Set 18 2018

IL RAPPORTO TORMENTATO TRA IL VENETO E L’ITALIA

Category: Società e politica,Veneto e dintornigiorgio @ 01:49

Il tormentato rapporto fra il Veneto e lo Stato italiano è ritornato d’attualità grazie all’iniziativa di alcuni docenti e intellettuali italiani che hanno pensato bene di rivolgersi al Parlamento romano in termini perentori: al Veneto ogni ulteriore forma di autonomia non deve essere concessa… e via una serie di considerazioni che vi risparmio.

 

È incredibile come, laggiù in Italia, non ci si voglia render conto di quanto diffusa sia la voglia di autonomia, di autogoverno qui nel Veneto, e da sempre.

A Roma devono capire che non è una moda passeggera, ma una battaglia che i veneti portano avanti da 150 anni, dal momento in cui, attraverso un plebiscito-truffa, furono annessi all’Italia (21 e 22 ottobre 1866).

 

 

Ferruccio Macola(1861-1910).

 

E in questo senso vorrei riproporre un documento di straordinaria attualità, scritto nel 1889 da Ferruccio Macola, direttore della “Gazzetta di Venezia”. Il Macola fu sicuramente uno dei protagonisti dell’ottocento veneto: nato a Camposanpiero (PD) nel 1861, fu uno dei fondatori del quotidiano genovese “Secolo XIX” del quale divenne anche direttore. Eletto più volte deputato per la Destra nel collegio di Castelfranco, è ricordato per il duello alla sciabola con il deputato radicale Felice Cavallotti, che ebbe la peggio e morì nel marzo 1898 a Roma.

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Set 17 2018

L’INQUALIFICABILE PETIZIONE FIRMATA DA PIÙ DI “MILLE INTELLETTUALI, ECONOMISTI, PROFESSORI, GIORNALISTI”. UN CONCENTRATO INDECENTE DI RAZZISMO ANTI VENETO.

 

 

 

E questa è l’inqualificabile petizione firmata da più di “mille intellettuali, economisti, professori, giornalisti” che parla di eversione (per il referendum veneto approvato dalla corte costituzionale…) e che confonde volutamente, autonomia con secessione, un concentrato indecente di RAZZISMO ANTI VENETO. 


I veneti, per questa brava gente preoccupata soprattutto di mantenere i suoi privilegi, devono subire, pagare e tacere !!!

 

Il Veneto, la Lombardia e sulla loro scia altre undici Regioni si sono attivate per ottenere maggiori poteri e risorse. Su maggiori poteri alle Regioni si possono avere le opinioni più diverse. Ma nei giorni scorsi è stata formalizzata dal Veneto (e in misura più sfumata dalla Lombardia) una richiesta che non è estremo definire eversiva, secessionista.

 

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Lug 24 2018

COIMPO, UNA STORIA VENETA DI FANGHI TOSSICI SVERSATI NELLE CAMPAGNE

Veneti che tradiscono la loro terra. Un girone dell’inferno solo per loro.

 

La trasformazione di una latteria sociale del Rodigino in un impianto di trattamento. La tragedia del settembre 2014: quattro morti, uccisi dalle esalazioni. I segreti della vasca D.

 

 

La ricerca della verità e dei colpevoli di Gianni Belloni 

 

Gli inizi della storia

 

Era la latteria sociale di Cà Emoun pugno di case perse nella pianura sconfinata tra Adria e Rovigo. Mauro Luiseha il fiuto per gli affari e dal trasporto latte, a metà degli anni ’80, si converte alla gestione dei fanghi di depurazione. In questa operazione è aiutato da un nuovo socio con più esperienza e con le spalle più grosse: Gianni Pagnindi Noventa Padovana.

 

Il procedimento è semplice: dopo la stabilizzazione e il trattamento, i fanghi vengono distribuiti nei campi. Nasce così, nel 1984, la Coimpospecializzata nel trattamento nei fanghi da depurazione.

 

Gli affari vanno bene, i fanghi arrivano da tutta Italia e anche dall’estero stando alle dichiarazioni degli abitanti che annotano le targhe dei camion in arrivo. Ma gli odori sono forti e pungenti.

 

Le proteste e i malumori degli abitanti si concretizzano nella costituzione di un comitato e in una raccolta di firme. Qualcuno ricorda ancora gli appostamenti notturni presso i cancelli della Coimpo per scoprire che cosa succedesse all’interno e che cosa trasportassero i tanti camion in arrivo. Ma la mobilitazione dei cittadini ha vita breve. Luise appare come un uomo potente. La Coimpo sponsorizza diverse manifestazioni compresa la locale squadra di calcio. La gente si acquatta in silenzio.

