[4 settembre 2014]
Tre ricercatori dell’università australiana del New South Wales (Gary Froyland, Robyn M. Stuart e Erik van Sebille) potrebbero aver scoperto i colpevoli della creazione delle “isole di plastica”, quegli insiemi di rifiuti marini che si sono formati negli oceani: il problema è che i responsabili siamo praticamente noi tutti.
Nello studio “How well-connected is the surface of the global ocean” pubblicato su Chaos: An Interdisciplinary Journal of Nonlinear Science, il team australiano sottolinea che «le dinamiche oceaniche operano e influenzano il clima su scale temporali di mesi a millenni» e per capire come funzionino questi giganteschi e lunghi fenomeni planetari sulla superficie dell’oceano hanno cercato regioni oceaniche «nelle quali l’acqua, la biomassa e gli inquinanti restano intrappolati “per sempre” (quelle che definiamo attracting regions), o per lunghi periodi di tempo prima di riuscire ad uscirne (che definiamo asalmost-invariant regions). Mentre le regioni che attraggono possono essere di dimensioni molto piccole o di forma irregolare, se i loro bacini di attrazione sono grandi, possono comunque esercitare una grande influenza sulla dinamica globale della superficie dell’oceano.