Apr 29 2013

LUIGINA SCOTTON, RICAMATRICE A NOVE ANNI, RICORDA I FASTI DELLA BOTTEGA DI ELISA BACILIERI

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La classica foto di gruppo delle giovani ricamatrici della bottega di Elisa Bacilieri (al centro, vestita di nero). Indicata dalla freccia,  la signora Luigina Scotton, che entrò  a lavorare all’età di nove anni.

 

«Per venti centimetri di decorazione a pizzo occorreva una giornata di lavoro e la paga era molto bassa» – I capricci delle signore-bene del primo Novecento e quelle dei relativi mariti – «Quel giorno il principe…»

PIZZI,  delicati arabeschi ricamati punto dopo punto su seta impalpabile e frusciante, orli ricchi di fantasie arzigogolate, e finezza: piaceri destinati a pochi eletti e ad ancor meno osservatori.

Certo, non si potevano mostrare a  tutti le sottovesti di seta ricamate delle signore di ottima famiglia che, nel primi anni del ‘900  si facevano cucire su misura la biancheria personale nella bottega della signora Elisa Bacilieri,  in Regaste Redentore, e neppure tanta mostra si poteva fare delle mutandine  «a godet», in finissimo crépe di Chine, finite a punto smetto o decorate in sangallo.

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Ott 25 2012

LA SENSIBILITÀ CULTURALE DEL SINDACO DI VERONA

E’ bravo! Ma  percepire   la  sensibilità culturale  nel  sindaco di Verona e come fare super enalotto con tre numeri.

 

Fonte: gazebo  della Lega,  Borgo Trieste, Verona,  in risposta alla domanda: Ma perché   Flavio Tosi vuole vendere i musei di Verona?


Giu 04 2012

MONDADORI E I MORTI VIVENTI

Agli inizi degli anni  ’80,  per la prima volta nella loro storia,  i lavoratori della Mondadori  di Verona entrarono in “cassa integrazione”.  Con Arnoldo non era mai successo, ma con le nuove proprietà tutto stava cambiando  ed  essi  capirono che era finito un mondo  e il  lo rostatus sarebbe cambiato, cambiato  per sempre. Sarebbero stati un’altra cosa, ma non sapevano cosa.

Per ricordare questo funesto  passaggio, i cassaintegrati scrissero sulle piastrelle  dei bagni i loro nomi, e li chiamarono i  “MORTI  VIVENTI”.

 


Mag 31 2012

VERONA – SAN MICHELE: SAGRA DELLA MADONNA DI CAMPAGNA

Category: Verona dei veronesigiorgio @ 14:06

Santuario della Madonna di campagna, secolo XVI;  (1909)

 

Madonna della Campagna, con le giostre e i banchetti, cara sagra veronese, chi si ricorda più di te?

Una volta… c’erano le corriere di Salvetti, cariche  come bastimenti  e i cavalli magri tutti occhi e sonagliere a far la spola  da Porta Vescovo a San Michele.   Che  bei tempi! Solo di marzo e viole per le siepi. Dieci soldi in tasca  e una piccola a fianco, che rosicchiava le galete amaricane, comperate  fuori porta dalla mora dell’ombrellone. Che bei tempi! Tutta la strada era un polverone:  a camminare  rasente il muro, passo passo bel bello, s’arrivava, noi, senza quattrini al sobborgo.

Musiche e tavolini gremiti. Cantastori e mendicanti.  «El mato Venessia»  sulla chitarra cantava canzonette e riempiva il piattino. Ova sode e vin di San Briccio. Che bei tempi!

Sul piazzale  del tempio, baracconi e baracchini. La donna fenomeno; il serraglio senza  fiere; la fotografia a un franco; che gli amanti ci capitavano tutti per fissare la felicità di un’ora, strette le destre per il patto d’eterno amore. Anche il soldato,  l’artigliere, il fantaccino, ci cascava: posa di cinque secondi ecco fatto.