 

Gli affari proseguono a gonfie vele. Nel 2006 la Coimpo ottiene di gestire 99mila tonnellate annue di rifiuti. Entrano in società anche le figlie dei due fondatori. Nel frattempo Mauro Luise acquista una tenuta in Romania, La Fazenda, e lì si trasferisce, ma continua ad esercitare un controllo ferreo sull’azienda.

 

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Lug 06 2018

1877, IL SINDACO DI LONGARE A CHI VOLEVA EMIGRARE IN AMERICA: SARETE TRATTATI COME SCHIAVI

 

 

Il 24 maggio 1877 il conte Alvise Da Schio sindaco del Comune di Longare fece stampare un manifesto “Diretto a chi avesse intenzione di emigrare per l’America”.
Il Sindaco, con un linguaggio diretto e schietto, venuto a conoscenza che ci sono diversi “intenzionati di emigrare per l’America” fa presente ai suoi concittadini che il passaporto può essere rilasciato a chi si dimostra in grado di sostenere le spese di viaggio, a chi essendo in possesso di congedo illimitato possa provare di avere in quelle terre dei parenti, e a chi, “essendo soggetti alla Leva il Sindaco avesse la morale certezza che in caso di chiamata si disponessero a tosto rimpatriare”.

 

Oltre a questo il Sindaco “si sente in dovere di far conoscere a chi avrebbe intenzione di emigrare per l’America che invece della fortuna in questo caso andrebbe incontro alla sua totale rovina”.

 

E ancora: “La maggior parte degli emigranti non sanno neppure ove sia l’America e perciò chi scrive si fa sollecito ad indicargliela. Essa è lontana circa due mesi da qui e per arrivarvi bisogna attraversare l’Oceano … è quasi impossibile che non muoja per viaggio qualcheduno… E tutto questo perché? Per andar lavorar la terra in paesi sconosciuti, senza conoscere la lingua e sotto a 40 gradi di calore”

 

 “Il vostro Sindaco vi avverte che quando arriverete in America sarete trattati come schiavi, non avrete più i mezzi per ritornare né troverete alcuno che vi presti un soldo per rimpatriare colla vostra famiglia”.

 

E così concludeva l’appello-manifesto:

 

 “Ora fate quello che vi pare e piace: il Sindaco ha voluto soltanto dimostrarvi come stanno le cose onde quando vi troverete la nella più squallida miseria non possiate dire: IL SINDACO DOVEVA FARCI AVVERTITI.” (il maiuscolo neretto è nel manifesto originale). 

 

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Giu 14 2018

IL VENETO CHE SI ECOBOICOTTA: ORA A DISTRUGGERE IL TERRITORIO CI PENSA L’INDUSTRIALE VINICOLO

Category: Economia e lavoro,Monolandia,Veneto e dintornigiorgio @ 01:04

Anche sui Colli Berici sta dilagando la “fabbrica diffusa” delle speculazioni vinicole: devastanti per il paesaggio e altamente inquinanti.

 

 

Colli Berici, a sud di Vicenza. E in particolare la fascia che sovrasta la Riviera Berica. Ne parlo in quanto cittadino, non certo esperto di chimica o agricoltura industriale(l’aggettivo è obbligatorio di questi tempi); da persona che, un giorno sì e un altro anche, deve precipitarsi a chiudere finestre e balconi per arginare il pestilenziale aerosol che uomini in tuta bianca e maschera antigas a doppio filtro spandono con gli atomizzatori, spensieratamente, lungo i filari a pochi metri dalle abitazioni. Irrorando anche gli ignari pedoni o ciclisti che transitano sulle “pedemontane” (pista ciclabile compresa). In teoria, ma solo in teoria, ci sarebbero delle distanze da rispettare: 30 metri in primavera e 20 in estate da strade e case. Ma siamo nel profondo Nord-est…: qua la gente lavora, cazzo!

 

Se la fauna indigena (uccelli, anfibi, farfalle…) langue, patisce e scarseggia, in compenso sui Berici si vanno diffondendo come la peste altre categorie che non mi sembra arbitrario definire “altamente nocive”. Parecchi i piccoli imprenditori riciclati provenienti dall’edilizia, ma non mancano professionisti (notai, dentisti, avvocati, giudici) e pensionati di lusso. Tutti impegnati a speculare sulla monocultura della vite (letteralmente la “nuova industria del Nord-est”, stessa scuola della palma da olio in Indonesia, immagino) avvelenando l’aria e i terreni con una mistura infernale di veleni, pesticidi tossici, sostanze cancerogene e interferenti endocrini vari.

