Giu 12 2009

Google Italia contro la legge sulle intercettazioni

Cosa c’entrano i blog con le intercettazioni?

Le nuove norme in materia d’intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali si estendono anche ai “siti informatici”

Siamo nuovamente di fronte ad un provvedimento legislativo che va ad impattare sul mezzo di comunicazione Internet, senza tenere conto della sua specificità.

Stiamo parlando del comma 28 dell’articolo 1 del disegno di legge a proposito delle “Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali”, su cui il Governo ha posto ieri la questione di fiducia.

Questa norma mira ad estendere anche ai “siti informatici” le procedure di rettifica delle informazioni ritenute non veritiere o lesive della reputazione dei soggetti coinvolti, finora applicate ai mezzi di informazione tradizionali”. In pratica un blogger amatoriale viene equiparato come responsabilità al direttore responsabile di un qualsiasi quotidiano nazionale…

L’utilizzo dell’espressione generica “siti informatici” è molto preoccupante, in quanto sembra comprendere sia tutti coloro che producono contenuti, siano essi operatori professionali (ad esempio, la testate giornalistiche online) o semplici utenti (ad esempio, i blogger amatoriali), sia le piattaforme che ospitano questi contenuti, come ad esempio i motori di ricerca, le piattaforme di contenuti creati dagli utenti come YouTube ed i social network come Facebook.

Ai gestori di siti, pagine web e blog amatoriali non dovrebbero essere richiesti adempimenti propri dei mezzi di informazione professionali e quindi sproporzionati rispetto ad attività di tipo amatoriale o comunque non lucrative.

Tra l’altro qualche settimana fa la Commissione Trasporti e Comunicazioni della Camera aveva approvato un ordine del giorno sul disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche e telematiche in cui si sottolineavano chiaramente le criticità legate al riferimento generico ai “siti informatici” e si suggeriva che l’obbligo di rettifica riguardasse solamente i giornali e periodici diffusi per via telematica e soggetti all’obbligo di registrazione, escludendone quindi i gestori di siti amatoriali (lo stesso Sottosegretario Romani ha data il proprio consenso a questo approccio). Purtroppo nel testo presentato ieri alla Camera e su cui è stata posta la fiducia non stati integrati questi suggerimenti.

È sullo stesso concetto che si fonda il progetto di legge degli Onorevoli Roberto Cassinelli e Antonio Palmieri, recante “Modifiche all’articolo 1 della legge 7 marzo 2001, n. 62, in materia di definizione e disciplina del prodotto editoriale”, volto a far sì che “coloro i quali sfruttano la rete Internet per esprimere le proprie idee, attraverso, per esempio, i blog, possano utilizzare liberamente le moderne tecnologie, sempre nel rispetto delle leggi, senza però essere soffocati da inutili, e talvolta inopportuni, vincoli burocratici.”

La strada che porta all’affermazione della specificità della Rete e dei diritti dei navigatori è ancora molto lunga.

Fonte:  http://googleitalia.blogspot.com/2009/06/cosa-centrano-i-blog-con-le.html

10 giugno 2009 – ore 16.07


Giu 12 2009

Incostituzionale la legge-ghigliottina francese antipirateria HADOPI. Che sorpresa

Category: Giustizia Legula e Legulei,Informaticagiorgio @ 08:29

La legge francese HADOPI, che prevedeva la disconnessione da Internet e l’immissione in lista nera, senza processo, per chiunque fosse stato semplicemente accusato tre volte di aver scaricato materiale vincolato dal diritto d’autore, è stata respinta dal Consiglio Costituzionale francese.

Si è capito, magari un tantinello in ritardo, che “il principio della presunzione d’innocenza è più importante dei piani demenziali delle industrie dell’intrattenimento per prolungare artificialmente i loro modelli obsoleti”, come scrive BoingBoing.

