Nov 22 2019

L’ULTIMA POESIA DI ROBERTO PULIERO IN OSPEDALE… “GRASSIE A CHI M’HA CURÀ” .

Roberto Pugliero

 

 

Il giorno 19 novembre, a 73 anni, si è spento Roberto Puliero, grande regista, attore e radiocronista storico dell’Hellas Verona.


Ricoverato a Borgo Trento, nelle ultime settimane ha scritto una poesia dedicata a dottori e infermieri che l’hanno curato.

 

GRASSIE A CHI M’HA CURÀ

Quando un giorno uno el se cata

ricoverado a l’ospedal,

più che ben, se po’ anca dir

che, struca struca… te stè mal

Ma, za dopo un par de giorni,

te te senti consolà,

e da una serie de attensioni

circondado e confortà!

Gh’è un bel sciapo de infermiere

che come ti te le ciami,

le se parcipita a iutàrte

come un supìo de tsunami!

Le te alsa, le te sbalsa,

le te senta, le te sbassa,

le te palpa, le te tasta,

le te dindola e strapassa

Fin da mattina imboressàde

la Federica o la Veronica

un’iniesson de bonumor

che la par la bomba ’tomica!

E le prova ad una ad una

sigalando un fià a la bona…

… che sia pronte par la sera

le cansone del Verona,

e le sistema le bandiere!,

parchè riva fin lassù

la gioiosità festosa

dei colori gialloblù!

… po’ gh’è Andrea, che te lo senti

quando riva el so vocion

che’l par proprio vegnù fora

da un Sior Todaro brontolòn

E Francesco che po’ se casco,

so a la fin contento istesso…

sono sicuro: co un colpetto

el me tira su dal cesso!

E gh’è la Elena col boresso

sempre annesso e incorporado

con la Kety a far da spalla

a quel “duo“ un fià scombinado

Fin che intanto la Michela,

coi so oceti birichini,

la te fa solo pensar

a pastissi e tortellini…

… e po’ gh’è la Paola capobanda:

per governar quelo che gh’è,

ela ghe basta un bel sorriso,

’na parola, anca un giossetin de te…

Du anni fa, forsi impisocado

e de sonno ancora storno,

m’era fin scapà da dir

“quasi quasi qua ghe torno!“

Ben, scusè, m’ero sbalià!…

Voi tornar ma no malà…

voi tornar pa ringrassiar

chi ogni giorno m’ha curà

con affetto e co umiltà

impinando el so lavoro

de amicissia e umanità

 R.P.


Nov 20 2019

QUANDO A ROMA SI PARLAVA NAPOLETANO

Category: Cultura e dintorni,Italia storia e dintornigiorgio @ 14:34

Sisinium: Fili de le pute, traite, Gosmari, Albertel, traite. Falite dereto colo palo, Carvoncelle!

 

Un ghigno compare sul mio viso, non potete vederlo ma vi assicuro che c’è, e il motivo mi viene cagionato dalla lettura di alcune documentazioni relative agli idiomi della penisola italica.

Non essendo un cultore della storia linguistica del nostro Paese devo, ob torto collo, riferirmi ad altrui affermazioni per comprendere l’evoluzione linguistica della “mia lingua”.

È universalmente riconosciuto che l’italiano moderno poggia i suoi enormi piedi sul latino classico, quello letterario per intendersi mentre il volgo (da vulgaris) aveva un suo idioma composto da un limitato vocabolario latino infarinato con le antiche lingue parlate nell’area, questi dialetti alla fine hanno dato origine alle varie lingue romanze attualmente vive nel bacino linguistico neolatino.

Una prima lista di queste parole volgari la si ritrova nell’Appendix Probi del III secolo dove al fianco della corretta parola latina compare quella che il vogo utilizzava nell’uso comune, lo scopo era quello di affermare la corretta dizione ad uso didattico della parola (pardon per il gioco di “parole”).

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Nov 18 2019

LA STRUTTURA ANTIGHIACCIO DELL’ARENA DI VERONA

 

 

Le gradinate dell’Arena, prima di essere delle gradinate, sono un tetto che protegge gli arcovoli sottostanti.

Quando gli antichi romani arrivarono nella Gallia Cisalpina, trovarono un situazione climatica molto diversa da quella di Roma: con clima più piovoso, inverni molto più freddi, nebbiosi e spesso con temperature sottozero.

