Carbonatazione del calcestruzzo
di Lynn Yarris, lcyarris@lbl.gov
Qualche giorno fa (qui su CM) è stato pubblicato un post riguardante la carbonatazione del calcestruzzo e l’influenza del Global Warming (GW) sul fenomeno.
Prima di analizzare il fenomeno è opportuno cercare di capire di cosa si tratta.
Il cemento, componente essenziale del calcestruzzo, è il prodotto di un processo produttivo che parte da minerali silico-alluminosi di calcio (calcare, argille e marne) miscelati in opportune proporzioni e finemente macinati e accuratamente miscelati. Dopo deumidificazione ed opportuno trattamento termico all’interno di un forno rotativo alla temperatura di circa 1450 °C, il miscuglio così costituito subisce una parziale fusione dando luogo al cosiddetto clinker. Si tratta di granuli di varie dimensioni costituiti da silicati anidri di calcio, alluminati di calcio e ferriti di calcio che dopo essere stati trasformati in una polvere finissima, sono in grado di reagire chimicamente con l’acqua in modo da generare un comportamento “idraulico” della pasta così formata. Il miscuglio di cemento ed acqua, dopo il fenomeno di presa ed indurimento, genera una roccia artificiale che risulta essere molto simile ad una roccia naturale molto comune nell’area della città di Portland in Gran Bretagna. Da ciò deriva il suo nome: cemento portland.
Il cemento miscelato con acqua subisce delle complesse trasformazioni chimico-fisiche fortemente esotermiche che prendono il nome di presa. Durante la presa i silico-alluminati di calcio che costituiscono il clinker, si idratano dando luogo a silico-alluminati idrati di calcio. Per regolare i tempi di presa del cemento si utilizza il gesso o solfato di calcio biidrato. La presa avviene in assenza di aria e, quindi, anche in acqua da cui l’aggettivo idraulico che viene aggiunto al nome “ufficiale” del cemento: legante idraulico.
Questo materiale entrò nell’uso comune a partire dalla metà del 19° secolo e fu consacrato nei primi anni del secolo scorso come materiale nobile per l’industria delle costruzioni dal genio di Le Corbusier quale componente essenziale del calcestruzzo e del calcestruzzo armato. Il calcestruzzo cementizio è un materiale composito costituito da inerti (sabbia e ghiaia opportunamente assortiti dal punto di vista granulometrico), cemento ed acqua. Il materiale, fluido in origine, dopo un certo lasso di tempo dall’impasto e dal versamento nelle casseforme, si solidifica generando una “roccia” artificiale che si definisce conglomerato cementizio. Come le pietre esso è, però, un materiale fragile ed incapace di resistere a sforzi di trazione. L’introduzione delle armature metalliche all’interno della massa fluida ha consentito di realizzare un materiale in grado di resistere anche agli sforzi di trazione: il calcestruzzo armato meglio noto, anche se in modo impreciso, come cemento armato (il cemento è, infatti, solo uno dei componenti del calcestruzzo).
Il calcestruzzo ha origini antichissime e fu il materiale che consentì ai Romani di diventare i più grandi costruttori dell’antichità. Essi, però, non utilizzavano il cemento, ma un altro legante idraulico di origine naturale: la pozzolana. Quando si parla di Colosseo, per esempio, non dobbiamo pensare al calcestruzzo moderno, ma al calcestruzzo antico che presenta caratteristiche completamente diverse dall’odierno calcestruzzo. Il calcestruzzo romano era costituito da laterizio ridotto in frammenti di varia pezzatura (coccio pesto), pozzolana e grassello di calce (idrossido di calcio ottenuto dalla bagnatura dell’ossido di calcio o calce viva, prodotta a sua volta, dalla cottura del carbonato di calcio o calcare). La pozzolana è un minerale di origine vulcanica che presenta spiccate caratteristiche idrauliche: è in grado di reagire con l’idrossido di calcio contenuto nel grassello di calce in modo da ottenere dei silicati ed alluminati di calcio che sono in grado di far presa ed indurire anche in acqua. Miscelando in opportune proporzioni la pozzolana ed il grassello di calce si ottiene un materiale in cui è quasi del tutto assente l’idrossido di calcio che presenta grande durabilità in quanto molto resistente all’azione dell’ambiente: aria marina, acqua salmastra, acque meteoriche e via cantando.
