vi fu ancora un’altra setta gnostica che, attraverso dottrine fantastiche e comportamenti scellerati ed immorali, giunse a diffondere il proprio letale veleno psicologico tra le popolazioni latino-africane del tardo Impero romano, e cioè, quella dei Quintillianiti.
Il fondatore di tale setta, attiva nel Nordafrica (Numidia, Tingitania, Mauritania, Cirenaica) tra il terzo e il quinto secolo dopo Cristo, pare sia stata fondata da un certo Quintillo (da cui il nome), un losco individuo, piuttosto misterioso, una sorta di avventuriero che pare avesse fatto il marinaio, il mercante di schiavi, il tenutario di un lupanare e, infine, il taverniere. Dopo aver fatto parte, per qualche tempo, della setta dei Cainiti, che veneravano l’eòne Caino, Quintillo se ne distaccò e iniziò a predicare le sue dottrine, fondando una setta sua, che da lui prese nome.
Sembra che Quintillo si mise a predicare dopo aver fatto un sogno in cui gli erano apparsi Abramo, Maria Maddalena e Giuda Iscariota, i quali gli avevano rivelato che Cristo aveva scelto lui come suo nuovo apostolo, con il preciso incarico di avversare la legge mosaica, fonte di male non solo per i Giudei, ma anche per i cristiani.
Così, Quintillo iniziò a combattere la legge di Mosé affermando che non solo non andava rispettata, ma che, al contrario, il vero credente doveva praticare tutti gli atti proibiti dal Decalogo, in quanto era proprio questo che faceva davvero piacere al Cristo.
In breve tempo diventò un predicatore fanatico, e in base a quanto gli era stato rivelato in sogno da Abramo stesso, come egli sosteneva, esortava le masse a fornicare, a rubare, a dire falsa testimonianza, a commettere adulterio, a bestemmiare e a disprezzare i genitori, a rapire e a violentare le donne altrui.
Ovviamente, questo suscitò la condanna delle autorità ecclesiastiche e il drastico intervento di quelle imperiali, le quali presero ben presto a perseguitare la setta e il suo fondatore, ma, nonostante ciò, furono migliaia e migliaia i furfanti, i malviventi, i tagliagole, i ladri e i ribaldi di ogni risma che aderirono alla setta di Quintillo e che si dichiaravano pronti ad obbedire alle sue deliranti dottrine.
I loro testi sacre pare fossero due apocrifi, Il Vangelo di Giuda e L’Apocalisse di Caino, già testi in uso presso i più moderati Cainiti, che Quintillo rimaneggiò opportunamente e che fece circolare tra i suoi adepti. Oltre a Caino, che per Quintillo era un vero e proprio idolo, egli esaltava in maniera smodata anche la figura di Giuda Iscariota, il quale, come affermava, gli compariva più volte in sogno per rivelargli la volontà di Cristo.
Secondo Quintillo, Giuda era l’unico tra gli Apostoli dotato di vera conoscenza, ovvero la Gnosi, il solo mezzo che consente agli uomini di salvarsi e di liberarsi dalla prigionia immonda del mondo materiale. Egli sosteneva che Giuda aveva tradito Gesù di Nazareth non per malvagità ma per troppo zelo, in quanto riteneva che Cristo fosse un emissario del malvagio Demiurgo, noto come Jahwé, il terrificante e vendicativo dio degli Ebrei.
Per tale motivo, secondo Quintillo, Giuda non era stato condannato da Cristo, pur essendosi impiccato per disperazione. Anzi, al contrario, Cristo, appena risorto, era disceso agli Inferi e, insieme alle anime dei patriarchi, aveva liberato anche l’anima di Giuda, portandola con sé in Paradiso.
Oltre allo studio dei Sacri Testi e alla repellente messa in pratica dei cosiddetti “anticomandamenti”, Quintillo imponeva ai suoi seguaci di abbandonarsi a qualsiasi genere di esperienza sessuale, in quanto, attraverso il sesso, la carne viene mortificata e l’anima, finalmente liberata dalla bramosia della lussuria, può ascendere verso le mete superiori del pensiero, libera da qualsiasi condizionamento carnale.
Anche Quintillo (che fu attivo in tutto il Nordafrica, dalla Numidia alla Libia), come già Saturnino e Pietro da Cabarbaricha, utilizzò fantasie assurde e dottrine deliranti per proporre la sua visione della vita e dell’uomo. Ingiungendo però ai suoi discepoli di comportarsi esattamente al contrario di ciò che prescrivono i Dieci Comandamenti, avallò, sebbene indirettamente, furti, rapine, omicidi, stupri, tanto da indurre le autorità imperiali ad agire energicamente contro la setta, utilizzando la repressione più spietata.
A partire dall’impero di Alessandro Severo sino a giungere all’epoca di Teodosio, cioè all’incirca dal 220-222 al 450 dopo Cristo, i Quintillianiti furono sottoposti a brutali repressioni, caratterizzate da arresti, incarcerazioni, esecuzioni capitali.
Pare che lo stesso Quintillo (ma non ci sono fonti storicamente certe) sia stato decapitato, forse a Tagaste, durante il regno di Aureliano, nel corso di una persecuzione anticristiana durante la quale vennero uccisi anche centinaia di appartenenti ad altre sette gnostiche e pseudo giudaiche.
Eppure, nonostante tutte queste violenze, il veleno letale dell’eresia seguitò a diffondersi nel mondo cristiano e a conquistare alle proprie fantasiose dottrine anime e cuori insoddisfatti della scarsa sapienza teologica e filosofica dei predicatori cristiani. Infatti, uno degli elementi che maggiormente favorirono il nascere e il dilagare delle eresie gnostiche, fu proprio la scarsità di rivelazioni teologiche che caratterizzò negativamente la predicazione di Cristo.
Oltre all’esasperato protagonismo di tanti falsi profeti, maghi e ciarlatani che fondarono sette più o meno longeve, ci fu la colossale carenza di informazioni teologiche ed escatologiche nelle rivelazioni evangeliche ad indurre tanti cristiani a passare nelle file dei valentiniani, dei basilidiani, dei manichei, dei barbelognostici o degli arcontici.
La gente vissuta nei primi secoli del Cristianesimo – esattamente come gli uomini di oggi – non si accontentava di semplici insegnamenti come “Ama il prossimo tuo come te stesso”, “Chi di spada ferisce di spada perisce”, “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel Regno dei Cieli” e altre elementari sentenze del genere.
La gente, inquieta e dubbiosa, voleva risposte precise e dettagliate sulla natura di Dio Padre e del Cristo, sull’essenza dello Spirito Santo, sul mistero dell’Incarnazione e sull’enigma della Resurrezione, sulla natura degli angeli e dei demoni, sulle caratteristiche dell’Aldilà e sul destino delle anime dopo la morte del corpo.
A queste e a mille altre domande del genere, precise, minuziose, incalzanti, Cristo non volle dare esaurienti risposte, e neppure vollero darle i suoi Apostoli e i pontefici che vennero dopo gli Apostoli.
Ecco il motivo per cui sorsero così tante sette eretiche e così tanti movimenti gnostici: i loro fondatori – si chiamassero Saturnino, Carpocrate, Mani, Valentino, Cerdone, Ierace, Apelle o Bardesane – intesero, nei loro sistemi teologici e filosofici, dare risposte precise ed esaustive a tutti i sopra elencati quesiti lasciati irrisolti da Gesù e dai sui discepoli.
