Le civiltà condividono spesso le medesime fasi evolutive, un po’ come del resto la quasi totalità degli organismi biologici.
C’è una prima fase di crescita, accompagnata da sforzi di affermazione di sistemi di valori specifici e determinanti, una fase di maturità, evoluzione e di conflitti interni, durante la quale ai valori stabiliti si oppongono degli anti-valori, e una fase finale dove l’elemento caratteristico è spesso la comparsa di pseudo-valori emergenti che accelerano la disgregazione sistemica.
Basti pensare alle ultime fasi dell’impero romano, seduto su sé stesso, auto referenziato, tormentato da crisi di identità e moltitudini di influenze interne ormai non più armonizzate; oppure la fine dell’URSS, lentamente consumata da una contaminazione culturale e ideologica, che ha minato le basi del credo sovietico nel suo DNA esistenziale.
Sicuramente fattori finanziari, economici ed esterni giocano parti essenziali come enzimi di accelerazione o decelerazione del processo evolutivo, ma non lo guidano mai.
Questo significa che nel momento in cui una civiltà, uno stato, come un individuo, finisce per ignorare le dinamiche e le esigenze interne al suo essere, si sta incamminando inesorabilmente verso la fine.