Prima ancora
che il diritto a emigrare
va riaffermato
il diritto a non emigrare
cioè a essere in condizione
di rimanere nella propria terra
Papa Benedetto XVI
Giu 15 2016
Prima ancora
che il diritto a emigrare
va riaffermato
il diritto a non emigrare
cioè a essere in condizione
di rimanere nella propria terra
Papa Benedetto XVI
Giu 14 2016
Femminicida per età mentale
Dopo che “tutta la città ne parla”, e poi la società passa ad altro senza una diagnosi, aspettiamo il prossimo “femminicidio”: già il termine mette fuori strada, serve come falsa diagnosi ideologica (un “delitto di genere”, ho sentito persino dire) che assolve la “cultura” corrente, quella della liberazione sessuale, e della società che si gloria di non essere “repressiva”.
A costo di ripetersi, bisogna richiamare l’idea della “invasione verticale dei barbari”.
Ogni nuova generazione di neonati è una invasione di barbari che invadono non dall’esterno, ma dall’interno e dal basso la società; la società ha il compito di educarli, disciplinarli, renderli civili prima che diventino adulti. Il che significa anche – soprattutto – fargli subire dei sacrifici e delle sconfitte esistenziali, in modo da far maturare i loro caratteri.
Come sicuramente avete avuto modo di constatare, un bambino fra i 3 e i 5 anni è un mostro morale: strillante, imperioso, spaccatutto, pieno di rabbia, del tutto soggetto ai suoi impulsi immediati, è pronto ad uccidere, bruciare e distruggere se non li soddisfa. Il treenne mette a segno infatti numerosi tentativi di omicidio – di fratelli, di papà e mamme, di cani e gatti, di oggetti che lo ostacolano in qualunque modo e non pochi atti di autolesionismo criminale (ingoiare automobiline…).
Giu 13 2016
Di Roberto Della Seta
È giusto ed è utile introdurre una specifica sanzione penale per chi nega la Shoah? La questione, di cui si discute da anni, ritorna di attualità ora che il Senato ha approvato quasi all’unanimità (tra i pochissimi astenuti la senatrice a vita Elena Cattaneo) un disegno di legge che intervenendo su una legge del 1975 – la cosiddetta legge Reale nata per contrastare i fenomeni di terrorismo – dispone un aumento di pena di tre anni di carcere per i casi nei quali l’istigazione e l’incitamento a commettere atti di discriminazione razziale, reato già presente nel codice penale, si fondano “in tutto o in parte sulla negazione della Shoah ovvero dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra”.
Continua a leggere”DA EBREO, SONO CONTRO IL REATO DI NEGAZIONISMO”
Giu 12 2016
Gianni Mura
Una conversazione a tutto campo con Gianni Mura, su come è cambiato il mondo e su quello che ci siamo persi, da Milano al mondo dell’informazione
Ad arrivarci in bicicletta, poco dopo l’ora di pranzo di un giorno bollente di giugno inoltrato, la sede milanese di Repubblica sembra una specie di avamposto in un territorio ostile e alieno. A poche centinaia di metri da piazzale Lodi, i suoi due palazzi di vetro — un parallelepipedo slanciato per Manzoni, un cubo tozzo per il gruppo L’Espresso — sono sormontati da una decina di parabole che captano il mondo, lo stesso mondo che le diverse decine di giornalisti che in quel cubo ci lavorano ogni giorno, cercano, chi più chi meno, di raccontare e interpretare.
Nel labirinto di stanze e corridoi di quel cubo c’è anche una stanza occupata quasi per intero da una scrivania affollata di documenti, libri, appunti, con un pacchetto di MS light che spunta in mezzo alle carte. È un disordine che lascia al computer soltanto il minimo spazio vitale. Un’emarginazione del digitale che forse è casuale, anche se, dopo aver parlato con il proprietario, viene da pensare che in qualche modo non lo sia, ma che sia piuttosto una sorta di psicosomatismo dello spazio che reagisce e si adegua a chi lo occupa.
Dietro alla scrivania c’è un signore di 70 anni dallo sguardo limpido, un’espressione vagamente malinconica e una barba grigia, tranquillizzante come il tono di voce, i cui sporadici scatti si manifestano a livello lessicale. Si chiama Gianni Mura ed è uno dei più bravi giornalisti sportivi italiani di sempre. Anzi, meglio, è tra le migliori penne del giornalismo italiano di tutti i tempi, punto.