Purtroppo non ci sono sanzioni per le case discocinematografiche, per gli editori e per i politici, Sarkozy compreso, che hanno proposto, promosso e approvato una delle leggi più assurde degli ultimi decenni. John Kennedy, presidente dell’IFPI, l’aveva serenamente definita “efficace e proporzionata”. Un po’ come la lapidazione per l’adulterio. Taccio, per decenza, sui politici italiani che avevano espresso ammirazione per la legge-ghigliottina francese.

Questa gente era insomma disposta a buttare al vento i princìpi di base del diritto pur di difendere le canzonette. E la fa franca?

Fonte: http://attivissimo.blogspot.com/


Giu 06 2009

Attacco alla libertà di internet

Il Senato ha approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza (D.d.L. 733) tra gli altri con un emendamento del senatore Gianpiero D’Alia (UDC) identificato dall’articolo 50-bis: Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet; la prossima settimana Il testo approderà alla Camera diventando l’articolo nr. 60. 

Il senatore Gianpiero D’Alia (UDC) non fa parte della maggioranza al Governo e ciò la dice lunga sulla trasversalità del disegno liberticida della “Casta”. 

In pratica in base a questo emendamento se un qualunque cittadino dovesse invitare attraverso un blog a disobbedire (o a criticare?) ad una legge che ritiene ingiusta, i providers dovranno bloccare il blog.

Continua a leggere”Attacco alla libertà di internet”


Mar 13 2009

i nemici di Internet

Si intitola “I Nemici di Internet”, ed è una sorta di guida ragionata ai luoghi ed i modi della censura online. A stilarla, gli attivisti di Reporters Sans Frontières (RSF), che descrivono un mondo sempre più minacciato dal cybercontrollo. Nei paesi sotto dittatura e non solo.

“Con il pretesto di proteggere la morale, la sicurezza nazionale, la religione e le minoranze etniche, e talvolta persino il potenziale spirituale culturale e scientifico del paese, molti paesi ricorrono al filtraggio della rete per bloccarne parte dei contenuti” denuncia RSF nell’introduzione al documento (disponibile qui in versione integrale).

E dopo questa prolusione generale, gli autori del documento fanno nomi e cognomi dei cattivi, stilando una “Top12” dei paesi meno virtuosi e dedicando ad ognuno una scheda sinottica, completa di dati, riferimenti legislativi ed episodi notevoli in materia di censura digitale.

In cima alla lista si colloca la Cina. È qui che si trova la macchina di controllo più robusta e capillare, con oltre 40000 funzionari pubblici pagati per monitorare le comunicazioni online, quasi 50 persone in prigione per reati legati alla cyber-espressione ed un Ministero dell’Informazione onnipresente.

Ma Vietnam e Siria, che con la Cina condividono il “podio”, non se la cavano male neppure loro. Nel paese mediorientale, spiega RSF, il governo ha inibito l’accesso a una serie ampia di siti – tra cui YouTube, Amazon e Facebook – ed ha imprigionato almeno cinque persone per “reati di espressione” legati a quanto scritto online. In Vietnam, invece, le autorità hanno creato una forza di cyber-polizia dedicata in modo esclusivo al controllo su Internet, mentre il Ministro dell’Informazione ha così commentato l’impiego dei mezzi di espressione individuale: “I blog sono spazi dedicati alle notizie personali. Se un blogger li usa per le notizie pubbliche, alla maniera degli organi di stampa, sta infrangendo la legge e sarà punito”.

L’imprigionamento dei blogger e il restringimento del range di siti raggiungibili non sono comunque le uniche strategie di limitazione della libertà impiegate, denuncia ancora il report. Di recente, governi come quello cinese hanno cominciato a “orientare” la discussione su blog e social network con commenti comandati dall’alto (il cosiddetto astroturfing), mentre altri hanno preso ad impiegare gruppi di hacker per colpire i nemici interni ed esterni.

