Nov 18 2017

IL VACCINO PIÙ IMPORTANTE CHE NESSUNO FA!

Category: Salute e benesseregiorgio @ 00:15

 

 

 

C’è un vaccino che in Italia fanno in pochissimi bambini. Un vaccino che andrebbe somministrato per la prima volta a un anno e mezzo di vita. E da lì in poi tutti gli anni, a garantire una copertura stabile, almeno fino agli otto, nove anni d’età. Il vaccino previene un deficit importante. Un deficit che non andrebbe trascurato, ma che purtroppo la maggioranza dei genitori ed educatori perde colpevolmente di vista: stiamo parlando del vaccino contro il deficit d’immaginazione

 

Dal momento che l’immaginazione, quale facoltà mentale fondamentale e insostituibile dell’essere umano, vive la sua maggior fioritura tra i 18 mesi e gli 8/9 anni di vita di ciascun individuo, siamo convinti che sia proprio lì, a quell’età, che tutti dobbiamo iniziare a preoccuparcene, mettendo in atto ogni mezzo in nostro possesso per salvaguardarla da qualsiasi pericolo, da qualsiasi cosa possa nuocerle o, peggio, estinguerla. L’immaginazione va protetta. Ne va del nostro benessere, di quello delle future generazioni. Ne va della stessa sopravvivenza dell’uomo, per come siamo stati abituati a conoscerlo: un animale sociale, razionale e spirituale. Un animale con in più l’immaginazione. La facoltà che, per l’appunto, lo rese sociale, razionale e spirituale. 

 

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Nov 17 2017

IN BOCCA AL LUPO…IL SIGNIFICATO

Category: Pensieri e parolegiorgio @ 00:09

 

 

Non tutti conoscono la bellezza del significato del modo di dire “in bocca al lupo”.

L’augurio rappresenta l’amore della madre-lupo che prende con la sua bocca i propri figlioletti per portarli da una tana all’altra, per proteggerli dai pericoli esterni.

Dire ‘in bocca al lupo’ e’ uno degli auguri più belli che si possa fare ad una persona.

E’ la speranza che tu possa essere protetto e al sicuro dalle malvagità che ti circondano come la lupa protegge i suoi cuccioli tenendoli in bocca.  
Cosa rispondere, quindi, all’augurio “In bocca al lupo”?

Frasi come “Lunga vita al lupo” oppure “Evviva il lupo” oppure semplicemente “Grazie”.

 

Nella lingua francese si trova – se précipiter dans la gueule du loup – precipitarsi in bocca al lupo

 

 


Nov 16 2017

LA PRIVACY È IL SURROGATO DELLA MENZOGNA

Category: Monade satira e rattatujegiorgio @ 00:19

 

 


Nov 15 2017

L’AMERICA È STATA SCOPERTA DAI FRATELLI ZEN, VENEZIANI, NEL 1390

Category: Storia e dintorni,Storia moderna e revisionismogiorgio @ 00:18

 

 

Il nostro giro delle isole si arricchisce di un viaggio davvero unico, quello narrato da Andrea Di Robilant nel suo libro Irresistibile Nord, che mi ha raccontato un pomeriggio in un bar di Monteverde. Un viaggio che comincia nel 1300, anzi ancora prima nell’anno Mille, e in cui c’è una mappa misteriosa, degli indigeni cannibali, delle isole che non esistono e, tra l’altro, l’inconsapevole scoperta dell’America.

 

 

Intervista ad Andrea Di Robilant

 

 

Stavo nella Biblioteca Marciana, a Venezia, quando è entrato un turista americano in calzoni corti, maglietta e cappellino che era sceso da una delle navi crociera che solcano il canale della Giudecca. Si aggirava con un foglietto di carta, perciò mi sono alzato per aiutarlo. Lui mi ha dato il foglietto con su scritti due nomi “Nicolò e Antonio Zen” che a me non mi significavano niente. Lui allora mi ha detto: “Sa, nel paesino da cui provengo, nel Connecticut, lo sappiamo tutti che Nicolò e Antonio Zen hanno scoperto l’America nel 1390”. Io l’ho guardato strano e ho pensato: “Certo da queste navi crociera scende di tutto”. Ho tirato fuori un libro dagli scaffali, ho trovato un palazzo Zen, perché lui voleva farsi fotografare davanti al Palazzo Zen prima di tornare al suo paese. Così l’ho mandato a palazzo Zen. 