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Nov 25 2009

A ricordo di Milo Navasa

Category: Persone e personaggi,Verona dei veronesigiorgio @ 10:43

milo_navasa

Questa fine estate 2009 ci ha porta via a 84 anni,  Milo Navata, veneziano di nascita  ma veronese di adozione,  un uomo con la montagna nel cuore, perchè uno come lui, rocciatore di razza, apripista di vie in parete in tutte le Alpi, maestro di arrampicata per generazioni di veronesi, la montagna era sinonimo di libertà.

In ricordo un  suo articolo del 1958: “In materia di alpinismo” Tratto dal Notiziario ai Soci – Novembre 1958 Cai di Verona

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Mar 20 2009

Basta “spegàssi” Verona si guarda ma non si tocca

Category: Verona dei veronesigiorgio @ 14:06

da “La posta della Olga” di Silvino Gonzato

“La tanto attesa conferenza dal titolo “Come Maria Walewska ha fatto cornuto il vecchio conte Attanasio” che il ragionier Dolimàn avrebbe dovuto tenere al baretto con proiezione di diapositive” scrive la Olga ” è stata rinviata perché, come ha detto l’oratore, ubi maior minor cessat, dove il maior è la millenaria césa dei Santi Apostoli che sta cadendo nel buso che ci hanno scavato davanti per costruire un parcheggio per le auto di pochi siori e il minor è sempre la césa che, a quanto pare, viene considerata meno importante della frégola dei siori di avere l’auto sotto casa.

Dopo il prologo del cavalier Osoppo che ha parlato delle crepe apertesi nel sacello delle sante Teuteria e Tosca, crepe in cui ormai “se pol infilàrghe la testa e se te scàpa dentro un butìn no te lo trovi più”, e lo sprologo del Bocaònta che el tira siràche anche per difendere i santi, il ragionier Dolimàn, parlando in dialetto latino, ha detto quello che tutti noi pensiamo”.

“E cioè che è ora di finirla di considerare Verona una città come tante altre dove si può sbusàre dappertutto che tanto non succede niente e, al massimo, si trova l’acqua (mai el vin), perché la nostra è una città da guardare e non toccare come la Beresina quando nella cantina del baretto fa la lap-dance (il palo lo interpreta di solito el Pèrtega che l’è magro come el mànego de la scoa) per i pensionati e l’oste Oreste el smòrsa la luce sul più bèlo. Qui dove (ubi) si tocca si fa uno spegàsso (spegàssum) e gli amministratori, dopo averci sbattuto il muso mille volte, dovrebbero aver imparato la lezione e sapere che al minimo scorlamento prodotto da un martello pneumatico (figurati una ruspa) succede che nelle tante cése o ghe rùgola zo dai brassi el Butìn a ‘na Madona o ghe se stàca el pesse dal baston de San Zen o ghe scàpa de man la lancia a San Giorgio o ghe scapa via el cagnéto a San Rocco”.

“E invece no i ga capìo un’ostia. Continuano a sbusàre e a programmare altri busi per sistemare le auto dei siòri che si fanno i pertinenziali, che vuol dire saltare direttamente dal water al sedile dell’auto, e senza risolvere il problema del traffico, obbligando tutti, siori, meno siori e poaréti, a lasciare l’auto fuori dalla città, in parcheggi pubblici da costruire dove è possibile come all’Arsenale dove invece si vogliono fare altre cose. Il dialetto latino non è difficile da capire perché è quasi uguale al dialetto del nostro dialetto. Dalle crepe delle cése si è passati alle crepe del poeta Birbarelli causate dalle vibrazioni del rasoio elettrico”.

