Me ne stavo a pranzo con i miei familiari in Piazza Dei Signori, seduto al Caffè Dante, quando venni distratto dalla gente ch’era in piazza.
Constatai che non atterrava più nessun piccione. Non c’è più spazio per loro. Oltre ai tavoli della pizzeria, della gelateria e dei due ristoranti che occupano la bellezza di quasi metà piazza, attorno alla statua severa del nostro Dante, si davano il cambio a tutte le ore gruppi di turisti che, in tutte le lingue, ascoltavano le loro guide. E a quest’ora, il resto della piazza di fronte alla Loggia di Fra’ Giocondo è sempre affollata da genitori e nonni che tengono d’occhio figli e nipoti. Delle piccole pesti che, con il vento in poppa, corrono e giocano in piena libertà. Giocano perfino al pallone.
Figuriamoci se mia madre o mio padre, appena finita la guerra, avrebbero giocato con me al pallone! E non ero il solo! Non ce n’erano di papà che giocavano con i propri figli.
A Cremona, dopo il Quarantacinque e fino ai primi anni Cinquanta, noi ragazzini andavamo a giocare con palle di stracci (rare e preziose erano quelle di gomma) sui sagrati, nelle piazze, nei vicoli, nei viali. Bastava che ci fosse un po’ di slargo per segnare una porta. Traffico automobilistico non ce n’era, e un solo semaforo lo regolava: quello che ancor oggi si trova a fianco della Galleria. Solo tre erano i vigili urbani, di cui due in bicicletta. E quest’ultimi venivano a rompere a noi ragazzini. Ci sequestravano le palle cercando di appiopparci delle multe. Un vero tormento!