Mi manca, mi manca qualcosa. Ah, già! voi avete pensato subito a qualche rotella. È probabile. Mi manca però un racconto che li riunisca un po’ tutti quanti e che si accordi con il primo che parla di mia madre. Ho trovato! Con la scusa di descrivere un episodio che ha come protagonista un mio amico, colgo l’occasione per parlare un po’ di me.
Guerra permettendo, ricordo d’essere stato per qualche mese all’asilo: quello che c’è in fondo a Via Volturno. Ve lo immaginate un selvaggio campagnolo in grembiulino azzurro, colletto bianco e con un cestino di vimini per la merenda? Ebbene, quello ero io. E già lì, mi tolsero braghette e mutandine e mi diedero una scaldata da farmi passare la voglia di sedermi. Più che il male, fu la rabbia che la maestra avesse fatto vedere il mio pistolino (1) alle bambine.
Sempre a causa della guerra, le aule delle prime classi elementari erano state sistemate nei locali del chiostro della chiesa di Sant’Ilario; ne ricordo le porte con le loro maniglie d’ottone dove un giorno m’attaccai e scalciai perché non volevo essere espulso dalla maestra Fornari.