 

Fonte:  srs Silvino Gonzato,  da L’Arena di Verona Venerdì 20 Marzo 2009, CRONACA, pagina 8


Mar 20 2009

Verona: Ma i veri santi in questa città hanno le ruote

Category: Verona dei veronesigiorgio @ 07:40

«Di ritorno dal ristorante “Dal Ciupa”, due stelle Codeghìn (era l’anniversario del diploma del ragionier Dolimàn che ha invitato gli amici del baretto i quali però hanno dovuto pagare ognuno per sé e tutti per lui e signora)» scrive la Olga «abbiamo fatto una sosta per vedere la chiesa dei Santi Apostoli prima del crollo, dato per sicuro se si continuerà a scavarle davanti per fare il parcheggio. E già che c’eravamo, abbiamo dato ’n’ociàda, forse l’ultima, anche alle case della piazzetta che saranno coinvolte dal crollo della césa se non cascheranno prima. Il cinese Tan detto Tano, che guidava il pulmino del baretto, è andato ad aspettarci al di là del ponte de l’Àdese perché ha detto che le vibrazioni delle ruspe potevano crepare la marmitta e i specéti retrovisori. In realtà non voleva entrare in cèsa per paura che qualche santo gli cascasse sulla testa, dato che i santi, quando decidono di cascare, potrebbero scegliere le persone da colpire tra i devoti di altre religioni, tra cui quella cinese di cui ha la tessera il Tano».

«Abbiamo visto le crepe nei muri e ci siamo fatti il segno della croce con tutte due le mani. Il cavalier Osoppo, avendo un braccio al collo, se n’è fatto metà che, comunque, equivale a uno intero. Ci siamo chiesti in quale altra città sante come Teuteria e Tosca, le sante del sacello, sarebbero state sacrificate a santa Mercedes e a santa Audi e in quale altra città se ne sarebbero sbattuti dei santi apostoli fino al punto da farci un buso così fondo a pochi metri dalla loro césa che da quando sono cominciati i lavori l’è tuta un tremàsso. Prima vengono le auto e i parcheggi pertinenziali dove ci mettono le auto i siòri, e poi vengono le cèse, i santi e le Madonne».

«Una vecéta inginocchiata su un banco ci ha detto che da domenica prossima per chi entra in césa è obbligatorio il casco da cantiere e che è meglio vedere tutti i fedeli col casco che sentire un mòcolo a ogni calsinàsso che casca. Il mio Gino ha convenuto che in césa i mòcoli non si tirano ma si impìssano. Il fascista Trisorco ha detto che forse si può ancora rimediare stupàndo tutto, come è stato fatto in piazza delle Poste dove però il tremàsso era venuto alle rovine romane che, appunto perché rovine, meritano rispetto, «come mia moglie Nerina».

Uscendo dalla cèsa ci siamo resi conto che in questa città i veri santi sono quelli che hanno le rùe. Eccola lì «santa Cayenne» ha detto il Vittorino indicandoci un grosso catafalco nero. «Sta calmo, l’è un santo» ha detto il mio Gino al Tano che ostiava perché non riusciva a mettere in moto il pulmino».

 

Fonte: La posta della Olga di di Silvino Gonzato da L’arena di Verona di Giovedì 19 Marzo 2009, Cronaca pagina  9


Mar 06 2009

Verona: Il Palio del drappo verde, la più antica corsa del mondo

 

“Poi si rivolse e parve di coloro
che corrono a Verona il drappo verde
per la campagna. E parve di costoro
quelli che vince non colui che perde”

L’idea che la “Divina Commedia” potesse essere letta ed interpretata scherzosamente come la descrizione di una delle prime corse podistiche medievali a tappe è sorta spontanea leggendo e rileggendo i versi riportati in foniferiti do al capitolo quindicesimo dell’Inferno (Inferno, canto XV, vv. 121-124): riferiti all’incontro di Dante con il maestro Brunetto Latini. In questi quattro versi Dante documenta infatti proprio l’esistenza di una corsa podistica che si disputava a Verona la prima domenica di quaresima, detta “corsa del palio” o “del drappo verde”.

La città di Verona ha sempre avuto una grande importanza nella vita del poeta, essendo stato il primo rifugio sicuro nel quale Dante, esiliato da Firenze, ha trovato accoglienza. Nel trascorrere parte del suo esilio nella città veneta, e precisamente nel sobborgo di Santa Lucia, Dante ha avuto modo di venire a conoscenza degli usi e dei costumi locali che ha poi voluto citare nella sua opera.

