Il pianoro di Delo di Mizzole
Storia e studio linguistico a cura del Dott. Gioal Canestrelli, Presidente dell’Istituto di Archeologia Sperimentale Fianna apPalug
DELO. Il toponimo “Delo” deriva senza ombra di dubbio dalla parola greca “Delos” dal significato di “Luminoso”; la sua persistenza, anche in forme composte, per quanto rara, tanto nella cognomastica quanto nella toponomastica italiana viene sempre ascritta al termine greco (1).
Nel caso specifico di Delo di Mizzole, per quanto il legame con la radice greca sia indissolubile, l’origine del nome sembra però relazionato più che altro ad una realtà storica collegata al termine “Delos” trasversalmente ed idealmente.
Già sito neolitico, sappiamo che l’area di Mizzole e Novaglie era densamente popolata nell’Età del Bronzo: gli scavi di Monte Pipaldolo e Monte Tesoro ci hanno restituito l’evidenza di due castellieri retici, insediamenti fortificati con mura a secco, datati tra il 1500 e il 1200 a.C. (2)
Entrambi gli insediamenti, in particolare quello di Monte Tesoro, dove ora sorge il monastero di San Fidenzio, sembrano strettamente collegati alla geometria sacra propria delle fondazioni dell’Italia antica (3), e incuriosisce la leggenda popolare che vorrebbe San Fidenzio edificato in prossimità o in sovrapposizione ad un tempio pagano dedicato al “Dio Sole” (4).
Nel cuore della Tenuta Delo c’è una torre del nono secolo, posizionata strategicamente per controllare l’arrivo nella valle degli invasori dal nord.
La cosa di per se non sorprende troppo, se pensiamo alle modalità insediative delle chiese cristiane già dai primordi; era uso comune infatti edificare chiese e monasteri nei medesimi luoghi dove i pagani erano soliti adorare le loro divinità, e spesso sulle macerie dei templi appena distrutti. La consuetudine di recarsi in un luogo già percepito come sacro avrebbe aiutato e spinto i pagani alla conversione: nel solo 542 d.C. novantanove chiese e dodici monasteri vennero edificati sulle rovine di luoghi di culto preesistenti (5).
Se per studi paralleli con realtà analoghe si è portati a credere che già alle sue origini Monte Tesoro fosse luogo di culto, abbiamo la conferma nei reperti delle epoche successive: vi è infatti un ara romana, ritrovata in loco, che oggi sostiene la mensa dell’altare dell’antica chiesetta di S. Fidenzio (6).
Di ciò troviamo un’ulteriore spia nel Versus de Verona o Ritmo Pipiniano del 796 d.C. : l’anonimo compositore, probabilmente appartenente alla cerchia ecclesiastica, ricorda nei dintorni di Verona la presenza di svariati templi pagani
“Fana, tempora, constructa a deorum nomina, Lunis, Martis et Mineruis, Iouis atque Veneris, et Saturnis siue Solis, qui prefulget onsnibus” (“Vi sono antichi luoghi sacri dedicati agli dèi; Luna, Marte e Minerva, Giove e Venere, e Saturno, e il Sole che splende su tutto.” Versus de Verona, V)
Se già il Grancelli era stato in grado di identificare con Castel San Pietro il luogo sacro a Saturno e quello di Ecate-Selene, la Luna, con il luogo dove oggi sorge San Giovanni in Valle (7) non vi sono evidenze che aiutino a riconoscere in alcun luogo della città di Verona il luogo sacro dedicato al Sole citato dal Ritmo Pipiniano.
Questo potrebbe essere motivato dal fatto che effettivamente, secondo le evidenze archeologiche, il sito principale della Verona preromana e conseguentemente della maggior diffusione dei suoi luoghi sacri primigeni, adottati e fatti propri dai Romani come era loro costume, non era dove oggi sorge la città, bensì trovava il suo centro in quella che oggi è la frazione di Montorio (8).
La presenza del betile preromano noto col nome di Pilotòn che segna la via verso il monastero di San Fidenzio e che è parimenti in asse durante il Solstizio d’Inverno con la già citata chiesa di San Giovanni in Valle (9) sarebbe dunque un’ulteriore interessante indizio che andrebbe ad avvalorare la leggenda popolare.
Inoltre il termine utilizzato nel Ritmo Pipiniano non è “templum” ovvero il tempio romano per antonomasia, bensì “fanum”, ovvero il sacello all’interno di un luogo sacro arcaico, la cui antichità viene rafforzata da “tempora”.