Nella costruzione dell’ Arena avevano intuito che lasciare le gradinate e gli arcovoli sottostanti in balia di tale clima ne avrebbe destabilizzato, nel corso dei secoli, le strutture.

 

 

Arrivarono a risolvere tale problema con un efficace intuito ingegneristico-architettonico: esportarono a martellina circa un  centimetro di pietra dalla superficie superiore dei gradini, lasciando un leggero rialzo solo sui bordi laterali di contatto, e appoggiandoli poi con un’ impercettibile inclinazione verso l’interno.

 

 

Questo ha permesso per secoli l’impossibilità dell’acqua di entrare nelle strutture sottostanti.

Tale tecnica non è mai stata più usata nei vari restauri successivi.

 

 


Nov 16 2019

VENEZIA…DONAZIONI PER STATO DI CALAMITÀ

Category: Venetismo,Veneto e dintornigiorgio @ 01:18

 

Onestamente non avrei voluto scrivere questo post ma i commenti, la cattiveria e l’ignoranza che ho letto nei vari post in questi giorni mi ha fatto pensare.
Ma andiamo per punti:
DONAZIONI PER STATO DI CALAMITÀ: questo è il più ricorrente dei vostri lungimiranti pensieri.
A vostro parere, nessuno dovrebbe donare nemmeno un euro alla causa perché è cito: “un caffè costa 20 euro in piazza San Marco, se lo paghino da soli lo stato di calamità”; “dopo tutti i soldi che si sono mangiati, ancora chiedono soldi? Ricchi e ladri siete”; “ma i veneti non erano quelli che volevano l’autonomia? Se sono così bravi se la paghino da soli”.
Ora questi sono solo 3 degli illustrissimi pensieri che avete sfornato e aprono altre questioni in merito ma ancora una volta andremo in ordine.
Lo stato di calamità e le donazioni in merito avvengono quando: “… al verificarsi o nell’imminenza di calamità naturali o eventi connessi all’attività dell’uomo in Italia.”

E ancora: “La delibera dello stato di emergenza stanzia l’importo per realizzare i primi interventi.

Ulteriori risorse possono essere assegnate, con successiva delibera, a seguito della ricognizione dei fabbisogni realizzata dai Commissari delegati.”

Per tutto il resto vi rimando al sito della protezione civile Italiana e ai vari emendamenti per tali situazioni nei vari siti ministeriali.

Ora quello che si nota e che lo stato di calamità viene proclamato per la causa viene concesso indipendentemente dal popolo che lo subisce.

 

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Nov 15 2019

IL SENSO DELLA SCUOLA

 

 

Questa mattina, appena sveglio, ho trovato una busta chiusa sul mio comodino e ne sono rimasto stupito. La grafia era quella di mio padre che riconosco a distanza…poi c’era anche la sua firma.
– Per Francesco, firmato Raffaele Latella.- Così era scritto sulla busta.
Stropicciai gli occhi e ne iniziai la lettura.

Caro Francesco,
ieri abbiamo fatto una bella ed istruttiva passeggiata e credimi ne sono stato felicissimo. Ne ho raccontato alcuni particolari a tua madre mentre tu eri già a letto e poi, non avendo sonno, mi è venuto in mente di scriverti questa mia lettera che ci renderà ancor più amici di quanto già noi siamo.
Volevo parlarti del significato e del senso della scuola che io pure ho frequentato fino all’università.
Per noi dello Stato delle Due Sicilie, devi sapere, che la scuola ha un senso profondo ed etico che capirai meglio durante i tuoi studi. Noi non studiamo obbligatoriamente per progredire e sopravanzare così gli altri popoli, ma progrediamo naturalmente approfondendo le nostre conoscenze come banale risultato del nostro studio. E’ questa una delle ragioni del nostro comportamento fatalista, che non vuol dire rassegnato ma bensì riportato alla volontà di Dio.

