Mar 21 2009

PER QUELLI NATI INTORNO AGLI ANNI ’50

Category: Monade satira e rattatuje,Veja migiorgio @ 00:17

A ben pensarci, è difficile credere che siamo vissuti fino ad oggi!!

Da bambini, andavamo in macchina (quelli che avevano la fortuna di averla) senza cinture di sicurezza e senza air bag.

E viaggiare nel cassone posteriore di una pick-up, in un pomeriggio torrido, era un regalo speciale.

I flaconi dei medicinali non avevano delle chiusure particolari.

Ci dissetavamo con l’acqua dalla canna del giardino, non da una bottiglia. Che orrore!!

Andavamo in bicicletta senza usare un casco.

Passavamo dei pomeriggi a costruirei i nostri “carri giocattolo”.

Ci lanciavamo dalle discese e dimenticavamo di non avere i freni fino a quando non ci sfracellavamo contro un albero o un marciapiede.

E dopo numerosi incidenti, imparavamo a risolvere il problema noi da soli!!!

Uscivamo da casa al mattino e giocavamo tutto il giorno; i nostri genitori non sapevano esattamente dove fossimo, nonostante ciò sapevano che non eravamo in pericolo.

Non esistevano i cellulari. Incredibile!!

Ci procuravamo delle abrasioni, ci rompevamo le ossa o i denti… e non c’erano mai denunce, erano soltanto incidenti: nessuno ne aveva la colpa.

Ti ricordi degli incidenti?

Avevamo delle liti, a volte dei lividi. E anche se ci facevano male e a volte piangevamo, passavano presto; la maggior parte delle volte senza che i nostri genitori lo sapessero mai.

Mangiavamo dei dolci, del pane con moltissimo burro e bevande piene di zucchero, ma nessuno di noi era obeso.

Ci dividevamo una Fanta con altri 4 amici, dalla stessa bottiglia, e nessuno mai morì a causa dei germi.

Non avevamo la Playstation, nè il Nintendo, ne dei videogiochi. Ne la TV via cavo, ne le videocassette, ne il PC, ne internet; avevamo semplicemente degli amici. Uscivamo da casa e li trovavamo.

Andavamo, in bici o a piedi, a casa loro, suonavamo al campanello, entravamo e parlavamo con loro.

Figurati: senza chiedere il permesso! Da soli! Nel mondo freddo e crudele! .

Senza controllo! Come siamo sopravissuti?!

Ci inventavamo dei giochi con dei bastoni e dei sassi. Giocavamo con dei vermi e altri animaletti e, malgrado le avvertenze dei genitori, nessuno tolse un occhio ad un altro con un ramo e i nostri stomaci non si riempirono di vermi.

Alcuni studenti non erano intelligenti come gli altri e dovevano rifare la seconda elementare. Che orrore!!!

Non si cambiavano i voti, per nessun motivo.

I peggiori problemi a scuola erano i ritardi o se qualcuno masticava una cicca in classe.

Le nostre iniziative erano nostre. E le conseguenze, pure.

Nessuno si nascondeva dietro a un altro. L’idea che i nostri genitori ci avrebbero difeso se trasgredivamo ad una legge non ci sfiorava. Loro erano sempre dalla parte della legge.

Se ti comportavi male i tuoi genitori ti mettevano in castigo o te le suonavano di santa ragione e nessuno li metteva in galera per questo.

Sapevamo che quando i genitori dicevano “NO”, significava proprio “NO”.

I giocatoli nuovi li ricevevamo per il compleanno e a Natale, non ogni volta che si andava al supermercato.

I nostri genitori ci facevano dei regali con amore, non per sensi di colpa.

E le nostre vite non sono state rovinate perche non ci diedero tutto ciò che volevamo.

Questa generazione ha prodotto molti inventori, amanti del rischio e ottimi risolutori di problemi.

Negli ultimi cinquant’anni c’è stata un’esplosione di innovazioni e nuove idee.

Avevamo libertà, insuccessi, successi e responsabilità e abbiamo imparato a gestirli.

Tu sei uno di loro. Complimenti!!!


Mar 08 2009

LO SPRISS?… MA VUTO METARE UN BEL GOTO DE VIN S-CETO?

Category: Monade satira e rattatujegiorgio @ 09:06

 

Vicentini, Veronesi, Veneti svejeve! i ve sta toendo in giro, scolteme. 

Ve do tre boni motivi per non bevera lo spriss. 

 

Par prima roba lo spriss se na fregada ( ciavada, in dialeto): i ghe mete el novanta per sento de acqua, el diese par sento de aperitivo e de vin gnanca na s-cianta!   Ma teo paghi de pi de un bon goto de vin s-ceto. 

 

Par seconda roba lo spriss se na bevanda da democristiani: nol se ne’ acqua ne’ vin, ne’ bon ne’ cativo, ne’ de destra ne’ de sinistra, democristian insoma. 

Par tersa roba lo sprissel se’ anca crucco: spriss in tedesco vol dir sprusso.  Sprusso de vin in un bicieron de acqua. 

 

Che i se lo beva a casa lori sto mis-cioto, che mi preferisso un bon bicier de vin san. 

Non so voialtri, ma mi na ciavada crucca e democristiana non la voio gnanca a gratis, figureve se ghe devo anca darghe schei.  Ghin go sa ciapa’ anca massa de ciavade, che almanco par el bevare me rangio da solo. 

 

Ma mi digo: secondo voialtri, se’ posibile ch’el nostro signor el ne gabia da’ na roba cositta bona come el vin par rovinarla co l’acqua e co quea specie de colorante disavio che i lo ciama aperitivo?  Xe posibile secondo voialtri? 

 

A saria come far na discoteca dentro la Basilica Palladiana, o sugar a golf al Romeo Menti, o peso ancora andare a ciavar in Sala Bernarda! 