Essi vedevano che le masse non si accontentavano semplicemente di rispettare i Dieci Comandamenti o le Beatitudini del Discorso della Montagna: la gente esigeva, giustamente, descrizioni precise su come è fatto Dio, come è fatto l’Aldilà, come si vive nell’Oltretomba, di quali essenze spirituali sono costituiti il Logos Divino e lo Spirito santo Paraclito, come è fatta l’anima umana, quando verrà la Fine del Mondo, e i maestri gnostici, con le loro dottrine pur complicate e fantasticamente elaborate, tentarono di dare risposte soddisfacenti a queste pressanti richieste.
Perciò, non si può negare che il seducente veleno delle eresie si diffuse nel mondo cristiano soprattutto a causa della scarsità di precisazioni sulla natura di Dio e dell’Oltretomba e sul destino ultimo dell’Uomo, di cui, nella predicazione di Cristo e nei Vangeli non si parla né concretamente né esaurientemente. A ciò, e al già citato personalismo di cui accennavo poco fa, vanno aggiunti, ovviamente, elementi di rivendicazioni politiche e sociali, attese millenaristiche ed utopistiche speranze di giustizia sociale di cui, sovente, tali sette si fecero portavoce.
Ma furono soprattutto le mancate precisazioni di Cristo su tante questioni teologiche a far sì che le menti più curiose, più vivaci e più intelligenti, si rivolgessero alle sette gnostiche per ottenere quelle delucidazioni escatologiche che Gesù si era ostinatamente (e inspiegabilmente) rifiutato di rivelare sia alle masse sia ai suoi stessi Apostoli. Perciò, se le eresie ebbero così tanta diffusione nell’antichità cristiana, ciò è in massima parte da attribuire alla stessa incompleta ed imperfetta predicazione di Gesù di Nazareth (non basta resuscitare i Lazzaro, bisogna anche spiegare minuziosamente come è fatto e che cosa ci attende nell’Aldilà!).
Egli disse e non disse, rivelò poche cose e ne tacque moltissime, non dette delucidazioni precise in merito alle problematiche escatologiche e si rifiutò nel modo più assoluto di descrivere, nei minimi particolari, l’essenza e la natura di Dio, la vita delle anime nell’Oltretomba, l’organizzazione delle schiere angeliche e di quelle demoniache, le peculiarità di Dio Padre e della sua esistenza così misteriosa e così lontana dal mondo fisico dell’Uomo e dei suoi impellenti bisogni materiali.
Ecco perché le eresie, anche le più bizzarre, anche le più blasfeme, anche le più risibili e deliranti, trovarono un facile e fertile terreno umano nel quale attecchire ed ebbero l’opportunità di diffondersi tanto rapidamente in tutte le province dell’Impero Romano.
Il veleno seducente, affascinante, ma anche letale, delle eresie, insidiò la religione cristiana e ne intaccò le fondamenta, ma fu anche, al tempo stesso, un balsamo vigoroso per tutti quegli intelletti vivaci ed arguti che non si rassegnavano a veder spiegati i misteri di Dio, dell’Uomo e dell’Universo, in quelle quattro favolette per sognatori creduloni, riportate nei Testi Sacri del Nuovo Testamento.
Fonte:
srs di di Fabrizio Legger da Dazebao del (21 Novembre 2009)
http://www.laportadeltempo.com/news.asp?ID=4921I primi secoli del Cristianesimo furono caratterizzati, oltre che dalle persecuzioni anticristiane poste in atto dai pagani, anche dal dilagare delle eresie. Sette, chiese e movimenti ereticali gnostici, dualistici, pseudo giudaici, orientaleggianti, misterici, apocalittici, sorsero come funghi in tutte le province del vasto Impero di Roma, seminando ovunque il loro devastante veleno e le loro assurde dottrine che si contrapposero alle mistificazioni e alle alterazioni del cristianesimo delle origini poste in atto dalla dominante Chiesa di Roma.
I Padri della Chiesa si trovarono in prima linea nel combattere queste deliranti eresie e dettero così vita ad una memorabile guerra intellettuale, teologica e filosofica, tra i campioni della libertà di pensiero e i rigorosi difensori dell’ortodossia cristiana.
In quei secoli, il veleno delle eresie si diffuse come una sorta di cancro malefico nel seno di tutte le comunità cristiane d’Oriente e d’Occidente, pullulando nel cuore stesso della Chiesa cattolica come un morbo immondo e compromettendone in vario modo l’unità e la stabilità.
Alcune di queste eresie pretendevano di definire e spiegare meglio, da un punto di vista meramente teologico e dottrinale, alcuni aspetti incerti e oscuri della teologia trinitaria cristiana. Altre, invece, erano bizzarre dottrine, molto stravaganti, piene zeppe di elementi fantasiosi e irrazionali, le quali elucubravano non soltanto sulla corporeità del Cristo o sulla perenne verginità della Madonna, ma anche sulla Natura dello Spirito Santo e sul presunto ruolo “sessuale” avuto da questi nell’Incarnazione del Cristo e sulla Sua compartecipazione alla Creazione del Mondo e dell’Uomo. Altre, invece, disquisivano e fantasticavano fino al delirio sulla natura dell’anima umana e sulle differenze esistenti fra le Tre Persone della Divina Trinità.
Su questi e su molti altri argomenti, ogni fondatore di setta, ogni filosofo gnostico ed ogni profeta eretico diede la propria versione dei fatti, il più delle volte discordanti e contrastanti tra loro, adducendo a sostegno della propria dottrina il fatto che tali “verità” erano state rivelate loro direttamente da Dio Padre, oppure dal Cristo, o dallo Spirito Santo, o dagli spiriti trapassati degli apostoli di Gesù o addirittura dei profeti dell’Antico Israele.
Si originò così una proliferazione mostruosa e smisurata di dottrine, di idee, di mitologie, di cosmogonie, di escatologie, di favole e di credenze che, spesso, rasentavano anche il ridicolo.
Eppure, queste dottrine eretiche e queste fantasie gnostiche seppero essere così affascinanti, tanto da attrarre nelle sette che le predicavano, anche arguti intellettuali e valenti filosofi, i quali rimasero incantati dai miti della Pistis Sophia, del Pleroma, delle Ipostasi degli Arconti, dell’Autogenerato e del Demiurgo.
A molti intellettuali dell’epoca, sembrò di ritrovare in tali dottrine buona parte dell’antica sapienza greca, cioè, di quella filosofia neoplatonica, stoica e aristotelica che ancora costituiva la colonna portante della cultura filosofica tardo antica.
Ma anche se gli gnostici saccheggiarono a piene mani la filosofia di Platone o di Plotino, le loro dottrine restano talmente intrise di elementi eterogenei provenienti dalla cultura giudaica, frigia, egizia, siriaca ed iranica, tanto che non possono essere assolutamente paragonate con l’ordine logico e la sobrietà di pensiero che caratterizzano le dottrine teologiche di Platone e di Aristotele.
Eppure, le fantasie mirabolanti degli gnostici riscossero un successo strepitoso, non solo tra le classi colte, ma anche tra le plebi delle grandi metropoli, le quali, all’epoca, pur nella loro ignoranza, partecipavano con estrema passione (e persino faziosità) alle dispute teologiche.