Aggiungendo la pozzolana al clinker di cemento portland in opportune quantità si ottiene quello che si definisce cemento pozzolanico che ha caratteristiche particolarmente importanti. Lo stesso risultato si può ottenere aggiungendo al clinker di cemento portland la loppa d’altoforno (un sottoprodotto siderurgico): in questo caso si parla di cemento d’altoforno. Altri additivi capaci di dare caratteristiche “pozzolaniche” al cemento solo le ceneri volanti ed il fumo di silice (sostanze vetrose ottenute come sottoprodotti di processi industriali).
Il calcestruzzo di cemento portland ha buone caratteristiche meccaniche, ma è afflitto da un grosso problema: è poco durabile in quanto è facilmente attaccabile dagli agenti atmosferici. Le acque piovane, quelle provenienti dallo scioglimento della neve e le acque ricche di anidride carbonica lo dilavano con facilità rimuovendo il cemento e mettendo a nudo gli inerti costituenti il calcestruzzo che, privi dell’azione legante del cemento, si staccano facendo perdere coerenza e consistenza al calcestruzzo. Quando il calcestruzzo è armato, però, il problema più grosso è costituito dalla carbonatazione.
Nella massa del calcestruzzo realizzato con cemento portland sono presenti discrete quantità di idrossido di calcio [ Ca(OH)2 ] che creano un ambiente fortemente basico. Quando l’idrossido di calcio reagisce con l’anidride carbonica presente nell’aria, però, si genera carbonato di calcio (CaCO3) ed acqua. Ciò determina una riduzione del PH del calcestruzzo. In assenza di armature metalliche la cosa non produce molti problemi anzi il calcestruzzo diventa più duro, ma in presenza di armature metalliche i problemi diventano enormi.
Le armature metalliche (ferri) inserite nel calcestruzzo, come già accennato, sono in grado di garantire al calcestruzzo capacità meccaniche tali da consentire alla struttura realizzata di sopportare anche sforzi di trazione. L’acciaio, da cui sono costituite queste armature, è protetto dalla corrosione in quanto il calcestruzzo normalmente è un ambiente reso alcalino dalla presenza dell’ idrossido di calcio. Durante la fase di presa il calcestruzzo raggiunge livelli di alcalinità molto alti (PH>12) in grado di passivare l’acciaio e bloccare qualsiasi processo di ossidazione.
Quando il PH del calcestruzzo scende al di sotto di 9 (a causa della carbonatazione, per esempio) il calcestruzzo non è più in grado di proteggere le armature in acciaio per cui esse cominciano ad ossidarsi trasformandosi, cioè, in ossido di ferro.
L’ossidazione delle armature avviene con un forte aumento di volume (fino a 5 volte il volume iniziale) che genera forti azioni trasversali nel calcestruzzo che, pertanto, si lesiona (ricordiamo che ha scadente resistenza a trazione) fino a che la parte di materiale circostante le armature (copriferro) viene espulsa mettendo a nudo le armature. La foto in testa al post ne è un esempio illuminante.
A questo punto si capisce che per ridurre i fenomeni di corrosione delle armature è necessario mantenere alto il PH del calcestruzzo e, quindi, evitare che la CO2 penetri nel calcestruzzo e, in ogni caso, sia il più lontana possibile dalle armature metalliche. Ciò significa che il calcestruzzo deve essere realizzato in modo che non si fessuri e che non sia poroso. Sia le fessure che i pori agevolano, infatti, la penetrazione dell’anidride carbonica nel calcestruzzo, la carbonatazione dello stesso e, in ultima analisi, la corrosione delle armature. Il calcestruzzo va pertanto protetto mediante l’applicazione di prodotti che producano film impermeabili all’aria o all’acqua contenente anidride carbonica in soluzione, aumentando la compattezza del calcestruzzo e diminuendo, quindi, la porosità dello stesso. Altra soluzione è quella di aumentare lo spessore del copriferro, cioè del calcestruzzo che separa il ferro dalla superficie del manufatto in modo da ritardare il più possibile l’avanzamento della carbonatazione.