Della lista dei “più cattivi” fanno parte, oltre ai paesi già menzionati, anche Cuba, Egitto, Myanmar, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Tunisia, Turkmenistan, Uzbekistan. Nel complesso, spiega RSF, sono oltre 70 le persone in prigione per “reati di espressione” commessi in rete.

Dopo aver completato la disamina sui dodici least wanted, poi, il report esamina la situazione dei paesi ritenuti “a rischio”. E qui arrivano altre sorprese. Perché in questo secondo gruppo si trovano tra gli altri anche due paesi – la Corea del Sud e l’Australia – che si potrebbero ritenere delle democrazie compiute. Ed invece, argomenta RSF, anche qui le autorità hanno introdotto delle misure legislative che potrebbero attentare alla libertà di espressione online.

La cronaca degli ultimi anni ha visto un aumento costante dei tentativi di controllo e censura governativa nei confronti di Internet, in moltissime parti del mondo. Alcuni paesi, come ad esempio la Cina, sono arrivati a difendere pubblicamente l’esigenza di censurare la comunicazione online, e si sono verificati talvolta effetti perversi come l’autocensura da parte degli stessi cittadini della rete.

Fonte: srs di Giovanni Arata Venerdì  13 maggio 2009


Mar 13 2009

Robespierre: Discorso contro la pena di morte

Category: Cultura e dintorni,Giustizia Legula e Leguleigiorgio @ 10:47

Questo testo è un bellissimo esempio di umorismo involontario che, di fronte al Terrore che Robespierre scatenerà poco dopo, assurge ai vertici del tragicomico. Credo che non ci sia migliore argomento di questo discorso per dimostrare la stupidità di certe posizioni ideali, tutte fatte di belle, ma vuote parole, di concetti astratti privi di ogni contenuto, di fantasticherie filosofiche di buoni a nulla, convinti di poter spiegare e dirigere il mondo solo perché parlano. Poi la realtà, molto dura e molto cruda, prevale e ci costringe a constatare che i problemi non si risolvono con le chiacchiere, che il male si vince solo col male, che il buonismo serve solo a far prevalere i prepotenti e gli sfruttatori.


Robespierre fa il paio con Cesare Beccaria, a cui di certo si è ispirato, il quale (come racconta il Foscolo nella lettera 7-5-1887 alla Albrizzi, sulla base di quanto dettogli dalla sorella, dal fratello e dalla figlia dello stesso Beccaria, e come riferisce anche Byron) dopo aver scritto cose altamente ideali sulla pena di morte, quando sospettò un servo di avergli rubato un orologio, pretendeva che gli venissero dati “i tratti di corda” per farlo confessare.


Cose del tutto normali quando il filosofo ispiratore è quel gran farabutto che fu Rousseau.


Che le grandi professioni di ideali di taluni siano solo un tentativo di mascherare la propria ignominia interiore dietro belle parole e buoni propositi, utili per adescare o confondere sciocchi?


Nella discussione sul Codice penale, l’Assemblea Costituente si era fermata a una domanda della filosofia e del diritto: la pena di morte doveva essere conservata o abolita?


Lepelletier di Saint-Fargeau aveva presentato un rapporto nel quale si dichiarava partigiano dell’abolizione della pena di morte; nondimeno però egli la manteneva in un solo caso: contro un capo di partito dichiarato ribelle da un decreto del Corpo Legislativo. 


Lepelletier di Saint-Fargeau aggiungeva: “Questo cittadino deve cessare di vivere, non tanto per espiare il suo delitto, quanto per la sicurezza dello Stato. ” 


Robespierre, il 30 maggio 1791 parlò su questo fatto nella seduta del 30 maggio 1791. E fu per chiedere la soppressione assoluta della pena di morte.


Non fu che nella seduta di mercoledì 10 giugno che l’Assemblea si pronunciò.  Si decise, e quasi all’unanimità, di non abrogare la pena di morte.