Sembra incredibile, eppure, tra il II e il V secolo dopo Cristo, nelle piazze di enormi città come Edessa, Cesarea, Alessandria, Tessalonica, Atene, Palmira, oppure tra le bancarelle dei mercati delle maggiori città dell’Asia Minore e dell’Oriente romano-bizantino, si poteva assistere a infervorate discussioni (che spesso terminavano anche con violente scazzottate) tra ariani e pauliciani, arcontici e seleuciani, bardesaniti e basilidiani, saturniani e valentiniani, e via dicendo.
Le disquisizioni teologiche sulla Natura del Cristo, sulla consustanzialità del Padre e del Figlio o sulla Verginità di Maria, provocavano dispute interminabili, accesissime, che si protraevano per ore ed ore, coinvolgendo passanti, mendicanti, stranieri, mercanti, talora persino soldati, e che terminavano, il più delle volte, in feroci risse o in violenti pestaggi che finivano col turbare la pubblica quiete e che, in taluni casi, dettero anche vita a rivolte popolari e a sommosse sanguinose duramente represse dal potere imperiale.
Alcune di queste sette eretiche furono perseguitate dalle autorità romane e bizantine a causa delle loro tumultuose predicazioni che turbavano l’ordine pubblico e la stabilità sociale dell’Impero. I Pepuziani in Frigia, i Circoncellioni in Numidia, i Pauliciani in Asia minore, i Bardesaniti in Siria, i Manichei in Egitto e in Palestina, conobbero a lungo l’estrema brutalità delle persecuzioni imperiali.
Le sette apocalittiche e quelle dualistiche furono le più duramente colpite, soprattutto sotto gli imperatori Teodosio e Giustiniano, quando ormai l’Impero aveva ufficialmente adottato il cristianesimo come religione di Stato.
Si trattò di repressioni spietate che diedero luogo a spaventosi crimini contro il libero pensiero, la libera fede e la libertà di coscienza: non si comprende infatti perché il manicheismo, il paulicianesimo e il bardesanismo, fossero ritenute così tanto pericolose dagli imperatori di Roma e Costantinopoli.
Le dottrine dualistiche che stavano alla base di queste ultime sopra citate tre eresie non erano certo le più perverse e le più depravate rispetto alle decine e decine di sette eretiche che pullulavano allora nel bacino del Mediterraneo: i Carpocraziani, i Fibioniti, i Cainiti, i Paterniani, i Menandriani, i Barbelognostici furono assai peggiori dei Manichei e dei Bardesaniti, se si esaminano le loro concezioni e le loro dottrine da un punto di vista etico-morale.
Eppure, tali sette, non vennero affatto perseguitate con la sistematica ed implacabile ferocia con cui invece, nell’Impero Romano d’Oriente, furono perseguitate le sette dualistiche. Talvolta, però, il potere imperiale, sobillato e istigato da quello ecclesiastico, colpì con spietata durezza soltanto i fondatori e i capi di queste farneticanti movimenti eretici.
Fu il caso, per esempio, di Priscilliano. Costui fu un colto ed aristocratico spagnolo, vissuto nel 300 dopo Cristo. Dopo avere aderito al Cristianesimo fu influenzato dalla dottrina dualistica manichea, che giudicava però troppo rigida sulle problematiche morali. Fondò così una setta, che da lui prese nome, i cui aderenti ritenevano che il mondo fosse conteso tra Dio e il Maligno, un mondo in cui le anime umane erano costituite dalla stessa natura e sostanza di Dio, il che le rendeva capaci di resistere alle tentazioni del Maligno.
Secondo Priscilliano fu il Maligno a creare il mondo materiale nel quale viviamo, e lo creò apposta per sedurre le anime umane e imprigionarle nella materia, chimera allettante e letale, la quale le ottenebra e le mantiene prigioniere grazie al fascino esercitato su di esse dai piaceri sessuali.
Ma sempre secondo Priscilliano, ogni anima umana è legata ad un astro e questo, con i suoi benefici influssi, può aiutarla a sottrarsi alla prigionia della materia. Inoltre, sembra che Priscilliano, al pari di altri gnostici licenziosi (ma potrebbe essere una menzogna diffusa ad ulteriore discredito di questo maestro eretico, in quanto le testimonianze antiche affermano che i priscillianisti avevano una rigida morale e praticavano astinenze sessuali, digiuni e distacco dai beni terreni) ), sostenesse che le anime, se vogliono sublimarsi ed elevarsi verso la sfera spirituale dell’esistenza, debbano prima mortificare il corpo immondo in cui sono rinchiuse, attraverso l’abbrutimento osceno nei piaceri carnali e nei gorghi delle bramosie sessuali, in quanto, soltanto dopo essersi abbrutita nelle laide bassezze della carne, l’anima è veramente disciolta da ogni appetito terreno e libera di ascendere verso le vette della suprema conoscenza spirituale.
Forse, a causa di questo eccessivo (ma ipotetico) libertinismo sessuale, unitamente alle sue concezioni dualistiche, Priscilliano venne arrestato e condannato, prima dal potere ecclesiastico e poi da quello imperiale, nonostante fosse stato nominato Vescovo di Avila.
Nel 380 subì una prima condanna e fu incarcerato. Nel 385, fu condotto a Treviri, in Germania, al cospetto dell’imperatore, l’usurpatore Magno Massimo, davanti al quale fu accusato di empietà, eresia e stregoneria. Sottoposto, insieme ai suoi più stretti seguaci, ad efferate torture tramite le quali i suoi carnefici ottennero una totale confessione delle colpe richieste, Priscilliano venne condannato a morte dall’imperatore. La condanna fu eseguita tramite decapitazione e insieme a Priscilliano furono uccisi anche i suoi seguaci Armenio, Eucrocia, Felicissimo, Latroniano, Aurelio e Assarino.
Quella di Priscilliano (il primo eretico affidato dalla Chiesa cattolica all’autorità civile affinché venisse da questa giustiziato per reati di empietà e stregoneria) fu una condanna spietata e brutale, che sconvolse molti ingegni cristiani dell’epoca, tra cui Martino di Tours e il vescovo di Milano, Ambrogio, il quale, nell’apprendere la notizia dell’avvenuta esecuzione del Vescovo di Avila, non esitò a dichiararsi inorridito.
Purtroppo, nei secoli a seguire, questa pratica aberrante di condannare a morte i fondatori di sette ereticali o i profeti di movimenti gnostici e dualistici continuò a diffondersi, soprattutto nei territori dell’Impero romano d’Oriente e, successivamente, in quelli di Bisanzio, ma anche nell’Impero persiano dei Sasanidi, dove, più di un secolo prima, era stato messo a morte il grande Mani, profeta e fondatore dell’eresia manichea.
Mani nacque in Mesopotamia, a Seleucia, nel 216 dopo Cristo. Suo padre apparteneva alla setta gnostica degli Elcasaiti e lo iniziò ben presto alle dottrine segrete della comunità. All’età di dodici anni e all’età di ventiquattro ebbe due rivelazioni angeliche che lo istruirono sulla grande missione che doveva compiere.
Iniziò a predicare le sue dottrine dualistiche, basate sul dissidio tra anima e corpo e tra luce e tenebra, nonché sull’eterna lotta cosmica tra il Re del Paradiso delle Luci e il Principe delle Tenebre, ovvero il Dio del Bene e d il Dio del Male, verso il 240, dapprima negli estremi territori orientali dell’Impero Sasanide (pare si sia recato anche in India, nell’attuale Punjab, e sino in Cina, nell’odierno Xinjiang, oltre che nei territori degli odierni Afghanistan e Pakistan) e poi nel cuore dello stesso impero iranico: nella Perside, nella Media, a Babilonia.