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Nov 12 2019

VINCENZO DI BARTOLO E LA ROTTA DEL PEPE

 

 

 

Mia madre mi accompagnò a scuola, anche se ormai spesse volte questa la raggiungevo da solo, perché quella mattina aveva degli impegni presso la sartoria che stava lì vicino e forse mi avrebbe aspettato fino all’orario di uscita.
Mentre camminavamo non parlai mai perché i miei pensieri andavano continuamente alla bella lettera di mio padre.
Giunto a scuola baciai mia madre e distrattamente entrai.
Ma quel giorno sarebbe stato per me e per tutti i miei compagni un giorno veramente speciale.
Il mio maestro sbrigò in fretta le rituali formalità, attese un paio di minuti per veder entrare Antonio Loffredo (sempre in ritardo canonico) poi, si avvicinò alla porta e si rassicurò che fosse veramente chiusa. Con fare coinvolgente della sua mimica si avvicinò a noi camminando in punta di piedi e pose il dito indice sulle sue labbra in posizione verticale emettendo un sibilante – Sssssssssh- segno di richiesta di silenzio totale.
Poi a bassa voce ci disse: – Oggi ragazzi, è una giornata speciale…la giornata del racconto mensile! – Rimanemmo tutti di stucco e silenti.- Il maestro proseguì. – Oggi vi parlerò, anzi vi leggerò di un grande uomo delle Due Sicilie che risponde al nome di Vincenzo di Bartolo…ma mi raccomando, massimo silenzio per avere la vostra massima attenzione. Poi aprì un libro di una certa dimensione e iniziò a leggere.

 

Vincenzo Di Bartolo nacque ad Ustica (PA) nel 1802 e vi morì nel 1849. Egli fu un grande navigatore ancora oggi orgoglio della nostra marina duo-siciliana.
Il padre Ignazio e sua madre Caterina Pirera, fecero non pochi sacrifici per fargli frequentare il pregiatissimo Istituto Nautico di Palermo. Poi Vincenzo, finita la scuola nautica, iniziò a navigare con impegni sempre nuovi e con armatori diversi. Egli però era anche un vero navigatore internazionale ed osservava come le grandi potenze del Nord Europa avessero formato un monopolio su alcuni prodotti delle terre lontane e principalmente quelle asiatiche. Gran Bretagna, Olanda, Francia, Danimarca e Svezia, avevano fondato tutte una propria Compagnia delle Indie orientali e stabilito così una specie di “cartello” monopolistico per la vendita di tutte le spezie. Tra queste vi era una spezia molto importante per noi: il pepe nero!

 

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Nov 06 2019

“BISOGNEREBBE CREARE UN ITINERARIO NAPOLEONICO”. LA RISPOSTA DEI VENETI ALL’ARTICOLO APPARSO SU L’ARENA DEL 27 OTTOBRE 2019, PAGINA 41, A FIRMA DI CAMILLA MADINELLI

Cinquecento  paesani armati di tutte le età si radunano nella chiesa parrocchiale di Caprino Veronese, per salutare spose e figlioli e ricevervi la benedizione dall’Arciprete, Conte Giuseppe Giuliari, dopo aver cantato le litanie della Santa Vergine al suo altare. A mezzanotte, i valligiani intraprendono la marcia su Verona, alla vigilia dell’insurrezione delle Pasque Veronesi. “Appariva sul volto di tutti il desiderio di morir per la Patria e di esporsi a qual si fosse stato cimento”. 16 aprile 1797, Domenica di Pasqua. Tavola di Andrea Gatti. Proprietà del Comitato per la celebrazione delle Pasque Veronesi.

 

LETTERA DI RISPOSTA INVIATA A L’ARENA

(che non ha pubblicato)

 

Su L’Arena del 27 ottobre 2019  alcuni nostalgici bonapartisti, in nome delle ideologie ormai ammalorate del 1789, propongono un percorso napoleonico, fra Arcole e Rivoli, ricevendo man forte da alcuni amministratori locali o aspiranti tali, che si candideranno alle prossime elezioni in primavera e di cui sarà bene ricordarsi, onde NON votarli.

 

A costoro vorremmo ricordare che Bonaparte fu, sic et simpliciter, l’assassino della Patria Veneta e che, dunque, apparirebbe bizzarra, oltre che inconcepibile, l’impresa di far digerire alle popolazioni, vessate a tutt’oggi dalle predazioni della mala unità e che rimpiangono giustamente le glorie della più longeva Repubblica della storia come dell’Impero asburgico, la ricostruzione a Rivoli di un monumento al tiranno còrso. Cosa che ben poco avrebbe a che fare col turismo e con la conoscenza della storia; molto, invece, col servaggio ideologico agl’invasori liberal-massoni transalpini del 1796-7 e ai loro attuali eredi.