 

Sennonché qualche giorno più tardi, mentre camminavo in tutt’altra zona della città, passo davanti a un palazzo e vedo una lapide dove c’è scritto: “Qui vissero Nicolò e Antonio Zen, navigatori arditi che solcarono il nord Atlantico eccetera, eccetera”. Allora mi sono detto: “Porca miseria, l’ho mandato nel posto sbagliato!”

 

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Nov 14 2017

GLI ITALIANI TRUCIDATI DAL REGIME COMUNISTA

Category: Società e politica,Storia moderna e revisionismogiorgio @ 00:06

January 1942, Kerch, USSR — Families identify dead in Kerch, Crimea. — Image by © Dmitri Baltermants/The Dmitri Baltermants Collection/Corbis

 

 

Il comunismo inteso come regime non è mai andato al potere in Italia. In compenso ha mietuto più vittime italiane del “famigerato” regime fascista che pure ha dominato nel nostro Paese per oltre un ventennio.

 

Centinaia di italiani emigrati in Crimea nell’Ottocento soprattutto dalla Puglia, e poi dal Veneto, a partire dagli Anni Venti del ‘900 furono perseguitati dal regime comunista, prima col sequestro delle proprietà e poi con le purghe staliniane.

 

Molti di loro furono ingiustamente sospettati e accusati di attività controrivoluzionaria, furono processati e fucilati. Il 29 gennaio del 1942 avvenne il rastrellamento di tutte le famiglie di origine italiana e il loro trasferimento nei Gulag del Kazakhstan, dove i circa 1500 deportati furono decimati dal freddo, dalla fame, dalle malattie e dai lavori forzati.

 

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Nov 13 2017

DOPO CAPORETTO: LE PROFUGHE E LA POVERTA’

Category: Storia moderna e revisionismo,Veneto e dintornigiorgio @ 00:22

 

 

Di Gianni Cecchinato

 

Con lo scoppio della guerra e la chiamata alle armi di mariti, fratelli e padri parecchie donne dovettero inventarsi il ruolo di capo-famiglia, ruolo a cui non erano preparate. Quelle residenti nelle zone di guerra dovettero migrare in altre regioni affrontando esperienze nuove e difficili, soprattutto quando finirono nelle regioni del centro-sud.

 

 

– Si instaurava così un circolo vizioso, come narra una profuga friulana giunta a Cerignola (FG): “… fuggita dal mio caro paesello, durante l’invasione nemica, senza aver potuto portare con me neppure il necessario per cambiarmi, fui menata qui, in questa città delle Puglie […]. Qui non si può avere neppure l’acqua per lavarsi e devo pagarla a caro prezzo, diffalcando la spesa dall’esigua paga di lire due al giorno. Con l’enorme crescente rincaro dei viveri devo pensare a tutto con sole due lire; né posso andare in cerca di decorosa occupazione, vergognandomi di uscire dal mio ricovero così malandata e indecentemente vestita.” 

(Daniele Ceschin, “La condizione delle donne profughe e dei bambini dopo Caporetto”, in “DEP-Deportate, Esuli, Profughe, Rivista Telematica di studi sulla memoria femminile”, n. 1, 2004, p. 28). .. >

 

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Nov 12 2017

IL TESTAMENTO DI BEETHOVEN.

LA LETTERA DI BEETHOVEN AI FRATELLI CHE RACCONTA COME LA MUSICA LO ABBIA SALVATO DALLA SOLITUDINE DELLA SORDITÀ

 

Beethoven, 1820 – Joseph Karl Stieler 1781-1858

 

 

Ancora oggi la fonte della sordità di Beethoven rimane un mistero. Alcuni biografi parlano di avvelenamento da piombo – all’epoca, il piombo, si trovava ovunque, dal caffè alle acque termali – altri invece puntano il dito verso una rara patologia autoimmune. Beethoven stesso si convinse che fu un esplosione di rabbia a farlo diventare sordo. Secondo quanto riporta Alexander Wheelock Thayer, uno dei più autorevoli biografi del compositore tedesco, Beethoven si arrabbiò con un tenore che lo interruppe durante un’intensa sessione creativa. Una rabbia così intensa da portarlo a svenire e quindi cadere sul pavimento dopo essere salito in piedi sulla sua scrivania. Beethoven raccontò che dopo essersi ripreso, si accorse di non poter più udire nulla.

