Nov 04 2009

Custozza e Lissa malgrado due sconfitte il regno d’Italia si accaparra il Veneto

Category: Italia storia e dintorni,Veneto e dintornigiorgio @ 21:56

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RISORGIMENTO. L’ALTRA  VERITA’

La terza guerra d’indipendenza, 1866, preceduta da trattative tra  Italia e  Austria: prima Vittorio Emanuele II vuole acquistare le terre orientali pagando  un miliardo di lire – che non ha – e poi offrendo il figlio Umberto per sposare un’arciduchessa che porti in dote Venezia

 

Francesco Giuseppe, quando si rende conto della possibilità di un’alleanza anti – austriaca tra i Savoia e la Prussia, offre al Governo italiano la cessione del Veneto a Napoleone III, che a sua volta l’avrebbe poi “girato” a Vittorio  Emanuele:  ma questo rifiuta e sceglie la guerra

 

Il Veneto finirà nelle mani dei Savoia, nonostante la doppia sconfitta, solo grazie alla vittoria ottenuta dagli alleati  prussiani a Sadowa: e il  meccanismo sarà esattamente quello  previsto in  origine, cioè la cessione alla Fancia e il successivo trasferimento al Governo del regno d’Italia

 

L’Italia era “fatta” per dichiarazione unilaterale del Governo sabaudo. In realtà, precisare che lo era “quasi” non sarebbe, stato inopportuno.

I patrioti credevano che gli sforzi compiuti fino a quel  momento non fossero sufficienti: occorreva impegnarsi ancora un po’ per prendersi anche Venezia (con l’hinterland veneto e istriano) e Roma (con il Lazio che faceva ancora parte dello Stato pontificio).

Vittorio Emanuele II con le strategie diplomatiche che credeva di padroneggiare, tentò dapprima di  “comprarsi” la fetta orientale che gli mancava, offrendo un miliardo di lire di allora. Si trattava di una cifra spropositata che – con le debite proporzioni – nemmeno il cancelliere della Germania Federale, Helmut Koll, alla fine degli Anni 80 del  XX secolo, spese per acquisire la  Germania (sedicente) Democratica che era stata governata fino ad allora dai comunisti dell’Unione Sovietica.

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Giu 22 2009

VERONA: ELENCO DEI CADUTI NELLA CITTÀ, PROVINCIA E DIOCESI DI VERONA DURANTE LE PASQUE VERONESI E L’OCCUPAZIONE FRANCESE (29 MAGGIO 1796 – 21 GENNAIO 1798)

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ELENCO DEI CADUTI NELLA CITTÀ, PROVINCIA E DIOCESI DI VERONA DURANTE L’OCCUPAZIONE FRANCESE (29 MAGGIO 1796 – 21 GENNAIO 1798)

MAGGIO 1796

1. CERNINI Pietro di anni 65 il 29 maggio a Incanal. US1, 307, c. 209.

2. FRANCESCHINI Bortolo di a. 40 il 29 luglio a Incanal. US, 307, c. 209.

GIUGNO 1796

1. MANCINI Angelo di a. 67 il 1° giugno a Calmasino. US, 307, c. 91; AP2, “est interfectus a Gallis” [venne ucciso dai francesi].

2. BODIN Francesco di anni 70 il 2 giugno a Valeggio. US, 307, c. 461.

3. AMICABILE Giovanni di anni 32 il 3 giugno a Valeggio. US, 307, c. 461.

4. BASSON Sebastiano di anni 36 il 3 giugno a Valeggio.US, 307, c. 461.

5. BODIN Giacoma di anni 32 il 6 giugno a Valeggio.US, 307, c. 461.

6. TORTELLA Paolo di anni 40 il 6 giugno a Bussolengo. AP. US, 307, c. 78 “per punta”.

7. BENDA Luigi di a. 30 il 7 giugno a Villafranca “morì ferito per una archibuggiata”. US, 307, c. 480.

8. ZAMBONI Giuseppe di anni 35 il 13 giugno a Bussolengo. US, 307, c.78; AP.

1 Legenda: US, ovvero Ufficio Sanità del Comune di Verona, Registro dei morti del Territorio, n. 307, a. 1796; Ufficio Sanità del Comune di Verona, Registro dei morti del Territorio, n. 308, a. 1797; Ufficio Sanità del Comune di Verona, Registro dei morti della Città, n. 87, a. 1796; Ufficio Sanità del Comune di Verona,

Registro dei morti della Città, n. 88, a. 1797, in Archivio di Stato di Verona; SHAT, Service Historique de l’Armée de Terre, Castello di Vincennes, Paris. 2 AP, ovvero Archivio Parrocchiale.

9. PELANDA Giulio di a. 60 ca. il 16 giugno a Brentino “ucciso da schioppo”, US, 307, c. 69; US, 307 sotto località Rivalta: “morì ferito da un soldato austriaco”, c. 379.

