Per fermare l’Italia in recessione, le catastrofi naturali, Fukushima, la Costa Concordia sugli scogli del Giglio, una sola parola d’ordine: decrescita.
I suoi libri ormai vengono pubblicati in Italia al ritmo di uno ogni sei mesi: Breve trattato sulla de crescita serena, L’invenzione dell’economia, Come si esce dalla società dei consumi, Per un ‘abbondanza frugale. A colpi di ristampe questi volumi si guadagnano sempre più lettori e i grandi quotidiani come La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Messaggero gli dedicano interviste a tutta pagina, contribuendo a sollevare un dubbio che fino a poco tempo fa era inconcepibile: avere meno significa davvero stare meglio?
Serge Latouche è stato per trent’anni professore di storia del pensiero economico all’Università di Parigi XI e adesso è il teorizzatore più importante della decrescita. Recentemente ha tenuto una conferenza in Italia, la prima dopo l’insediamento del Governo Monti. Sala gremitissima con gente seduta anche per terra, atmosfera calda e partecipe, applausi entusiasti. Vi riportiamo la maggior parte di questa lezione che, per concisione e forse anche per preveggenza, può ben essere detta magistralis. La prima domanda che, secondo Latouche, dobbiamo porci, è la seguente: che tipo di crisi stiamo attraversando?
Una crisi di civiltà
«Tutti i giornali parlano di crisi dell’euro, crisi dell’Europa, crisi dell’occupazione. Già nel ’68 si parlava di crisi culturale e etica, poi nel ’72 con il rapporto del Club di Roma si scopre la crisi ecologica. Dagli anni ’80, con la controrivoluzione neoliberista della Thatcher e di Reagan, abbiamo iniziato a conoscere la crisi sociale.
Poi nell’agosto 2007 è scoppiata la famosa crisi dei subprime e i nostri governi ci hanno detto che era una crisi solo finanziaria e solo americana. Ma nel settembre 2008 è fallita la Lehman Brothers e non era più possibile nascondere che eravamo di fronte a una crisi economica su scala globale.
Tutte questi passaggi hanno nomi differenti, ma non sono indipendenti l’uno dall’altro: si “mescolano” dando luogo a una crisi di civiltà, alla crisi della Civiltà Occidentale.
E dal momento che, a causa della globalizzazione, l’Occidente oggi è ovunque, ci scopriamo testimoni di una svolta nella storia mondiale. In realtà parlare di crisi è paradossale, poiché si tratta di un fenomeno che si prolunga da oltre cinquant’ anni. Sarebbe più esatto dire che siamo di fronte a un lento ma inesorabile declino.
Capitalismo verde: un non senso.
Dove andrà il mondo nei prossimi vent’anni? Beh, io non sono un profeta ma tutti noi sappiamo che, nel lungo periodo, ci scontreremo con i limiti del Pianeta.
Il capitalismo ecocompatibile in realtà è un controsenso, semplicemente non può esistere, e oggi ne abbiamo la conferma. Colui che ha inventato lo sviluppo sostenibile, Stephan Schmidheiny, è stato condannato in Italia a 16 anni di galera; il miliardario svizzero infatti è stato processato a Milano per la morte da esposizione all’amianto di 3000 persone, lo stesso numero di vittime delle Torri Gemelle.
Schmidheiny era un filantropo che voleva un capitalismo ecosostenibile, e aveva costituito una fondazione per la responsabilità sociale dell’impresa. Dobbiamo riflettere su questa lezione. È evidente che c’è un business verde, anche molto redditizio, ma il capitalismo ecosostenibile è sempre, nella sua essenza, capitalismo. E non sarà certo il capitalismo a salvarci.
