Ponte Garibaldi negli anni Trenta con le statue dei «strachi»
COSTRUZIONE D’AVANGUARDIA. Per tenere il conto degli incassi, gli addetti alla riscossione mettevano in un recipiente un fagiolo per ogni palanchetta incassata
I più giovani, per risparmiare, si portavano a spalle l’un l’altro Ma c’era chi sceglieva di fare il giro passando da Ponte Pietra
Perché inserire il notissimo ponte Garibaldi, che collega il centro storico con il quartiere di Borgo Trento, nella «Verona nascosta»? Decisamente per la sua curiosa storia che è ignorata da gran parte dei veronesi. Il ponte fu la sintesi dell’ingegneria in ferro più futuristica e di un sistema di conteggio con i fagioli, che sembrerebbe riportare alla preistoria.
Dove è stato gettato il ponte Garibaldi, fino a metà dell’Ottocento, vi era un traghetto, riprodotto in una celebre veduta paesaggistica di Verona nel Settecento, una grande tela che si trova a Firenze, dipinta dal pittore olandese Gaspar Van Wittel (1653-1736). Il traghetto cessò l’attività all’inizio dell’Ottocento. Poi, nel 1855, un ingegnere inglese, Alfredo Enrico Newille, presentò alle autorità municipali della Verona austriaca, un progetto per la costruzione di un ponte in ferro che fu subito approvato.
Casper van Wittel – Verona: San Giorgio in Braida. 1710.
Tuttavia, solo il 22 maggio 1861, Newille sottoscrisse il contratto davanti al notaio Giuseppe Donatelli: la costruzione era a sue spese, ma otteneva dal Municipio un diritto di pedaggio per pedoni e veicoli, con tariffe da stabilire di comune accordo. Newille costruì anche un palazzo, a sinistra della testata dalla parte della città, destinato a uffici e ad abitazione dell’amministratore, al quale competeva il controllo dei pedaggi.
Il 16 agosto 1864, il vescovo Luigi di Canossa inaugurava il ponte. Era una grande opera di ingegneria, del tutto nuova per la città: 75 metri di lunghezza per 8,90 di larghezza, aveva tre arcate e tubi di ferro come piloni. I marciapiedi ai lati erano separati dalla carreggiata con tralicci in ferro, mentre la pavimentazione era formata da tavole di legno. L’incasso dei pedaggi del 17 agosto, primo giorno di transito, fu di 20 fiorini, che furono dati in beneficenza agli Asili infantili.
Assai curiose anche le tariffe di transito: un soldo e mezzo a persona, 2 soldi per bue, cavallo o manzo; 3 per un carretto trainato a mano e da un asino, 7 soldi per il carretto trainato da due cavalli, 8 soldi per una carrozza a due cavalli o per un carro tirato da due cavalli o buoi e mezzo soldo per una pecora, un maiale o una capra. Se erano previsti i pedaggi, vuol dire che allora passavano anche questi animali. Ma l’aspetto più originale riguardava il metodo di controllo dei passanti. Gli addetti alla riscossione erano sistemati in due garitte alle testate del ponte, mentre nella loggetta pensile, costruita all’angolo di palazzo Newille, un incaricato, al passaggio di ogni persona, animale o mezzo di trasporto, metteva in un apposito recipiente un fagiolo per ogni «palanchetta» della tariffa.
Tanti fagioli dovevano corrispondere ad altrettanti soldi: questo rudimentale sistema di contabilità pare funzionasse molto bene. Fino al 1890, vi era anche un corpo di guardia, mentre un robusto portone di ferro sbarrava il ponte dalla parte della città: veniva chiuso, alle 8 di sera, dopo il suono di una campanella, e riaperto all’alba, in modo che nessuno potesse passare di notte.
Quando Verona divenne italiana, le tariffe aumentarono e furono incluse le automobili, che pagavano 10 centesimi, la metà, se erano vuote. Si dovevano sborsare due centesimi per ogni due piedi, che toccavano il piano del ponte. Così per risparmiare, i ragazzi si portavano a spalle l’uno con l’altro.
C’era anche chi faceva il giro del ponte Pietra, ma si consumavano le suole e, dunque, non si sapeva con certezza quale delle due soluzioni fosse più conveniente. Le ragazze si lamentavano perché rovinavano i tacchi e le punte delle scarpe nelle assi di legno, che spesso erano sconnesse.
Il ponte venne intitolato a Garibaldi, dopo che l’eroe dei due mondi vi passò il 7 marzo 1867: andò a trovare un amico Carlo Sega, che abitava nella zona del Cesiolo, sulla strada per Avesa.
Nel giardino di casa Sega, che oggi non c’è più, quel giorno furono poste a dimora due piante e l’edificio fu chiamato, come ricordava un’altra lapide, «villa Caprera». Ma torniamo al ponte Garibaldi.
Superò le più terribili alluvioni di quegli anni, compresa quella del 1882, che mandò sott’acqua l’intera città. Intanto nasceva e si ingrandiva il quartiere di Borgo Trento: il pedaggio cominciava a pesare nei bilanci dei veronesi. Vi furono proteste e si formò un comitato che aprì una sottoscrizione tra i maggiori utenti: furono raccolte 1.625 lire. Finalmente, nel 1915, il Municipio cittadino ottenne da Newille il privilegio, versando 180 mila lire, e così il pedaggio fu tolto. Il ponte in ferro, ormai insufficiente e di bassa portata, venne demolito nel 1934. L’anno dopo, fu inaugurato il nuovo ponte in cemento armato, abbellito da quattro grandi statue sedute, in pietra, opera di Ruperto Banterle, famoso scultore del tempo: rappresentavano Garibaldi, il nocchiero, Anita e l’agricoltura.
Dai veronesi furono ironicamente battezzate «i strachi». Anche questo ponte venne fatto saltare in aria la notte del 25 aprile del 1945 dai tedeschi in fuga e le statue rimasero nel greto del fiume, per tantissimo tempo. Fu ricostruito e riaperto al transito, il 10 novembre 1947.
Fonte: srs di Emma Cerpelloni, da L’Arena di Verona di Sabato 21 Agosto 2010, CRONACA, pagina 19
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Giuseppe Garibali: L’eroe dei due mondi venne in visita ufficiale a Verona, il 7 e l’8 marzo 1867
Giuseppe Garibaldi
L’eroe dei due mondi venne in visita ufficiale a Verona, il 7 e l’8 marzo 1867: la nostra città era italiana da soli cinque mesi e altri tre mesi prima, il 3 dicembre 1866, gli vennero intitolate dal Consiglio comunale due strade, via San Pietro in Monastero e via San Fermo di Cortalta, che da via Rosa portavano all’Adige. La sua visita ufficiale fu un avvenimento. Il suo treno arrivò alle cinque e mezza del pomeriggio del 7 marzo, con un’ora e mezza di ritardo: la folla, impaziente, aveva riempito la stazione ferroviaria già alle tre. Il giorno dopo, dal balcone di casa Canestrari in piazza Bra pronunciò, davanti a una grande folla, le celebri parole «O Roma, o morte».
Il giorno dopo, quando ripartì, Garibaldi lasciò alla giunta comunale un autografo firmato: «Serberò eterna memoria dell’accoglienza superiore ad ogni merito mio, ricevuta in Verona», con la data dell’8 marzo.
Fonte: da L’Arena di Verona di Sabato 21 Agosto 2010, CRONACA, pagina 19
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