Va ben che el nome se compagna, va be’ che la dentro i ne da de quele ciavade che non finisse altro a noialtri che paghemo le tasse, paro’ bisogna esser seri: ogni roba la ga’ el proprio uso. 

 

E l’uso del vin se’ de berlo s-ceto, de gustarne l’aroma, de snasarne el profumo, de saiarlo con un tramesin se te ghe’ fame, ma non de misciarlo con le porcherie!  Par carita’. No ste’ misciar el sacro con la cinafrusaglia. 

Bevi’ un fia’ de manco, ma bevi’ roba bona, almanco. 

 

Desso ve saludo che go’ da ndare. Ghe xe gli amissi che me speta al bar qua soto per farse il goto de un boto: de vin? 

No!, se bevo un bicier de vin s-cieto a stomego vodo me imbriago subito e non digerisso altro. 

Mejo on sprisetto, magari co do saladini e do olivete che le me piase tanto… 


Porca vaca!!!…..

 

Fonte: Raixe venete


Mar 08 2009

Ho scoperto lo spriss!

Category: Monade satira e rattatujegiorgio @ 07:56

Lo spritz o sprisss e’ un intruglio che i barman raffinati preparano con seltz, vino bianco a denominazione di origine controllata, una piccola dose di un aperitivo alcolico ( Bitter o Aperol) e scorzetta di limone; nelle piccole bettole cittadine vi viene servito prendendo mezzo gotto di un’acqua minerale svampita aperta da una settimana e del solito vino da “tazzette” pescato alla spina, solo che la dose di aperitivo e’ piu’ massiccia e tende a spaccarti in quattro lo stomaco vuoto…

Ma oramai il rito e’ cosi’ diffuso che  veronesi,  vicentini e tutti i veneti non sanno rinunciarvi: 

“andiamo a farci uno spritz”  diviene la parola d’ordine, lo slogan piu’ diffuso,  spesso l’unica trasgressione nel procedere incessante della giornata. 

Vi e’ un bar in centro che reclamizza quaranta tipi diversi di spritz: ve lo propongono con generose fette di arancia messe in tralice sul bicchiere e persino con il Branca Menta. 

Le signore per bene, vestite elegantemente e dal facile eloquio se ne fanno un paio con le amiche, ma quasi vergognandosi, si recano nei bar piu’ defilati oppure entrano di soppiatto nelle stanze posteriori dei caffe’ piu’ in della ctta’. 

La moda e’ cosi’ estesa da aver soppiantato la tazzetta: sembra che sia molto piu’ alla moda chiedere “piu’ acqua che vino, mi raccomando!” con l’aria un po’ complice di chi non consuma certo alcolici fuori pasto e di chi ne ingerisce solo uno al giorno. 

Ma poi, girato l’angolo, s’incontra un amico ed il rito si rinnova:” n’demo al Malvasia o al Campanile, femose uno spritz da Righetti, al Cursore o da Pitanta”. 

Per i cultori del buon vino lo spritz e’ una sorte di bestemmia, una dissacrazione, l’acqua calata nel sacro nettare degli dei! 

Ma nell’era dell’ipocrisia e dell’apparenza e’ meglio celare la buona e sana abitudine del bere vino: quel bicchiere ben preparato, presentato con le patatine e le olive puo’ apparire effettivamente come qualcosa di diverso! 

Ed e’ cosi’ che i Bar di mezzo Veneto  si stanno rilanciando: ultimamente nascono come funghi, uno ad ogni angolo di strada; spesso sono bellissimi, arredati con gusto, ricchi di luce e colore. 

Servono caffe’ pregiati, provenienti dall’America Meridionale o dalle Antille, pasticcini coccoli e simpatici, caramelle di tutti i tipi e sopratutto tanti, tanti tanti, spriss!

 

Fonte: Raixe venete


Mar 07 2009

FAME UN SPRISS

Category: Monade satira e rattatujegiorgio @ 21:47

Un marocchino, un terrone e un venezian  i ciacola camminando per piazza  Ferretto  quando uno dei tre inciampa in una lampada magica dalla quale fuoriesce un genio:

” BUONGIORNO SIGNORI, SONO QUI PER ESAUDIRE UN DESIDERIO PER OGNUNO DI VOI

Parte il marocchino: 

” IO, IO QUI IN ITALIA TUTI TRATARE MALE ME, 

IO NO TROVARE LAVORO, MIA FAMILIA E MIA CAMELA MANCARE MOLTO, 

VOLIO TORNARE A CASA MIA….

.PUFFFFF…… e il marocchino sparisce. 

Tocca al terrone:

“ANCH’IO TENGO  FAMIGGHIA GIU’, NON LA VEDO DAA MORTE DU ZAPPATORE. 

QUI AL NORD  SI LAVORA EBBAST’….

GUAGLIO’, IO PROVENGO DA U PAESE DO SOLE,VOGGHIO  TURNA’ A CA”……..

PUFFFF……e il meridionale sparisce. 

Il genio si rivolge dunque al veneziano:

” E TU? COSA VUOI CHE FACCIA PER TE?”…

E il veneziano:

” BEH!! EL MAROCHIN EL XE’  SPARIO… EL TERON ANCA.

NO SO…..FAME UN SPRISS…

 

Fonte: NR/Arianna


Mar 07 2009

La notte più bella della mia vita.

Quel mattino del 13 agosto 1994 ci svegliammo presto al bivacco Slataper, a mt. 2610, sotto la vetta del Sorapiss (mt. 3205), raggiunta la sera prima. 

Le prime luci dell’alba facevano a malapena intravedere le sagome scure delle pareti circostanti. 

Subito un occhiata al tempo, qualche stella ancora resisteva al giorno nascente. Verso SO si notavano delle nubi lenticolari, segno che con l’arrivo di venti da SO in quota, qualcosa si stava preparando. 