Per quanto riguarda questa chiamiamola “corsa podistica” veronese, a scanso di equivoci va detto subito che non si trattava di una manifestazione sportiva nel senso in cui siamo soliti intenderla ai nostri giorni, ma – come d’altronde le altre competizioni, tutte disputate nell’ambito di una qualche ricorrenza cittadina o religiosa – interessava comunque tutta la popolazione. Un po’ come succede oggi per il palio di Siena.

Ebbene, anche in questo caso si parla di palio, e due erano le gare di velocità con questo nome a cui i veronesi del tempo di Dante potevano assistere, e per la precisione il palio dei cavalli e quello dei corridori. Il drappo verde, che dà il nome alla corsa nei versi danteschi, era appunto il premio riservato al vincitore di questi ultimi, che dovevano correre nudi, mentre un simile palio ma di colore diverso, rosso scarlatto, era l’ambito trofeo per il miglior cavaliere.

Andando a ricercare maggiori dettagli su questa corsa a piedi – secondo alcuni studiosi istituita nel 1207 per festeggiare una vittoria riportata dalla repubblica contro i conti di San Bonifazio ed i Montecchi – ne troviamo indicato con una certa precisione anche il percorso, che comunque poteva variare a seconda dell’umore del podestà cittadino, che aveva, fra gli altri, il diritto di scegliere il luogo della competizione.

Il tracciato prendeva il via dal sobborgo di Tomba (ma più tardi da quello di Santa Lucia) e si snodava lungo le mura a sud di Verona, quelle di Porta al Palio (conosciuta già come Porta Stuppa o Stupa, opera dell’architetto Sammicheli) ed attraverso la pianura “a mezzogiorno della città”. Qualcuno degli studiosi è propenso a spiegare “campagna” identificandola con un’omonima località veronese, ma a parte il fatto che non è sicuro che la zona avesse già il nome proprio di Campagna all’epoca di Dante, non si può essere neanche certi che Dante abbia voluto menzionare proprio questa località, il cui nome oggi è ancora possibile comunque ritrovare in Madonna di Campagna, in Sommacampagna, in Mezzacampagna ed in Campagnola.

Il tracciato rientrava poi in città sotto l’Arco dei Gavi, percorrendo il Corso Vecchio fino ad arrivare al palazzo della Torre a San Fermo, mentre più tardi avrebbe attraversato il Corso attuale fino a giungere alla piazza di Sant’Anastasia, dove c’era la scritta “Corso la meta” ed un gran pilastro detto appunto “La meta” che rappresentava il punto di arrivo della competizione. Il percorso del palio a cavallo si snodava sullo stesso tracciato ed era della medesima lunghezza di quello a piedi.

Se il percorso è suscettibile di variazioni, non si può dire altrettanto però del regolamento di gara, che nonostante le modifiche agli statuti cittadini ai quali era vincolato ha sempre previsto non solo un premio per il vincitore ma – precorrendo i nostri tempi – anche un premio di consolazione (chiamiamolo così, ma sarebbe meglio dire “di umiliazione”), per l’ultimo arrivato. E questo spiega perché Dante ci tenga a sottolineare che Brunetto “parve di […] / quelli che vince non colui che perde”.

Lo svolgersi delle competizioni quaresimali infatti, codificato a partire dallo Statuto Albertino (così chiamato perché venne compilato sotto Alberto della Scala anche se reca disposizioni di molti anni anteriori al 1271) prevedeva due corse da disputarsi nella prima domenica di quaresima, una equestre e l’altra podistica: al cavaliere vincitore si dava un palio, di colore inizialmente non specificato, mentre al perdente andava una coscia di maiale. 

Lo stesso succedeva nella corsa podistica: al primo corridore un palio sempre di colore non specificato, all’ultimo un gallo. Lo Statuto Albertino venne poi compilato nuovamente da Cangrande I nel 1328 e sempre nella prima domenica di quaresima, erano previste le solite due competizioni. Per il palio a cavallo i premi erano un drappo scarlatto ed una coscia di maiale, per quello a piedi un drappo verde (il “drappo verde” dantesco) ed un gallo.