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Giu 09 2018

LA PELLAGRA? GRAZIE, ITALIA!

 

 

La pellagra, pur nata nel ‘600, esplose in realtà nell’800, con picchi mostruosi durante la fine del secolo. 

 

 

LETTERA DI EDOARDO RUBINI (controfirmata da me, ma il merito è suo ) AL GAZZETTINO, dopo che un “professore” italiano, veneto PER MODO DI DIRE, evidentemente afflitto dalla sindrome di Stoccolma (che porta ad amare i propri aguzzini, e a difenderli), affermò doversi imputare alla Serenissima pure la pellagra.

 

RACCOMANDO LA LETTURA. DA CONSERVARE.

 

Cominciamo con il bollettino d’informazione medica“Dialogo sui farmaci” pubblicata a Verona dall’ASL 20.

Nel numero 1 (genn.–febb. 1998) la rivista pubblicagli studi del grandissimo economista di fine ‘800  Angelo Messedaglia (le cui carte inedite sono custodite preso la Biblioteca Civica di Verona).

 

Secondo Messedaglia, i primi casi di pellagra sono stati descritti compiutamente attorno al 1750.  Si sa però che questa nuova malattia era presente in forma sporadica nel Veneto già dalla fine del ‘600.  Nel 1776 i Provveditori alla Sanità della Repubblica di Venezia assunsero importanti provvedimenti per prevenirne la diffusione e ci  resta un proclama nel quale rilevavano “li perniziosi effetti che possono derivare alla salute dei più poveri abitanti, e specialmente dei villici del Polesine, Padovano e Veronese dal cattivo alimento dei sorghi turchi…”.

 

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Mag 31 2018

MULINO DI PALASIO

Isola della Scala,   Mulino di Pallasio

 

 

Isola della Scala.  Il Mulino del Palasio si trovava lungo il fiume Tartato all’altezza di Via Degli Emili. Il nome deriva dal fatto che annesso al mulino vi era un altro edificio attualmente visibile percorrendo la via. In alcuni documenti del ‘500 viene indicata la presenza di quattro ruote da macina; sul finire del ‘500 venne aggiunta una pila da riso.
A partire dai primi anni del ‘900 la Privilegiata Impresa Einstein gestita dai fratelli Rudolf e Hermann Einstein, padre del più noto premio nobel Alfred, installò un generatore che sfruttava la forza del fiume per la produzione di energia elettrica. 

 

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Gen 24 2018

LA VANVERA

Category: Monade satira e rattatuje,Veneto e dintornigiorgio @ 00:16

 

 

Tratto da Merdasser di Maurizio Bastianetto 

 

 

E’ lo strumento che ha dato origine al modo di dire :”Parlare a Vanvera” che nel suo vero significato quindi  non vuol dire altro che “Parlare col Culo”. 

 

Sia  nello Spettacolo che nel Libro, viene dato grande risalto (durante la trattazione degli “Odori dell’Umanità”), ai vari oggetti, sistemi  e tentativi  inventati dall’uomo per mitigare e camuffare  gli effetti dei Meteorismi, alias Flatus Ventris, alias Ventosità Anali, alias Scorregge.

Ma prima di arrivare alla Vanvera  altri oggetti furono inventati dall’Umanità. 

 

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Gen 17 2018

I SAVOIA ERANO FRANCESI, NON PIEMONTESI

 

 

 

 

I Savoia erano francesi, non piemontesi

 

 

Di Gianni Cecchinato gennaio 08, 2018

 

 

Mi permetto far conoscere un brano estratto da una risposta di Carlo Candiani a Claudio Sacilotto su FaceBook riguardo la lettera di Ettore Beggiato inviata al giornalista Aldo Cazzullo (già al centro di critiche e polemiche sul <venetismo> ospitate tempo fa sulle pagine di “Dal Veneto al Mondo”).

 

Il Premio Nobel Mario Vargas Llosa afferma, nell’intervista rilasciata al giornalista, che in Italia le Regioni non esistono, allora Beggiato si pone la domanda, “se non esistono le Regioni, un Veneto cosa avrebbe in comune con un Tirolese o con un Sardo o con un Siciliano o con uno della Val d’Aosta. Niente se non fosse per una lingua (imposta)”.