Dovevamo scendere per circa 1000 mt. per il rifugio S. Marco e poi risalire di altri 1500 per raggiungere la nostra meta prefissata per la sera, pernottare, sotto la cima dell’Antelao mt. 3268, al bivacco Cosi (il più alto delle Dolomiti a mt. 3111).

Arrotolati in fretta i sacchi a pelo, e fatta colazione con latte condensato e gallette, rivolgemmo insieme un breve ringraziamento al Padre che ci stava regalando ancora una meravigliosa giornata da vivere intensamente. 

Partimmo quando già il sole nascente illuminava con i primi raggi, le vette più alte, regalandoci una meravigliosa “enrosadira”; termine usato in dolomiti per descrivere il bellissimo colore che tinge le rocce di dolomia al primo ed ultimo sole della giornata. Il tempo man mano si guastava. Alle nubi orografiche, che di solito si formano da mezzogiorno in poi per la condensazione dell’aria umida riscaldata dal sole sui versanti esposti con vere e proprie correnti ascensionali, si aggiungevano degli strati da SO poco rassicuranti.  Ma nel complesso il tempo si manteneva discreto. Solo un “patito” di meteo andava annotando, con preoccupazione, quei segni premonitori. 

Sollecitavo i miei tre compagni a mantenere alta l’andatura per arrivare in anticipo al bivacco. Per due ragioni: una per trovarlo libero e potervici dormire, seconda, per arrivare prima del temuto peggioramento. 

I bivacchi sono strutture di alta quota, per alpinisti o escursionisti, e sono senza custode. Consistono in un vano di legno 2 per 3 mt. coperto da lamiera dipinta di rosso. All’interno in così poco posto, ben 9 “posti letto”, ricavati in tre serie da 3 a castello, su tre lati escluso, quello della porta. L’arredo: uno sgabello, 2 o 3 candele, un badile, e qualche scatoletta alimentare per le emergenze. 

Dopo il rifugio S. Marco, saliamo al Galassi,  a mt. 2020. Il tempo peggiorava sensibilmente le nubi arrivavano da tutte le parti, ed in breve ci trovammo  nella nebbia,  qualche goccia cominciò  a cadere. Ci consultammo, e dopo avere preso una bevanda calda, decidemmo di proseguire per il bivacco a più di 1000 mt. sopra di noi. Erano le dodici. 

Conoscevo l’itinerario, perfettamente descritto da amici che vi erano già stati, non presentava difficoltà alpinistiche, solo una salita faticosissima sui  “lastei dell’Antelao”. Così viene chiamata la parete inclinata (lastra), che termina ai 3111 mt. del bivacco. 

La salita è dura per il dislivello da vincere, non impegnativa dal lato tecnico, infatti gli esperti, “con piede saldo” riescono a percorrerla senza usare le mani per l’equilibrio. 

Era come andare di notte: una calma ovattata e scura ci avvolgeva. Speravo che il tempo non peggiorasse repentinamente, confortato anche dall’assenza del vento e  la mancanza di tuoni. 

A quota 2700 circa, scrutando verso l’alto, notammo  un leggero chiarore a sud, impercettibile, ma indicativo. Man mano il chiarore tendeva dal grigio al rosa. E’ fatta, dissi  ai miei, fra 10 minuti avremo  il sole! Dopo essermi preso qualche sorrisino ironico, 100 mt.  più su, d’incanto sbucammo sopra lo strato di nubi. 

Una meraviglia! Le vette circostanti spuntavano dal mare di nubi: Le Marmarole, il Sorapiss, la Croda da Lago e un po’ più a sud il Pelmo, semicoperto dalle nubi più alte provenienti da SO: sembrava volersi nascondere ai nostri sguardi indagatori; dovevamo salirlo dopo 2 giorni. 

Panorama esaltante! Guardavo quegli strati scuri che avanzavano velocemente da Sud e pensavo: l’importante è arrivare al bivacco, dopo: peggio è, meglio è. Ebbi la spudoratezza di comunicare il mio pensiero agli altri tre. Non l’avessi mai fatto! Mi coprirono di male parole (scherzose). 

Il bivacco è disposto sul versante NNE della bellissima piramide che contraddistingue questa stupenda montagna, proprio sotto quel “bitorzolo” roccioso che, solo in prossimità della vetta, interrompe la bella geometricità del cono. E’ situato, quasi sospeso, incastrato fra un roccione sporgente e la parete principale. Un nido d’aquila stupendo!  Lo si vede solo 20/30 mt. prima. 

Erano  le quattro del pomeriggio. Lo troveremo vuoto? Pensammo visto il tempo e l’ora.  Un vociare molto nutrito ci comunico un panico improvviso. Ben undici ragazzi Polacchi armeggiavano, stipati dentro, con attrezzature alpinistiche e sacchi a pelo. Posti strettissimi= 9 . Occupanti = 11, e noi?  Qui si faceva brutta davvero. 

Li salutiamo e  cerchiamo di farci capire, qualcuno; come me masticava qualche parola di francese, e finalmente dai miei salti di gioia, i miei amici capirono   che erano in procinto  di partire, lasciando il bivacco tutto per noi. 

Dopo un’oretta riuscimmo ad entrare infreddoliti per l’attesa e ci si sistemammo. Io non riuscivo a darmi pace, entravo ed uscivo per controllare il tempo che cambiava continuamente. Grossi cumuli si stavano avvicinando da tutte le parti, il vento rinforzava da sud, la temperatura era scesa a 5 gradi. Poi una buona schiarita mi fece intravedere i primi lampi a nord, sulle Tofane e Cortina. 

Ero eccitatissimo, mentre gli altri tre mangiavano seduti sui loro “loculi”, io addentavo qualcosa su una roccia lì vicino, come un soldato in vedetta. Dalle 22 alle 23, lampi e tuoni sempre più vicini, una scorribanda pazzesca di nubi, grossi cumuli sprigionavano bagliori accecanti. Ero come in trance. Stretto nel mio giaccone termico con papalina e cappuccio, avevo solo gli occhi fuori, che roteavano da un lampo all’altro. 