Nota: Questo testo è stato pubblicato nella “Raccolta di Breviari Intellettuali ” dell’UTET, nella traduzione di Alberto Blanche.

 

“Essendo stata portata ad Atene la notizia che nella città di Argo erano stati condannati a morte alcuni cittadini, il popolo si recò nei templi per scongiurare gli dei onde distogliessero gli Ateniesi da pensieri così crudeli e così funesti.

Io vengo a pregare non gli dei, ma i legislatori, che debbono, essere gli organi e gli interpreti delle leggi eterne che la Divinità ha dettate agli uomini, di cancellare dal Codice dei Francesi le leggi di sangue che comandano i delitti giuridici, e che vanno contro le loro nuove abitudini e la loro nuova costituzione. Io voglio provàr loro: 1° che la pena di morte è essenzialmente ingiusta; 2° che essa non è la più reprimente delle pene, e, più che impedire i delitti li moltiplica.

Fuori della società civile, se un nemico accanito viene ad attentare ai miei giorni, e, respinto venti volte, ritorna a distruggere il campo che le mie mani hanno coltivato, poiché io non posso che opporre le mie forze individuali alle sue, bisogna che io perisca o che uccida, e la legge della difesa naturale mi giustifica e mi approva.

Ma nella società, quando la forza generale è armata contro un solo individuo, qual principio di giustizia può autorizzare a dar la morte? Quale necessità può assolverla? Un vincitore che fa morire i suoi nemici, presi prigionieri è chiamato barbaro! Un uomo che fa sgozzare un bambino, ch’egli può disarmare e punire, parrebbe un mostro! Un accusato che la società condanna non è per essa che un nemico vinto ed impotente; le è dinanzi un uomo adulto, ma più debole di un fanciullo.

Così agli occhi della verità e della giustizia, queste scene di morte che essa ordina con tanto d’apparecchio, non sono altro che vili assassinii, che dei delitti solenni, commessi, non dagli individui, ma dalle nazioni intiere, con delle forme legali.

Per quanto crudeli, per quanto stravaganti sieno queste leggi, non meravigliatevi più. Sono l’opera di qualche tiranno; sono le catene che opprimono la specie umana; sono le armi con le quali la soggiogano; esse furono scritte col sangue. “Non è, affatto permesso dare la morte a un cittadino romano. ” Tale era la legge che il popolo aveva sostenuto: ma Silla vinse e disse: Tutti coloro che si sono armati contro di me sono degni di morte. Ottavio ed i compagni suoi di delitti confermarono questa legge. Sotto Tiberio, aver lodato Bruto fu un delitto degno di morte. Caligola condannò a morte coloro che erano tanto sacrileghi da svestirsi dinanzi all’immagine dell’Imperatore. Quando la tirannia ebbe inventato i delitti di lesa maestà, che erano o delle azioni indifferenti o degli atti eroici, chi avrebbe osato pensare che potevano meritare una pena più dolce della morte, a meno di render sé stesso colpevole di lesa maestà?

Il fanatismo, nato dall’unione mostruosa dell’ignoranza col despotismo, allorché inventò a sua volta i delitti di lesa maestà divina, quando concepì nel suo delirio di vendicare Iddio, volle esso pure offrire del sangue, mettendosi al livello dei mostri.

La pena di morte è necessaria, dicono i partigiani degli antichi barbari usi; senza di essa non ci sono freni abbastanza potenti contro i delitti. Chi ve lo ha detto? Avete calcolato tutte le specie di mezzi con i quali le leggi penali possono agire sulla sensibilità umana? Ahimè! prima della morte, quanti dolori fisici e morali l’uomo deve soffrire! Il desiderio di vivere si inchina davanti all’orgoglio, la più imperiosa delle passioni che il cuore umano; la più terribile di tutte per l’uomo sociale, è l’obbrobrio, la schiacciante testimonianza dell’esecuzione pubblica.