10.LORENZI Benvenuta di a. 20 il 20 giugno a Ferrara di Monte Baldo, “precipitata da uno scoglio in occasion d’armata”, US, 307, c. 187.

11.PASETTO Maria di anni 24 il 20 giugno a Roncà. US, 307, c. 386.

12.ZIVELONGHI Antonio di a. 40 il 22 giugno a Breonio. Reg. il 24.6.1796, US, 307, c. 73: “per essere stato ucciso da soldati”. AP, “occisus in agro” [ucciso in un campo].

13.GARAVIN Andrea di anni 57 il 23 giugno a Nogarole Rocca, “in campo occisus”. AP; US, 307: “fu ucciso l’altro giorno in un campo”, c. 305.

14.GREGORI Domenico di anni 26 (giugno?) a Villafontana.

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Giu 21 2009

Verona: per la prima volta, dal 1997, non suffragate le anime dei Martiri delle Pasque Veronesi. Non vi è pietà nemmeno per i morti

Comitato per la celebrazione delle PASQUE VERONESI

(17-25 aprile 1797)

Via L. Montano, 1 – 37131 VERONA

Tel. 329/0274315 – 347/3603084

www.traditio.it – E-mail: pasqueveronesi@libero.it

COMUNICATO STAMPA

Dopo la strumentale incursione a Porta Nuova di un gruppo di amministratori di AN (con giornalisti e fotografi al seguito) per pretendere il tricolore alla Messa per i caduti contro Napoleone

Per la prima volta, il 18 giugno di quest’anno, anniversario delle fucilazioni dei patrioti veronesi caduti contro Napoleone, non è stato possibile celebrare la Santa Messa latina antica per i Martiri delle Pasque Veronesi a Porta Nuova, per la pretesa di un gruppo di amministratori di AN d’issare il tricolore anche durante la funzione religiosa di suffragio.

Le Pasque Veronesi furono l’insurrezione della città di Verona e del contado contro Napoleone e i rivoluzionari francesi (17-25 aprile 1797). I tradizionalisti cattolici sono stati costretti a rinunziare al Sacro Rito per l’imposizione a officiare la Santa Messa, non con le tradizionali bandiere per cui combatterono i patrioti veronesi e per le quali bagnarono quel suolo del loro sangue, bandiere che sono quelle della Serenissima, della città di Verona e del Sacro Romano Impero (i soldati austriaci che militarono assieme agl’insorti contro i francesi), bensì con il vessillo tricoloruto che rappresenta i collaborazionisti di Bonaparte, i giacobini e, poi, il Risorgimento liberal-massonico che perseguitò la Chiesa, dissacrò tradizioni millenarie d’Italia e ridusse le nostre cento capitali a provinciali “schiave” della Roma centralista, burocratica e neogiacobina. Sostituendo l’autentica Patria rappresentata da millenari Stati tradizionali e cattolici con un’altra artificiale, inventata da carbonari, massoni e dai loro eredi modernisti e social-comunisti, cui non riesce tuttora di legittimarsi.

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Mag 22 2009

E’ IL MONTE SUMMANO CIMA DELL’ALTO VICENTINO IL MONTE SACRO AGLI DEI

Category: Storia e dintorni,Veneto e dintornigiorgio @ 09:44

Un’oasi montana di sacralità, un centro di ritrovo collettivo per le genti della Padania in epoca romana, tutto questo e altre cose fanno parte della leggenda del Monte Summano, ormai diventato un simbolo per la provincia vicentina. Si aggiunga al tutto il giallo storico dell’esistenza del tempio pagano e dell’idolo d’oro dalla testa di capro e il successo popolare nel tempo è sicuro. L’unico cruccio degli studiosi sono le famose prove certe, ma se ci si mette di mezzo l’archeologia…

 

Di ALVARO BONOLLO

 

Familiare piramide, il Monte Summano si erge isolato nella piana alto vicentina: si alza pigramente al cielo sdoppiandosi in due gobbe. Lo anima la notte e le sue folgori, le piogge ne alimentano la rara, variegata vegetazione, il sole non trova ostacoli e lo riscalda di petto. Come evitare un pizzico di poesia su questa montagna che ha affascinato gli uomini e gli storici per millenni ed ha scritto una immensa pagina sulla religiosità pagana e cristiana.  Il Summano è stato investito, a ragione, od a torto, da uno stratificarsi di culti  dedicati vuoi alle divinità indigene, come la dea Reithia, notizia supportata dalle abbondanti prove archeologiche del vicino Monte di Magre, da culti orientali od etruschi (il dio Summano dovrebbe essere di origine etrusca), da culti preromani e romani. Le varie sovrapposizioni portarono ad un “imbrogliato groviglio” religioso, come spiega lo storico Mantese. “Troppo forzato e difficile l’inserimento od agganciamento di una tradizione cristiana nella precedente tradizione pagana; la veneta Reithia svolse così, in epoca romana il ruolo di Diana, mentre il dio etrusco, Summano, dovette assumere le forme di Giove o di Plutone”. 