Il Re dei Re, Shapur I, incuriosito dalle voci che gli giungevano su questo nuovo profeta del Dio della Luce, gli concesse il grande onore di predicare a corte e di confrontarsi in pubbliche dispute con i magi zoroastriani, dei quali divenne ben presto acerrimo nemico.
Con la sua grande eloquenza e con il suo mirabile rigore morale, Mani riuscì a raccogliere attorno a sé centinaia di discepoli, gettando così i magi, timorosi di perdere i privilegi di cui godevano, in una crescente inquietudine. Questi, allora, gli mossero guerra, lo accusarono di eresia e di diffondere dottrine incompatibili con la religione di Zoroastro, e convinsero il Re dei Re Bahram I (successo nel frattempo a suo padre Shapur) a fare arrestare l’empio Mani.
Così il profeta venne incarcerato e gli fu impedito di predicare. Poi, istigato e sobillato dai magi (che vedevano in Mani un pericoloso rivale), Bahram decise di metterlo a morte.
Mani fu rinchiuso in una oscura prigione, con il collo, le braccia e le gambe gravati da pesantissime catene, dove venne lasciato a patire la fame e la sete, tormentato dagli insetti e dai topi. Infine, quando era già moribondo, venne decapitato, Gli furono mazzate anche le mani, poi, il suo corpo venne scorticato e la sua pelle, riempita di paglia, fu appesa alle mura di Ctesifonte, capitale dell’Impero Sasanide, mentre le sue mani e la sua testa furono esposte dinanzi alla porta d’ingresso della città. Il resto del suo corpo, come sommo gesto di spregio, venne dato in pasto ai cani randagi.
Dopo la sua morte, anche i discepoli di Mani vennero ferocemente perseguitati. A centinaia furono uccisi in Mesopotamia, nella Perside e in Armenia, dove si erano rifugiati. Moltissimi fuggirono in Siria, altri in Egitto e in Palestina, altri ancora in Cina e in India, sempre incalzati da persecuzioni spietate.
In questo modo, le dottrine dualistiche manichee si diffusero in tutto il bacino del Mediterraneo e in gran parte dei territori dell’Asia centrale.
Nell’Impero romano d’Oriente, la repressione contro i manichei fu particolarmente brutale. Dapprima furono perseguitati da Costantino e Teodosio, poi da Giustiniano, il quale, nel 527, promulgò addirittura un editto che prevedeva la pena di morte per i manichei e per tutti i seguaci delle eresie dualistiche (bardesaniti, arcontici, pauliciani), dando il via ad un vero e proprio soffocamento del libero pensiero teologico.
Un’altra illustre vittima gnostica del repressivo potere imperiale fu Patrizio, mago e astrologo, fondatore della setta dei Patriziani.
Patrizio predicò in Numidia, in Spagna e in Italia, approssimativamente tra la seconda metà del 200 e la prima metà del 300 dopo Cristo. Egli affermava che l’arcangelo Michele e Giovanni l’Evangelista, apparendogli in sogno per volere divino, gli avevano rivelato le supreme verità sul mistero dell’uomo e dell’universo, verità che erano state volutamente taciute dal Cristo, in quanto il Redentore si era rivolto soprattutto a pescatori, mendicanti, prostitute, usurai e gente incolta, incapaci di comprendere esoteriche dottrine.
Secondo Patrizio, la sostanza di cui sono fatti i corpi umani non fu creata da Dio bensì dal Maligno, il quale la utilizzò come un carcere immondo per imprigionarvi dentro le anime che l’Altissimo aveva inviato sulla Terra. Egli infatti riteneva che le anime tendono verso la Luce, ma il fatto stesso di essere imprigionate dentro quegli involucri di carne immonda che sono i nostri corpi, finiscono con l’essere condizionate dalla materia e quindi indotte a peccare. Liberandosi poi, con la morte, dalla prigione corporea, l’anima riacquisterà la perduta libertà e potrà tornare ad aspirare alle eterne beatitudini celesti.
Perciò, affermava Patrizio, la morte era un evento lieto, liberatorio, da ricercarsi a tutti i costi, in quanto restituiva la libertà all’anima, sottraendola per sempre alle laide, disgustose e volgari bassezze del corpo.
La predicazione eretica di Patrizio raccoglieva adepti e proseliti soprattutto tra i poveri, gli emarginati, i miserabili, gli schiavi, i sofferenti, gli ammalati, gli storpi, e tra tutti coloro per i quali la vita era un peso insopportabile.
Infiammati ed esaltati dalle virulente prediche di Patrizio, caratterizzate appunto da accese invettive contro la corporeità, la materia e la limitatezza umana, molti suoi seguaci giunsero a suicidarsi e a darsi spontaneamente la morte pur di affrettare la liberazione della propria anima.
In pratica, lo gnostico Patrizio si fece campione di una sorta di indefessa “esortazione al suicidio”, come già, secoli prima, aveva fatto il filosofo cirenaico Egesìa, che era chiamata con il sinistro appellativo di “avvocato della morte”.
Quando, però, iniziarono a suicidarsi alcuni giovanissimi rampolli di nobili famiglie i quali erano rimasti fatalmente sedotti dal lato oscuro della predicazione patriziana, le autorità imperiali lo fecero arrestare e processare. Condannato come “corruttore di giovani menti”, “istigatore al suicidio” e “perturbatore dell’ordine pubblico”, anche Patrizio, esattamente come Priscilliano, venne condotto al patibolo, forse nella prima metà del quarto secolo dopo Cristo. Fu decapitato, non si sa con precisione se in Spagna o in Nordafrica, su una pubblica piazza, e la sua setta venne perseguitata e dispersa con tale violenza che, nel volgere di pochi decenni, si estinse del tutto.
Ma nonostante queste feroci persecuzioni, nonostante tutte queste violenze e questi supplizi, le eresie continuarono a diffondere il loro devastante veleno tanto in Oriente quanto in Occidente. Infatti, non furono certo le persecuzioni di Costantino contro gli ariani, quelle di Teodosio contro i pagani o quelle di Giustiniano contro i manichei a fermare il dilagare delle eresie.
Il Cristianesimo, una volta entrato in combutta con il potere politico, fece della Chiesa una istituzione gerarchica che si comportò in maniera fanatica ed intollerante non solo contro ogni altra espressione religiosa, ma anche contro ogni forma di dissenso teologico o intellettuale.
Fu la Chiesa ad istigare imperatori come Teodosio a perseguitare i pagani e gli eretici, e fu una bigotta e fanatica religiosità ispiratagli dalla devozione totale verso la Chiesa a spingere Giustiniano ad emanare l’esecrando editto con il quale si condannavano alla pena capitale i seguaci del manicheismo e delle altre eresie dualistiche. Un editto, questo, seguito da quello che impose la chiusura delle scuole delle scuole filosofiche ad Atene (l’Accademia, il Peripato, la Stoa, il Giardino) infliggendo un ultimo terribile colpo alla cultura pagana e costringendo gli ultimi filosofi dell’Accademia a cercare scampo nella lontana Persia, alla corte degli imperatori sasanidi.
Ma nonostante tutti questi divieti e tutte queste persecuzioni, le eresie continuarono a diffondersi e a prosperare, tanto a Bisanzio quanto a Roma, anzi, ne sorsero addirittura di nuove, quasi a voler sfidare la dispotica autorità della Chiesa e dell’Impero.