 

Agli amministratori presenti e futuri di Rivoli, che si accodano corrivamente al “liberatore” Bonaparte, andrebbero ricordate le efferatezze, i saccheggi e i delitti di cui si rese responsabile l’esercito rivoluzionario francese nei loro luoghi, tanto che, al tempo della battaglia di Rivoli (14-15 gennaio 1797) i montanari della Val d’Adige facevano rotolare massi dalle montagne sui transalpini, onde schiacciarli e favorire l’armata austriaca, i cui piani erano stati carpiti prima dalle spie di Napoleone, cosa che ne spiega anche i facili successi.

 

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Nov 05 2019

I COMUNISTI RIMANGONO COMUNISTI, ANCHE QUANDO SONO DEL PD

Category: Società e politicagiorgio @ 00:01

Pietro Bartolo

 

di MATTEO CORSINI

 

Rileggendo un po’ di notizie, apprendo che Pietro Bartolo, medico lampedusano che si è guadagnato sul campo l’elezione nelle fila del PD all’europarlamento, si è cosparso il capo di cenere per aver commesso un sacrilegio: votare positivamente a una risoluzione del parlamento europeo nella quale pare che comunismo e nazismo siano equiparati.

 

Ecco il mea culpa di Bartolo: “Ho deciso di cambiare il mio voto da positivo a contrario alla risoluzione sulla memoria europea. Inutile girarci attorno: ho sbagliato, non avrei dovuto votare favorevolmente. Mi scuso con i miei elettori e ringrazio i tanti che mi hanno scritto in questi giorni. Il confronto serve anche a questo: a riconoscere quando si è commesso un errore e fare un passo indietro”.

 

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Nov 03 2019

NON AVVICINARTI ALLA MIA TOMBA PIANGENDO. NON CI SONO. NON DORMO LÌ.

Category: Pensieri e parolegiorgio @ 11:24

 

 

“Non avvicinarti alla mia tomba piangendo.
Non ci sono. Non dormo lì.
Io sono come mille venti che soffiano.
Io sono come un diamante nella neve splendente.
Io sono la luce del sole sul grano dorato.
Io sono la pioggia gentile attesa in autunno.
Quando ti svegli la mattina tranquilla,
sono il canto di uno stormo di uccelli.
Io sono anche le stelle che brillano,
mentre la notte cade sulla tua finestra.
Perciò non avvicinarti alla mia tomba piangendo.
Non ci sono. Io non sono morto.”

 

Canto attribuito alla cultura Navajo,
in realtà poema del 1932 di Mary Elizabeth Frye, poetessa americana (1905-2004)

La poesia è una lettura comune per i funerali.

 

 


Nov 02 2019

SOROS: VITA, FINANZIAMENTI E MIRACOLI DEL ‘FILANTROPO’ CHE CI ODIA TUTTI

 

Il ‘filantropo’ SOROS ‘

 

Soros, detto ‘il filantropo’, da quei nostri giornalisti a libro paga della Open Society Foundation di Soros che paga i giornalisti, tra le altre cose, per dire che Soros è ‘filantropo’, torna per l’ennesima volta alla ribalta per le sue prodezze finanziatorie.

Dopo i famosi DC Leaks del 2016, in cui anonimi hacker avevano sottratto dai suoi server oltre duemilacinquecento documenti privati e ce ne avevano rivelate delle belle, ci prova ora AdnKronos con un articolo di Marco Liconti a fare quattro conti su quello che sarebbero stati i finanziamenti (esclusi quelli in nero) che il miliardario mondialista avrebbe elargito al nostro Paese nel solo biennio 2017 – 2018. Otto milioni e mezzo di dollari e qualche spiccio, sarebbe la cifra ufficiale che la sola Open Society Foundations avrebbe donato a nostri movimenti politici (Radicali Italiani), l’Istituto Affari Internazionali (essi stessi si definiscono un think-tank), onlus e sopratutto ONG impegnate a favore di immigrazione e accoglienza, nonchè persino il comune di Ventimiglia. Già, chissà perchè Ventimiglia. In tutto una settantina di progetti secondo i dati della AdnKronos. Ma questo è nulla a confronto con quello che sappiamo già su Soros.

 

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Ott 28 2019

L’I.N.P.S. FU FONDATO DAL FASCISMO COL NOME I.N.F.P.S. “ISTITUTO NAZIONALE FASCISTA DELLA PREVIDENZA SOCIALE” E OPERAVA ANCHE NELLE COLONIE

 

 

 

di  Alberto Alpozzi

 

Breve storia della nascita dell’IN(F)PS “Istituto Nazionale (Fascista) di Previdenza Sociale”

 

La Previdenza Sociale nasce oltre cento anni fa, nel 1898, con lo scopo di garantire i lavoratori dai rischi di invalidità, vecchiaia e morte. Era la Cassa Nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. Ma si trattava esclusivamente di un’assicurazione facoltativa e volontaria, finanziata prevalentemente dai contributi versati dai lavoratori, che poteva essere integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e da un contributo libero da parte degli imprenditori.