Sembra inoltre che l’uso di cemento pozzolanico o d’altoforno ostacoli la carbonatazione.
Visto che la pozzolana e la loppa d’altoforno (oltre ad altri additivi come il fumo di silice o la cenere volante) reagiscono con l’idrossido di calcio presente nel calcestruzzo trasformandolo in carbonato di calcio, sembrerebbe che l’uso di tali cementi aggravi il fenomeno della corrosione delle armature. Tali cementi sono in grado, però, di incentivare la produzione dei silicati idrati di calcio che avendo struttura fibrosa tendono a chiudere i pori del calcestruzzo riducendo la permeabilità del calcestruzzo alla CO2 atmosferica. Essi rendono, inoltre, il calcestruzzo molto più resistente al dilavamento ed all’attacco dei cloruri e dei solfati. Recenti ricerche consentono di affermare, inoltre, che la basicità del calcestruzzo non è influenzata dal tipo di cemento utilizzato.
Concludendo possiamo dire che la CO2 atmosferica determina la carbonatazione del calcestruzzo, per cui, un aumento della concentrazione della CO2 atmosferica dovrebbe aumentare la velocità con cui avviene la carbonatazione del calcestruzzo e, quindi, aumentare il pericolo di corrosione delle barre di armatura del calcestruzzo, diminuendo la sua durabilità soprattutto se esso è stato realizzato con cemento portland e non è protetto mediante pitture e/o rivestimenti idonei. Allo scopo di ridurre questi rischi è necessario che i manufatti in calcestruzzo armato siano ben progettati e soprattutto ben realizzati.
Per quel che riguarda il calcestruzzo romano il paragone sarebbe da evitare in quanto, a differenza di quello moderno, non era armato e quindi non presentava i problemi dell’attuale calcestruzzo armato.
In tutto quanto questo mi chiedo cosa centri il GW (con o senza A). La temperatura, a quanto mi risulta, non influenza la permeabilità del calcestruzzo a meno che non raggiunga valori molto elevati: in questo caso la dilatazione termica può produrre formazione di fessure e, quindi, maggiori vie d’accesso alla CO2. Si dovrebbero però registrare aumenti di temperature di diversi gradi, non di pochi centesimi o decimi di grado. Mi si risponderà dicendo che nel 2100, se tutto va storto, le temperature potrebbero aumentare di 4/6°C. Non mi preoccuperei più di tanto in quanto, norma alla mano, l’aspettativa di vita di una struttura ordinaria in calcestruzzo armato è di circa 50 anni. Le strutture speciali possono arrivare a 100 anni.
Gli edifici già costruiti nel 2100, per legge, avranno superato la vita media di progetto e, quindi, andrebbero demoliti e, eventualmente, ricostruiti. Per quel che riguarda i nuovi edifici, se ben progettati e realizzati, non dovrebbero presentare rischi connessi alla carbonatazione in quanto la problematica è stata ampiamente studiata da diversi decenni (almeno 3 come posso testimoniare per esperienza diretta) e, quindi, da prima che si cominciasse a parlare di AGW.
Ancora una volta possiamo dire che più che dalla paura irrazionale, le nostre scelte devono essere guidate dalla razionalità della mitigazione del rischio connesso alla carbonatazione (questo reale).
Fonte: visto su Climatemonitor del 22 ottobre 2014
Link: http://www.climatemonitor.it/?p=36667
RITORNO AL FUTURO? CON IL CALCESTRUZZO ROMANO
Mercati Traiani
I muri di calcestruzzo dei Mercati di Traiano a Roma hanno superato la prova del tempo e degli elementi per quasi 2.000 anni. Essi sono anche sopravvissuti a un forte terremoto nel 1349.
Nessuna visita a Roma è completa senza una visita al Pantheon, ai Mercati di Traiano, al Colosseo, o ad altri spettacolari esempi di antichi monumenti romani, fatti con il calcestruzzo, che hanno superato la prova del tempo e degli elementi per quasi duemila anni.