Mentre “templum” è il luogo di culto civile edificato all’interno delle mura cittadine “fanum” è spesso il sacrario agreste di antica memoria preromana: “fanum” è il tempio etrusco di Veltune in Tuscia, o il bosco di Diana a Nemi, centro sacro della Lega Latina.
Questo ci porta ad un’ulteriore analisi: se possiamo accontentarci della dicitura “Dio Sole” in un testo altomedievale come il Ritmo Pipiniano e ancor di più ne comprendiamo l’uso nella tradizione popolare, non possiamo accettare una tale generalizzazione se stiamo trattando della sua origine antica, romana e soprattutto preromana.
In tutto il Veneto preromano (per citare esempi celebri basti pensare ad Altino, Este, Vicenza e Lagole) abbiamo per tutta l’Età del Ferro testimonianze del culto celtico del dio Belenos o Belatucadros (10).
I Celti, o Galli, giunsero in Veneto nel IV secolo a.C., influenzando fortemente i locali, Reti e Veneti, con la loro cultura. In alcuni casi la loro penetrazione sul territorio prese forme importanti e quasi esclusive, e Verona (o sarebbe più corretto dire la Verona di allora, quindi Montorio) è uno di questi (11).
Il significato dei nomi Belenos e Belatucadros è “Bel Risplendente” o “Giusto Luminoso”, e come si può facilmente dedurre dal significato del nome i Romani assimilarono questa divinità solare ad Apollo (12) che nella mitologia italica guida il Carro del Sole.
La quasi totalità dei templi e dei sacrari celtici e venetici dedicati a divinità solari, dopo l’annessione romana vengono attribuiti dunque ad Apollo, secondo la pratica quinte dell’ interpretatio. Apollo per i Romani è parimenti “Delius” (13), colui che viene dall’isola di Delo (“La Luminosa”), così come l’alloro, pianta sacra ad Apollo è per loro la “Folia Delia” (14).
I dati così raccolti portano a quello che forse è un meraviglioso gioco semantico ma che, alla luce delle evidenze storiche ed archeologiche ci porta a delle conclusioni quasi lapalissiane:
Nei pressi più vicini di un colle dove veniva adorato Belatucadros, “Il Risplendente” “Il Luminoso”, che i Romani chiamano Apollo Delio, vi è una località chiamata Delo, la cui etimologia greca, “Delos” , significa sempre “Luminoso”.
Appare impossibile dunque non mettere in relazione il luogo di culto celtico e romano della divinità “luminosa” col nome della località ad esso prospiciente, secondo una metodologia di toponomastica sacra abbastanza comune in Italia (15): basti pensare a Genova così chiamata in onore di Giano Bifronte16 Eraclea ed Erchie in ricordo del santuario ad Eracle, Gioi e Giovi in memoria dei templi d Giove, e così via (17).
Note
1 Gaetano di Giovanni, Notizie Storiche su Casteltermini e suo territorio, 1869-1880
2 Umberto Grancelli, il Piano di Fondazione di Verona Romana, 1964
3 Adriano Gaspani, Quale Cardo e quale Decumano a Verona, 2007
4 Antonio Zieger, Leggende del Veneto, 1924
5 Vlasis Rasias, La demolizione dei templi, 1994
6 Marisa Venturi, La Valpantena, Ci.Vi.Vi.
7 Umberto Grancelli, il Piano di Fondazione di Verona Romana, 1964
8 Luciano Salzani, Abitato dell’Età del Ferro al Castello di Montorio, 1991, ma anche Alberto Solinas riportato da Angelo Cipriani, A Montorio la Storia fa un passo indietro, l’Arena 25 Maggio 1999
9 Alberto Solinas, Storia del Pilotòn
10 Anna Marinetti, Epigrafio e lingua di Altino preromana, in La Protostoria tra Sile e Tagliamento. Antiche genti tra Veneto e Friuli, 1996
11 Mario Patuzzo, Verona Romana, Medievale e Scaligera, 2008
12 Michele Torribolani, Il Veneto nell’età romana lI, 1987 ma anche Monika Verzàr-Bass, Spunti per una ricerca sulla politica religiosa in età repubblicana nella Gallia Cisalpina, 1996
13 Virgilio, Eneide, 6
14 Orazio, Odi
15 Giovan Battista Pellegrini, Toponamastica Italiana, 1990
16 Jacopo da Varagine, Legenda Aurea
17 Alberto Nocentini, Toponimi Italiani, Storia ed Evoluzione. 2004
Fonte: Storia e studio linguistico a cura del Dott. Gioal Canestrelli, Presidente dell’Istituto di Archeologia Sperimentale Fianna apPalug
Link: http://www.agriturismodelo.it/index.html