 

Questa condizione terrorizzò il compositore. Beethoven era certo che la sua improvvisa sordità si sarebbe rivelata sintomo di una malattia che lo avrebbe ucciso a breve. A soli trentadue anni, l’angoscia di non sapere cosa sarebbe successo alla sua vita lo portò a rinchiudersi in casa.

 

Ma il malessere peggiore, secondo Beethoven, fu la melanconia e la solitudine. “La mia sordità,” scrisse, “è meno un problema quando suono o compongo, specialmente in compagnia di altri”.

 

Ed è con questo spirito che scrisse il suo testamento nell’ottobre del 1802, con la richiesta, espressa ai due fratelli, di essere letto e rispettato solo dopo la sua morte. Un testo in cui tutta la sua sofferenza, la sua rabbia e il suo amore infinito per la musica emergono con forza.

 

 

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Nov 09 2017

QUANDO I VENETI EMIGRAVANO IN SLAVONIA….! UN PEZZO DI STORIA DA NON DIMENTICARE.

Category: Storia moderna e revisionismo,Veneto e dintornigiorgio @ 15:05

Processione dei Veneti della Slavonia attorno al 1925

 

 

Sarajevo, siamo a cena a metà strada fra il ponte dove scoppiò la prima guerra mondiale e il mercato dove il “secolo breve” celebrò l’ultima follia europea; siamo in otto e stiamo studiando il percorso del giorno dopo che ci porterà a Zagabria quando nella carta geografica lungo l’autostrada vedo scritto Kutina …”ma qua ghe xe i veneti” esclamai al che Dejan serbo-veneto che ci fece la guida per una settimana disse “si, par ti ghe xe veneti dapartuto…”
Mi sono attaccato al telefono e con poche chiamate ho stabilito il contatto giusto per il giorno dopo, l’appuntamento era proprio a Kutina nella sede dell’associazione.
Cosi’ siamo stati accolti dal “patriarca” della comunità Antun Di Gallo, che parla ancora un bellunese straordinario con le caratteristiche interdentali, dalla figlia Marieta che ha raccolto il testimone e che non parla il bellunese del padre ma un perfetto italiano (molto meglio del mio, anche se non ci vuole molto…) e da un’altra giovane ragazza Mirela Bartoluci; la sede della comunità è spaziosa, luminosa, operativa, i contatti con il Veneto e in modo particolare con il Bellunese piuttosto frequenti, anche perché durante e alla fine della guerra nella ex Jugoslavia diverse famiglie sono rientrate nel Veneto e nel Friuli, ancora più frequenti sono i contatti con l’Istria.
Ero già stato in zona nel lontano 1993 come assessore regionale alla solidarietà internazionale e mi trovai in una situazione drammatica: le nostre comunità della Slavonia erano proprio lungo il confine fra Croazia e Jugoslavia ed erano state particolarmente coinvolte, ci furono una ventina di morti fra la “nostra” gente; per fortuna la guerra è solo un brutto ricordo e in tutta la zona lo sviluppo è stato quanto mai veloce e efficace.

 

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Nov 08 2017

GLI SCIVOLI DELLE DONNE E IL RITO DI FERTILITÀ

 

Il sito di Bard all’incirca all’Età del Rame (metà IV – fine III millennio a.C.). Per quanto riguarda gli scivoli, questi appartengono ad un’epoca successiva, dal momento che hanno parzialmente cancellato le figure a cui sono sovrapposti.

 

 

Un rito di fertilità è un rituale religioso che rimette in scena un atto sessuale o un processo riproduttivo. Già nelle pitture rupestri erano rappresentati animali in procinto di accoppiarsi. Tale raffigurazione la possiamo considerare come un rito di fertilità magica. Queste ritualità avevano lo scopo di assicurare la fecondità della terra o di un gruppo di donne. 
Inizialmente il culto della fertilità era legato alla Grande Madre, generatrice e portatrice di fecondità. L’uomo primitivo rappresentava la Madre come una donna formosa con il ventre marcato per simboleggiare la fertilità.