Un mio compagno mi portò, quasi di forza, dentro. Ero intirizzito, la temperatura era scesa a tre gradi, il vento fortissimo, sembrava facesse gemere la montagna. Appena dentro dissi: Questa notte vedremo la neve! Che bello rimanere bloccati per un paio di giorni anche se dovremmo razionare i viveri. 

Rischiai grosso, non mi picchiarono, se non altro per la riconoscenza che provavano in ricordo delle mie previsioni a vista e a breve, quasi sempre azzeccate ed utili nelle precedenti esperienze. Mi scelsi il posto in alto, vicino all’unica piccola finestrella che tassativamente vietai che fosse oscurata la  persianetta.  

A mezzanotte si cominciò a ballare. Due fulmini, con bagliori accecanti, a distanza di pochi minuti colpirono il bivacco: le lamiere esterne ed i tiranti metallici fecero da parafulmine ottimamente. La struttura tremò violentemente, come colpita dalla clava di un gigante. Qualcuno di noi ebbe veramente paura. Io non pensavo alla paura, mi sembrava di essere già in Paradiso! Con la pila puntata verso il  vetro (passai tutta notte sporgendomi dalla brandina di più di mezzo metro), riuscivo a vedere nel fascio di luce proiettata nell’oscurità, ben evidenziati i vari tipi di precipitazione: pioggia battente polverizzata dal vento violentissimo, poi un fracasso che copriva quello forte del vento: per 10 minuti la grandine scagliata dalla bufera mitragliava la lamiera esterna. 

Alle 2 circa, un refolo veloce ed irregolare si staglia nel raggio della mia pila. Nevica!!!  Fu l’urlo incontenibile che uscì dalla mia bocca, già spalancata per l’emozione. I miei amici, sobbalzati dalle brande, non capivano la mia gioia ed eccitazione: erano solo preoccupati di tornare sani e salvi. Per un’ora circa si alternò la neve, la pioggia, la grandine. Poco dopo le 3, tutto si calmò. La neve non attecchì, sciolta dalla pioggia, solo qualche chiazza e cumuli nelle fessure delle rocce, mista a grandine. Riuscii a dormire un’oretta. 

All’alba tutti in piedi a prepararsi per raggiungere la vetta a 150 mt. sopra di noi. Lasciammo gli zaini e l’attrezzatura pesante al bivacco e su, a vedere spuntare il sole in vetta. Proprio ad est vi era una fessura libera da nubi, la temperatura, con il fronte da nord passato, era calata a -2,-3 gradi. Avemmo avuto qualche difficoltà a superare un passaggio di secondo grado, semplicissimo in condizioni normali, per il ghiaccio formatosi dal congelamento della neve bagnata.  Bellissime stalattiti di ghiaccio pendevano dalle rocce. 

In vetta, stupendo!  Verso sud e sud/est, all’orizzonte in lontananza,  si scorgevano ancora i bagliori del temporale, già sul Friuli e Istria. A nord ed ovest era scuro per strati neri e cirrostrati più alti. L’aurora tingeva, di colori mozzafiato, il cielo e le rocce. Il sole appena spuntato nella fessura ad est contrastava con il nero ad ovest. Un’ “Enrosadira” da sogno!  Le crode più alte sembravano tante fiammelle sullo sfondo di un caminetto nero di fuliggine. Ci vorrebbe un pittore od un poeta per descriverlo. 

Giù nella valle di S.Vito e Cortina un mare di nubi stupendo arrivava fin quasi a 3000 mt.  L’ombra del “nostro” Antelao disegnava sul soffice tappeto di nubi grigio chiare sottostanti,  un cono d’ombra perfetto, che si andava accentuando man mano che il sole saliva. 

La fine del mondo!!! 

Non abbiamo potuto fare a meno, tutti e quattro, di inginocchiarci e lì, sulla vetta, dire un bel grazie a Chi ci stava regalando tanto.

Scusate se mi sono lasciato prendere la mano, ma non potevo non raccontare, agli amici, la notte più bella della mia vita! (metereologicamente è ovvio!) 

Ciao Giorgio 

 

Fonte /Giorgio da Rimini/: Meteo Italia/23/07/2000//00:40


Mar 02 2009

SCRITTE TROVATE IN GIRO PER NAPOLI

Category: Monade satira e rattatuje,Regno delle Due Siciliegiorgio @ 16:09

(Panettiere)  – “QUANDO VI DIVENTA DURO VE LO GRATTUGIAMO GRATIS, MA META’ CE LO TRATTENIAMO”

 

(Vendite immobiliari) (in una palazzina in vendita con officina artigianale sul retro)  – “SI VENDE SOLO IL DAVANTI, IL DIDIETRO SERVE A MIO MARITO”

 

(Mobiliere)  –  “SI VENDONO LETTI A CASTELLO PER BAMBINI DI LEGNO”

 

(Mobiliere)  –   “SI VENDONO MOBILI DEL SETTECENTO NUOVI”

 

(Macelleria)  – “DA ROSALIA, TACCHINI E POLLI, A RICHIESTA SI APRONO LE COSCE”

 

(Macelleria) – “CARNE BOVINA, OVINA, CAPRINA, SUINA, POLLINA E CONIGLINA”

 

(Polleria)  –     “POLLI ARROSTO ANCHE VIVI”

 

(Polleria)  –    “SI AMMAZZANO GALLINE IN FACCIA”

 

(Polleria)  –    “SI VENDONO UOVA FRESCHE PER BAMBINI DA SUCCHIARE”

 

(Sfasciacarrozze)  – “QUI SI VENDO AUTOMOBILI INCIDENTATE MA NON RUBATE”

 

(Fioraio)  –  “SE MI CERCATE SONO AL CIMITERO … VIVO”