È interessante notare però che già con lo Statuto di Giangaleazzo Visconti, approvato nel 1393, le corse divennero tre: il solito palio a cavallo (un drappo di velluto al vincitore, una coscia di maiale all’ultimo) e due invece le corse a piedi, la prima riservata agli uomini (palio rosso al primo, gallo all’ultimo) e l’altra invece aperta alle sole donne, alla vincitrice delle quali era destinato il “drappo verde”, senza dimenticarsi anche qui del gallo per la meno veloce. 

Il palio verde insomma che al tempo di Dante era destinato agli uomini, fu da Giangaleazzo Visconti assegnato alle donne, ma – attenzione! – con la postilla che per la conquista del drappo, recita lo statuto, “correranno donne oneste, anche se ce ne fosse una sola, se invece non ci sarà alcuna donna onesta che corra, allora in sostituzione verranno accettate anche le prostitute”. Lo spettacolo, insomma, deve continuare!

Non molto tempo dopo il 1450, dopo cioè che Verona passò sotto la dominazione veneziana, lo statuto cittadino fu infine nuovamente riformato e modificato in una forma che si mantenne inalterata fino alla caduta della repubblica. In questa versione del regolamento di gara, il giorno delle competizioni venne spostato dalla prima domenica di quaresima al giovedì grasso, ed alle tre corse ne venne aggiunta un’altra, il palio degli asini, con un drappo bianco per il vincitore.

La cerimonia delle premiazioni infine rivestiva un’importanza particolare anche per gli stessi spettatori, non solo per tributare i dovuti onori a chi aveva primeggiato nelle due/tre/quattro gare, ma anche e soprattutto per divertirsi a spese degli ultimi, costretti da regolamento a girare per la città facendo bella mostra del “premio di consolazione”. 

Nel caso del cavaliere perdente, questi doveva attraversare Verona con la coscia di maiale appesa al collo del cavallo, coscia che, sempre da regolamento, “è lecito che chiunque la possa tagliare e portar via”. E i podisti di oggi che si lamentano per niente!

 

 

Fonte: srs di Indro Neri/Dante era un podista/run.com


Mar 05 2009

Done Done … ghe xe qua’ el Torototela

Category: Verona dei veronesigiorgio @ 09:54

Per il carnevale 2009 e’ venuto a trovarci in quel di Verona nella nostra Macelleria Equina di Via Pisano el TOROTOTELA; eccolo fra Daiana Paris e Gianluca Morando

L’è arivà el Torototela, l’è arivà el torototà! L’è arivà el Torototela, l’è arivà el torototà! E  me piase la polentina, specialmente col bacalà.

Questa è una delle  filastrocca con cui il Torototela annunciava il suo arrivo in paese, il saluto di un trovatore armato di archetto, e di rudimentale monocordo che “graffiando l’udito vi faceva  sbellicare dalle risa”.

E’ una nota macchietta piemontese, ma è presente anche in tutto il Veneto, e in molte  località della Padania, per noi Veronesi è la maschera di San Michele All’Adige.

Di solito “I Torototela”  non erano mai del luogo, ma provenivano dai paesi o da  province limitrofe, anche se tutti dicevano di provenire da Vicenza. Di sicuro si sa che tra loro vi era una un accordo comune per non farsi concorrenza: ciascuno sapeva i propri periodi e i paesi.

Lo strumento del Torototela

Tutti iniziavano col Saluto del Torototela, dopo di che proseguivano con il loro repertorio, accompagnandosi con un monocordo rudimentale detto anche “torototela”.

In Piemonte Augusto Monti, riferendosi  al  Carnevale di Monesiglio ce ne fa una descrizione : «Cilindro solino scopettoni, code di rondine, e una zucca vuota a mo’ di violino con su teso un cantino … allietava feste e ricorrenze e nozze, improvvisando stornelli e strambotti allo stridulo miagolio di quella sua giga rusticana”». 