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Mag 21 2009

IL SUMMANO: IL MONTE SACRO AGLI DEI. IL MISTERO DEI FIORI

 

Tra i mille segreti e curiosità del Summano, non va scordata l’enorme varietà di fiori, [a tal punto eccezionale che ha mosso e stimolato centinaia di studiosi italiani e stranieri, dal Rinascimento, sino ai giorni nostri. Un solo esempio: in una radura a 600 metri sono state trovate 21 varietà di orchidea, sulle 30 presenti in tutto l’arco alpino. 

La ricchezza della flora potrebbe essere collegata con i pellegrinaggi per adorare il sacro idolo. La festa del dio Summano (ed esistono confusioni non ancora chiarite con Giove e Plutone) era il 20 di Giugno. Secondo gli storici romani, in quella data, si sacrificava un montone nero, si offrivano libagioni con focacce di farina in forma di ruota e si spandevano semi esotici nel terreno. Queste feste erano le “summanalia”. 

Probabilmente queste sementi sparse dai pellegrini nel loro sacro viaggio verso la cima, trovando un clima estremamente diversificato, si sono riprodotte, perpetrandosi sino ad oggi. I botanici hanno infatti accertato la coesistenza di varie situazioni micro-climatiche nella stesso monte: privo di contrafforti collinari, il Summano è investito dalle correnti calde provenienti da sud, ma anche da quelle fredde da nord che investono la cima. Nello spazio di poche centinaia di metri, si passa dal clima mediterraneo di certe radure, al clima alpino.

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Mag 13 2009

Cancellate la Storia Veneta

Category: Scuola e università,Veneto e dintornigiorgio @ 09:06

Nel 2005 mi è passato tra le mani questa dispensa scolastica elaborata in una scuola del Friuli, nella quale uno dei consigli didattici era:

“E’ opportuno inoltre chiarire con i ragazzi che i primi interventi romani in questa regione risalgono a prima dell’epoca augustea (III sec. a.C.) e che i romani non sono stati i primi ad abitare la regione, anche se non è opportuno approfondire la complessa questione degli insediamenti preromani e delle popolazioni che qui si erano insediati.”

Pedagogia  da  invasori occupanti.


Apr 25 2009

Vorrei che fosse ben chiaro che, oggi, 25 Aprile, è la festa di San Marco Evangelista.

Category: Veneto e dintornigiorgio @ 09:37

Il 25 Aprile a Venezia, Festa del Bocolo

Per i veneziani il 25 aprile è ricorrenza assai più antica dell’attuale festa nazionale. Vi cade infatti il giorno del Santo Patrono Marco le cui reliquie, che si trovavano in terra islamica ad Alessandria d’Egitto, furono avventurosamente traslate a Venezia nell’anno 828 da due leggendari mercanti veneziani: Buono da Malamocco e Rustico da Torcello.

Si tramanda che per trafugare ai Musulmani il prezioso corpo (l’Islam riconosce e venera a sua volta Cristo e i Santi), i due astuti mercanti lo abbiano nascosto sotto una partita di carne di maiale, che passò senza ispezione la dogana a causa del noto disgusto per questa derrata imposto ai seguaci del Profeta.

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Mar 01 2009

Primo Marzo Capodanno Veneto tradizione mai morta

Category: Veneto e dintornigiorgio @ 09:01

 

Il primo di Marzo: Cao d’ano Veneto, buon Capodanno Veneto a tutti.

L’anno vecchio e morto, da poche ore siamo nell’anno nuovo.

A scuola, come al solito, non ce l’hanno insegnato, ma nella tradizione veneta l’anno comincia il 1° Marzo. Gennaio e Febbraio sono sempre stati, per tutta la millenaria vita della Serenissima Repubblica, gli ultimi mesi dell’anno e non i primi. Ai “foresti” può sembrar strano, ma in realta’ ad essere strano Ë il calendario ufficiale, nel quale un mese che porta il nome di Settembre Ë il numero nove, Ottobre il decimo, Novembre l’undicesimo e Dicembre il dodicesimo. Se si fa cominciar l’anno con Marzo, tutto ritorna a posto come per incanto: Settembre il settimo mese, Ottobre l’ottavo, Novembre il nono, Dicembre il decimo. E poi, vi par concepibile che l’anno nuovo cominci con l’inverno, la stagione della morte rituale? L’antichità del Capodanno Veneto, come di quello cinese, si vede anche da questo, dal rispetto del ritmo naturale delle cose: l’anno nuovo sorge all’alba della Primavera, insieme alla vita che si risveglia.

