La classica foto di gruppo delle giovani ricamatrici della bottega di Elisa Bacilieri (al centro, vestita di nero). Indicata dalla freccia, la signora Luigina Scotton, che entrò a lavorare all’età di nove anni.
«Per venti centimetri di decorazione a pizzo occorreva una giornata di lavoro e la paga era molto bassa» – I capricci delle signore-bene del primo Novecento e quelle dei relativi mariti – «Quel giorno il principe…»
PIZZI, delicati arabeschi ricamati punto dopo punto su seta impalpabile e frusciante, orli ricchi di fantasie arzigogolate, e finezza: piaceri destinati a pochi eletti e ad ancor meno osservatori.
Certo, non si potevano mostrare a tutti le sottovesti di seta ricamate delle signore di ottima famiglia che, nel primi anni del ‘900 si facevano cucire su misura la biancheria personale nella bottega della signora Elisa Bacilieri, in Regaste Redentore, e neppure tanta mostra si poteva fare delle mutandine «a godet», in finissimo crépe di Chine, finite a punto smetto o decorate in sangallo.
Ma certo doveva essere un piacere sottile quello di indossare della biancheria impreziosita di pizzi, che costavano giorni interi di lavoro per la loro realizzazione: «una giornata di lavoro per 20 centimetri di decorazione pizzo, ricorda la signora Elisa Scotton, che iniziò a lavorare nella bottega di Elisa Bacilieri a sole nove anni, rimanendoci poi per altri quaranta.
La bottega era unica nel suo genere a Verona, specializzata nel ricamo e nella confezione di biancheria per signora. La clientela era, ovviamente di ottima qualità, come la merce che ne usciva.
Non sempre, però alla qualità “sociale ne corrispondeva una “economica”: «Lavoravamo nove ore al giorno, ma la paga era molto bassa perché fil lavoro artigianale non era considerato per quello che valeva; molto spesso le “signorone”, spesso sussiegose perché erano mogli di avvocati o di nobili, arricciavano il naso se le mutandine facevano una piegolina o se la sottoveste tirava: e il prezzo era sempre troppo caro per loro»
Ma veniamo ai conti per una parure nuziale: dodici mutandine di seta, dodici sottovesti sempre di seta, dodici camicie da notte con relative vestaglie e cuffie: quarantotto pezzi di seta ricamata; ma non dovevano mancare dodici lenzuola, almeno, di lino e dodici tovaglie di Fiandra: e sono altri ventiquattro elementi su cui arzigogoli e iniziali non dovevano tar diletto.
Facciamo anche una media di quindici centimetri al giorno, quanti giorni sono? «Troppi, e non bisogna dimenticare gli occhielli delle camicie da uomo, altra specialità della bottega Bacilieri: per ogni camicia, quelle con tutte le piegoline davanti e il colletto rigido e inamidato, c’era da fare non meno di una trentina di occhielli per il ricambio di collo e polsini. E i clienti maschili non erano meno pignoli delle signore: guai se trovavano una grinza o una pieghetta fuori posto! »
«Il cliente più celebre? Beh, anche se non si è tatto confezionare né camicie né polsini, il principe Umberto di Savoia, è stato uno degli uomini più galanti che è venuto a far visita alla nostra bottega. Non ricordo bene la data, ma si tratta della fine degli anni ’30: Il futuro re d’Italia era venuto per assistere ad uno spettacolo al Teatro Romano e siccome la nostra bottega era a dieci metri dal Teatro noi ragazze, per l’occasione, avevamo addobbato il negozio con stendardi tricolore e ci eravamo vestite in bianco, rosso e verde: vedendoci, il principe Umberto si fermò sulla soglia e, molto cavallerescamente, si mise sull’attenti e ci salutò con molta cordialità anche dopo lo spettacolo: non so se per il tricolore o perchè eravamo venti ragazze tutte sui vent’anni.»
«Dopo la guerra era venuta la moda delle gonne plissettate dopo il’45, anche le macchine per ricamare: certo, il lavoro a mano vale infinitamente di più ma oggi, in fin dei conti, stiamo tutti più pratici e più uguali »
Fonte: _srs di Elena Cardinale, da L’Arena di Verona, di Domenica 5 agosto 1984
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