Nel  Veneto «il Torototela aveva  un bastone ricurvo tra le cui estremità veniva tesa una corda (se grande) … con la cassa di risonanza formata da una zucca vinaria (nel Polesine detta “zzucca violina”) incastrata a guisa di ponticello tra le corde e il bastone ».

Nella zona della Bassa Padovana. Talvolta. il Torototela, al posto della zucca, aveva le mandibole

Nel Friuli,  el Torototela,  era  il nome dialettale di uno strumento a corde, una specie di chitarra, usato per animare gli antichi filò.

Il Torototela  tra  Musu Francesco e  Fabio Marastoni

Interessante la testimonianza di Pio Mazzucchi sul personaggio del Torototela rilasciata circa 50 anni fa. «Una specie di trovatore. Non ha maschera e non è camuffato in nessuna maniera. Veste come tutti gli uomini; soltanto porta due profonde bisaccie che gli scendono sulle spalle, e tiene in mano uno strumento musicale … e si presenta  baldo alla porta di casa: si pianta su due piedi …brandisce l’archetto e soffrega forte le corde…suoni scomposti confusi, sibilanti o scroscianti che graffiano maledettamente l’udito e vi fanno sbellicare dalle risa».

A Verona nel Carnevale Moderno, El Torototela,
 è un  misero vestito da mendicante, ha un bastone con appesi dei pupazzi di pezza da agitare, qualche strofetta cantata senza pretese del tipo “me piase la polentina, specialmente col bacalà”. Si ispira a un personaggio realmente esistito: un pover’uomo di Roveredo di Guà, ma abitante a Ponte Florio che già a metà degli anni Trenta veniva in città a chiedere l’elemosina, con un corredo un po’ appariscente. 
Era fattosi talmente famoso da diventare la maschera di San Michele Extra,  paese che in un tempo passato era noto per essere un posto dove “se pianta fasoi e nasce ladri de fioi”


Feb 27 2009

Verona: la Tomba di Umberto Grancelli

 

 

Chi per curiosità cercasse la tomba dove è sepolto Umberto Grancelli avrebbe non poche difficoltà a trovarla.

Chi si incammina nella città dei morti, quale è il cimitero monumentale di Verona, è colpito dalla sontuosità e dalla ricchezza delle tombe, nomi illustri, ma anche i loculi dei più umili sono impreziosite da nomi del defunto, scritte, marmi e fiori. Nel lato destro, rispetto all’entrata in un antro oscuro si susseguono sul pavimento vari chiusini e nella parete sono poste, a bel vedere, le foto con il nome dei cari estinti.

Umberto Grancelli, nonostante l’anagrafe mortuaria ci abbia indicato il numero, è difficilmente rintracciabile, nessun nome nessuna foto ci aiuta la ricerca.

Il visitatore attento potrà leggere sul chiusino 138 solo la scritta, scarna,  incisa sulla pietra: Grancelli.

Lì sotto riposa il corpo di Umberto.

In linea con l’umiltà e la semplicità della sua esistenza terrena, la tomba è anonima riportando solo l’indizio della “gens” di appartenenza.

Questo Uomo che ha dedicato la sua vita allo studio e alla ricerca dell’Anima da ancora fastidio ad una certa intellighenzia veronese.

Contrastato in vita e dimenticato ad ogni costo in morte, da quel chiusino senza nome,  i suoi studi, che qualche sciocco definisce bizzarri, troveranno voce e continuità.  Il tempo ricerca la verità, nell’opera di Umberto Grancelli si schiude l’infinito religioso che ha determinato le passioni della sua esistenza.

Al Maestro Umberto Grancelli, figlio illustre di Verona, sei sempre con noi

 

Fonte:  srs di Luigi Pellini


Feb 22 2009

Speransa par el veneto

Category: Veneto e dintorni,Verona dei veronesigiorgio @ 18:12

Grasie al so patrimonio paesagistico, storico, artistico e architetonico, el Veneto l’è, con oltre 60 milioni de turisti al’ano, la region pì visità d’Italia. 