 

La risposta di Cazzullo scatena interventi che esulano un po’ dalla natura dell’idea di Beggiato. Mi sono piaciute le risposte di Carlo Candiani che meritano essere riprese per ricordare a quei Veneti, che non conoscono nel dettaglio certi retroscena che portarono all’Unità d’Italia passando per i referendum truffa o per le deportazioni. Purtroppo la storia che ci è stata insegnata, l’hanno scritta i Savoia ad unità avvenuta sia perché erano i vincitori sia perché dovevano nascondere il loro operato per rafforzare la conquista della penisola.

 

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Dic 31 2017

SABINO ACQUAVIVA … L’EUROPA UNITA PUÒ NASCERE DALLA LIGA VENETA

Sabino Acquaviva

 

 

Il 29 dicembre del 2015 fa moriva a Padova Sabino Acquaviva, sociologo, docente universitario, già preside di Scienze politiche al Bò; ero uno dei pochi presenti ai Suoi funerali e fin d’allora ho avuto l’impressione, e continuo ad averla, che sia la città che l’università siano restìe a tributargli quei riconoscimenti che meriterebbe, probabilmente è ancora penalizzato da quel modo di fare schivo e mite che ne caratterizzava il tratto.


E allora vorrei riproporre una articolo che uscì sul Mattino il 6/8/1983, pochi mesi dopo il sorprendente successo della Liga Veneta alle elezioni politiche del maggio ’83, quando i commenti dei commentatori e intellettuali vari erano improntati a una superficialità e a una cialtroneria impressionanti: il prof. Acquaviva, invece, cercava di capire cosa c’era sotto quel voto, sotto quel messaggio che ancor oggi continua, dalla Catalunya alla Corsica, ad essere importante in tante parti d’Europa e che ci dimostra quanto avanti, profetico direi, fosse il prof. Sabino Acquaviva.

 

Ettore Beggiato 

 

 

L’EUROPA UNITA PUÒ NASCERE DALLA LIGA  VENETA 

 

In questi giorni ho ricevuto una lettera tassata, credo perché affrancata con alcuni francobolli sovrastampati, con scritte diverse: “nathion veneta”, “poste venete”, “territori autonomi dei veneti”.
Io, europeista convinto fautore degli “Stati Uniti d’Europa”, dovrei sentirmi lontano da chi parla di “nazione veneta”: dovrei pensare a tutto questo come a un’espressione di un passato senza ritorno. 
Che può aver da spartire una cultura europeista, moderna, che guarda alla Comunità europea come il nocciolo dell’Europa unita, con dei regionalisti ?

 

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Nov 13 2017

DOPO CAPORETTO: LE PROFUGHE E LA POVERTA’

Category: Storia moderna e revisionismo,Veneto e dintornigiorgio @ 00:22

 

 

Di Gianni Cecchinato

 

Con lo scoppio della guerra e la chiamata alle armi di mariti, fratelli e padri parecchie donne dovettero inventarsi il ruolo di capo-famiglia, ruolo a cui non erano preparate. Quelle residenti nelle zone di guerra dovettero migrare in altre regioni affrontando esperienze nuove e difficili, soprattutto quando finirono nelle regioni del centro-sud.

 

 

– Si instaurava così un circolo vizioso, come narra una profuga friulana giunta a Cerignola (FG): “… fuggita dal mio caro paesello, durante l’invasione nemica, senza aver potuto portare con me neppure il necessario per cambiarmi, fui menata qui, in questa città delle Puglie […]. Qui non si può avere neppure l’acqua per lavarsi e devo pagarla a caro prezzo, diffalcando la spesa dall’esigua paga di lire due al giorno. Con l’enorme crescente rincaro dei viveri devo pensare a tutto con sole due lire; né posso andare in cerca di decorosa occupazione, vergognandomi di uscire dal mio ricovero così malandata e indecentemente vestita.” 

(Daniele Ceschin, “La condizione delle donne profughe e dei bambini dopo Caporetto”, in “DEP-Deportate, Esuli, Profughe, Rivista Telematica di studi sulla memoria femminile”, n. 1, 2004, p. 28). .. >

 

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Nov 09 2017

QUANDO I VENETI EMIGRAVANO IN SLAVONIA….! UN PEZZO DI STORIA DA NON DIMENTICARE.