Il diffondersi di così tante bizzarre eresie, da un lato fu testimonianza di una grande vivacità intellettuale e di una fortissima passione religiosa, dall’altro, però, manifestò apertamente la fantasia stupefacente e il personalismo delirante che si scatenarono con la diffusione delle dottrine cristiane con quelle dell’antica cultura filosofica pagana.
Furono infatti i vari tentativi di cristianizzazione del platonismo e di platonizzazione del cristianesimo a favorire la nascita di così tante bizzarre dottrine ereticali.
Questi assurdi connubi tra religione cristiana e filosofia pagana (ai quali occorre aggiungere anche una fortissima commistione di elementi propri della religiosità ebraica ed iranica) dette origine ad un proliferare inesausto di fantasie incredibili, di idee bizzarre, di dottrine aberranti, e persino di fantasticherie blasfeme e di reinterpretazioni allucinate dei Vangeli e delle Sacre Scritture dell’Antico Testamento.
Per esempio, Saturnino (o Saturnilo) di Antiochia, vissuto nella prima metà del II secolo dopo Cristo, discepolo di Simone Mago e di Menandro, portò alle estreme conseguenze l’eresia simoniana. Secondo Saturnino, il Dio buono, cioè il Padre Celeste, creò la vita spirituale (angeli, eòni, e ogni altra sorta di spiriti celesti) e le anime umane. Il Demiurgo, essere celeste perverso e malvagio, sorta di cattivo angelo bramoso di imitare la creatività divina (che Saturnino identifica con il feroce dio ebraico Jahwé), invidioso della perfetta creazione spirituale, volle stoltamente imitare il Padre Celeste e dette vita alla materia, creando il mondo fisico e i corpi umani.
Quando le anime decaddero dalla loro condizione originaria, furono imprigionate dal malvagio Demiurgo nei corpi materiali che egli stesso aveva creato, subendo così il ripugnante dominio della fisicità.
Secondo Saturnino, gli uomini si dividono in buoni e malvagi. Per la salvezza dei primi, il Padre Celeste inviò sulla Terra il Cristo, con al missione di indicare loro la via da seguire. Per i secondi, invece, non esiste salvezza, condannati come sono ad essere schiavi per l’eternità dell’iniquo Demiurgo.
Inoltre Saturnino affermava che non ci si deve nutrire di carne (essendo questa la più immonda espressione della materia), ingiungeva ai suoi discepoli di non sposarsi e non procreare (in quanto il desiderio dell’uomo e della donna di congiungersi e fare figli è desiderio immondo ispirato direttamente da Satana) e affermava che per volere del Padre, Cristo era venuto sulla Terra per distruggere il Dio dei Giudei (nient’altro che una spirito immondo e sanguinario, cioè un malvagio arconte) e per salvare i veri credenti (quelli dotati di una scintilla di vita divina infusa loro dal Padre), cioè i membri stessi della setta di Saturnino.
Ma pare che Saturnino sia stato anche predicatore di fantasie blasfeme che suscitarono ilarità e disgusto, come affermò Epifanio di Salamina, Padre della Chiesa, autore di un celebre trattato contro le eresie, intitolato Panarion. Per esempio, sembra abbia sostenuto che l’amore di Gesù per i suoi discepoli fosse anche un amore carnale, di natura sodomitica, come avveniva in gran parte delle scuole filosofiche pagane, dove, tra il maestro e i più fedeli allievi si instauravano intensi rapporti di erotismo maschile.
Secondo Saturnino (o forse, più realisticamente, secondo qualcuno dei suoi seguaci che poi attribuì al maestro queste fantasie invereconde), tale genere di rapporti era praticato anche da Gesù con alcuni dei suoi discepoli, e il favorito del Cristo pare fosse Giovanni l’Evangelista, il quale fu l’unico tra gli Apostoli che andò a piangere ai piedi della Croce e che mostrò nei confronti del Maestro nazareno un attaccamento quasi morboso e di totale sottomissione.
Si tratta di fantasticherie su Gesù che ben rivelano come le dottrine di questi eretici mescolassero elementi teologici e filosofici con elementi bizzarri e fantastici, frutto di invenzioni assurde e, talora, rasentanti persino il ridicolo, ma nel variegato mondo delle antiche eresie cristiane si possono davvero trovare ogni genere di assurdità.
Un’altra setta gnostica che predicava dottrine assurdamente fantastiche fu quella degli Arcontici, fondata nel IV secolo dopo Cristo da un vecchio sacerdote palestinese, di Cesarea, un tale Pietro da Cabarbaricha. Costui non aveva mai accettato il fatto che il Cristo non avesse esposto chiaramente e minuziosamente agli Apostoli una ben precisa dottrina teologica, ragion per cui aveva svolto l’intero suo ministero pastorale tentando di spiegare teologicamente ciò che era stato taciuto da Gesù di Nazareth a proposito della Creazione del mondo, della natura delle anime, della vita nell’Oltretomba, delle creature angeliche che reggono l’ordine cosmico per volere dell’Altissimo…
Intorno al 340 dopo Cristo, Pietro da Cabarbaricha ebbe una visione miracolosa che cambiò per sempre la sua esistenza. Nella notte tra il sabato e la domenica di Pasqua, nel chiuso della sua povera ed austera stanza da letto, apparve una colossale colonna di fuoco. A fianco della colonna fiammeggiante c’erano Mosé e al Beata Vergine Maria, mentre dal fuoco crepitante uscì la voce dello Spirito Santo.
Pietro fu destato di soprassalto e, inginocchiatosi con la fronte appoggiata al pavimento, ricevette dal Paraclito stesso la segreta dottrina degli Arconti, quella che il Cristo, secondo quanto affermato da molti intellettuali, aveva rivelato segretamente ai soli Apostoli.
Stupefatto e sconvolto, Pietro memorizzò prodigiosamente tutto ciò che lo Spirito Santo gli andava dicendo intorno alla dottrina degli Arconti. Poi, secondo le dicerìe degli gnostici, ad un tratto la sua perpetua ed un diacono (che vivevano insieme a Pietro), vedendo una gran luce filtrare da sotto la porta della stanza del sacerdote, vollero entrare per vedere di cosa si trattava.
Non l’avessero mai fatto! Lo Spirito Santo, che non voleva essere disturbato, fece diventare muta la perpetua e cieco il diacono, punendoli in tal modo per avere osato curiosare mentre era intento ad indottrinare il sacerdote.
Il mattino seguente, Pietro da Cabarbaricha, tutto infervorato, iniziò a predicare per tutta Cesarea la nuova dottrina rivelatagli dallo Spirito Santo, ma né i suoi parrocchiani né il suo vescovo vollero prestargli ascolto. Soltanto un giovane astrologo, che si guadagnava da vivere predicendo il futuro nelle piazze dei mercati e nei crocicchi delle strade, un certo Eutatto, lo seguì nella sua affabulata predicazione e divenne ben presto suo fido discepolo.
Accusato di eresia, Pietro da Cabarbaricha subì l’anatema dal proprio vescovo, così fu costretto ad abbandonare il sacerdozio. Si rifugiò allora presso una comunità di ebioniti che risiedeva lungo le sponde del Giordano, dove riuscì a convertire alle sue dottrine molte persone. Poi, intorno al 360, Pietro si ritirò con alcune centinaia di fedelissimi discepoli ai piedi di un’altura costellata di grotte, non lontano da Gerusalemme, e ivi compose gran parte delle opere letterarie che divennero i libri sacri della setta degli Arcontici.