La scuola italiana, dal fascismo in poi, ha cercato di far cadere nel dimenticatoio anche questa tradizione veneta, insieme a molte altre – denuncia Ettore Beggiato, storico esponente dell’autonomismo veneto – e oggi si arriva all’assurdo di vedere scuole, comuni, quartieri delle nostre citta’ che festeggiano e insegnano a festeggiare il capodanno cinese, nonchË le varie ricorrenze islamiche. Insomma pare che nell’Italia multietnica e multiculturale ci debba esser posto per tutto, tranne che per il Veneto, la lingua e le tradizioni venete. In realt‡, la tradizione del Capodanno Veneto non Ë mai morta, almeno nelle terre della Serenissima. Stanotte oltre venti comuni della pedemontana berica hanno spento le luci per ore, per offrire lo spettacolo dei mille falo’ del Brusamarzo, che bruciano l’anno che se ne va. In tutto l’Altopiano d’Asiago Ë tutt’ora usanza diffusa quella di “battere Marzo”, ma anche nel Padovano e nel Trevigiano le feste locali per “ciamar Marzo” non si contano.

Da ricordare anche l’impegno di Bepi Segato, già ambasciatore dei Serenissimi e scrittore di cose venete e non solo. Il suo “Comitato per le Belle Costumanze”, dopo aver contribuito a diffonderne l’usanza, attuava una colletta per finanziare spot in ben nove televisioni regionali.

Secondo la tradizione veneta – spiegava Segato – la festa per il Capodanno del 1 Marzo non dura soltanto un giorno. Gli auguri si fanno gli ultimi tre giorni di febbraio, cioe’ gli ultimi giorni dell’anno, e si va avanti fino al nono giorno di Marzo. Batter Marzo, o brusar Marzo, o ciamar Marzo significa risvegliare l’anno nuovo, la vita addormentata, perche’ si ridesti. 

I rumorosi riti del “Battimarzo”, anche nella versione moderna del “Claksa- Marzo” da qualche anno stanno tornando a imperversare in Veneto e in Friuli. Cortei di carri, di auto, con codazzi di bambini che battono pentole e coperchi, percorrono le vie dei paesi della campagna tra Padova, Treviso, Vicenza e Venezia, e cominciano a spuntare anche nelle citta’. Molti – spiegava Segato – ricordano la festa del Battimarzo, specie le persone in eta’, ma credono che si tratti di un rito cosÏ, una specie di festa di primavera. Pochi sanno che nell’usanza del Battimarzo sopravvivono i festeggiamenti per il Capodanno Veneto. Per questo noi siamo impegnati non solo a far festa in tutto il Veneto, ma vogliamo anche aiutare i veneti a riprendere coscienza del significato di questa tradizione, a riappropriarsi del Capodanno. L’usanza si diffonde rapidamente: con tutti i veneti che ci sono in giro per il mondo – la profezia di Segato entro qualche anno, il Capodanno veneto sara’ famoso come quello cinese, e diventera’ un’attrazione turistica.

 

Fonte: NR – tradizione veneta


Mar 01 2009

Buon anno a tutti.

Category: Veneto e dintornigiorgio @ 01:16

 

Primo di Marzo: buon Capodanno Veneto a tutti. 

Il 2008 è morto, siamo nel 2009.


Feb 23 2009

Quelle lingue in pericolo

L’organo mondiale sbugiarda le norme molto piu’ generiche dello stato italiano

Qui c’è tutto quello che lo Stato italiano nega, smentisce, tiene accuratamente nascosto. E che spesso, in molte prese di posizione pubbliche e sui mezzi di comuni cazione, viene ancora oggi sottovalutato, svilito quando non apertamente irriso. Piemontese, Ligure, Lombardo, Veneto, Emiliano-romagnolo, Gallpitalico siciliano, Napoletano-calabrese, Siciliano sono vere e proprie lingue in pericolo.

A ribadirlo ènienemeno che l’Unesco, nella nuova edizione dell’Atlante on line delle lingue in pericolo, pubblicato venerdì scorso in occasione della Giornata internazionale della lingua madre, celebrata ieri in tutto il.mondo.

Nell’ Atlante  un’opera interattiva e aperta a nuovi contributi, vengono censite – con tanto di classificazione del livello di rischio corso – almeno 2.500 lingue per le quali si avvicina la scomparsa in tutto il Pianeta.

Una vera e coraggiosa denuncia della sofferenza vissuta dalla nostra biodiversità culturale, messa sempre più in pericolo da quella globalizzazione i cui effetti perversi in economia stiamo in questo periodo conoscendo tutti a nostre spese. Collegandosi al sito internet dell’Unesco è così possibile conoscere, Stato per Stato, con tanto di collegamento alla cartina interattiva di Google, la situazione delle lingue a rischio di tutto il mondo.

La “sorpresa”- ma fino ad un certo punto – che riguarda da vicino i popoli che vivono nello Stato italiano è proprio quella dell’enorme disparità tra l’elenco di lingue a rischio riconosciuto dall’Unesco e l’elenco delle lingue riconosciute da Roma, riportate nello specchietto qui sotto.

Una precisazione: in alcuni casi  l’Unesco considera a sé ” diverse varianti di una” stessa lingua considerata invece Unitaria dalla lista della legge italiana.