 

Non essendo obbligatoria, riscosse adesioni limitate. Venne quindi introdotta nel 1904 l’obbligatorietà per i dipendenti pubblici e nel 1910 per i ferrovieri.

 

Nel 1919, con il governo Orlando, venne istituita la CNAS “Cassa nazionale per le assicurazioni sociali” l’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia. Divenne obbligatoria e riguarderà circa 12 milioni di lavoratori.

 

Nel 1924, il Governo Fascista, costituisce per la prima volta quello che sarà l’antenato del TFR “Trattamento di fine rapporto”cioè un’indennità da concedere al lavoratore licenziato.

 

Nel 1933, con regio decreto legge 27 marzo 1933, n. 371 , la CNAS assume la denominazione di INFPS “Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale”, ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica e gestione autonoma. Primo presidente fu Giuseppe Bottai a cui successe nel 1935 Bruno Biagi.

 

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Ott 24 2019

COME E PERCHE’ LA MASSONERIA DECRETO’ LA FINE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

 

 

 

 La vera storia della spedizione dei mille.

 

La spedizione garibaldina, per la storiografia ufficiale, ha il sapore di un’avventura epica quasi cinematografica, compiuta da soli mille uomini che salpano all’improvviso da nord e sbarcano a sud, combattono valorosamente e vincono più volte contro un esercito molto più numeroso, poi risalgono la penisola fino a giungere a Napoli, Capitale di un regno liberato da una tirannide oppressiva, e poi più su per dare agli italiani la nazione unita.

 

Troppo hollywoodiano per essere vero, e difatti non lo è. La spedizione non fu per niente improvvisa e spontanea ma ben architettata, studiata a tavolino nei minimi dettagli e pianificata dalle massonerie internazionali, quella britannica in testa, che sorressero il tutto con intrighi politici, contributi militari e cospicui finanziamenti coi quali furono comprati diversi uomini chiave dell’esercito borbonico al fine di spianare la strada a Garibaldi che agli inglesi non mancherà mai di dichiarare la sua gratitudine e amicizia.

 

I giornali dell’epoca, ma soprattutto gli archivi di Londra, Vienna, Roma, Torino e Milano e, naturalmente, Napoli forniscono documentazione utile a ricostruire il vero scenario di congiura internazionale che spazzò via il Regno delle Due Sicilie non certo per mano di mille prodi alla ventura animati da un ideale unitario.

 

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Ott 23 2019

REPRESSIONE FISCALE. UNA PASTICCERIA IN TOSCANA: 759,00 € DI STIPENDIO AL MESE E 44.000,00€ DI TASSE DA PAGARE!

 

 (di Alessio Bini)

 

Il vuoto massimalismo di chi non ha mai gestito neanche un chiosco vuole imporre una serie di norme restrittive a chi invece del proprio lavoro vive. Vi presentiamo un caso pratico di un’azienda, teoricamente in utile, che invece chiude lasciando a casa datori di lavoro e dipendenti. Si ringrazia il PdC  Conte ed il Ministro Bonafè per la loro assidua attività a favore dell’Italia. 

.

E poi li chiamano evasori. I benpensanti chiedono come facciano i negozianti e gli artigiani a stare aperti, quando guadagnano meno dei loro stessi dipendenti. Dicono che per forza facciano nero.

Ma quando c’è di fronte un caso concreto, anche il più ottuso si deve rendere conto che le tasse sono davvero insostenibili e i piccoli imprenditori sono davvero degli eroi.

Una pasticceria toscana, nemmeno troppo piccola, ha messo a disposizione i suoi bilanci per capire come mai, nonostante il lavoro, abbia dovuto chiudere.

Aveva anche il reparto bar e 4 dipendenti più il titolare. 210mila euro di incassi. Niente male, in tempi di crisi.