Verso il 370, Pietro morì, pare soffocato mentre si ingozzava di datteri. Poco dopo, contro gli Arcontici, si scatenò una violenta persecuzione che costrinse Eutatto a fuggire dalla Palestina, portandosi dietro, però, tutti i libri sacri scritti da Pietro.
Rifugiatosi in Armenia, Eutatto prese a predicare e a diffondere la dottrina del maestro, raccogliendo attorno a sé molti seguaci, i quali, a loro volta, diffusero le dottrine arconti che in Siria, in Cappadocia, in Cilicia, in Mesopotamia, a Cipro e persino in Egitto.
Ma in che cosa consistevano queste strabilianti dottrine che, secondo quanto affermato da Pietro da Cabarbaricha, gli erano state rivelate addirittura dallo Spirito Santo? Secondo Pietro, il cosmo è costituito da Sette Cieli, ognuno dei quali è governato da un principe angelico (cioè, un Arconte), che vive circondato da legioni angeli aventi il compito di imprigionare le anime umane nella vile materia corporea.
Nell’ottavo cielo, infinito, che si estende al di là del ristretto dominio degli Arconti, dimora invece la Madre di Luce, che prova pietà per la sorte degli uomini e che li accoglie nel suo regno luminoso se le anime riescono a sfuggire agli angeli degli Arconti, ma che, in nessun modo, può intervenire in loro difesa contro gli stessi Arconti.
Il principe del settimo cielo, Sabaoth, dio dei Giudei, è, secondo la dottrina di Pietro, genitore del Demonio, ovvero Satana. Quest’ultimo si era ribellato all’autorità di Sabaoth ed era sceso sulla Terra. Ivi aveva sedotto la bella e ingenua Eva e si era congiunto carnalmente con lei, generando Caino, Abele e molti altri figli, i quali, poi, accoppiatisi oscenamente tra loro, generarono l’intera umanità.
Secondo quanto affermato da Pietro e da Eutatto, compito delle anime è raggiungere la Suprema Conoscenza, ovvero la Gnosi, alfine di sfuggire al potere tenebroso di Sabaoth e di volare attraverso i Sette Cieli sino a raggiungere l’ottavo, dove si viene amorevolmente accolti dalla Madre Suprema.
Pietro impose ai suoi discepoli norme comportamentali molto rigorose ed austere: dovevano essere poveri, praticare il digiuno, dedicare almeno metà della giornata allo studio e alla preghiera, astenersi dai piaceri carnali, evitare di sposarsi e concepire figli, maledire il nome di Satana appena alzati al mattino e prima di coricarsi la sera.
Inoltre, gli Arcontici negavano la resurrezione del corpo (il quale, dopo al morte, verrebbe completamente distrutto dalla decomposizione) e condannavano i Sacri Misteri della Liturgia cattolica, in particolare l’Eucarestia (che, secondo Pietro, istigava gli uomini a mangiare e a bere) e il Battesimo (quest’ultimo, soprattutto secondo Eutatto, era stato ispirato al Cristo nientemeno che da Sabaoth, con il fine di tenere le anime umane avvinte alla sua nefasta influenza tramite il magico potere dell’acqua).
Al pari dei seguaci di Saturnino, dunque, anche gli Arcontici fecero un uso sfrenato della fantasia, elucubrando dottrine assolutamente fantastiche che ebbero il potere di sedurre poeti, maghi, astrologi, fattucchieri, marinai, mercanti, avventurieri e monaci millenaristi, ma che non riuscirono affatto a contendere al Cristianesimo la grande massa dei fedeli, come invece auspicava Pietro da Cabarbaricha.
Costui inventò delle belle favole teologiche e cosmogoniche, anche molto poetiche, spacciandole quali rivelazioni dello Spirito Santo, ma non fu creduto dalla moltitudine delle masse cristiane, come invece desiderava.
Il che, ovviamente, dimostra come non sia possibile pretendere che una fantasiosa religione, creata dall’oggi al domani in seguito a un sogno, ad una fantasticheria (o ad un delirio), possa subitaneamente essere seguita e praticata da milioni di persone.
Quella fondata da Pietro da Cabarbaricha, così come quella fondata da Saturnino, non fu altro che una setta, una setta che comprendeva qualche migliaio di seguaci ma che non giunse mai a poter seriamente rivaleggiare con la religione cristiana.
Ma vi fu ancora un’altra setta gnostica che, attraverso dottrine fantastiche e comportamenti scellerati ed immorali, giunse a diffondere il proprio letale veleno psicologico tra le popolazioni latino-africane del tardo Impero romano, e cioè, quella dei Quintillianiti.
Il fondatore di tale setta, attiva nel Nordafrica (Numidia, Tingitania, Mauritania, Cirenaica) tra il terzo e il quinto secolo dopo Cristo, pare sia stata fondata da un certo Quintillo (da cui il nome), un losco individuo, piuttosto misterioso, una sorta di avventuriero che pare avesse fatto il marinaio, il mercante di schiavi, il tenutario di un lupanare e, infine, il taverniere. Dopo aver fatto parte, per qualche tempo, della setta dei Cainiti, che veneravano l’eòne Caino, Quintillo se ne distaccò e iniziò a predicare le sue dottrine, fondando una setta sua, che da lui prese nome.
Sembra che Quintillo si mise a predicare dopo aver fatto un sogno in cui gli erano apparsi Abramo, Maria Maddalena e Giuda Iscariota, i quali gli avevano rivelato che Cristo aveva scelto lui come suo nuovo apostolo, con il preciso incarico di avversare la legge mosaica, fonte di male non solo per i Giudei, ma anche per i cristiani.
Così, Quintillo iniziò a combattere la legge di Mosé affermando che non solo non andava rispettata, ma che, al contrario, il vero credente doveva praticare tutti gli atti proibiti dal Decalogo, in quanto era proprio questo che faceva davvero piacere al Cristo.
In breve tempo diventò un predicatore fanatico, e in base a quanto gli era stato rivelato in sogno da Abramo stesso, come egli sosteneva, esortava le masse a fornicare, a rubare, a dire falsa testimonianza, a commettere adulterio, a bestemmiare e a disprezzare i genitori, a rapire e a violentare le donne altrui.
Ovviamente, questo suscitò la condanna delle autorità ecclesiastiche e il drastico intervento di quelle imperiali, le quali presero ben presto a perseguitare la setta e il suo fondatore, ma, nonostante ciò, furono migliaia e migliaia i furfanti, i malviventi, i tagliagole, i ladri e i ribaldi di ogni risma che aderirono alla setta di Quintillo e che si dichiaravano pronti ad obbedire alle sue deliranti dottrine.
I loro testi sacre pare fossero due apocrifi, Il Vangelo di Giuda e L’Apocalisse di Caino, già testi in uso presso i più moderati Cainiti, che Quintillo rimaneggiò opportunamente e che fece circolare tra i suoi adepti. Oltre a Caino, che per Quintillo era un vero e proprio idolo, egli esaltava in maniera smodata anche la figura di Giuda Iscariota, il quale, come affermava, gli compariva più volte in sogno per rivelargli la volontà di Cristo.
Secondo Quintillo, Giuda era l’unico tra gli Apostoli dotato di vera conoscenza, ovvero la Gnosi, il solo mezzo che consente agli uomini di salvarsi e di liberarsi dalla prigionia immonda del mondo materiale. Egli sosteneva che Giuda aveva tradito Gesù di Nazareth non per malvagità ma per troppo zelo, in quanto riteneva che Cristo fosse un emissario del malvagio Demiurgo, noto come Jahwé, il terrificante e vendicativo dio degli Ebrei.