Category: Storia moderna e revisionismo,Veneto e dintornigiorgio @ 15:05

Processione dei Veneti della Slavonia attorno al 1925

 

 

Sarajevo, siamo a cena a metà strada fra il ponte dove scoppiò la prima guerra mondiale e il mercato dove il “secolo breve” celebrò l’ultima follia europea; siamo in otto e stiamo studiando il percorso del giorno dopo che ci porterà a Zagabria quando nella carta geografica lungo l’autostrada vedo scritto Kutina …”ma qua ghe xe i veneti” esclamai al che Dejan serbo-veneto che ci fece la guida per una settimana disse “si, par ti ghe xe veneti dapartuto…”
Mi sono attaccato al telefono e con poche chiamate ho stabilito il contatto giusto per il giorno dopo, l’appuntamento era proprio a Kutina nella sede dell’associazione.
Cosi’ siamo stati accolti dal “patriarca” della comunità Antun Di Gallo, che parla ancora un bellunese straordinario con le caratteristiche interdentali, dalla figlia Marieta che ha raccolto il testimone e che non parla il bellunese del padre ma un perfetto italiano (molto meglio del mio, anche se non ci vuole molto…) e da un’altra giovane ragazza Mirela Bartoluci; la sede della comunità è spaziosa, luminosa, operativa, i contatti con il Veneto e in modo particolare con il Bellunese piuttosto frequenti, anche perché durante e alla fine della guerra nella ex Jugoslavia diverse famiglie sono rientrate nel Veneto e nel Friuli, ancora più frequenti sono i contatti con l’Istria.
Ero già stato in zona nel lontano 1993 come assessore regionale alla solidarietà internazionale e mi trovai in una situazione drammatica: le nostre comunità della Slavonia erano proprio lungo il confine fra Croazia e Jugoslavia ed erano state particolarmente coinvolte, ci furono una ventina di morti fra la “nostra” gente; per fortuna la guerra è solo un brutto ricordo e in tutta la zona lo sviluppo è stato quanto mai veloce e efficace.

 

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Nov 05 2017

VICENZA MEDIOEVALE

Category: Storia e arte,Veneto e dintornigiorgio @ 17:47

La PIANTA ANGELICA è una grande pianta prospettica della città di Vicenza, realizzata in epoca rinascimentale e conservata presso la Biblioteca Angelica di Roma, da cui prende il nome. Si rifà alle vedute di città in voga nel Cinquecento, in primis quella di Venezia realizzata da Jacopo de’ Barbari nel 1500.

 

 

di Andrea Kozlovic

 

[saggio di Andrea Kozlovic con l’avvertenza che era già stato pubblicato nel numero 2 di Storia Vicentina del giugno/luglio 1994] 

 

 

Vicenza, municipium di diritto romano dal 49 a.C., fu, durante i secoli d’oro dell’impero, piccola città della X^ Regio Venetia et Histria, ricca però per industrie, commerci, agricoltura. Testimonianza di questa opulenza, legata anche al fatto che la città era attraversata dalla via Postumia, la presenza di un acquedotto della lunghezza di più chilometri ed i cui resti sono ancora visibili poco lontano dalla città, in contrà Lobia, di un grande teatro, di ricchi mosaici pavimentali, di iscrizioni a carattere pubblico e privato. Ma anche Vicenza romana, i cui termini andavano all’incirca dall’attuale Porta Castello all’altura di Santa Corona e dalla fine di contrà Porti, dove inizia la bassura di Pusterla, a ponte San Paolo, verrà colpita come il resto dell’impero dalla crisi del IV-V secolo. Nel 451 d.C. la città verrà a trovarsi lungo l’itinerario di Attila, subendo, come molte altre città dell’Italia nord-orientale, un saccheggio che la tradizione ricorda tremendo. Vicenza farà parte poi, dopo la fine dell’impero romano d’occidente, del regno gotico e puntualmente la tradizione ricorda una visita di Teodorico alla città dove nel teatro romano di Berga concedeva contributi per il restauro di edifici in rovina.

 

 

Del successivo, breve, periodo bizantino seguito alla guerra greco-gotica, a Vicenza non rimangono tracce. Solamente un’iscrizione, nella basilica di San Felice, ricorda un ufficiale di nome Johannes, originario della lontana Armenia e che morì nella città berica in epoca imprecisata attorno alla metà del VI secolo. Secondo quanto scrive Paolo Diacono, i Longobardi – sotto la guida di re Alboino – lasciarono la Pannonia il 2 aprile del 568, lunedì di Pasqua – diretti in Italia. Forum Julii, l’odierna Cividale, Cèneda e Treviso furono le prime città conquistate; fu poi la volta di Vicenza che divenne così il quarto ducato della provincia longobarda di Austria che comprendeva l’Italia nord orientale con centro principale Verona.