Di questi 210mila euro, solo 118mila dalla pasticceria e dal bar, 79.756,00 dai servizi di catering e 8mila dai buoni pasto. E per arrivare ai 210mila euro di entrate, ci sono le rimanenze di magazzino: 5mila euro! Il primo problema, infatti, è che c’è uno scollamento tra il Bilancio contabile e la vita reale. Questa pasticceria se l’è cavata soltanto con 5.000,00 € di Rimanenze finali. Ma ci sono attività con utile reale pari a zero e un magazzino di 30.000,00 € o più, che le fa sembrare in utile. E’ dal 1992 che le Rimanenze sono considerate un guadagno. Prima di allora erano un costo, come è normale che sia. Per gli esperti e per gli amanti dei paroloni, si tratta della riclassificazione del Bilancio al valore della produzione, anziché al valore del venduto.

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Ott 22 2019

CHE COSA CAUSA L’ODORE DELLA PIOGGIA?

Category: Natura e scienzagiorgio @ 00:05

 

 

Meglio saperlo, visto che lo sentiremo spesso: così potremo esclamare consapevolmente cose tipo “ah, che bel petricore!”

 

Piove sui giusti e sugli iniqui, come diceva quello, e dopo resta sospeso nell’aria un buon profumo, che di solito sa di pulito e di terra. Come spiega Karl Smallwood su Gizmodo, il familiare profumo di pioggia è il risultato della combinazione di tre diverse fonti, dovute a una serie di reazioni chimiche e fisiche.

 

Ozono
La prima fonte, quella che ci fa dire di sentire profumo di pulito soprattutto dopo un temporale, è l’ozono. Le molecole di ozono sono formate da tre atomi di ossigeno. Ha un odore pungente che ricorda abbastanza quello che si sente in piscina a causa del cloro, disciolto in acqua come disinfettante. I fulmini che si formano durante i temporali possono causare la rottura delle molecole di azoto e di ossigeno, portando alla formazione dell’ozono, che viene poi portato a bassa quota dalle correnti che si formano tra le nuvole. Per questo motivo molte persone avvertono il profumo della pioggia ancora prima che arrivi, soprattutto d’estate, perché l’ozono può essere trasportato dai venti a grande distanza e precedere l’arrivo del temporale.

Il naso umano riesce a distinguere facilmente la presenza dell’ozono nell’aria. In media basta che siano presenti 10 parti di ozono per miliardo per percepire l’odore di pioggia. È un bene che il nostro organismo riesca a distinguerlo così facilmente: in alte concentrazioni l’ozono è molto pericoloso perché può danneggiare i polmoni. Alle concentrazioni in cui si trova durante un temporale e più in generale nell’aria che respiriamo tutti i giorni è invece innocuo.

 

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Ott 20 2019

LO STATO ITALIANO È BEN PEGGIO DELLA MAFIA: INDIPENDENZA!

 

di GILBERTO ONETO

 

Un rapinatore punta la pistola o il coltello,  intima «La borsa o la vita!» e prende i soldi.

 

Se è proprio un bastardo tira un cazzotto, se lo è un po’ meno insulta, se è “normale”  se ne va in silenzio, se è un raro esemplare di “brigante galantuomo” ringrazia e chiede scusa per il fastidio.

Le organizzazioni criminali hanno inventato un più efficiente sistema di rapina continuata tramite il pizzo:  a fronte della tranquillità o di una protezione chiedono una percentuale sugli incassi o un tot fisso che è sicuramente pesante per chi lo deve pagare ma che è sempre misurato all’attenzione da parte dell’estortore a non esagerare, per non uccidere la sua fonte di “reddito”.

Le varie mafie si prendono perciò una parte “ragionevole” delle ricchezze o dei guadagni delle loro vittime ma poi garantiscono un servizio, stabiliscono una sorta di monopolio dell’estorsione, impedendo a chiunque altro di farlo e con ciò proteggendo la vittima-cliente da ogni altro malintenzionato. E quando qualche furbetto si presenta con armi o minacce, viene immediatamente punito con rapidità, efficienza e durezza. La recente vicenda del marocchino che aveva incautamente rapinato e ammazzato a Roma un “portavalute” cinese e che è stato trovato “suicidato” tre giorni dopo la dice lunga su come funzionino queste cose, e anche come l’ambaradan abbia assunto connotazioni multietniche che faranno felici il ministro Riccardi e Don Gallo.

 

Lo Stato italiano è un rapinatore ben peggiore, è molto peggio di tutte le mafie, camorre, ‘ndranghete pelasgiche, albanesi e cinesi messe assieme. É molto peggio del peggiore dei tagliagole e dei borseggiatori di strada.

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