 

A partire dal VIII millennio prima della nascita di Cristo si assiste alla proliferazione di raffigurazioni femminili legate al culto della fertilità. Il passo successivo è legato all’acquisizione del valore miracoloso della roccia. In questo contesto si inserisce lo studio legato agli scivoli della fertilità, massi utilizzati dalle donne che desideravano procreare.

Perché le pietre? Per la coscienza religiosa dell’uomo primitivo, la durezza, la ruvidità e la permanenza della materia sono una rivelazione del divino. La pietra è, rimane sempre se stessa, perdura nel tempo e colpisce. Ancora prima di afferrarla per colpire, l’uomo urta contro la pietra, non necessariamente con il corpo, ma per lo meno con lo sguardo. In questo modo ne constata la durezza, la ruvidità e la potenza. La pietra gli rivela qualcosa che trascende la precarietà dell’esistenza umana. 

 

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Nov 05 2017

VICENZA MEDIOEVALE

Category: Storia e arte,Veneto e dintornigiorgio @ 17:47

La PIANTA ANGELICA è una grande pianta prospettica della città di Vicenza, realizzata in epoca rinascimentale e conservata presso la Biblioteca Angelica di Roma, da cui prende il nome. Si rifà alle vedute di città in voga nel Cinquecento, in primis quella di Venezia realizzata da Jacopo de’ Barbari nel 1500.

 

 

di Andrea Kozlovic

 

[saggio di Andrea Kozlovic con l’avvertenza che era già stato pubblicato nel numero 2 di Storia Vicentina del giugno/luglio 1994] 

 

 

Vicenza, municipium di diritto romano dal 49 a.C., fu, durante i secoli d’oro dell’impero, piccola città della X^ Regio Venetia et Histria, ricca però per industrie, commerci, agricoltura. Testimonianza di questa opulenza, legata anche al fatto che la città era attraversata dalla via Postumia, la presenza di un acquedotto della lunghezza di più chilometri ed i cui resti sono ancora visibili poco lontano dalla città, in contrà Lobia, di un grande teatro, di ricchi mosaici pavimentali, di iscrizioni a carattere pubblico e privato. Ma anche Vicenza romana, i cui termini andavano all’incirca dall’attuale Porta Castello all’altura di Santa Corona e dalla fine di contrà Porti, dove inizia la bassura di Pusterla, a ponte San Paolo, verrà colpita come il resto dell’impero dalla crisi del IV-V secolo. Nel 451 d.C. la città verrà a trovarsi lungo l’itinerario di Attila, subendo, come molte altre città dell’Italia nord-orientale, un saccheggio che la tradizione ricorda tremendo. Vicenza farà parte poi, dopo la fine dell’impero romano d’occidente, del regno gotico e puntualmente la tradizione ricorda una visita di Teodorico alla città dove nel teatro romano di Berga concedeva contributi per il restauro di edifici in rovina.

 

 

Del successivo, breve, periodo bizantino seguito alla guerra greco-gotica, a Vicenza non rimangono tracce. Solamente un’iscrizione, nella basilica di San Felice, ricorda un ufficiale di nome Johannes, originario della lontana Armenia e che morì nella città berica in epoca imprecisata attorno alla metà del VI secolo. Secondo quanto scrive Paolo Diacono, i Longobardi – sotto la guida di re Alboino – lasciarono la Pannonia il 2 aprile del 568, lunedì di Pasqua – diretti in Italia. Forum Julii, l’odierna Cividale, Cèneda e Treviso furono le prime città conquistate; fu poi la volta di Vicenza che divenne così il quarto ducato della provincia longobarda di Austria che comprendeva l’Italia nord orientale con centro principale Verona.

 

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Nov 03 2017

VENETO: PIÙ CHE L’AUTONOMIA, HA VINTO SAN MARCO

 

 

di Stefano Lorenzetto 

 