Le lingue pì parlè i è el Veneto e l’Italian. 

In certe zone se parla el ladin, el furlan e el cimbro. 

La proposta de lege volta a tutelar la lengua veneta come espresion del patrimonio culturale dei Veneti l’è stà approvà dal consiglio regional a stragrande magioransa el 28 marso 2007. 

El Veneto, insieme ala Sardegna, l’è una dele do regioni italiane che vede i so abitanti riconosui uficialmente come popolo.

 

Fonte: Dino de sandra


Feb 22 2009

Seto ci l’è el Dino?

Category: Monade satira e rattatuje,Verona dei veronesigiorgio @ 16:17

 

El Dino da Sandrà no l’è un politico.  No l’è un scritor.  No l’è un giornalista e gnanca un profesor. 

Seto ci l’è el Dino?


El Dino l’è un butel che ga oia de pasar la duminica al bar coi so amisi a vardar le partìe. 

El Dino l’è un butel che de tanto in tanto ga oia de ciavar co la so morosa, e se la morosa no la gh’è el se ciava anca na galina coi calseti. 

El Dino l’è un butel che ga oia de farse na bela magnada e in mona tuti i rompibale.


El Dino l’è un butel che vol goderse le belese del mondo ndo sen capitè a vivar. 

El Dino te sé ti! 

 

Fonte: dino.da.sandra


Feb 21 2009

Verona: La sfilata de «VENARDI GNOCOLAR 2009». Anche i Tosi ballano la tarantella

Category: Verona dei veronesigiorgio @ 16:41

Tra due ali di folla sfila in piazza Bra il carro «Anche i tosi ballano la tarantella» del gruppo Brusalitri di Oppeano: una maxicaricatura del sindaco Tosi circondato dai cartelli con i suoi ormai famosi divieti 

Si rinnova per la 479ª volta la tradizione del Carnevale di Verona, il corteo nelle strade del centro richiama cittadini di ogni età

Di Alessandra Galetto

Foto Marchiori

 

Partecipazione record nonostante il freddo, suggestivo anche lo spettacolo «by night» dopo il tramonto

In almeno 40mila hanno sfidato ieri un rigido pomeriggio di febbraio per seguire la sfilata dei carri e partecipare alla festa del 479° «Bacanal del Gnoco», il primo ad offrire i carri illuminati, al calar delle tenebre. Insomma un Venardi gnocolar con un corteo che si è chiuso in notturna. E, come avviene da qualche anno, ieri il carnevale veronese ha offerto anche quella vena ironica sui problemi dell’oggi e sull’attualità politica. 

Lo dimostrano i due carri «dedicati» al sindaco Flavio Tosi (nella foto, quello sui divieti istituiti), sindaco che anche con la sua partecipazione «popolaresca» alla sfilata, ha accentuato questo nuovo aspetto del Bacanal che «riflette» sul presente. 

Sarà ricordato come il carnevale di Flavio Tosi. 

E c’è da sperare che il 479° Papà del Gnoco, al secolo Pietro Robbi detto Sandokan, non sia un tipo troppo permaloso, perché il suo primato ieri pomeriggio ha rischiato di essere scalzato dal successo ottenuto dall’apparizione del sindaco Tosi tra la folla della Bra, salito di persona sui due carri a lui ispirati, il numero 39 intitolato «Se fossi sceriffo» ideato da Pozzomoretto, e il 49 «Anche i tosi ballano la tarantella» dei Brusalitri di Oppeano. Salito a metà del Liston sul primo e poi davanti a palazzo Barbieri sul secondo, Tosi ha salutato con cappello da sceriffo in testa la folla che lo applaudiva, togliendo almeno in parte la prima pagina al sovrano che (ancora) detiene il «piron», che nel caso della tradizione nostrana vale come scettro, cioè il Papà del Gnoco.

«Mi sono calato nella parte», ha ammesso il sindaco, a proposito del look da sceriffo, aggiungendo: «A carnevale ogni scherzo vale, anche questo. E poi ci ho guadagnato: nel carro sono stato ritratto più bello di quanto sia in realtà, mi è andata bene». 

