Dal testo di Francesco Zanotto
“Non sì tosto videro i Barbari avanzarsi la poderosa flotta cristiana, non tennero fermo, e dieronsi a fuga preciptosa. Senonchè accorso, con molte genti, in aiuto di quella città già occupata dai nostri, il governatore della provincia, Malabano Sorbassi, come il Diedo lo appella, venne compiutamente battuto e vinto dai nostri così, che fugata l’oste avversa, dopo di avere lasciato sul campo molti estinti, rientrarono i nostri alle Smirne, dandola al sacco … ”
ANNO 1471
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Dopo la clamorosa e tragica perdita di Negroponte, la flotta veneziana si riorganizza malgrado la disastrosa condizione finanziaria. Navi della Serenissima al comando di Pietro Mocenigo riescono a raggiungere addirittura le coste turche saccheggiando alcuni importanti porti …
LA SCHEDA STORICA – 82
Si può ben immaginare l’impatto che ebbe a Venezia la notizia della strage e della conquista di Negroponte per mano dei turchi di Maometto II. La notizia sorprendeva del resto una città stanca e demoralizzata dall’ immobilismo degli altri stati cristiani che avevano praticamente delegato alla sola Venezia il compito ingrato di arginare l’avanzata turca.
Ma Venezia era ormai agli stremi finanziari e il morale degli uomini non era certo alle stelle. Per di più ora, si aggiungeva una tremenda sconfitta. Una sconfitta che travolgeva inevitabilmente il comandante Niccolò Canal che all’ultimo momento aveva rifiutato lo scontro diretto con le navi turche per tentare di togliere l’assedio alla capitale dell’isola.
Venne prontamente così allestita una commissione inquirente che valutasse le reali responsabilità del Canal. L’incriminazione costò comunque in via preventiva la rimozione dello stesso dalla carica che venne presto occupata da Pietro Mocenigo.
Niccolò Canal venne quindi arrestato e tradotto a Venezia in catene per essere sottoposto a giudizio. Al momento dell’arresto il comandante non oppose alcuna resistenza: “Son qua a obedienza, fate de mi quel che ve piase” sembra abbia mormorato. Il 19 ottobre giunse quindi a Venezia accompagnato dal figlio e venne subito rinchiuso in carcere.
Il processo che pochi giorni dopo ebbe inizio, si concluse inevitabilmente con una sentenza di colpevolezza. L’accusa più grave fu quella di essersi ritirato di fronte alle navi nemiche nello stretto di Negroponte e di aver permesso che le stesse abbandonassero indisturbate la città dopo averla brutalmente saccheggiata e orribilmente trucidato i suoi abitanti.
Malgrado le pesanti accuse, tuttavia, il Canal però non venne imputato di alto tradimento, accusa che non gli avrebbe lasciato certamente scampo. Venne invece confinato a Portogruaro e condannato a pagare un’ammenda di 500 ducati, oltre naturalmente alla confisca dello stipendio.
A mitigare la condanna contribuì senza dubbio l’ineccepibile passato del Canal, per trent’anni fedele ed integerrimo servitore della repubblica, più come diplomatico, del resto, che come militare. Quest’ultimo aspetto, probabilmente, fu il fattore determinante per la sua salvezza: l’errore non fu suo, ma di coloro che affidarono un compito così difficile e vitale ad un uomo che fino ad allora si era più distinto per le sue doti culturali che per quelle militari.
Intanto in quel medesimo anno moriva anche il doge Cristoforo Moro dopo quasi dieci anni di sfortunato e impopolare governo, in gran parte a causa dell’inefficienza dimostrata nel fronteggiare positivamente l’avanzata turca nel Mediterraneo, culminata con la perdita di Negroponte.
Sul trono ducale salì allora Niccolò Tron, uomo di altissima statura e affetto da una marcata balbuzie. Mercante collaudato, Tron aveva fatto la sua fortuna esercitando appunto una redditizia attività commerciale a Rodi. In segno di lutto portava una lunga barba dopo la perdita di un figlio proprio a Negroponte.
La guerra: un disastro economico!
Quando Niccolò Tron salì sul trono ducale, il nuovo doge potè rendersi presto conto della disastrosa situazione finanziaria in cui versavano le casse dello Stato. Venezia era letteralmente sull’orlo della bancarotta.
Il solitario impegno bellico contro i turchi costava da solo a Venezia 1.250.000 ducati l’anno, una somma che non solo portò il governo ducale a ricorrere ancora una volta ad un prestito forzoso, ma che indusse il nuovo doge ad una drastica riduzione di tutti gli stipendi dei più alti e quindi meglio retribuiti funzionari pubblici, incluso quello dello stesso doge.
La situazione finanziaria era talmente disperata che tutti senza eccezioni vennero chiamati al sacrificio. Ma Venezia era veramente stanca di dover sopportare da sola tutto l’onere e il peso dello sforzo bellico per bloccare l’avanzata ottomana. La perdita di Negroponte, almeno in questo senso, ebbe la positiva conseguenza di indurre alcuni principi europei a coadiuvare l’azione dei Veneziani.
Il nuovo pontefice Sisto IV, il re di Napoli Ferdinando e il Gran Maestro di Rodi, promisero al governo ducale la loro assistenza inviandogli alcune galee che si unirono così alle navi del nuovo comandante generale de mar Pietro Mocenigo.
Questi si portò immediatamente con la flotta verso il Mediterraneo orientale dopo che alcuni tentativi diplomatici per arrivare alla pace con Maometto II erano presto e miseramente falliti.
Quale base delle sue operazioni belliche, Mocenigo scelse Modone, l’importante porto della Morea all’estremità meridionale del Peloponneso, già in parte occupato dai turchi. Le prime incursioni veneziane riguardarono proprio queste zone che vennero infatti attaccate e saccheggiate, ma il vero obbiettivo erano in realtà le coste della vicina Anatolia.
Dopo una breve sosta a Lesbo, Pietro Mocenigo durante la notte portò la sua flotta a Pergamo saccheggiando le terre circostanti. Dopo aver danneggiato altri porti delle isole vicine, fece ritorno alla base. Per via gli si unirono altre diciassette galee del re di Napoli e grazie a questi rinforzi riprese da lì a poco tempo le sue incursioni lungo le coste turche. Giungevano intanto altri rinforzi: venti galee vennero infatti spedite dal pontefice e due dai Cavalieri di Rodi formando così una flotta di complessive 85 unità.
Con questa Pietro Mocenigo si diresse nuovamente verso l’Anatolia dove nell’estate del 1472 riuscì a saccheggiare gli importanti porti di Antalya, Alicarnasso e di Smime. In quest’ultima circostanza uno dei capitani del re Ferdinando riuscì in un’avventurosa sortita ad incendiare l’arsenale navale dei turchi a Gallipoli.
Certo, queste isolate e sporadiche azioni più che a una vittoria rispondevano a un profondo desiderio di rivincita da parte dei veneziani dopo la perdita di Negroponte, ma riaccesero le speranze.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA, volume 3, SCRIPTA EDIZIONI
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