Per esempio, la Lingua sarda (riconosciuta dallo Stato di fatto come unitaria) viene considerata divisa nelle sue tre componenti tipologiche, oltre naturalmente  all’algherese, comunque tutelato a parte nella 482 come “catalano”.

Le “piccole” minoranze nella legge italiana comunque ci sono, ma è tutto il resto che manca.

L’Italia non tutela il Piemontese, il Veneto, il Lombardo (lo fanno – con diverse profondità di intervento – le rispettive Regioni), e molti altri idiomi locali e regionali che invece, per l’Unesco, sarebbero da salvaguardare

Un brutto colpo per chi, ancora oggi, auspica la cancellazione delle identità linguistiche in base ad una non meglio specificata  ideologia della “cittadinanza_mondiale”, e a questo punto smentita  proprio dalle stesse Nazioni unite.

La lezione che arriva dall’Unesco, e dalla Giornata della Lingua madre appena conclusa è proprio questa: c’è da riflettere e continuare con rinnovato vigore la lotta per il rilancio verso le nuove generazioni di questi veri e propri patrimoni dell’umanità che rischiamo di veder scomparire nel giro di brevissimo tempo. .

UNESCO: LE LINGUE IN PERICOLO DI ESTINZIONE IN ITALIA.

Toitschu, Croato del Molise, Griko del Salento, Griko della Calabria e Gardiol, Occitano, Franco- provenzale, Piemontese, Ligure, Lombardo, Mocheno, Cimbro, Ladino, Sloveno, Friulano, Emiliano-romagnolo, Faetano, Arbereshe, Albanese, Gallo-siciliano, Campidanese, Logudorese, Catalano-algherese, Sassarese e Gallurese, Corso, Walser-Germanico, Veneto, Napoletano-calabrese, Sicilano.

PER LO STATO ITALIANO

legge  482/99 Art. 2

In attuazione dell’articolo 6  della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura. delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e, croate e di quelle parlanti il francese, il francoprovenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.

Fonta: srs di GIOVANNI POLLI, da la Padania del 22,02,2009


Feb 22 2009

Il Veneto è la mia Patria.

Category: Veneto e dintornigiorgio @ 20:42

 

Il Veneto è la mia Patria. 

Sebbene esista una Repubblica Italiana, questa espressione astratta non è la mia Patria. 

Noi veneti abbiamo girato il mondo, ma la nostra Patria, quella per cui, se ci fosse da combattere, combatteremmo, è soltanto il Veneto. 

Quando vedo scritto all’imbocco dei ponti sul Piave fiume sacro alla Patria, mi commuovo, ma non perché penso all’Italia, bensì perché penso al Veneto. 

 

Goffredo Parise, Il Corriere della Sera, 7 febbraio 1982


Feb 22 2009

Con San Marco Comandava

Category: Veneto e dintorni,Verona pensieri e parolegiorgio @ 19:24

Mia nonna tra fratelli e sorelle erano in 15 persone, metà di esse non superarono l’adolescenza, morirono  di pellagra,  che tradotto,  vuol dire, di denutrizione, di fame.

Viveva in una famiglia allargata di quasi 70 persone, e il lavoro,  come lo conosciamo oggi, non esisteva,  si doveva inventarlo giornalmente;  di stabile vi era solo la miseria e la fame, e  che fame!

Il lontano ricordo di una  miseria “autosufficiente” del periodo veneziano, si era  persa nel tempo, e solo qualche amara filastrocca ne riportava  in auge  il rimpianto.

Me conservo una veronese che, aggiornata al 1870, dice così:

Con San Marco Comandava

Con San Marco che comandava

se disnava e se senava.

Con la Francia, se disnava solamente

Sotto la casa dei Lorena

un pochetin se disnava e se senava

Sotto Casa de Savoia

de magnar te ga solo voja

i n’à portà na fame roja

e ne toca andar via… vaca troja…vaca troja


Fu così  che milioni di veneti, di meridionali, di cittadini di un’ Italia, generata malissimo  e vissuta peggio,  sudditi di una delle  peggiore monarchie europee, al grido di “porca italia” furono costretti ad emigrare.

Finirono sparsi in Europa e  nelle Americhe  a fare quello che gli schiavi negri, da poco liberati, non volevano più fare.


Feb 22 2009

Speransa par el veneto

Category: Veneto e dintorni,Verona dei veronesigiorgio @ 18:12

Grasie al so patrimonio paesagistico, storico, artistico e architetonico, el Veneto l’è, con oltre 60 milioni de turisti al’ano, la region pì visità d’Italia. 

Le lingue pì parlè i è el Veneto e l’Italian. 

In certe zone se parla el ladin, el furlan e el cimbro. 

La proposta de lege volta a tutelar la lengua veneta come espresion del patrimonio culturale dei Veneti l’è stà approvà dal consiglio regional a stragrande magioransa el 28 marso 2007. 

El Veneto, insieme ala Sardegna, l’è una dele do regioni italiane che vede i so abitanti riconosui uficialmente come popolo.

