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di Rossano PAZZAGLI.
L’aumento del traffico automobilistico, conseguenza anche del mancato potenziamento dei trasporti pubblici che anzi stanno subendo politiche di tagli e ridimensionamenti, sta riproponendo in misura crescente il problema della sicurezza stradale. Spesso sotto la spinta emotiva di gravi incidenti, dimenticando la responsabilità di errate strategie gestionali della mobilità, come quella delle numerose privatizzazioni e della progressiva introduzione dei pedaggi sulle strade a scorrimento veloce, sono le tradizionali alberature lungo le strade d’Italia a finire sotto accusa. Qualcuno arriva così a proporre l’abbattimento indiscriminato di interi filari di piante, ignorando le funzioni che questi hanno a lungo svolto e che almeno in parte potrebbero ancora svolgere. Lo stesso codice della strada, approvato nel 1992, prevede nei successivi regolamenti di attuazione il divieto della presenza di alberi entro una distanza minima di sei metri dal bordo stradale [1].
Si tratta di un tema molto ampio e ricco di significati, che inevitabilmente tocca diversi ambiti – dalla storia dell’architettura all’agronomia, dalle scienze forestali all’ingegneria – e che ci consegna non pochi interrogativi sul nostro modo di intendere il rapporto tra società, infrastrutture e paesaggio. La prospettiva storica può aiutare a porre correttamente il problema, al di fuori di scorciatoie o soluzioni irrazionali.
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