Per tale motivo, secondo Quintillo, Giuda non era stato condannato da Cristo, pur essendosi impiccato per disperazione. Anzi, al contrario, Cristo, appena risorto, era disceso agli Inferi e, insieme alle anime dei patriarchi, aveva liberato anche l’anima di Giuda, portandola con sé in Paradiso.
Oltre allo studio dei Sacri Testi e alla repellente messa in pratica dei cosiddetti “anticomandamenti”, Quintillo imponeva ai suoi seguaci di abbandonarsi a qualsiasi genere di esperienza sessuale, in quanto, attraverso il sesso, la carne viene mortificata e l’anima, finalmente liberata dalla bramosia della lussuria, può ascendere verso le mete superiori del pensiero, libera da qualsiasi condizionamento carnale.
Anche Quintillo (che fu attivo in tutto il Nordafrica, dalla Numidia alla Libia), come già Saturnino e Pietro da Cabarbaricha, utilizzò fantasie assurde e dottrine deliranti per proporre la sua visione della vita e dell’uomo. Ingiungendo però ai suoi discepoli di comportarsi esattamente al contrario di ciò che prescrivono i Dieci Comandamenti, avallò, sebbene indirettamente, furti, rapine, omicidi, stupri, tanto da indurre le autorità imperiali ad agire energicamente contro la setta, utilizzando la repressione più spietata.
A partire dall’impero di Alessandro Severo sino a giungere all’epoca di Teodosio, cioè all’incirca dal 220-222 al 450 dopo Cristo, i Quintillianiti furono sottoposti a brutali repressioni, caratterizzate da arresti, incarcerazioni, esecuzioni capitali.
Pare che lo stesso Quintillo (ma non ci sono fonti storicamente certe) sia stato decapitato, forse a Tagaste, durante il regno di Aureliano, nel corso di una persecuzione anticristiana durante la quale vennero uccisi anche centinaia di appartenenti ad altre sette gnostiche e pseudo giudaiche.
Eppure, nonostante tutte queste violenze, il veleno letale dell’eresia seguitò a diffondersi nel mondo cristiano e a conquistare alle proprie fantasiose dottrine anime e cuori insoddisfatti della scarsa sapienza teologica e filosofica dei predicatori cristiani. Infatti, uno degli elementi che maggiormente favorirono il nascere e il dilagare delle eresie gnostiche, fu proprio la scarsità di rivelazioni teologiche che caratterizzò negativamente la predicazione di Cristo.
Oltre all’esasperato protagonismo di tanti falsi profeti, maghi e ciarlatani che fondarono sette più o meno longeve, ci fu la colossale carenza di informazioni teologiche ed escatologiche nelle rivelazioni evangeliche ad indurre tanti cristiani a passare nelle file dei valentiniani, dei basilidiani, dei manichei, dei barbelognostici o degli arcontici.
La gente vissuta nei primi secoli del Cristianesimo – esattamente come gli uomini di oggi – non si accontentava di semplici insegnamenti come “Ama il prossimo tuo come te stesso”, “Chi di spada ferisce di spada perisce”, “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel Regno dei Cieli” e altre elementari sentenze del genere.
La gente, inquieta e dubbiosa, voleva risposte precise e dettagliate sulla natura di Dio Padre e del Cristo, sull’essenza dello Spirito Santo, sul mistero dell’Incarnazione e sull’enigma della Resurrezione, sulla natura degli angeli e dei demoni, sulle caratteristiche dell’Aldilà e sul destino delle anime dopo la morte del corpo.
A queste e a mille altre domande del genere, precise, minuziose, incalzanti, Cristo non volle dare esaurienti risposte, e neppure vollero darle i suoi Apostoli e i pontefici che vennero dopo gli Apostoli.
Ecco il motivo per cui sorsero così tante sette eretiche e così tanti movimenti gnostici: i loro fondatori – si chiamassero Saturnino, Carpocrate, Mani, Valentino, Cerdone, Ierace, Apelle o Bardesane – intesero, nei loro sistemi teologici e filosofici, dare risposte precise ed esaustive a tutti i sopra elencati quesiti lasciati irrisolti da Gesù e dai sui discepoli.
Essi vedevano che le masse non si accontentavano semplicemente di rispettare i Dieci Comandamenti o le Beatitudini del Discorso della Montagna: la gente esigeva, giustamente, descrizioni precise su come è fatto Dio, come è fatto l’Aldilà, come si vive nell’Oltretomba, di quali essenze spirituali sono costituiti il Logos Divino e lo Spirito santo Paraclito, come è fatta l’anima umana, quando verrà la Fine del Mondo, e i maestri gnostici, con le loro dottrine pur complicate e fantasticamente elaborate, tentarono di dare risposte soddisfacenti a queste pressanti richieste.
Perciò, non si può negare che il seducente veleno delle eresie si diffuse nel mondo cristiano soprattutto a causa della scarsità di precisazioni sulla natura di Dio e dell’Oltretomba e sul destino ultimo dell’Uomo, di cui, nella predicazione di Cristo e nei Vangeli non si parla né concretamente né esaurientemente. A ciò, e al già citato personalismo di cui accennavo poco fa, vanno aggiunti, ovviamente, elementi di rivendicazioni politiche e sociali, attese millenaristiche ed utopistiche speranze di giustizia sociale di cui, sovente, tali sette si fecero portavoce.
Ma furono soprattutto le mancate precisazioni di Cristo su tante questioni teologiche a far sì che le menti più curiose, più vivaci e più intelligenti, si rivolgessero alle sette gnostiche per ottenere quelle delucidazioni escatologiche che Gesù si era ostinatamente (e inspiegabilmente) rifiutato di rivelare sia alle masse sia ai suoi stessi Apostoli. Perciò, se le eresie ebbero così tanta diffusione nell’antichità cristiana, ciò è in massima parte da attribuire alla stessa incompleta ed imperfetta predicazione di Gesù di Nazareth (non basta resuscitare i Lazzaro, bisogna anche spiegare minuziosamente come è fatto e che cosa ci attende nell’Aldilà!).
Egli disse e non disse, rivelò poche cose e ne tacque moltissime, non dette delucidazioni precise in merito alle problematiche escatologiche e si rifiutò nel modo più assoluto di descrivere, nei minimi particolari, l’essenza e la natura di Dio, la vita delle anime nell’Oltretomba, l’organizzazione delle schiere angeliche e di quelle demoniache, le peculiarità di Dio Padre e della sua esistenza così misteriosa e così lontana dal mondo fisico dell’Uomo e dei suoi impellenti bisogni materiali.
Ecco perché le eresie, anche le più bizzarre, anche le più blasfeme, anche le più risibili e deliranti, trovarono un facile e fertile terreno umano nel quale attecchire ed ebbero l’opportunità di diffondersi tanto rapidamente in tutte le province dell’Impero Romano.
Il veleno seducente, affascinante, ma anche letale, delle eresie, insidiò la religione cristiana e ne intaccò le fondamenta, ma fu anche, al tempo stesso, un balsamo vigoroso per tutti quegli intelletti vivaci ed arguti che non si rassegnavano a veder spiegati i misteri di Dio, dell’Uomo e dell’Universo, in quelle quattro favolette per sognatori creduloni, riportate nei Testi Sacri del Nuovo Testamento.