 

Fonte: Dino de sandra


Feb 16 2009

Giuseppe Segato (detto Bepi o Bepin) il Patriota

Category: Veneto e dintornigiorgio @ 21:22

Veneto: esempi di patriottismo

Ore 7.30 del mattino de 9 maggio 1997

Lo speaker del TG l annuncia che il gruppo asserragliato all’interno del Campanile di San Marco sta aspettando il suo Ambasciatore per ricevere disposizioni: solo lui ha il potere di trattare con le forze dell’ordine e avanzare le condizioni del gruppo.

L’annuncio si ripete anche successivamente, ma alle 8.30, quando i reparti speciali dei Carabinieri irrompono nell’ edificio e catturano gli otto del commando, il misterioso Ambasciatore ancora non c’è. Le questure di tutto il Veneto battono una caccia a tappeto: verrà catturato il giorno dopo mentre rientrava a casa.

La notte di quell’impresa, a Venezia c’era anche lui. Magro, minuto, veloce, girava per le calli; e non da solo.  L’accordo era che intervenisse con la sua scorta personale prima di mezzogiorno, possibilmente alle 10.30/11.00, perchè a quell’ora, secondo contatti precedenti, ci si aspettava la presenza anche della CNN, che avrebbe trasmesso all’estero la trattativa.

Evidentemente non era stata messa in conto un’irruzione delle teste di cuoio così repentina.

Forse l’Ambasciatore Segato non si era reso conto che la situazione stava sfuggendo di mano, che l’accerchiamento al manipolo della Serenissima, in Piazza S. Marco, non si stava realizzando secondo i piani. Stava dando le ultime istruzioni ai suoi collaboratori esterni prima di entrare in scena? Non lo sapremo mai, non lo ha mai voluto dire.

Qualche segreto Bepin se l’è portato nella tomba, e questo ha risparmiato un bel po’ di grane giudiziarie a più di qualcuno.

Quello che sappiamo, però, è che ha subito le sue carcerazioni con un atteggiamento dignitoso e fermo. Non ha mai collaborato con le indagini ed al procuratore di Verona che arrivava alla Casa Circondariale di Vicenza per interrogarlo mandava ironicamente a dire che non aveva tempo di parlare con lui perche’ doveva studiare. In primo grado fu condannato pesantemente a 6 anni e 4 mesi per merito delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia.

Ecco la sua via crucis: dal 9 maggio al 23 ottobre 1997 dietro le sbarre, e poi, fino al 10 gennaio 1998, agli arresti domiciliari.  Ridotta la condanna a 3 anni e 7 mesi in appello nel dicembre del 1999, fu riportato un mese dietro le sbarre il 2 febbraio 2000, il giorno stesso in cui aveva annunciato la sua partecipazione alle elezioni regionali.

Respinta la richiesta del suo legale per l’applicazione di pene alternative, venne incarcerato nuovamente al Due Palazzi di Padova, questa volta per quasi un anno, dal 25 luglio 2000 al 4 giugno 200 l e poi affidato ai servizi sociali per un altro anno e mezzo. Per la Causa Veneta ha patito complessivamente 20  mesi di arresto, dei quali 17 in prigione.

E che durezza di trattamento: a Vicenza era in celle sovraffollate con dei sieropositivi, al Due Palazzi, ricoverato d’urgenza in ospedale per una peritonite il 20 maggio 2001, lo tenero ammanettato sul letto perfino durante l’intervento!

“La mia vita – ripeteva con gli amici –  sarà sempre un andirivieni per carceri, aule di Tribunale, ricorsi ed appelli vari; ciò che conta, però, e’ continuare ad animare la causa vene/a. Alla lunga l’avremo vinta noi”.

Chi era dunque il dottor Bepìn Segato? Affabile e, gentile, sempre positivo, loquace fino al rischio di diventare logorroico. Razionale nelle analisi, estremamente pragmatico nelle soluzioni, ma con un “sogno”, come lo chiamava lui, fisso nella testa: il riscatto della Sua Terra, il ritorno ad un Veneto protagonista.

La sua è stata una figura di intellettuale “impegnato” sui generis, più unica che rara, e che precede la partecipazione ai fatti del Maggio 1997 di parecchio.

Laureato in Scienze Politiche a Padova, aveva iniziato un’attività di produzione ed autodistribuzione di testi, carte geografiche, calendari more veneto.

Si badi bene al concetto: si può fare “cultura” e “ideologia” anche saltando a piè pari i mezzi di comunicazione e i circuiti librari, lui lo ha dimostrato.

Quale piccola o media impresa di Treviso, Padova, Vicenza o Verona non aveva ricevuto la visita di questo insolito intellettuale? Con testi come “Il Mito dei Veneti” o i “Triangoli di Dio” girava per le zone industriali nostrane a diffondere de visu un sentimento di revanscismo veneto che infiammava gli animi di orgoglio ed appartenenza.

