“Guarda quanti uccelli ci sono in cielo quando ce ne sarebbe un gran bisogno qui in terra!”
Questa constatazione, che potrebbe essere anche l’espressione d’un desiderio, era sfuggita durante una gita parrocchiale a una non più giovane vedova a cui era mancato da poco il marito. Ma secondo voi, questo è un peccato?
Buon Dio, sei stato Tu a dire che hai fatto l’uomo “a Tua immagine e somiglianza” oppure siamo stati noi?
Se siamo stati noi, la cosa non è poi tanto grave, ma se sei stato Tu, la faccenda si complica. Tu sei solo spirito. Hai diviso le tenebre dalla luce, hai creato il mondo, gli animali, e, tra loro, quell’eccellenza di bestia che è l’uomo. Che sempre bestia è. Forse eri rimasto deluso per il fatto che alcuni angeli si erano ribellati pur essendo solo spiriti, e allora hai provato con gli animali. Alle bestie invece di dare l’immortalità, hai dato la possibilità di moltiplicarsi e, per poterlo fare, nella procreazione ci hai messo il piacere. Oh, mica brontoliamo per questo! Anche se, al giorno d’oggi, in questo genere di cose c’è un po’ di confusione, ci lamentiamo dei Tuoi preti che ci fanno apparire peccato tutto quello che ci da piacere. Quei maledetti che Ti descrivono tanto severo e pronto a castigarci, non solo per un atto impuro, ma anche per un semplice desiderio.
In breve, Ti racconterò quel che è capitato a una Tua devota durante una gita parrocchiale quando con un sospiro espresse un piccolo desiderio. Per cortesia, non condannarmela adesso come vorrebbero i preti! Non ha fatto niente di male, Te l’assicuro! Anzi, spero addirittura che l’episodio Ti faccia sorridere.
Le gite parrocchiali durano di solito un giorno e si svolgono in gran parte di domenica. Ci si alza al mattino presto, ci si bagna gli occhi e, dopo un veloce caffè fatto in casa, ancora assonnati si sale sul pullman che ci attende sul sagrato della parrocchia. Ci riceve il prete che, oltre a darci il benvenuto, ci fa qualche breve raccomandazione. Ci si conta e poi si parte.
Appena usciti dalla città, si comincia con le preghiere e, come inizio, un rosario propiziatorio per una bella giornata non lo si toglie a nessuno. Finite le preghiere, qualche canto religioso o di montagna finché tutto si smorza e s’assopisce. Dopo la prima sosta all’autogrill, il pullman si rianima. Il prete parlerà del santuario, della pieve, del monastero o della cattedrale che si andrà a visitare, e anticiperà qualcosa sul Vangelo del giorno. Prima dell’arrivo, qualche litania non farà mai male. Giunti alla meta, subito in chiesa ad ascoltar la Santa Messa.
Dopo la cerimonia, visita al tempio e ai luoghi sacri che lo circondano, e poi, in un batter d’occhio, arriva l’ora di pranzo. Finalmente un po’ di piacere per il ventre e di libertà per quelle brutte linguacce di donne! Non solo parleranno delle loro faccende, ma anche di quelle delle loro amiche. Quando poi si arriverà al prete, la lingua scivolerà su qualche malizioso pettegolezzo.
Nel pomeriggio, visita a qualcos’altro. Fino a poco tempo fa si ritornava in chiesa per la Benedizione: funzione di cui oggigiorno se n’è perso l’usanza.
Al ritorno da quella gita e verso l’imbrunire, ci si fermò all’autogrill. Tra le nostre nuove conoscenze spiccava per simpatia una sorridente vedovella sotto la sessantina, dai capelli ricci e dal culo grosso e basso.
Era autunno, il sole d’ottobre allungava i suoi pallidi raggi dietro ai boschi di pioppi, e lassù, in cielo, oltre a nuvolette bianche, si muoveva fulminea qua e là una nube nera. Era un grandissimo stormo di uccelli che volteggiava su e giù con velocissime e improvvise evoluzioni. Roteando, s’abbassava o s’innalzava di qua, di là, avanti e indietro, come onde d’un mare in tempesta. Saliva in vortici di fumo per poi precipitare. Sembrava sciamare a volte, ma subito si riprendeva. Una magica danza di solitari storni che a sera s’adunano per innalzare un gloria a Dio. Quando poi lo stormo sembrava ormai sparito dietro ai boschi di pioppi, riemergeva ancor più vivo e vitale arrotolandosi in girandole per poi evolversi in armoniose impennate e cascate a non finire.
La signora in questione si accompagnava a mia moglie dirigendosi verso il pullman con il naso per aria, anche lei incantata da quelle funamboliche evoluzioni. Camminavo qualche passo indietro senza prestare particolare attenzione a loro.
Che fosse una pura constatazione o un’invocazione d’aiuto questo non lo saprei dire. Poteva essere pure una preghiera che s’intonava con la giornata trascorsa, chissà! In fin dei conti, non era la richiesta d’una grazia personale, parlava a nome di tutte quelle bisognose d’aiuto, forse. Quel che si deve dire, lo si deve dire. In ogni caso, sentii chiaramente la signora che dopo un prolungato sospiro sbottò:
– O Signur, ma perché tè ghet mis tanti osei in ciel quand che né un gran bisogn qui in terra? (1)
- O signore, ma perché hai messo tanti uccelli in cielo quando ce n’è un gran bisogno qui in terra? A quelli in terra si riferisce al nostro pene perché in dialetto chiamiamo il nostro membro anche uccello.
P.S. Questo dovrebbe essere l’ultimo racconto, anche se è stato scritto prima del tempo, per una eventuale pubblicazione cartacea. S’intende che ne farei solo tre copie.
Fonte: srs di Enzo Monti di venerdì 25 giugno 2015
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