Dic 02 2024

LA STORIA DI NIETZSCHE E DEL CAVALLO,

( Immagine da Pinterest )

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– Pedro Arturo Hernández Zeta

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Forse non tutti sanno che per un breve periodo della sua vita, precisamente dal 21 settembre 1888 al 9 gennaio 1889, il grande filosofo tedesco Friedrich Nietzsche visse nella città di Torino. Un lasso di tempo breve, ma che fu sufficiente a Nietzsche per innamorarsi della città e della sua gente. Scrisse di Torino, in alcune lettere indirizzate a parenti e amici, frasi come: “Su Torino non c’è niente da ridire: è una città magnifica e singolarmente benefica” e ancora “Torino non è un luogo che si abbandona”.

La sua abitazione si trovava in via Carlo Alberto 6, al quarto piano. Qui per 30 lire al mese, l’autore di Così parlò Zarathustra, aveva affittato una camera (che si affacciava sulla piazza, proprio sopra l’ingresso della Galleria Subalpina) da Davide e Candida Fino, gestori del negozio di giornali in Piazza Carlo Alberto. I Fino gli avevano messo a disposizione anche un pianoforte che, secondo le testimonianze, Nietzsche era solito suonare diverse ore al giorno.

La fine del soggiorno di Nietzsche a Torino fu decisamente tragica e  fu protagonista di uno degli episodi più commoventi nella storia dei pensatori occidentali, ma decisamente drammatica. “la storia di Nietzsche e del cavallo”,  che secondo alcuni segna il momento del suo collasso mentale,

Era il 1889   il filosofo che viveva  a Torino, una mattina, mentre si dirigeva verso il centro della città, si trovò di fronte a una scena che cambiò la sua vita per sempre.

Vide un cocchiere che colpiva con forza il suo cavallo, stremato e incapace di proseguire. L’animale era completamente esausto, senza più forze per andare avanti. Tuttavia, l’uomo continuava a frustarlo per costringerlo a muoversi nonostante l’evidente stanchezza.

Nietzsche rimase sconvolto da quanto stava accadendo. Si avvicinò rapidamente e, dopo aver rimproverato il cocchiere per il suo comportamento, abbracciò il cavallo ormai a terra e iniziò a piangere. I testimoni raccontano che gli sussurrò alcune parole all’orecchio, parole che nessuno riuscì a udire. Secondo la leggenda, le ultime parole del filosofo furono: “Madre, sono stupido”.

Dopo quel momento, Nietzsche cadde a terra privo di sensi e la sua mente collassò. Non parlò più per i successivi dieci anni, fino alla sua morte. Non riuscì mai a riprendere la sua vita razionale dopo quell’episodio. La polizia fu avvisata e il filosofo venne arrestato per aver disturbato l’ordine pubblico. Poco dopo, fu portato in un sanatorio.

La società dell’epoca considerò il gesto di Nietzsche — abbracciare il cavallo maltrattato e piangere con lui — come una manifestazione della sua follia. Sebbene molti vedano ancora oggi l’episodio come il frutto della sua malattia mentale, ci sono anche interpretazioni più profonde e consapevoli.

Lo scrittore Milan Kundera, nel suo romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere, riprende l’episodio di Nietzsche e lo interpreta come una richiesta di perdono. Secondo Kundera, Nietzsche chiese scusa al cavallo a nome dell’intera umanità, per la crudeltà con cui trattiamo gli altri esseri viventi, per esserci trasformati nei loro carnefici e averli sottomessi al nostro servizio.

Nietzsche non era noto per un particolare interesse verso il mondo animale o per una sensibilità ambientale, ma senza dubbio l’episodio del maltrattamento ebbe un impatto enorme su di lui. Quel cavallo fu l’ultimo essere con cui stabilì un contatto reale ed emotivo. Non si identificò tanto con l’animale stesso, quanto con il suo dolore, trovando un legame che trascendeva l’immediato. Era un’identificazione con la vita.

Oggi sempre più persone, sia dentro che fuori dall’ambito scientifico, riconoscono quanto sia aberrante il maltrattamento degli animali.”

Fonte: Patrizia Sardo

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MARIA GRAZIA ZOLLO

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Secondo me Nietzsche in quel momento crollò perché capì in quel momento che le sue idee erano state pura follia. Quello che gli altri chiamano follia fu invece consapevolezza. 

Egli aveva sempre sostenuto il superomismo, giustificato la violenza del più forte, l’assenza di morale, il macchiavellismo, l’odio verso le donne, l’umiliazione e la disumanizzazione della donna resa oggetto e aveva snobbato il Cristianesimo. 

In quel momento vide come l’attualizzazione delle sue idee contro quel povero cavallo e si rese conto che l’aver definito la Misericordia come la debolezza fallimentare di Dio, era stata una mera idiozia. 

E si rese conto che le sue idee avrebbero influenzato intere generazioni di giovani. 

E si rese conto che non si può vivere al di là del bene e del male. Perché ciò che aveva appena visto era male! 

E si rese conto del valore della compassione, fino a quel momento derisa. 

Si rese conto di quanta forza spirituale può avere una vittima. 

Una di quelle vittime del “Mors tua vita mea” che egli riteneva inevitabili per l’ascesa al successo. 

Quel cavallo mise in discussione Nietzsche. 

Il suo “Dio è morto” fu sconfitto dal dolore di un cavallo. 

Quel cavallo mise in discussione l’apollinarismo e il dionisiaco. 

Il dolore di quel cavallo racchiudeva tutto l’universo e in quel preciso istante Nietzsche comprese il Cuore di Dio e crollò.

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Srs di MARIA GRAZIA ZOLLO

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