All’inaugurazione dell’anno giudiziario, il Procuratore Capo della Corte d’Appello di Venezia aveva parlato di turbolenze venetiste come di un possibile fattore di instabilità per lo stato centrale.  Un paragrafo di quella relazione era dedicato ad un soggetto in particolare, un instancabile personaggio fuori da ogni controllo dedito a diffondere tramite opuscoli l’ideale indipendentista: Giuseppe Segato.

La notte fra il 24 ed il 25 Marzo 2006 è morto improvvisamente a casa sua. E’ morto un Patriota vero. Oggi riposa nel cimitero di S. Martino delle Badesse.

Non ci resta che prendere esempio dal suo entusiasmo, dalla sua tenacia, dalla fermezza dimostrata durante la prigionia, dalla sua fede incrollabile nella causa veneta e raccogliere il testimone.

I suoi ideali non moriranno mai.

Terminiamo con questa sorta di testamento politico dell’ Ambasciatore Veneto, contenuto in uno dei suoi ultimi lavori:

Io non so ancora, in realtà, se ho vinto o se ho perso, probabilmente ci vorrà parecchio tempo per saperlo. Intanto so che formalmente ho perso e so che mi spetta ora pagare il fio delle mie colpe: quasi tre anni di pena residua con gravi limitazioni alla libertà, salvo ulteriori sorprese dal Tribunale di Verona per un altro processo politico.

La mia sarà una “legislatura” lunga e pesante, di quelle che non si dimenticano.

Io credo che per essere bisogna voler essere.

Il Popolo Veneto ha innate la volontà, le idee e l’ambizione per essere.

Le vicissitudini dei tempi possono frapporre qualche ostacolo; la forza e le minacce possono frenare momentaneamente la manifestazione della volontà veneta ma non impedire la sua realizzazione.

Le vie possono risultare complesse, lente e compromissorie ma prima o poi al reciproco sentimento di diffidenza-paura tra Veneto e Italia, dovrà subentrare la ragione e la progettualità.

Sarà impossibile per l’attuale classe politica italiana imbrogliare le cose facendo finta di cambiare tutto con qualche concessione amministrativa per conservare in realtà lo status quo e spacciarlo per vero federalismo.

l veneti hanno il proprio concetto sovrano irrinunciabile, in virtù del quale possono autolimitarsi per una vita collaborativi in solidarietà e in mutuo soccorso con altre genti.

Io penso che la politica italiana con la forza e le minacce più o meno velate non avrà futuro durevole.  Solo un patto flessibile fra le parti in causa potrà portare a obiettivi durevoli.

La paura non spegnerà la volontà veneta! E’ meglio trattare! L ‘imperio con la forza dura finche dura.

Io credo che i Veneti continueranno … a essere!”

Srs di Giuseppe Segato “lo Credo”, Editoria Universitaria, 2000, Venezia. Pag.112¬113.

Fonte: Esempi di patriottismo,  da Quaderni Veneti  di coscienza etnica 2008/


Feb 16 2009

La chiave

Category: Scuola e università,Veneto e dintornigiorgio @ 13:23

Chi ha vissuto nel Veneto degli anni ‘30 ( in pieno ventennio) può capire che cosa voglia dire questo racconto e quanta angoscia ci si portasse dentro mentre si vivevano gli avvenimenti che sto per narrare.

Al mio paese tutti parlavano veneto, tranne forse qualche persona ligia ai dettami del fascismo o che volesse fare risaltare il suo alto livello culturale rendendosi ridicola alla popolazione intera.

Si parlava il veneto in casa, in chiesa, nelle strade, al bar, nelle feste; si parlava veneto tra di noi bambini che lo utilizzavamo a scuola come nel resto della giornata.

Ma in nome della creazione di una lingua nazionale, di un distorto senso didattico che vedeva l’uso del dialetto come un problema per l’apprendimento dell’italiano (beh, le doppie le sbagliavamo anche quando parlavamo italiano!) e dello “sviluppo culturale della popolazione rurale”, ad un certo punto ci è stato proibito di parlare il dialetto a scuola.  Un problema enorme!

Si trattava di dimenticare la nostra lingua per parlarne un’altra, una nuova, una che raramente sentivamo.  Si trattava di dare un nome nuovo alle cose, alle azioni che facevamo e agli amici stessi che mai avremmo chiamato Domenico perché “Menego” ci bastava per capirci o mai Antonio perché per noi “Toni” era il suo nome.

Insomma era un mondo veneto che si voleva trasformare, attraverso la scuola, in un mondo italiano.

Noi un po’ ce la ridevamo e un po’, invece, eravamo guardinghi.

Era per questo che i crocchi si formavano sempre lontano da porte o finestre e che occupavamo gli angoli del cortile o ci nascondevano dietro gli alberi per fare quella terribile cosa proibita: parlare in dialetto.

Ma ecco il colpo di genio dei nostri insegnanti: il gioco della chiave.