Non ha vinto l’autonomia. Ha vinto la Serenissima. È un’altra cosa. Mai il referendum avrebbe potuto assumere in Lombardia lo spessore plebiscitario registrato in Veneto. Che cos’hanno a che vedere le valli orobiche e camune con Milano? Niente. E infatti le percentuali dei votanti lombardi differiscono nettamente da quelle, ridotte a valori omeopatici, degli elettori ambrosiani. I quali sono rappresentati da un sindaco, Giuseppe Sala, che ha preferito snobbare la consultazione e svegliarsi sotto il cielo di Parigi, al contrario del governatore Luca Zaia, che alle 7 meno un quarto, mentre faceva ancora buio, si è presentato al seggio del suo paesello per dare il buon esempio.
Il Veneto intero ha invece tutto a che vedere con Venezia. La città di San Marco è sua madre. Lo stesso dicasi di Bergamo e Brescia, i cui centri storici ancora traboccano di leoni marciani scolpiti nella pietra. Fino al 1797, fino all’Adda, era Repubblica veneta. La più longeva che sia mai esistita. Motto ufficiale: “Viva San Marco!”. Durata 1100 anni. Affogata nel sangue da un ladrone il cui nome faceva rima con Napoleone, saccheggiatore di opere d’arte (dalle Nozze di Cana del Veronese alla Cena in Emmaus del Tiziano, fatevi un giro al Louvre) e di molto altro (40 milioni di lire oro dell’epoca, depositate nella Zecca della Serenissima, pari, al valore di oggi, alla metà del debito pubblico italiano).
Se non siete mai approdati a Venezia dalla parte giusta, dal mare, dalla bocca di porto di San Nicoletto, e non vi ha preso uno struggimento, un magone, un’inspiegabile voglia di piangere vedendo in lontananza il campanile di San Marco e il Palazzo Ducale che brillano nell’oro del tramonto, lasciate perdere queste righe: non fanno per voi.

 

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Nov 01 2017

IL SESSO È IMPORTANTE NELLE TRASFUSIONI DI SANGUE?

Category: Natura e scienza,Salute e benesseregiorgio @ 16:15

 

 

Uno studio suggerisce che le trasfusioni di sangue che non tengono conto del sesso di donatore e ricevente potrebbero danneggiare quest’ultimo. Il risultato deve tuttavia essere confermato da ulteriori ricerche, poiché altri dati non sono coerenti con questa scoperta di Karen Weintraub/Scientific American

 

Ogni volta che gli operatori sanitari prendono in mano una sacca di sangue per una trasfusione, si assicurano che il donatore e il ricevente abbiano gruppi sanguigni compatibili. Ma non prestano attenzione al sesso del donatore. Un nuovo studio solleva il dubbio che le cose dovrebbero cambiare.

 

Nel primo grande studio dedicato a osservare come trasfusioni da donne che in precedenza avevano avuto una gravidanza influiscano sulla salute dei riceventi, i ricercatori hanno scoperto che i maschi sotto i 50 anni avevano 1,5 volte più probabilità di morire nei tre anni successivi alla trasfusione se ricevevano globuli rossi da una donna donatrice che era rimasta incinta. Questo implica un aumento del due per cento della mortalità complessiva ogni anno. Le riceventi donne, però, non sembrano correre un analogo rischio elevato. Lo studio di oltre 42.000 pazienti sottoposti a trasfusione nei Paesi Bassi è stato pubblicato su “JAMA, The Journal of the American Medical Association”.

La Croce Rossa americana, e gli stessi ricercatori si sono affrettati a dichiarare che lo studio non offre risultati sufficientemente definitivi per cambiare l’attuale prassi di abbinamento donatori-riceventi. Ma se questa clamorosa ricerca sarà confermata da studi futuri, potrebbe cambiare il modo in cui il sangue viene distribuito, e suggerire che milioni di pazienti sottoposti a trasfusione in tutto il mondo sono morti prematuramente.

 

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Ott 30 2017

QUESTI DENTI TROVATI IN GERMANIA POTRANNO RISCRIVERE LA STORIA

Category: Archeologia e paleontologia,Natura e scienzagiorgio @ 22:23

 

 

 

Una scoperta di 9, 7 milioni di anni ha lasciato stupefatti una squadra di scienziati tedeschi. I denti sembrano appartenere a una specie che si conosceva solo in Africa tipo “LUCY” ma 4/5 milioni di anni dopo.

Un team di archeologi tedeschi ha scoperto una serie di denti nell’antico fiume del Reno, ha annunciato Mercoledì il Museo di Storia Naturale di Mainz.

 

I denti non sembrano appartenere a nessuna specie scoperta in Europa o in Asia. Essi appartengono maggiormente a quelli appartenenti agli scheletri iniziali di ominidi di Lucy (Australopithecus afarensis) e Ardi (Ardipithecus ramidus), scoperti in Etiopia.