Una scoperta chiave per comprendere la longevità e la resistenza del calcestruzzo romano è stata fatta da una collaborazione internazionale e interdisciplinare di ricercatori che utilizzavano fasci di raggi X da una sorgente luminosa avanzata (ALS), del Lawrence Berkeley National Laboratory (Berkeley Lab) e del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE).
Lavorando con la linea di luce ALS linea di luce 12.3.2, uno strumento a micro-diffrazione nel quale un superconduttore piega i raggi X, il team di ricerca ha studiato una riproduzione della malta romana fatta di cenere vulcanica, che era stata precedentemente sottoposta a esperimenti e test di frattura presso la Cornell University. Nelle pareti di calcestruzzo dei Mercati di Traiano, costruiti verso il 110 d.C., la malta si lega con frammenti di tufo e mattoni. Attraverso l’osservazione dei cambiamenti mineralogici che hanno avuto luogo nell’indurimento della malta, per un periodo di 180 giorni, e confrontando i risultati con i campioni originali, vecchi di 1900 anni, il team ha scoperto che un idrato cristallino del legante impedisce la moltiplicazione delle microfessure.
“La malta resiste alla microfessurazione attraverso la cristallizzazione in situ di strätlingite, un silicato stabile di calcio e allumino che rafforza le zone di interfaccia e la matrice cementizia”, dice Marie Jackson, una scienziata del Dipartimento d’ingegneria civile (UC) e ambientale della Facoltà di Berkeley dell’Università della California, che ha condotto questo studio. “L’interposizione dei densi cristalli di platipecilo ostacola la propagazione di microfessurazioni e preserva la coesione alla scala di micron, il che a sua volta permette al calcestruzzo di mantenere la sua resistenza chimica e l’integrità strutturale in un ambiente sismicamente attivo, a scala millenaria”.
Jackson, vulcanologa di formazione, che ha condotto uno studio precedente con ALS su calcestruzzo romano immerso in acqua di mare, è l’autrice di un articolo che descrive questo studio negli Atti della National Academy of Sciences (PNAS) dal titolo “Mechanical Resilience and Cementitious Processes in Imperial Roman Architectural Mortar”. Co-autori dell’articolo sono Eric Landis, Philip Brune, Massimo Vitti, Heng Chen, Qinfei Li, Martin Kunz, Hans-Rudolf Wenk, Paulo Monteiro e Anthony Ingraffea.
Da sinistra: Marie Jackson, Qinfei Li, Martin Kunz e Paulo Monteiro a ALS Beamline 12.3.2 dove hanno condotto uno studio sugli antichi calcestruzzi romani.
Le malte che legano i composti di cemento utilizzati per costruire le strutture della Roma Imperiale sono di grande interesse scientifico, non solo a causa della loro resilienza senza pari e della loro durata, ma anche per i vantaggi ambientali che essi offrono. La maggior parte dei calcestruzzi moderni sono vincolati da cemento calcareo Portland. La produzione del cemento Portland richiede il riscaldamento di una miscela di calcare e argilla a 1450 gradi Celsius, un processo che rilascia abbastanza carbonio, visti i 19 miliardi di tonnellate di cemento Portland utilizzati annualmente, tanto da rappresentare circa il sette per cento del totale di carbonio emesso in atmosfera ogni anno.
La malta di cemento dei romani, invece, è una miscela di circa 85 per cento (in volume) di cenere vulcanica, acqua fresca e calce, che viene calcinata a temperature molto inferiori rispetto al cemento Portland. Pezzi grossolani di tufo e mattoni compongono circa 45 – 55 per cento (in volume) del calcestruzzo. Il risultato è una significativa riduzione delle emissioni di carbonio.
“Se fossimo in grado di trovare il modo di integrare una componente volumetrica sostanziale di roccia vulcanica nella produzione di calcestruzzi speciali, potremmo ridurre notevolmente le emissioni di anidride carbonica associate alla loro produzione e migliorare anche la loro durata e resistenza meccanica nel tempo”, spiega Jackson.