Fonte:
srs di di Fabrizio Legger da Dazebao del (21 Novembre 2009)
Per me non c’è destra centro o sinistra, io faccio solo differenza tra verità e menzogna, e quando la verità ti viene imposta per legge o per imperio, allora stai certo: è una menzogna!
Le prove se sono false le sbugiardi subito, se sono vere le puoi solo distruggere
L'ISTRUZIONE PERVERTE LA MENTE
“L'istruzione perverte la mente, poiché ci opponiamo direttamente al suo sviluppo naturale, ottenendo prima le idee e poi le osservazioni. “ “Questo è il motivo per cui così pochi uomini di cultura hanno buon senso come quello che è comune tra gli analfabeti.” Arthur Schopenhauer
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Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino
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CHE IMPORTA SE OGNUNO CERCA LA VERITA’ A SUO MODO?
Dobbiamo riconoscere che tutti i culti hanno un unico fondamento.
Tutti contemplano le stesse stelle, un solo cielo ci è comune, un solo universo ci circonda.
Che importa se ognuno cerca la verità a suo modo? – domandò Simmaco –
Non si può seguire una sola strada per raggiungere un mistero così grande.
(Quinto Aurelio Simmaco, Relatio de ara Victoriae III,10)
RICERCA DELLA FELICITA’
Ognuno è libero di credere in ciò che vuole e in ciò che lo fa stare in pace con se stesso e con l'universo. È l'inestimabile valore della libertà di pensiero. Il problema sorge quando le persone ritengono che le loro conoscenze siano la verità assoluta e vogliono imporre la loro visione delle cose al resto del genere umano.
VENERA DIO SUL TUO CAMMINO
Le religioni tendono ad avere una memoria selettiva e a prendere le distanze dai loro antichi precursori.
Di conseguenza:
“Venera Dio sul tuo cammino.
Qualunque sia la forma in cui si manifesta.
Che sia abbellito con pietre preziose, o rappresentato da una statua di rame.
Una forma ne sostituirà un’altra, come una nuova inondazione segue la precedente”
(Insegnamento per Merekarie)
AMO LA VITA
Il matrimonio gay non reca in se' la vita e il futuro del mondo
Ma e' una scelta di morte
E un modello culturale di morte costruito contro l'origine e il fondamento della stessa vita umana
PENSIERI E PRINCIPI
«Ama il Creatore».
«Ama la terra».
«Lavora gratuitamente».
«Conta su quello che hai e sii povero».
«Ama qualcuno che se non se lo merita».
«Studia molto sia la natura che gli uomini; più sul terreno che sui libri».
«Non pestare sul terreno senza necessità perché uccidi un essere vivente e lavori alla distruzione di tutti i viventi».
«Non progredire, ma vivere».
«Vendere poco e comperare meno».
«Non comperare roba venuta da lontano».
«Non produrre cose che possano essere esportate lontano».
«Non produrre cose che possano essere trasformate in simboli monetari».
«Non prendere soldi in prestito; se hai risparmiato soldi, non prestarli alle banche».
«Non ti fidare del governo di nessun governo».
«Gli Stati non possono distruggere la cultura dei popoli».
«Abbraccia gli essere umani del tuo rapporto con ciascuno di loro riponi la tua speranza politica».
«Evita come un diavolo qualunque sport. Sono drogature dei capitalisti per rubare i soldi ai salariati, e aumentare la degradazione dell’ energia. Anche lo sport è una guerra fatta per impinguare i capitalisti ».
«Riconosco solo le leggi della natura, non quelle scritte da altri uomini alle quali mi riservo il diritto di disobbedire quando in disaccordo».
«Grido e lotto contro le multinazionali, contro l’informazione controllata e censurata, contro la gestione del potere politico, che diventa la gestione della ricchezza di pochi e della povertà di molti».
«Approva nella natura quello che non capisci, e loda quella speranza, perché ciò che l’Uomo non ha razionalizzato non ha distrutto».
«Fai le domande che non hanno risposta».
«Metti l'orecchio vicino alla terra e ascolta i bisbigli delle canzoni future».
«Sorridi, il sorriso è incalcolabile».
«Aspetta la fine del mondo».
«Investi nel millennio».
«Pianta castagnari».
(PENSIERI E PRINCIPI DI DON ALBERTO BENEDETTI)
IL VENETO E’ LA MIA PATRIA
Sebbene esista una Repubblica Italiana, questa espressione astratta non è la mia Patria.
Noi veneti abbiamo girato il mondo, ma la nostra Patria, quella per cui, se ci fosse da combattere, combatteremmo, è soltanto il Veneto.
Quando vedo scritto all'imbocco dei ponti sul Piave fiume sacro alla Patria, mi commuovo, ma non perché penso all'Italia, bensì perché penso al Veneto.
(Goffredo Parise, Il Corriere della Sera, 7 febbraio 1982)
TI CON NU, NU CON TI
Perasto 23 agosto 1797: Giuseppe Viscovich, Capitano di Perasto, deponendo sotto l'altare maggiore della chiesa le insegne di San Marco, alla presenza di tutte le milizie e di tutto il popolo pronunciò, con una notevole intensità, il seguente discorso:
"In sto amaro momento, in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenisimo Dominio, al Gonfalon della Serenisima Republica, ne sia de conforto, o citadini, che la nostra condota pasada, che quela de sti ultimi tempi la rende più xusto sto ato fatal, ma virtuoxo, ma doveroso par nu.
Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del xorno la farà saver a tuta Europa che Perasto la ga degnamente sostegnudo fin a l'ultimo l’onor del Veneto Gonfalon, onorandolo co sto ato solene e deponendolo bagnà da el nostro universal, amaro pianto.
Sfoghemose, citadini, sfoghemose pur; ma in sti nostri ultimi sentimenti, che i sigilà la nostra gloriosa corsa soto el Serenisimo Veneto Governo, rivolgemose verso sta Insegna che lo rapresenta e su de ela sfoghemo el nostro dolor.
Par 377 ani la nostra fede, el nostro valor, la ga senpre custodia par terra e par mar, par tuto indove che i ne ga ciamà i so nemisi, che li xe stai pur queli dela Religion. Par 377 ani le nostre sostanse, el nostro sangue, le nostre vite, le xe senpre stae par Ti, San Marco; e felicisimi sempre se gavemo reputà, Ti co nu, nu co Ti; e senpre co Ti sul mar nu semo stai ilustri e virtuoxi.
Nisuni co Ti ne ga visto scanpar, nisuni co Ti ne ga visto vinti e spauroxi!
E se sti tenpi prexenti, infelici par inprevidensa, par disension, par arbitrii ilegali, par visi ofendenti la natura e el gius dele xenti no Te gavese cavà via, par Ti in perpetuo sarave stae le nostre sostanse, el nostro sangue, la vita nostra, e pitosto che vedarTe vinto e dexonorà dai Toi, el corajo nostro, la nostra fede, se gaverave sepelio soto de Ti.
Ma xa che altro no ne resta da far par Ti, el nostro cuor sia l'onoratisima to tonba, e el più puro e el più grando to elogio le nostre lagrime".
Il Capitano Viscovich, deponendo le insegne, s’inginocchiò davanti all’'Altare, e rivolto al piccolo nipote che gli era accanto, disse:
“Inxenocite anca ti; basile, e tienile a mente par tuta la vita”.
(Discorso del Capitano Giuseppe Viscovich tratto da "Storia Documentata di Venezia" di S. Romanin)
Par stasera basta
Note, cristiani…par stasera basta e, se Dio vol, se catarem doman…