 

(Fioraio)  –  “SI INVIANO FIORI IN TUTTO IL MONDO, ANCHE VIA FAX”

 

(Abbigliamento)  –  “NUOVI ARRIVI DI MUTANDE, SE LE PROVATE NN LE TOGLIETE PIU’ “

 

(Abbigliamento)  –  “NON ANDATE ALTROVE A FARVI RUBARE, PROVATE DA NOI”

 

(Abbigliamento)  –  “IN QUESTO NEGOZIO DI QUELLO CHE C’E’ NON MANCA NIENTE”

 

(Abbigliamento bambini)  – “SI VENDONO IMPERMEABILI PER BAMBINI DI GOMMA”

 

(Autofficina)  – “VENITE UNA VOLTA DA NOI E NON ANDRETE MAI PIU’ DA NESSUNA PARTE”

 

(Autofficina)  –  “SI RIPARANO BICICLETTE ANCHE ROTTE”

 

(Ferramenta)  –  “SEGA ADUE MANI E A DENTI STRETTI:  5O EURO”

 

(Lavanderia)  –  “QUI SI SMACCHIANO ANTILOPI”

 

(Sul citofono caserma Carabinieri)  –  “ATTENZIONE PER SUONARE PREMERE, SE NON   RISPONDE NESSUNO RIPREMERE”

 

(Negozio di mangimi)  –  “TUTTO PER IL VOSTRO UCCELLO”

 

 

… MA COME FAREMMO SENZA I NAPOLETANI !!!!!

Tag:


Feb 26 2009

Se non avessimo difetti, non proveremmo tanto piacere a notare quelli degli altri

Category: Monade satira e rattatuje,Pensieri e parolegiorgio @ 08:10


Feb 24 2009

Gli amici di Chiara

Category: Monade satira e rattatuje,Veja migiorgio @ 00:11

Gli amici di Chiara fanno  parte della compagnia dei relittii; idee confuse e personalità sconvolte.


Feb 22 2009

Seto ci l’è el Dino?

Category: Monade satira e rattatuje,Verona dei veronesigiorgio @ 16:17

 

El Dino da Sandrà no l’è un politico.  No l’è un scritor.  No l’è un giornalista e gnanca un profesor. 

Seto ci l’è el Dino?


El Dino l’è un butel che ga oia de pasar la duminica al bar coi so amisi a vardar le partìe. 

El Dino l’è un butel che de tanto in tanto ga oia de ciavar co la so morosa, e se la morosa no la gh’è el se ciava anca na galina coi calseti. 

El Dino l’è un butel che ga oia de farse na bela magnada e in mona tuti i rompibale.


El Dino l’è un butel che vol goderse le belese del mondo ndo sen capitè a vivar. 

El Dino te sé ti! 

 

Fonte: dino.da.sandra


Feb 20 2009

Vedi, anzi, “Vivi Napoli” e poi muri – Anatomia dei napoletani

Category: Monade satira e rattatuje,Regno delle Due Siciliegiorgio @ 00:11

Divertente   e ironico post trovato su internet, lo dedico alla napoletanità di mia suocera

 

In questo racconto parler di tutte quelle manifestazioni della napoletanità che qualsiasi persona, che decidesse di trascorrere qualche giorno nel paese di una delle più antiche maschere italiane, potrebbe autonomamente constatare.

Per comprendere la napoletanità è necessario capire l’indole del napoletano, ci che lo muove, qual è il suo approccio alla realtà contingente. Va subito premesso che un napoletano non ha, generalmente, un approccio civico nel suo vivere quotidiano. Con questo, s’intende alludere a quello atteggiamento che fa sentire un individuo parte integrante di una comunità e che, se anche non concorre al benessere morale ed economico di tale comunità, perlomeno garantisce un certo e non disprezzabile livello di civile convivenza. Egli invece mostra una spiccata predisposizione ad una forma particolare d’immobilità, cosiddetta dinamica, ed essere mosso da tale stato solo da eventi strettamente contingenti. L’immobilità dinamica può essere spiegata ricorrendo ad un detto tipico partenopeo che sintetizza in maniera impeccabile tale  concetto: facimme a muina (lett. Facciamo la moina). Tale detto dagli studiosi viene fatto risalire ad un comando utilizzato nella règia marina del Regno delle Due Sicilie nel corso d’ispezioni a bordo di navi.

Al comando “facimme a muina” tutti i marinai si mettevano in moto spostandosi da una parte allaltra della nave (chille che stanno ingoppa vanne abbascio, e chille che stanno abbascio vanne ingoppa), non facendo effettivamente nulla, ma dando allesterno una impressione di frenetica ed organizzata attività.

E dare l’impressione di frenetica ed organizzata attività è parte della personalità del napoletano. Ma si badi bene che egli ricorre a tale espediente solo se sollecitato da un evento esterno di controllo. Altrimenti la sua attività è propriamente una siesta perenne.

Il primo evento esterno giornaliero che turba la sua tranquillità è il datore di lavoro, per cui egli è costretto a raggiungere ed occupare il posto di lavoro. Tale adempimento motorio causa un tale stress al napoletano, che non gli consente di iniziare la sua normale attività lavorativa senza prima aver sorseggiato il primo di una lunga serie di caffé ed aver letto con particolare cura il quotidiano locale, a cui si ispira il titolo di tale racconto. L’attività produttiva perlopiù coincide con l’aver raggiunto il posto di lavoro. Forse perché per raggiungere il posto di lavoro egli è costretto ad affrontare, come un torero fa col toro, il traffico cittadino. Ed è con una nota di merito che va detto che in tale tragitto semafori, sensi unici, diritti di precedenza, marciapiedi, pedoni sono solo fastidiosi ostacoli da superare in qualsiasi modo e ricorrendo ad ogni genere di astuzia.