Ma andiamo con ordine. La manifestazione, cominciata alle 14 circa con la partenza da porta Nuova del corteo lungo sei chilometri, costituito da una settantina di carri e oltre 7.500 figuranti, è stata favorita dal tempo: se il 2008 aveva visto una giornata grigia e nebbiosa, questa volta il cielo sereno, nonostante l’aria fredda, ha invogliato i veronesi a partecipare. 

Circa 40mila persone, secondo i dati forniti dai vigili, hanno assistito alla sfilata, con tutti i parcheggi a ridosso del centro presi d’assalto. Solo pochi però hanno resistito fino alla fine. Infatti che il 479° Bacanal del gnoco, oltre che come il carnevale di Tosi, potrà essere ricordato anche come quello del corteo senza fine: anche troppo lungo. È vero che gli organizzatori lo avevano annunciato e il patron Luigi D’Agostino, ieri prima delle 15 in Bra lo aveva ribadito: «La novità di questa edizione è l’arrivo in notturna a San Zeno, con i carri illuminati». Ma è finita verso le 21, oltre le previsioni.

Il colpo d’occhio c’è stato, va riconosciuto, maschere e carri dopo il tramonto sono apparsi suggestivi, ma eccessive pause tra un carro e l’altro, soprattutto nella seconda parte della sfilata, hanno reso difficile per il pubblico assistere a tutto lo spettacolo. 

Un peccato, perché proprio alla fine hanno sfilato alcuni dei nuovi carri, grandi e sgargianti nei loro colori: come «Dei e miti di oggi», «il Pandamonio», «Perbacco che Venere», «Inferno 2009». Da segnalare per l’ironia il carro riferito a Tosi, «Anche i tosi ballano la Tarantella»: il viso gigante del sindaco sbuca dall’Arena circondato dai cartelli dei «suoi» divieti: dai panini alla prostituzione, dall’accattonaggio agli alcolici.

Qualche problema si è avuto all’altezza della svolta di ponte Nuovo: alcuni carri, di grandi dimensioni, non sono riusciti subito a compiere la manovra necessaria per immettersi su lungadige Rubele e si sono incastrati, c’è voluto un intervento speciale per riprendere la sfilata. Anche questo ritardo ha reso più difficile per il pubblico seguire tutta la sfilata: quando gli ultimi carri sono passati, in giro c’era poca gente. Molto efficiente invece il servizio dell’Amia: già intorno alle 18.30 le macchine pulitrici erano in azione in stradone Maffei e corso San Fermo.A.G.

Fonte: srs di Alessandra Galetto,   da L’arena di Verona del  Sabato 21 Febbraio 2009

CRONACA, pagina 7 /Foto Marchiori


Dic 11 2008

Il vigile al servizio del cittadino oramai è una leggenda del passato.

Category: Verona dei veronesi,Verona società e politicagiorgio @ 00:45

Vigili in piazza Bra

Lo spiega bene il bel articolo di Silvino Gonzato, giornalista de L’Arena. Una volta il «cana» ( il vigile) stava con la gente e non era un esattore. “I cana fanno festa. Viva i cana» scrive la Olga”. «Io e il mio Gino siamo vecchi abbastanza per ricordarci di quando il cittadino aveva ben altra considerazione per il cana.

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Dic 10 2008

Verona Rinasce la Reggia di Re Teodorico

Gli scopritore della reggia. A destra Luigi Franchi

 

Palazzo di Teodorico Il passato che  riaffiora. Due anni fa la scoperta-rivelazione dove nel 500 d.C. presumibilmente si trovava il castello del Re Teodorico, oggi un progetto per la sua valorizzazione A due anni dalla   localizzazione della reggia nei pressi della piazzetta Martiri della libertà, oggi, l’idea di valorizzare quanto acquisito, creando percorsi turistici ad hoc nei luoghi dove nel 500 d.C. presumibilmente si trovava il castello del re.

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