Continua a leggere”GIANNI MURA: IL PROBLEMA DEL GIORNALISMO È CHE NON SI OCCUPA PIÙ DELLA REALTÀ”
Giu 11 2016
Cecilia Carreri
Avete presente «la giudice malata» che «fa la velista» (Corriere della Sera), la «giudice in mutua condannata dal Csm» perché «aveva partecipato a una regata transoceanica» (La Stampa), la «toga fannullona» che «si fingeva malata ma girava il mondo in barca» (Il Giornale)? Ma sì che ve la ricordate, titoli come questi non si dimenticano facilmente.
Be’, le cose non sono andate affatto come le abbiamo sempre raccontate.
Primo: quando Cecilia Carreri partecipò alla regata Transat da Le Havre a Salvador de Bahia, citata da tutti i giornali, non era né «in mutua» né in malattia: godeva di un regolare periodo di ferie.
Secondo: a prescriverle l’attività fisica, compresa quella nautica, per alleviare il suo stato di sofferenza fisica e psichica furono i medici Leonardo Trentin (terapia antalgica, ospedale San Bortolo di Vicenza), Enrico Castaman (ortopedia, ospedale di Montecchio Maggiore) e Luigi Pavan (psichiatria, Università di Padova), che non sono mai stati né interrogati né tantomeno inquisiti.
Terzo: il Gip di Trento ha archiviato «perché il fatto non sussiste» il procedimento penale per truffa ai danni dello Stato; anzi, la perizia ordinata dal Pm ha accertato che la magistrata soffriva davvero di una grave patologia lombosacrale con discopatie multiple e di uno stato depressivo importante, dovuto alla morte dei genitori, come attestato da 68 certificati medici, da 7 Tac e dalla cartella clinica del reparto di terapia antalgica e come avvalorato da tutte le visite fiscali, tanto che non le fu mai revocata l’aspettativa per motivi di salute.
Quarto: non è stata condannata e neppure censurata quale assenteista, «per cui darmi della falsa malata costituisce a tutti gli effetti una calunnia».
Quinto: a stroncarle la carriera sono stati i suoi colleghi di sinistra dalla coscienza sporca. La giudice skipper s’era infatti macchiata di colpe inescusabili: lavorava più di loro (il fascicolo personale parla per lei); denunciava le gravi illegalità commesse a palazzo di giustizia; veniva celebrata dalla Gazzetta dello Sport e da Le Figaro come «il magistrato che sfida il mare verticale»; soprattutto non s’era mai iscritta ad alcuna corrente della magistratura e non aderiva agli scioperi di categoria.
Continua a leggere”CECILIA CARRERI. «IO, LA GIUDICE VELISTA TRAMUTATA IN MOSTRO»”
Giu 10 2016
Cecilia Carreri
La ex giudice: «c’era una completa omissione di controllo sulla gestione padronale Zonin». E sulle sue dimissioni dalla magistratura: «accanimento giudiziario e diffamatorio»
Riceviamo e pubblichiamo un comunicato inviatoci dalla ex magistrato Cecilia Carreri, in relazione alle vicende della Banca Popolare di Vicenza.
Il giudice Cecilia Carreri, nota per il suo rigore, la sua correttezza ed efficienza nei lunghi anni trascorsi nel Tribunale di Vicenza, ebbe a rigettare nel 2002 la pressante richiesta del Procuratore Antonio Fojadelli per l’archiviazione di un procedimento penale a carico del Presidente della Banca Popolare di Vicenza Gianni Zonin ed altri, fascicolo che, oltre ai reati contestati, conteneva fatti molto gravi che avrebbero richiesto nuove imputazioni e indagini, da estendere a più personaggi inseriti nel gruppo bancario, sopratto al collegio sindacale e al CDA. Come scrisse allora il giudice Carreri, in quanto emergeva da una perizia d’ufficio e da un’ispezione della Banca d’Italia, vi era una completa omissione di controllo sulla gestione padronale Zonin, in conflitto di interessi tra quelli delle sue aziende private e quelli della banca.
Giu 09 2016
di Dwight D. Murphey – 02/04/2010
Truppe tedesche delle SS allineati contro un muro del campo di concentramento di Dachau, il giorno della sua liberazione.
Chi narra con onestà gli eventi umani, odierni o remoti, appartiene ad una stirpe tanto rara quanto onorabile. Dovremmo senz’altro elevarli nel pantheon degli dei terreni.
