di ROMANO BRACALINI
Un lettore di origini calabresi, Franco Scarola, residente in Brasile, scrive a Mario Cervi del Giornale che i suoi genitori furono costretti a lasciare la loro terra che, essendo “nelle mani degli antichi i baroni”, dava poche speranze di vita. Terre, scrive ancora il lettore, in cui vigeva il feudalesimo, i contadini non contavano nulla ed erano costretti all’emigrazione, mentre l’Europa era avviata verso la modernità.
La lettera si chiude con la domanda: perché mai personaggi come Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour e Mazzini, i cui nomi si trovano nelle principali piazze e vie d’Italia, sono onorati dal popolo che da loro è stato sfruttato e massacrato?
Finalmente un lettore meridionale che non ci rifila la solita solfa di un Sud prospero e ricco prima che venissero i “piemontesi” a depredarlo. Non può essere né evoluto né ricco un paese rimasto feudale fino al 1860 e dove l’economia era basata sul latifondo.
Del resto una monarchia vincente come quella sabauda non poteva non glorificare nelle piazze gli uomini che si erano battuti per la causa italiana. Perfino Mazzini, condannato due volte a morte in contumacia dai Savoia, entrò nel Pantheon degli eroi.