Come parte del loro studio, Jackson e i suoi collaboratori presso l’UC di Berkeley hanno usato ALS linea di luce 12.3.2 per fare misure della micro-diffrazione di raggi X su campioni di malta romana che erano spessi soltanto circa 0,3 millimetri. “Abbiamo ottenuto diffrattogrammi ai raggi X per molti punti diversi all’interno di un dato microstruttura cementizia”, dice Jackson. “Questo ci ha permesso di rilevare i cambiamenti di associazioni di minerali, il che ha dato indicazioni precise dei processi chimici attivi su aree molto piccole”.
Il calcestruzzo degli antichi Romani è costituito da pezzi grossolani di tufo e mattoni legati da una malta di calce cenere vulcanica che resiste alla microfessurazione, una chiave per la sua longevità e resistenza.
I cambiamenti mineralogici che Jackson ei suoi collaboratori osservano hanno mostrato che la riproduzione dell’antica malta acquistava forza e resistenza per oltre 180 giorni, mentre il silicato idrato di calcio-alluminio (CASH) si consolidava e i cristalli strätlingite crescevano nelle zone di interfaccia tra le scorie vulcaniche e la matrice di malta. L’indurimento di queste zone di interfaccia si riflette nella capacità morfologica di bloccare la fessurazione, che è stata misurata dal co-autore Landis dell’Università del Maine, con tomografia computerizzata dei campioni di malta fratturati. Questi risultati sperimentali si correlano bene con i calcoli di crescente energia di frattura determinati dal co-autore Brune, ora a Dupont Technologies. I cristalli di strätlingite mostrano corrosione e le loro superfici lisce suggeriscono stabilità a lungo termine, simile a quella della strätlingite geologica che persiste per centinaia di migliaia d’anni.
“La cristallizzazione in situ dei cristalli di strätlingite produce zone d’interfaccia che sono molto diverse da qualsiasi microstruttura interfacciale osservato in calcestruzzi di cemento Portland”, dice Jackson. “L’alta porosità lungo le zone d’interfaccia di inerti in calcestruzzo di cemento Portland crea i percorsi di fratturazione, attraverso i quali le prime fratture si propagano”.
Una sfida per i ricercatori del futuro, Jackson dice, sarà quella di “trovare il modo di attivare aggregati, come scorie o come cenere vulcanica, ad esempio, in calcestruzzi innovativi in modo che questi possano sviluppare rinforzi di strätlingite nelle zone di interfaccia come le malte costruttive dei romani”.
Gli esperimenti di prova di frattura della Cornell University sono stati guidati dal co-autore Ingraffea. I campioni di malta provenienti dai Mercati Traianei sono stati forniti dal co-autore Vitti e dalla Soprintendenza Capitolina di Roma Capitale. Il co-autore Kunz è il ricercatore di ALS linea di luce 12.3.2.
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Questa ricerca è stata sostenuta dalla National Science Foundation e dalla Biblioteca Loeb presso la Harvard University. L’Advanced Light Source è una strumentazione scientifica avanzata del DOE Office of Science.
Il Laboratorio Nazionale Lawrence Berkeley, fondato nel 1931, affronta più urgenti sfide scientifiche di tutto il mondo per portare avanti l’energia sostenibile, la protezione della salute umana, la creazione di nuovi materiali, e rivelando l’origine e destino dell’universo. Le competenze scientifiche di Berkeley Lab sono state riconosciute con 13 premi Nobel. L’Università della California gestisce Berkeley Lab per il Dipartimento dell’Energia dell’Office of Science degli Stati Uniti.
Per saperne di più, visita: http://www.lbl.gov.
L’ufficio del DOE of Science è il singolo più grande sostenitore della ricerca di base nelle scienze fisiche negli Stati Uniti, e sta lavorando per affrontare alcune delle sfide più urgenti del nostro tempo.
Per ulteriori informazioni, si prega di visitare il sito web dell’Ufficio di Scienze: science.energy.gov/.
Fonte: EurekAlert, 15/12/2014.
Fonte: visto su LIUTPRAND.it del 15 dicembre 2014
Link: http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=571