Allo stesso modo, indubbiamente, vi dovremmo annoverare anche coloro che, non già per disaffezione verso l’Occidente o gli Stati Uniti o il suo popolo, bensì per sete di verità, portano alla luce gli spaventosi avvenimenti che furono conseguenza della Seconda Guerra mondiale (così come le enormità commesse come parte del modo in cui la guerra fu combattuta contro le popolazioni civili, sebbene questo non sia argomento che vogliamo investigare in questa sede).
Quella Guerra gli americani la conoscono come “the good war” e coloro che la combatterono sono noti come “the greatest generation”. Ma adesso, lentamente, veniamo colpiti da realtà così banali rispetto alla complessa esistenza umana: tanto vi fu che non era affatto “buono” e, insieme all’abnegazione ed agli intenti elevati, ci furono molta venalità e brutalità. Queste realtà vengono a galla perché esistono degli studiosi che, quantomeno, sono consapevoli che un oceano di propaganda bellica genera un mito che resta per vari decenni, e che hanno una dedizione per la verità che travolge le molte lusinghe di conformità al mito.
Continua a leggere”GERMANIA DEL DOPOGUERRA, STRAGI E PIANO MORGENTHAU”
Giu 08 2016
Jesse Owens e Adolf Hitler in un fotomontaggio
La storia si sa, la scrivono i vincitori. Anche quella delle Olimpiadi. E così fino ad oggi tutti quanti (o quasi) abbiamo dato credito alla storiella di Hitler, cattivissimo cancelliere nazista razzista, che si rifiuta di stringere la mano al povero “negro” Jesse Owens, reo di aver rappresentato il “mondo libero” e di aver fatto incetta di medaglie alle Olimpiadi di Berlino del ’36, quelle di Olympia della Riefensthal e della celebrazione della grandezza del Terzo Reich.
Oggi questa storiella strappalacrime probabilmente affollerebbe i social network, per poi essere derubricata a “bufala”.
Purtroppo invece ce la siamo dovuta sorbire per ottanta anni, nonostante lo stesso Jesse Owens abbia smentito il fatto nella sua autobiografia del 1970: “Dopo essere sceso dal podio, passai davanti alla tribuna d’onore per tornare negli spogliatoi. Il Cancelliere mi fissò. Si alzò e mi salutò con un cenno della mano. Io feci altrettanto, rispondendo al saluto. Giornalisti e scrittori dimostrarono cattivo gusto tramandando un’ostilità che, di fatto, non c’era mai stata“.
Dichiarazioni del diretto interessato che non vennero però prese sul serio nemmeno negli Usa, dove le leggi razziali erano state abolite solo da pochissimi anni e alle parole di quel “negro” forse non si dava peso.
Continua a leggere”TUTTO CIÒ CHE SAI SU JESSE OWENS E HITLER È FALSO”
Giu 07 2016
I CRIMINI DEGLI AMERICANI – SECONDA GUERRA MONDIALE: LO STERMINIO DI ALCUNI MILIONI DI TEDESCHI – RHEINWIESENLAGER – LE CONDIZIONI NEI CAMPI DEL RENO
La verità si differenzia dalla mezza verità in modo che essa abbracci l’intera realtà.
Atrocità della seconda guerra mondiale: la storia non è quella che ci hanno raccontato
L’intera realtà conta anche che per il popolo tedesco e quello che seguì dopo l’8 maggio del 1945 furono anni di pura oppressione. Il destino dei Tedeschi fu particolarmente atroce ed umiliante nelle zone di occupazione in mano agli americani, ai sovietici e ai francesi.
Dopo l’8 maggio 1945, alcuni milioni ( il numero esatto deve essere ancora stabilito) di tedeschi furono eliminati dagli alleati vincitori. Milioni di prigionieri tedeschi furono sterminati, o persero la vita, nei campi di sterminio delle potenze vincitrici. In totale furono 16 milioni i tedeschi che abbandonarono la Germania dell’Est, o che furono con atti di forza scacciati via. La cosa più sconvolgente fu lo stesso atto di forza, che fu attuato con incredibile e sconvolgente ferocia. Milioni di cittadini tedeschi assassinati dagli invasori, o ammazzati durante la fuga.
Come motivi di morte sono stati forniti per iscritto: Fucilazioni, uccisioni violente, strangolamenti, accoltellamenti, morti per violenze, evirazione di genitali, crocifissioni, flagellazioni, corpi calpestati a morte, corpi vivi bruciati e abbrustoliti, corpi tagliati a pezzi, rotolati nelle acque fino alla morte, e corpi gonfiati d’aria.