Il semaforo per esempio per il napoletano non rappresenta un mezzo che disciplina la civile convivenza automobilistica. Di fatto rappresenta un abbellimento luminoso e deve essere considerato come un affronto alla propria autonomia motoria. Il semaforo rosso significa via libera, mentre il semaforo verde paradossalmente genera più prudenza.

Riguardo ai sensi unici, l’unico senso unico che esiste qui è quello in cui procede l’autovettura. Il diritto di precedenza poi, non è dovuto ma va conquistato sul campo. Più che altro esiste il dovere di prendersi la precedenza. I pedoni vengono visti come ostacoli da scansare e, a tal proposito, è utile raccomandare che se non si è in ottima forma ginnico-atletica è consigliabile non avventurarsi a piedi nel traffico cittadino. Il pedone infatti, è costretto a vere e proprie acrobazie per superare gli ostacoli più impensabili e per scansare i veicoli. Per par condicio va assicurato che il napoletano a piedi non si discosta molto da quello alla guida: anche per lui non esistono semafori, strisce pedonali, marciapiedi.

La presenza di vigili urbani non attenua in alcun modo la foga degli automobilisti, anzi essi sfruttano questa presenza per compiere i più scorretti atti di prevaricazione del diritto acquisito da altri. Così se ad un incrocio vi è una coda di auto ferma, perché un vigile sta tentando di disciplinare l’alternanza del flusso, immediatamente vi sarà il furbo di turno che, sorpassando la fila, andrà ad occupare la prima posizione.

Tale situazione è abbastanza comune da queste parti, tanto da poter essere considerata una attrattiva turistica. Essa per non spinge il tutore della legge ad intervenire con una salatissima contravvenzione, che, oltre al danno economico, procurerebbe una perdita di tempo, costituendo così un sicuro ed ottimo deterrente per la perenne sterile fretta del napoletano. Il tutore della legge, partenopeo anch’esso, permette all’automobilista scorretto di passare per primo pur di non bloccare il restante flusso di auto. E questo alla bella faccia degli altri. Ci che è più sbalorditivo è che in ogni caso tale situazione non provoca nessuna reazione indignata nei presenti. Evidentemente essi sono consapevoli che la ruota gira ed in futuro saranno loro a beneficiare della magnanimità del vigile.

Un’altra attività in cui si riscontra la prepotenza partenopea, è nella consuetudine locale di fare la spesa. Quando un napoletano fa acquisti s’immerge in un gioco tipo Risiko, in cui il suo obiettivo è Raggiungere il bancone prima di tutti gli altri avversari. Per far ci spinge e si intrufola come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Il grado di strafottenza che viene raggiunto in queste situazioni, è talmente insopportabile che può addirittura far abbandonare il campo a chi non riesce a competere.

Per comprendere le ragioni di tale comportamento, va per detto ad onor del vero che il povero napoletano, sin dalla più tenera età, riceve un’educazione pedagogica che predilige le capacità inventive e di adattamento più complicate e pittoresche, piuttosto che il sano rispetto delle regole. Tali leggi e regole appaiono monotone e frustranti al cospetto del temperamento da cow-boy del napoletano. Egli è educato a cavarsela in qualsiasi situazione agendo in modo più furbo degli altri,. Anche qui esiste una parola giusta che esprime tale capacità: azzimma.

Tale vocabolo sta ad indicare quella furbizia applicata con destrezza e malizia in tutte le situazioni. Tale qualità, invece che avere valenza negativa, da queste parti riscuote invece una tale approvazione che sconfina nell’ammirazione se non nell’invidia da parte dei soggetti meno dotati.

Una delle applicazioni della azzimma è l’inventiva tipica del napoletano: il lavoro, per esempio, quanto non lo si trova ce lo si inventa. Così il parcheggio, se non c’è, lo si inventa, ad esempio parcheggiando al centro della carreggiata.

La continua esigenza del napoletano di esaltare le proprie capacità inventive va naturalmente oltre il mezzo automobilistico ed è attuato nelle forme e nelle situazioni più svariate. Un altro ambiente che fa da sfondo a tali rappresentazioni, talvolta davvero teatrali, è costituito dai mezzi di trasporto pubblico.

Il napoletano usufruisce di autobus e tram liberamente, ma non digerisce quell’inconveniente costituito dall’obbligo di convalida del biglietto. Salire su un tram e vidimare il biglietto, effettivamente genera quel tintinnio da parte della macchinetta, che probabilmente suona alle sue orecchie come una sveglia alla regolarità e questo deve dargli molto fastidio. Il singolo biglietto tranviario in gergo qui è detto abbonamento perché ne basta portare solo uno con sé da custodire in tasca. All’eventuale controllore viene mostrato così com’è, senza vidimazione, come fosse un abbonamento.

Anche in questa situazione si pu ammirare un atteggiamento tipico da parte del controllore. Anziché applicare immediatamente il regolamento ed affibbiare la multa, egli cerca innanzitutto di comprendere le ragioni che non hanno permesso al viaggiatore di vidimare il biglietto. E qui la fantasia si può scatenare: c’è chi mostra lastre mediche accampando che ha la mamma in ospedale (ma non si capisce il nesso con il pagamento del biglietto), c’è chi dice candidamente che ha dimenticato di farlo, ed i più facinorosi arrivano anche a mettere in discussione l’autorità stessa del controllore (mo solo perchè ti si mise o cappiello in capo te cride o patetierno trad. : Ora solo perché hai una divisa ti credi un padreterno). Se l’evasore di turno riesce a tirarla per le lunghe fino alla sua fermata, riesce a farla franca, perché è fatto scendere proprio dove deve arrivare; altrimenti deve accontentarsi di scendere prima. Poco male perché con la stessa faccia tosta di prima è pronto a salire sul mezzo pubblico successivo e ripetere la sceneggiata.