Il disegno era semplice e diabolico: non riuscendo a controllarci volevano trasformarci tutti in spie.

Il gioco era banale: al mattino l’insegnante consegnava una piccola chiave, quelle da scrivania, non di quelle piatte e sottili di oggi, ma sufficientemente piccola da passare inosservata, in assoluta segretezza ad un alunno che aveva sentito parlare il dialetto.

Questi, girando per la classe e per i cortili poteva passare la chiave, sempre di nascosto, a colui che avesse sentito parlare in dialetto.

Alla fine della giornata, marcata dalla campanella che il bidello agitava per segnalare l’orario di uscita alle dodici e mezza, colui che fosse stato trovato in possesso della chiave sarebbe stato punito con punizioni “esemplari” che quasi sempre consistevano nello scrivere: “Non devo parlare in dialetto”.

E quando la punizione toccava ad uno di noi fratelli, mia mamma, poco istruita, ma piena di buon senso, ci diceva: “Te lo gavea dito de stare tento” (Te lo avevo detto di stare attento), ovviamente in veneto.  Non ci sgridava per averlo fatto, ma perché ci eravamo fatti “beccare” e questo bloccava qualunque nostra lamentela rispetto alla punizione.  Tutto semplice e banale, all’apparenza, ma non così scontato.

A parte la tremarella che aveva colpito i più insicuri e le bambine (erano gli anni trenta e noi femmine ancora non avevamo la grinta necessaria a ribellarci ai nostri maschietti) c’erano diverse crepe nel sistema.

Una prima era quella di accordarci tra di noi per dare la chiave ai “secchioni” o ai “cocchi del maestro”.  Certo, questo insospettiva gli insegnanti, ma non potevano fare altro che prendere atto della situazione dato che, come proclamavano, “La legge è uguale per tutti”.

Alcuni di noi, poi, si erano specializzati nel far scivolare in modo insensibile la chiave nelle tasche degli altri.  Se qualcuno non si fosse accorto della chiave, l’avrebbe incoscientemente portata fino alla fine della giornata lasciando gli altri liberi di respirare.

Questo era più facile farlo con noi bambine perché le ampie e facilmente raggiungibili tasche dei grembiuli ci rendevano poco sensibili.

Ma il timore di avere la chiave era tale che, dopo poco tempo, si era cominciato a toccarsi sistematicamente le tasche anche perché spesso, assieme alle frasi da scrivere, ci scappava anche qualche scappellotto “orale”.

Altri la usavano scientemente per vendette personali. Guai a fare dispetti a qualcuno o a farsi un nemico. Potevi stare sicura che la chiave, parlassi dialetto o no, te l’avrebbe rifilata, in un modo o nell’altro.  C’erano anche le “associazioni a delinquere” che prendevano di mira alcuni nostri compagni e che utilizzavano la chiave per lottare contro il gruppo nemico.

Nei periodi di massima coesione eravamo riusciti ad escogitare un sistema per cercare di turlupinare il maestro.  La chiave veniva “persa” in cortile e così, alla fine delle lezioni, nessuno ce l’aveva in tasca. L’indagine, necessariamente approssimativa, perché non si era in grado di rilevare le impronte digitali, finiva inevitabilmente con qualcuno che non ricordava più a chi l’avesse data.

Del resto, neppure l’insegnante poteva insistere eccessivamente perché la segretezza del gesto era un fatto indispensabile per la riuscita del gioco e portare in piazza i passaggi tra l’uno e l’altro poteva rivelare trame.

Ma anche questa si è rivelata una cuccagna effimera perché, dopo, per due o tre volte, il compito di punizione è stato dato a tutta la classe e così ci siamo trovati tutti a dover scrivere cento volte “Non devo parlare in dialetto”. Il trucco è stato abbandonato perché inefficace.

Qualche volta abbiamo anche tentato di scrivere a più mani le cento frasi di punizione. Ma la grafia ci ha traditi.  Infine, i più rassegnati, o i più saggi, per così dire, “si portavano avanti con il lavoro”.

Sapendo che prima o poi sarebbe toccato a tutti, compilavano preventivamente qualche pagina, magari durante l’intervallo. Così, al momento della punizione, una parte del compito sarebbe risultata già fatta.

Mi è restato dentro un senso di angoscia e di rabbia per quella che mi sembrava un’assurda ingiustizia. Non so se lo fosse davvero, ma io, quando ci penso ora, ancora la vivo così e ricordo l’odio, vero odio, che provavo per quella chiave, chiunque l’avesse, quando si arrivava alla fine delle lezioni.

E, comunque, ho 84anni, vivo ad Aosta da 56 anni eppure parlo ancora il dialetto con i miei figli e con coloro che lo capiscono e, quando torno al mio paese, sento parlare tutti dialetto tranne coloro che vogliono fare risaltare il loro alto livello culturale rendendosi ridicoli alla popolazione intera.

Non ha funzionato.

Fonte:  srs Giuseppina Verza


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