Giu 06 2016
Pietrangelo Buttafuoco s’è convertito all’islam? Al posto della coppola ha messo il turbante? Pare proprio di sì, pare che adesso si chiami Giafar al Siqilli, Giafar il siciliano.
Dico “pare” perché se qualche giornale dell’area ideal-politica che lo ha in simpatia dà l’evento per certo, leggendo questo Il feroce saracino: la guerra dell’islam. Il califfo alle porte di Roma il racconto della conversione è più sfumato, più ellittico. Buttafuoco scrive di ricerca, anzi di “cerca della direzione” e pare di averla incontrata, osservando la qibla, la direzione della Mecca. Ma manca la parola greca decisiva che spiega nella nostra tradizione religiosa a partire quanto meno da San Paolo il cambiamento interiore: metanoia, in latino conversio.
Buttafuoco in verità evita deliberatamente il termine “conversione”, perché per lui si tratta di un “ritorno”, e usa questo termine riferito a sé (il ritorno all’islam siciliano) oltre che ai propri idoli intellettuali Henry Corbin, René Guénon, Martin Lings, islamisti “tornati” all’Islam. Nel Saracino scrive «Io di mio non ho perso nulla del passato incontrando l’islam perché – per me, ma lo è per tutti in tutto il mondo – è stato un ritorno». Tuttavia desumiamo questa conversione, ormai certa, per fatti concludenti. Apprendiamo che Buttafuoco legge sempre il Corano da cui non si stacca mai. Pare che abbia incontrato la sua Damasco in Sicilia, a Donnalucata, osservando Mohammed il capo dei bagnini: qui ebbe «visione dell’elegante abbandono ad Allah». Afferma inoltre con orgoglio di aver scritto il primo romanzo musulmano in lingua italiana (L’ultima del diavolo). Ma il diavolo si nasconde nel dettaglio. Giafar dice che in paradiso gusterà i tortellini «ripieni di tritato di manzo, non certo di prosciutto», segno che proprio di conversione si tratta. Non c’è “ritorno” qui, ma una metanoia gastronomica vera e propria, non solo l’adesione a un “mito”, ma a un “rito”, a un precetto religioso. Nel suo paradiso non si mangia maiale.
Giu 05 2016
Averroè, in arabo Ibn Rushd. Filosofo arabo (Córdoba 1126 – Marrakech 1198). Appartenente a una famiglia di giudici, seguì egli stesso questa carriera e fu giudice a Siviglia. Dal 1182 fu medico dei califfi Abu Ya’qub Yusuf ibn al-Mu’min e Abu Yusuf Ya’qub al Mansur. Nel 1195 cadde in disgrazia a causa delle accuse degli ortodossi; la protezione del califfo Abu Yusuf Ya’qub al Mansur gli salvò la vita, ma dovette andare in esilio in Marocco.
In un vecchio libro di Paul Bairoch – Lo sviluppo bloccato – si poteva leggere che intorno all’anno Mille le tre grandi civilizzazioni culturali del mondo di allora, l’arabo-islamica, l’europeo-cristiana e la cino-confuciana erano grosso modo allo stesso livello. Chiunque sia stato a Cordova, a Granada e nell’Andalusia spagnola non ha difficoltà a riconoscere lo splendore e la raffinatezza a cui erano giunti i musulmani di Spagna. Poi, sempre in quel torno di tempo tra il IX e l’XI secolo successe qualcosa, e da allora le tre civilizzazioni culturali hanno cominciato a marciare secondo propri indirizzi e velocità.
È proprio in quell’epoca che Robert R. Reilly in un suo recente volume The closing of muslim mind – How the intellectual suicide created the modern islamist crisis (ISI Book, 2010) individua le cause mentali-culturali che hanno condotto una splendida civilizzazione culturale verso uno dei più grandi drammi intellettuali nella storia umana.
Continua a leggere”IL SUICIDIO INTELLETTUALE MUSULMANO ALLA BASE DELL’ATTUALE CRISI ISLAMICA”
Giu 04 2016
Un omaggio ai martiri del miracolo italiano
Giancarlo De Bortoli
Giancarlo De Bortoli costretto a chiudere l’azienda, svela i segreti dei grandi stilisti: “Mi davano 24 euro per una camicia e 40 per un abito. Venduti in boutique a 490 e 890”
Lo chiamano made in Italy, ma è più sfatto che fatto. Diciamo pure marcio. In cima alla scala ci sono i signori della moda. Venerati e intoccabili: ci mettono la faccia. Un gradino sotto stanno i terzisti. Carne da macello: ci mettono il sangue.