Quello che di solito accade su un autobus introduce ad un’altra particolarità: i napoletani amano coinvolgere chiunque si trovi nei paraggi in quelli che sono anche i più personali dei problemi. Un problema è immediatamente comunicato e fatto condividere alla comunità circostante e questo solo ad fine di mostrare e dipingere la propria sfortuna. Dipingere è la parola da adoperare in questo caso in quanto essi sono artisti nell’affrescare scene di martirio in cui essi stessi sono sempre immancabili protagonisti.

Il napoletano si sente costantemente martire, vessato da tutti e quindi in diritto di reagire con qualsiasi mezzo a tali soprusi. Probabilmente dimentica che, in realtà, è martire solo di se stesso.

Uno dei mestieri più ambiti dal napoletano, è quello del vigile *****. Questo sia perché gli conferisce autorità sul flusso automobilistico, ma soprattutto perché gli permette di lavorare solo poche ore al giorno (quando accade). Il vigile ***** napoletano è un soggetto molto schivo che il turista può vedere solo al mattino, tra le otto e le nove, se s’avvicina a qualche crocevia molto trafficato. Lo si distingue non dalla divisa, che porta molto di rado e malvolentieri, ma dal fatto che ha in mano un block-notes ed una penna, e che tenta di disciplinare il traffico gesticolando e facendo uso del fischietto d’ordinanza. Si parlava della divisa: il vigile ***** non la indossa quasi mai. La spiegazione ad un tale atteggiamento non va ricercate né nella povertà dei sovvenzionamenti comunali, né a più elementari problemi igienici di lavanderia. Dopo numerose e attente osservazioni l’arcano è stato svelato. Tutti i misteri più intriganti e curiosi hanno sempre una spiegazione semplice. Poiché si è detto che un vigile ***** napoletano si distingue dal fatto che è ha un block-notes, una penna, un fischietto e si trova ad un crocevia, di conseguenza allorché vengono meno tali condizioni e cioè che block-notes, penna e fischietto finiscano in tasca ed il suddetto individuo sul marciapiede, ecco trasformato istantaneamente un vigile in un normale cittadino a spasso! In tal modo l’esemplare di vigile napoletano non è più riconoscibile, se non dai suoi consimili, per anch’essi in borghese, e più finalmente dedicarsi a più interessanti e redditizie attività.

In ogni modo ad onor del vero, in altre parole, della congenita strafottenza del napoletano, va assicurato che anche se in divisa è perfettamente capace d’imboscarsi in qualsiasi bar o di dedicarsi alle personali incombenze. La mancanza di divisa per gli consente una maggiore capacità di movimento e soprattutto d’evitare le scocciature che derivano dall’indossarla, qualora un concittadino o un turista avesse bisogno del suo intervento.

La donna napoletana, instancabile generatrice e perpetuatrice della civiltà partenopea, rappresenta un formidabile esempio d’emancipazione femminile. Essa è facilmente distinguibile da alcune caratteristiche che costituiscono quasi un denominatore comune per la fascia tra i tredici ed i quaranta anni. La donna napoletana ama truccarsi con abbondantissimo rossetto trasbordante, colore alla moda, attualmente preferibilmente rosso scuro. Ha una mascella che rumina incessantemente un inesauribile chewing-gum, e tra le dita stringe una sigaretta accesa. I tre elementi citati, in tutte le culture occidentali, hanno rappresentato e sono stati abusati dalle donne come simbolo d’emancipazione femminile. Oramai per si può constatare il loro declino o, in ogni caso, che sono usati per la funzione che gli è propria e non più come status symbol. Da queste parti invece sono ancora attuali. Un’altra caratteristica dell’emancipazione femminile è la rozzaggine sia linguistica sia di comportamenti che le donne napoletane esibiscono nel vivere quotidiano che davvero fanno concorrenza ai modi dei corrispettivi uomini partenopei.

Utili esempi sono già stati in precedenza descritti a proposito di mezzi pubblici e di supermercati, ma ne esistono degli altri altrettanto spettacolari. Per esempio, il citofono (a proposito da queste parti è protetto da una griglia di ferro contro le altrimenti inevitabili vandalicherìe) è uno strumento inutilizzato. Ci che normalmente è usato dalle donne napoletane è il citofono viva voce: per comunicare all’esterno si usa la finestra o il balcone, da cui si urla per chiamare un figlio, per parlare con un conoscente, per comunicare con passante, per colloquiare con le coinquiline.

Il gergo utilizzato dalle donne napoletane, come detto non da meno di quello degli uomini, è costellato di volgari intercalari e fa rabbrividire ed arrossire chi è uso ad un vocabolario di stampo più classico. Si potrebbe obiettare che forse sono solo le classi meno acculturate ad utilizzarlo, e di questo parere era anche chi scrive, ma esperienze dirette hanno dimostrato il contrario. Signore ben vestite ed all’apparenza raffinate, che accidentalmente si urtano, anziché porgersi le reciproche scuse, vengono facilmente alle parole grosse sviluppando una sequela singolare di contumelie e maledizioni, che partendo dagli avi più lontani ripercorrono tutte le generazioni fino alle presenti ed alle possibili future, con ampi riferimenti ad attività peripatetiche svolte dalla rivale e conseguente titolo onorifico del di lei marito, fino a concludersi con un perentorio invito a recarsi in un posto, facilmente intuibile, che da queste parti deve essere affollatissimo, non tanto per le persone che ci sono, quanto per quelle che ci mandano.

Un’altra regola della sana convivenza cui il napoletano non è avvezzo, è quella dell’utilizzo del cestino e del cassonetto per i rifiuti. Così mozziconi di sigarette, relativi pacchetti vuoti, fazzoletti di carta, buste e cartacce d’ogni genere, non vedono migliore sorte che finire in terra. I cassonetti, tutti inesorabilmente scoperchiati, sono utilizzati a mo’ di bersagli. Con questo voglio riferirmi ad un’altra usanza locale consistente nella pratica di gettare l’immondizia domestica dal balcone. Non sempre per la mira è felice con conseguenze facilmente immaginabili per l’igiene della zona. Per il turista non è facile assistere ad una tale esibizione, dato che solitamente è praticata a tarda sera.

