Basilica di San Zeno, restauri 2010
L’ individuazione del significato primario rivestito dal quartiere di S. Zeno nel panorama della romanità di Verona era già compiuta da Felice Feliciano attorno al 1463, quando dedicava all’amico Andrea Mantegna la sua silloge di iscrizioni latine (Verona, Bibl. Capitolare, Cod. CLXIX), che, prendendo le mosse da Verona, inizia elencando una ventina di epigrafi riunite attorno a S. Zeno e S. Procolo.
Questa larga presenza di materiale epigrafico nella zona trova la sua motivazione nel fatto che qui si estendeva la più grande necropoli della città romana. Le aree cimiteriali erano allora frazionate all’esterno della cinta urbana lungo le principali vie pubbliche. Così attorno a Verona abbiamo la presenza sicura di aree cimiteriali non solo a S. Zeno ma anche alla Trinità, presso la strada Claudia Augusta Padana diretta a sud, verso Ostiglia. Una terza necropoli era quella fra S. Nazaro e via XX Settembre, lungo l’importante strada romana nota come via Postumia, vero asse longitudinale della regione padana ed asse generatore dell’assetto viario di Verona romana. Anche la necropoli di S. Zeno, fedele a questa regola, si sviluppò lungo la via Gallica, diretta verso Brescia e Bergamo. Una necropoli minore è attestata nella zona di S. Giovanni in Valle.
In età paleocristiana presero forma nuove aree cimiteriali di più modesta consistenza, come quella attorno a S. Elena, cioè in area urbana, e quelle di S. Stefano e di S. Pietro in Castello.
Nessun’altra delle necropoli veronesi ci ha tramandato così copioso materiale epigrafico e tanto significativo per la definizione del carattere di una necropoli romana.
Così sappiamo dal Da Persico che ancora nel 1820, salendo al presbiterio di S. Zeno, in antica lapide incastrata in un gradino, si leggeva una dedica alle Parche Auguste, posta da Atilia Valeri (CIL, V,3280).
Ma da S. Zeno proviene anche la dedica agli Dei Mani, che ricorda la presenza di un’immagine di Priapo entro il recinto sepolcrale, e questo ci insegna come i romani associassero l’immagine dell’area funeraria a quella di un giardino. Entro questi recinti di varia misura e che, come documenta la citata ara di Priapo, potevano avere perfino un’area di quattrocento metri quadrati, trovavano posto monumenti funebri di varia forma, dei quali abbiamo sufficiente campionatura in quelli superstiti e descritti.
Un indizio della vastità della necropoli fu offerto dal ritrovamento di tombe romane, avvenuto in via Caserma Chiodo, corrispondente all’attuale via del Bersagliere, nel 1888, vicino ai muraglioni dell’Adige, alla profondità di circa tre metri. La necropoli pertanto si estendeva dall’attuale fronte di piazza S. Zeno fino all’Adige, per una profondità di almeno trecento metri.
La densità delle sepolture risaltò in tutta la sua evidenza nel corso dello scavo per i gabinetti sotterranei nel dicembre 1967, quando nell’area, non molto vasta, si misero in luce e si distrussero decine di tombe di varia tipologia, da quelle alla «cappuccina» costruite di grandi tegoloni, inclinati a formare una cavità di sezione triangolare, a quelle a cassa in lastre di Prun, alle deposizioni entro anfore segate.
Certamente questa densità andava diradando man mano che si procedeva da qui verso l’Adige. Infatti, sempre in via Chiodo, nel 1887, si ebbe il solo ritrovamento di carattere non funerario di tutta la zona. In un cortile del palazzo dei conti Chiodo, alla profondità di circa un metro, si scoperse un’anfora ansata romana contenente almeno tremila monete d’argento, in perfetto stato di conservazione, distribuite da Nerone fino a Lucio Vero. Il Municipio di Verona ne rifiutò l’acquisto e vennero vendute ad un numismatico di Milano. Nessuna segnalazione però che questo ritrovamento si accompagnasse ai resti di una qualsiasi abitazione.
L’immagine del quartiere di S. Zeno in età romana pertanto rimane saldamente ancorata a questi elementi: una strada pubblica e sulla sua destra, per chi si allontanava da Verona, tante tombe distribuite tra la strada e l’Adige. Ma una necropoli antica si può dire che fosse più eloquente di un moderno cimitero nell’illustrare il tessuto sociale, la fede, le paure e le aspirazioni di quella comunità di uomini che l’aveva alimentata.
Infatti i testi delle iscrizioni funerarie antiche, più attenti ai fatti che ai sentimenti, spesso proponevano autentiche ricostruzioni della carriera sociale del defunto. La necropoli antica ci informa sulla posizione e sul ruolo che i personaggi citati dalle lapidi hanno esercitato nella società del tempo, ma attraverso alcuni diaframmi, rappresentati da riferimenti alla sfera del sacro, possiamo anche gettare uno sguardo nella psiche di questa umanità remota.
La dedica Fortunae/Adiutrici in S. Procolo, nel primo gradino della scala che scende alla cripta, assieme a quella alle Parche Auguste e all’altra alla Nemesi, posta dal gladiatore Glauco, rappresentano insieme un florilegio di credenze, che ci fanno vedere come l’uomo di duemila anni fa non fosse più sereno di quello di oggi, ma cercasse conforto alle sue paure in tutta una serie di numina, a vario titolo chiamati a interessarsi del suo destino.
Una eventuale paura nei confronti della morte doveva essere esorcizzata dalla presenza di Priapo, popolaresco e inverecondo dio della fertilità agreste.
Anche l’Attis, del resto, ora murato nel campanile, era posto nei cimiteri ad esorcizzare questa paura.
Fonte: srs di Lanfranco Franzoni da Annuario Storico Zenoniano 1986