Giancarlo De Bortoli, 61 anni, titolare della Herry’s confezioni di Pramaggiore, dove il Veneto sfuma in Friuli, era un terzista. Lo hanno vampirizzato:
«Sto portando i libri in tribunale. Il mio mondo finisce qui. Avrei dovuto smettere prima. Ho resistito fino all’ultimo per le dipendenti, che erano la mia famiglia. È stato tutto inutile. Sia ben chiaro: non è colpa né del governo, né delle banche. Sono stati gli stilisti a strangolarmi, lentamente ma inesorabilmente. E allora mi sono detto: dichiara fallimento da solo, Giancarlo, cadi con onore, non farti mettere i sigilli di ceralacca dall’ufficiale giudiziario».
Continua a leggere”COSÌ I SIGNORI DELLA MODA AIUTANO I CLANDESTINI E FANNO FALLIRE GLI ITALIANI”
Giu 03 2016
Dove comanda le donne
e i ara i campi con le vacche
i laori non i va mai avanti.
Antico proverbio veneto
Giu 02 2016
1- Ma no ti gà na casa ciò?! : frase ideata da un simpatico signore di bassa statura proveniente dalle campagne vicine a Venezia; venditore di piante che, dice, provengono dalle sue terre. Invita la gente a comprarle facendogli notare che, se hanno una casa di loro proprietà o in affitto, devono per forza abbellirla con una delle sue piante. A Venezia si usa dire questa frase in molti casi: per salutare un caro amico, per dirgli come va, per dirgli che sarebbe ora di finire di lavorare e che sarebbe ora che tornasse a casa. La si usa anche in stadio contro i tifosi della squadra avversaria. Una piccola aggiunta: mi è data notizia che questa frase non sarebbe propria del signore di bassa statura ma plagiata. Un edicolante in campo della Guerra, vicino a San Marco, lo redarguiva in questo modo gridando appunto “ma no ti gà na casa, cio?” per invitarlo a andare via dalla zona in modo da non rompere i coglioni con le sue proposte di acquisto.
2– Oii! : a Venezia lo dicono tutti. Dal gondoliere che avvisa la sua presenza all’ incrocio di un rio (variante: “Aooe!“), alla persona che vuole fare baruffa, come saluto ad un amico caro e a quello che sta per arrabbiarsi.
3– Andemo vedere cossa fa el marco. Si usa per congedarsi da qualcuno dicendo una frase buttata là ma con un doppio significato: andiamo a vedere (in un ufficio cambio) quanto viene valutato il marco tedesco (adesso non più usato per l’uso dell’euro) ma allo stesso tempo, scherzosamente, si vuol anche dire di andare a vedere cosa fa l’amante (il “marco”) a tua moglie.
4– Sìe ore ea cresse, sìe ea càea. Ogni sei ore l’acqua entra dal mare alla laguna per poi ritornarci. Questa è una frase che viene detta a chi, per esempio, si arrabbia perché a lui va tutto storto: lo si consola dicendogli che per quanto gli vada male prima o dopo sicuramente gli andrà bene. Per lo stesso motivo per chi si gongola troppo della sua fortuna.
Continua a leggere”LINGUA VENETA: TUTTI O QUASI I MODI DI DIRE IN VENEZIANO”
Giu 01 2016
SI PUÒ SCEGLIERE LA STRADA SBAGLIATA PER NOBILI MOTIVI E QUELLA GIUSTA PER CALCOLO E OPPORTUNISMO
mmm!!! E’ troppo poco.
FALSO COME GIUDA, GIRAFRITTATE DELLA MADONNA, FAR SÌ CHE CIÒ CHE È STATO NON SIA, CON UN TOCCO TI RIGIRA IL DISCORSO, TI METTE IN BOCCA PAROLE CHE NON HAI MAI DETTO MA CHE ANZI HA DETTO LUI, SCALTRISSIMO NELLA DIALETTICA DELLA MENZOGNA, SEMPRE PRONTO A RITRATTARE DAVANTI A CRISTO TUTTO QUELLO CHE HA PROFERITO, VENDENDO IL PROSSIMO PER IL PROPRIO TORNACONTO, CAPACE DI PUGNALARE UN AMICO ALLE SPALLE.
…( xxxx )
SI! ESATTO …PROPRIO LUI!