A fronte di tanta poca pulizia cittadina si potrebbe pensare ad un numero insufficiente di operatori ecologici. Ebbene, questa città ha il numero più elevato di spazzini! Ovviamente è inutile ricordare che il lavoro non è svolto quotidianamente, ma quando fa più comodo. Quando vi è nell’aria un’ispezione, si può assistere ad uno spettacolo unico. Per le vie cittadine decine di operatori ecologici, tutti ovviamente senza tuta da lavoro (per le stesse ragioni dei vigili urbani), si dividono ogni singola strada. Ciascuno si occupa di scopare una striscia di marciapiede. L’attrezzatura di lavoro non è quella cui siamo abituati: carretto con bidone, paletta e scopa. Molto più spartanamente consiste di scopa, un cartoncino per raccogliere i rifiuti ed uno scatolone per contenerli. Una volta pieno, lo spazzino napoletano svuota il suddetto scatolone nel primo cassonetto che trova nei paraggi. In una giornata ventosa, dopo qualche minuto, tutto ci che ha raccolto è nuovamente disperso nei paraggi. Ma questo deve importargli poco. L’essenziale non è il risultato, ma svolgere la mansione.

Un’altro mestiere che da queste parti fa campare moltissima gente è quello del cantante. Il cantante partenopeo ha un look estremamente pittoresco: capelli ingelatati abbondantemente, camicia aperta sul petto (preferibilmente villoso) su cui spicca una vistosa collanona, pantaloni in pelle, anelli tipo C****ttiera.

Il cantante napoletano ama esibirsi dappertutto ma soprattutto scorazza nelle numerose TV locali dove è possibile seguirlo in modalità non-stop 24 ore al giorno. Ritengo che qualsiasi persona dotata di un minimo di intonazione possa intraprendere proficuamente la carriera di cantante napoletano purché per segua tre semplici regole: innanzitutto, cantando, occorre assumere un atteggiamento quasi estatico; quindi fare assumere alla voce quella tipica melodia nasale qui detta a fronne e limone (trad. a rami di limone, ma non chiedetemi perché dicono così); infine, occorre che l’argomento della canzone sia trappa-lacrime e tratto dal di qui vivere quotidiano. Eccellenti soggetti sono: figlio/padre/fratello che va in carcere; figlio e/o figlia che scappa via di casa; fidanzata/moglie che ha messo le corna al titolare della canzone; e chi più ne ha più ne metta. Una canzone napoletana pu essere definita una sceneggiata napoletana sintetizzata e messa in musica. La sceneggiata napoletana non è altro che la rappresentazione della realtà quotidiana dei bassi strati sociali del luogo, in cui essi trovano in essa conforto e riscontro mitizzato. Ne consegue che il napoletano, abituato a rispecchiarsi nelle canzoni che ascolta, finisce per convincersi della sua eroicità quotidiana, di quanto sia vessato dallo stato, dagli altri… Ma questo è un argomento già trattato.

Da quanto detto appare evidente il significato del detto vedi Napoli,  e poi muori: ovvero più in basso di così non si può andare !

Fonte: N.R.


Feb 13 2009

Il buon politico

Category: Monade satira e rattatuje,Società e politicagiorgio @ 19:57

 

Il  buon politico trasforma ogni soluzione in un problema 


Feb 13 2009

LA VOCE DEI BIFOLCHI

Category: Monade satira e rattatujegiorgio @ 17:11

 

CONFIDA IN DIO E TIENI BEN ALL’ASCIUTTO LA POLVERE DA SPARO.

 

EL BOARO


Feb 12 2009

L’ECONOMIA È MESSA DAVVERO MALE.

Category: Monade satira e rattatujegiorgio @ 19:28

 

La crisi è tale che oggi, a Central Park, ho visto un piccione che dava da mangiare a una vecchietta


Dic 12 2008

La differenza tra dirigenti e impiegati

Category: Monade satira e rattatujegiorgio @ 08:44

Un tipo sta guidando la macchina, quando a un certo punto capisce di essersi perso. 

Avvista un signore che passa per strada, accosta al marciapiede e gli grida: mi scusi, mi potrebbe aiutare?  Ho promesso a un amico di incontrarlo alle due, sono in ritardo di mezz’ora e non so dove mi trovo…

Certo che posso aiutarla. 

Continua a leggere”La differenza tra dirigenti e impiegati”


Dic 09 2008

MAMME VENETE: “GO UN FIO SOLO E ANCHE ÉBATE”. FRASI E AFFERMAZIONI TIPICHE RIVOLTE DAI GENITORI VENETI AI LORO FIGLI DURANTE LA FASE ADOLESCENZIALE…

 

“A go un fio solo e anche ébate”: Affermazioni e tipiche frasi “educative” dei genitori veneti del fine millennio. 

Non si tratta di luoghi comuni, più di una decina mi sono state rivolte personalmente e tutte le altre le ho sentite proferite dai “veci” di miei amici

 

sculacciata

La ” santa” sculacciata

 

 

Bocia, gambe in spàea e caminare!

Vara che te scavesso e gambe sora i danoci…

Vara che te cambio i conotati!

Vara che quea xè ea porta…

Mi a to età saltavo i fossi par longo!

Mi a to età jero xà stufo de lavorare

Desso ti te ve farte el libreto de laoro!

Tajate i caveji che te fe afàno!

Continua a leggere”MAMME VENETE: “GO UN FIO SOLO E ANCHE ÉBATE”. FRASI E AFFERMAZIONI TIPICHE RIVOLTE DAI GENITORI VENETI AI LORO FIGLI DURANTE LA FASE ADOLESCENZIALE…”


« Pagina precedentePagina successiva »