 

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Nov 03 2017

VENETO: PIÙ CHE L’AUTONOMIA, HA VINTO SAN MARCO

 

 

di Stefano Lorenzetto 

 

Non ha vinto l’autonomia. Ha vinto la Serenissima. È un’altra cosa. Mai il referendum avrebbe potuto assumere in Lombardia lo spessore plebiscitario registrato in Veneto. Che cos’hanno a che vedere le valli orobiche e camune con Milano? Niente. E infatti le percentuali dei votanti lombardi differiscono nettamente da quelle, ridotte a valori omeopatici, degli elettori ambrosiani. I quali sono rappresentati da un sindaco, Giuseppe Sala, che ha preferito snobbare la consultazione e svegliarsi sotto il cielo di Parigi, al contrario del governatore Luca Zaia, che alle 7 meno un quarto, mentre faceva ancora buio, si è presentato al seggio del suo paesello per dare il buon esempio.
Il Veneto intero ha invece tutto a che vedere con Venezia. La città di San Marco è sua madre. Lo stesso dicasi di Bergamo e Brescia, i cui centri storici ancora traboccano di leoni marciani scolpiti nella pietra. Fino al 1797, fino all’Adda, era Repubblica veneta. La più longeva che sia mai esistita. Motto ufficiale: “Viva San Marco!”. Durata 1100 anni. Affogata nel sangue da un ladrone il cui nome faceva rima con Napoleone, saccheggiatore di opere d’arte (dalle Nozze di Cana del Veronese alla Cena in Emmaus del Tiziano, fatevi un giro al Louvre) e di molto altro (40 milioni di lire oro dell’epoca, depositate nella Zecca della Serenissima, pari, al valore di oggi, alla metà del debito pubblico italiano).
Se non siete mai approdati a Venezia dalla parte giusta, dal mare, dalla bocca di porto di San Nicoletto, e non vi ha preso uno struggimento, un magone, un’inspiegabile voglia di piangere vedendo in lontananza il campanile di San Marco e il Palazzo Ducale che brillano nell’oro del tramonto, lasciate perdere queste righe: non fanno per voi.

 

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Ott 26 2017

CAPORETTO VISTA DA UN “NEMICO” FURLAN

La storia vista da un soldato friulano dell’esercito Austro-Ungarico

 

Di Millo Bozzolan – ottobre 25, 2017

 

Gli austro-tedeschi a Udine

 

 

Chi vi propone l’articolo, cioè io,  non ha nessuna nostalgia per “el paròn” austriaco, allo stesso modo in cui non ama l’annessione italiana. Anche se tra le due disgrazie, la prima forse era la meno peggio.  Ma certamente è interessante leggere un pezzetto di storia, cioè lo sfondamento di Caporetto, anche dal punto di vista del “nemico”. Specie se il “nemico” è in realtà un fratello friulano.

“Batae di Cjaurêt”

 

Guido Marizza e la pagnotta.”

 

Arriva l’ottobre del ’17 e le truppe italiane sul fronte dell’Isonzo vengono sbaragliate. Per gli Austro-Tedeschi è la battaglia di Flitsch-Tolmein (Plezzo-Tolmino), per gli Italiani è la disfatta di Caporetto.

 

A Caporetto (Kobarid in sloveno, Karfreit in tedesco) la popolazione slovena si precipita festante in strada a salutare i liberatori germanici. Tarcento era stata saccheggiata dai soldati italiani in ritirata ma le truppe austriache ristabiliscono l’ordine.

 

A Udine quasi tutti gli abitanti sono fuggiti, influenzati dalla propaganda secondo cui i Tedeschi (che il giornale “Il popolo d’Italia” descriveva come dediti al cannibalismo) avrebbero assassinato tutti indistintamente. Dappertutto scene di saccheggio, vetrine sfondate, civili uccisi, soldati italiani ubriachi fradici: il nemico in fuga ha depredato la sua stessa città, dopo che i vincoli disciplinari si sono sciolti.

 

Nella città abbandonata molti soldati italiani vanno saccheggiando e appiccando incendi. In tutti i villaggi la popolazione friulana saluta cordialmente i soldati germanici, fiduciosa nel fatto che la loro impressionante vittoria avrebbe presto condotto alla pace.

 

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