 

Ma questi nuovi denti, trovati nella città tedesca di Eppelsheim, vicino a Mainz, sono di almeno 4 milioni di anni più vecchi degli scheletri africani. Dopo questo ritrovamento gli scienziati erano talmente perplessi che hanno aspettato quasi un anno prima di decidersi a pubblicare questa notizia.

 

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Ott 29 2017

IN NOME DEL COSIDDETTO PROGRESSO STIAMO UCCIDENDO LA NOSTRA PARTE MIGLIORE

Category: Cultura e dintornigiorgio @ 22:32

 

 
Un tempo non tanto lontano, diciamo meno di due generazioni fa, la vita delle persone era ancora piena di piccoli, grandi segni che ne sviluppavano la parte migliore: la fantasia, la sensibilità, lo stupore davanti al mondo, la “pietas” verso gli altri e verso i defunti.

 

All’avvicinarsi della ricorrenza di Santa Lucia o del Natale, i bambini scrivevano una letterina in cui tracciavano un bilancio del proprio comportamento morale, si proponevano di migliorarlo e chiedevano, trepidando, il giocattolo tanto a lungo sognato: non lo pretendevano; lo domandavano, pur consapevoli di non averlo pienamente meritato.

 

Era una lezione di umiltà verso se stessi e un avviamento alla chiarificazione interiore. Era anche un esercizio di bello scrivere. Infine era uno stimolo alla creatività e allo sviluppo del senso estetico, perché quella letterina, che costituiva un vero e proprio evento nella vita del bambino, veniva abbellita da disegni e decorazioni che ne facevano un piccolo capolavoro di inventiva e di capacità artistiche.

 

Poi sono venute le letterine natalizie già belle e pronte: si compravano in cartoleria e avevano già tutti i disegni e le decorazioni; bastava scrivere il testo.

 

Da ultimo è scomparsa anche la letterina, così come sono scomparsi Santa Lucia e Gesù Bambino. I giocattoli li portavano direttamente i genitori, senza che il bambino avesse fatto niente per meritarseli: così, in omaggio al consumismo dilagante.

 

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Ott 26 2017

CAPORETTO VISTA DA UN “NEMICO” FURLAN

La storia vista da un soldato friulano dell’esercito Austro-Ungarico

 

Di Millo Bozzolan – ottobre 25, 2017

 

Gli austro-tedeschi a Udine

 

 

Chi vi propone l’articolo, cioè io,  non ha nessuna nostalgia per “el paròn” austriaco, allo stesso modo in cui non ama l’annessione italiana. Anche se tra le due disgrazie, la prima forse era la meno peggio.  Ma certamente è interessante leggere un pezzetto di storia, cioè lo sfondamento di Caporetto, anche dal punto di vista del “nemico”. Specie se il “nemico” è in realtà un fratello friulano.

“Batae di Cjaurêt”

 

Guido Marizza e la pagnotta.”

 

Arriva l’ottobre del ’17 e le truppe italiane sul fronte dell’Isonzo vengono sbaragliate. Per gli Austro-Tedeschi è la battaglia di Flitsch-Tolmein (Plezzo-Tolmino), per gli Italiani è la disfatta di Caporetto.

 

A Caporetto (Kobarid in sloveno, Karfreit in tedesco) la popolazione slovena si precipita festante in strada a salutare i liberatori germanici. Tarcento era stata saccheggiata dai soldati italiani in ritirata ma le truppe austriache ristabiliscono l’ordine.

 

A Udine quasi tutti gli abitanti sono fuggiti, influenzati dalla propaganda secondo cui i Tedeschi (che il giornale “Il popolo d’Italia” descriveva come dediti al cannibalismo) avrebbero assassinato tutti indistintamente. Dappertutto scene di saccheggio, vetrine sfondate, civili uccisi, soldati italiani ubriachi fradici: il nemico in fuga ha depredato la sua stessa città, dopo che i vincoli disciplinari si sono sciolti.

 

Nella città abbandonata molti soldati italiani vanno saccheggiando e appiccando incendi. In tutti i villaggi la popolazione friulana saluta cordialmente i soldati germanici, fiduciosa nel fatto che la loro impressionante vittoria avrebbe presto condotto alla pace.

 

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