Quando il legislatore può colpire i cittadini in tanti lati ed in tanti modi, come può credersi ridotto ad impiegare la pena di morte? Le pene non sono fatte per tormentare i colpevoli; ma per impedire il delitto, il quale teme appunto di incorrere nelle pene. Il legislatore che preferisce la orte e le pene atroci ai mezzi più dolci che sono in suo potere, oltraggia la delicatezza pubblica, affievolisce il senso morale nel popolo ch’egli governa, come un poco abile precettore che, coll’uso frequente di modi crudeli abbrutisce e degrada l’animo del suo allievo, il legislatore abusa ed indebolisce le energie del governo, volendo troppo piegare l’arco del potere. Il legislatore che stabilisce questa pena rinuncia a quel principio salutare, che ” il mezzo più efficace per reprimere i delitti è quello di adattare le pene al carattere delle differenti passioni che causano il delitto”, e di punirle, per così dire. per sé stesse. Esso confonde tutte le idee, turba tutti i rapporti e contraria apertamente lo scopo delle leggi penali.

La pena di morte è necessaria, dite voi! Se è così, perché parecchi popoli hanno saputo farne a meno? Per quale fatalità questi popoli sono stati i più saggi, i più felici, i più liberi? Se la pena di morte è la più appropriata per prevenire i grandi delitti, bisogna dunque che essi sieno stati molto rari presso i popoli che l’hanno adottata e prodigata. Invece accade precisamente tutto il contrario.

Guardate il Giappone: in nessuna parte del mondo si è tanto prodighi della pena di morte, si è tanto prodighi di supplizi; in nessuna parte del mondo i delitti sono così frequenti e cosi atroci. Si direbbe che i Giapponesi vogliono disputare di ferocia con le leggi barbare che oltraggiano e che irritano. Le repubbliche della Grecia, ove le pene erano molto moderate, e dove la pena di morte era infinitamente rara o sconosciuta, forse che avevano più delitti e meno virtù dei paesi governati da leggi sanguinarie? Credete voi che Roma fosse funestata da un maggior numero di delitti, quando, nei giorni della sua gloria, la legge Porcia ebbe distrutte le pene severe portate dai re e dai decemviri, di quanti se ne consumavano quando Silla le fece rivivere, e sotto gli imperatori che ne elevarono il rigore ad un eccesso degno della loro infame tirannide? La Russia è stata forse sconvolta, dacché il despota che la governa ha intieramente soppressa la pena di morte, come s’egli volesse espiare con questo atto di umanità e di filosofia il delitto di tenere dei milioni di uomini sotto il giogo del potere assoluto?

Ascoltate la voce della giustizia e della ragione; essa ci grida che i giudizi umani non sono mai abbastanza certi, perché la società possa condannare a morte un uomo condannato da altri uomini soggetti ad errare. Se anche voi aveste immaginato il più perfetto ordinamento giudiziario, se aveste trovati i giudici più integri e più illuminati, sarà sempre possibile un errore, non evitereste assolutamente la prevenzione.

Perché impedire il mezzo di riparare? Perché condannate all’impossibilità di tendere una mano soccorritrice all’innocente oppresso? Che importano gli sterili rimpianti, le riparazioni illusorie che voi accordate ad un’ombra vana, ad una cenere insensibile? Essi sono tristi testimonianze della barbara temerità delle vostre leggi penali. Togliere all’uomo la possibilità di espiare il suo malfatto col pentimento o con degli atti di virtù, chiudergli senza pietà il ritorno alla virtù, alla stima di sé stesso, adoperarsi per farlo più presto scendere, per così dire, nel sepolcro ancora tutto avvolto dalla macchia recente del suo delitto, è ai miei occhi una delle più raffinate crudeltà.

Il primo dovere del legislatore è di formare e di conservare gli usi pubblici sorgenti di tutte le libertà, sorgenti di tutta la felicità sociale; allorché per giungere ad uno scopo particolare, egli si allontana da questo scopo generale ed essenziale, commette il più grossolano ed il più funesto degli errori.

Bisogna dunque che le leggi presentino sempre ai popoli il modello più puro della giustizia e della ragione. Se, al posto della severità potente, della calma moderata che deve caratterizzarle, esse mettono la collera e la vendetta; se esse fanno colare del sangue umano che possono risparmiare e che non hanno diritto di spargere; se esse espongono agli occhi del popolo scene crudeli e cadaveri martoriati dalle torture, allora alterano nel cuore dei cittadini le idee del giusto e dell’ingiusto, allora fanno germogliare nel seno della società dei pregiudizi feroci che alla loro volta ne producono degli altri.

L’uomo non è più per l’uomo un oggetto altamente sacro, si ha una idea meno grande della sua dignità, quando l’autorità pubblica si ride della vita umana. L’idea dell’assassinio ispira meno spavento, quando la legge stessa ne dà l’esempio e lo spettacolo; l’orrore del delitto scema, poiché lo si punisce con un altro delitto. Guardatevi bene dal confondere l’efficacia delle pene con l’eccesso della severità; l’una è assolutamente l’opposta dell’altro. Tutto asseconda le leggi moderate, tutto cospira contro le leggi crudeli. 
Si è osservato che nei paesi liberi i delitti erano più rari, perché le leggi penali eran più dolci. I paesi liberi sono quelli nei quali i diritti dell’uomo sono rispettati, e dove di conseguenza le leggi sono giuste.

Dappertutto dove esse offendono l’umanità con un eccesso di rigore, si ha la prova che la dignità dell’uomo non è conosciuta, che quella del cittadino non esiste; si ha la prova che il legislatore non è che un padrone che comanda a degli schiavi, e che li colpisce spietatamente seguendo la sua fantasia.

Io concludo perché la pena di morte sia abrogata.

(Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre)

 

Fonte: http://www.geocities.com/Athens/Olympus/3656/index.htm


Feb 26 2009

Se nei tribunali la vittoria fosse sinonimo di giustizia Cristo avrebbe avuto solo torto..

Category: Chiesa Cattolica,Giustizia Legula e Leguleigiorgio @ 20:19


Feb 12 2009

Il protocollo di Wannsee (20 gennaio 1942)

Martin Luther

“Nel corso della soluzione finale gli ebrei saranno instradati, sotto appropriata sorveglianza, verso l’Est, al fine di utilizzare il loro lavoro. Saranno separati in base al sesso. Quelli in grado di lavorare saranno condotti in grosse colonne nelle regioni di grandi lavori per costruire strade, e senza dubbio un grande numero morirà per selezione naturale. Coloro che resteranno, che certo saranno gli elementi più forti, dovranno essere trattati di conseguenza, perchè rappresentano una selezione naturale, la cui liberazione dovrà essere considerata come la cellula germinale di un nuovo sviluppo ebraico (come mostra l’esperienza della storia)” .

Fonte: ministero degli Esteri tedesco, documenti di Dr. Martin Luther, sottosegretario del Ministero degli Esteri.

PS

Della serie: Le cause delle morti  saranno compatibili con il protocollo


Feb 12 2009

Eluana, morte compatibile con protocollo, Lo ha detto il procuratore di Trieste Deidda.

Category: Giustizia Legula e Legulei,Società e politicagiorgio @ 22:18

 

Il procuratore chiama la morte assistita  “applicazione del protocollo”. 

Sono parole che mi evocano le inquietanti memorie e orrori del secolo  appena trascorso.

Se non sbaglio Rudolph Hess chiamava il campo di sterminio  Auschwitz: “campo di lavoro correzionale”, Lenin chiamava la pena di morte: “misura di difesa sociale”. Se non altro, è, una alterazione  del linguaggio


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