Il capitalismo nella testa
Lo spirito del capitalismo è quello di produrre sempre di più, per ottenere profitti sempre maggiori. Perché questo sia possibile, bisogna consumare sempre di più, ma consumare all’infinito non è affatto semplice e per farlo occorre inventarsi la pubblicità. La nostra società infatti non è una società dell’abbondanza, ma una società della frustrazione: bisogna sempre rincorrere qualcosa, ecco perché questa crisi si prolunga da così tanti anni. La crisi è parte essenziale della natura del sistema, un sistema che trova il suo equilibrio come fa un ciclista che deve pedalare all’infinito e che, se smette di pedalare, cade. È un sistema che ha legato la sua sopravvivenza alle risorse non rinnovabili e quindi alla distruzione del Pianeta.
Una crescita infinita in un paese finito è impossibile; può capirlo anche un bambino di cinque anni! La società della crescita e il capitalismo sono la medesima cosa. L’essenza del capitalismo, come diceva Marx, è l’accumulazione del capitale. Accumulazione è la parola marxista per definire crescita.
Una società della decrescita non può essere una società capitalista. Su questo dobbiamo essere chiari. Ma uscire dal capitalismo cosa significa? Lenin pensava che bastasse conquistare il Palazzo D’Inverno. Non è così, perché lo spirito del capitalismo è prima di tutto nella nostra testa, come un virus. Quindi la prima cosa da fare è decolonizzare il nostro immaginario
Decolonizzare l’immaginario
La decrescita è una visione alternativa della società, in rottura completa con quella attuale. Rottura con il capitalismo significa rottura con i valori del capitalismo. Occorre cambiare i vecchi concetti economici di concorrenza e dominio sulla natura, sostituendoli con la collaborazione e la generosità; dobbiamo cambiare le nostre idee di povertà, di ricchezza, di scarsità. La natura non è scarsa, la natura è generosa. Sono gli uomini che vogliono renderla scarsa, come quei criminali della Monsanto che vogliono renderla sterile per vendere gli ogm ai contadini. Naturalmente una società dell’abbondanza frugale non si realizza da un giorno all’altro. Ma una volta liberati dall’imperialismo culturale, una volta decolonizzato l’immaginario, agiremo in maniera diversa.
Bisogna penalizzare l’attività più perversa di tutte: la pubblicità. Questo è uno dei punti più importanti del nostro programma politico. La pubblicità è l’arma più forte della globalizzazione dell’immaginario. L’altro punto prevede di indirizzare in maniera democratica l’innovazione scientifica: sviluppare una scienza meno prometeica e più ecologica e, soprattutto, non lasciare la ricerca e l’innovazione nelle mani delle imprese transnazionali che puntano solo al profitto.
I partigiani della decrescita
Tutti i governi europei sono d’accordo in questo momento con una politica di austerità, ma per i partigiani della decrescita le soluzioni non stanno né nell’austerità, né nella crescita. Sono stato invitato dai deputati greci per esporre le nostre proposte alternative che, in sintesi, sono tre:
– non pagare il debito, oppure pagarlo solo per il 20% in modo da risarcire i piccoli debitori, come è stato fatto in Bolivia e in Islanda;
– rilocalizzare il lavoro e riconvertire l’agricoltura e l’industria in termini ecologici. Occorre sviluppare l’attività economica a livello locale, cioè riproporre quello che facevamo almeno lO anni fa. Questo significa de-mondializzare. La globalizzazione infatti è stata un gioco al massacro su scala globale. L’abbiamo chiamata “concorrenza” ma di fatto è stata la guerra di tutti contro tutti;
– ridurre gli orari di lavoro e dare lavoro a tutti. In Italia, il governo Monti ha allungato l’età pensionabile. In Bolivia al contrario è stata ridotta. Prima si andava in pensione a 65 anni, ora a 58. È questa la strada giusta. Lavorare meno per lavorare tutti.
Naturalmente questo tipo di politica non è facile. La gente non è pronta. La Grecia dovrebbe per esempio uscire dall’ euro, ma il 70% dei greci è contrario perché la manipolazione dell’ opinione pubblica attraverso i mass-media è fortissima. Purtroppo siamo di fronte all’attuazione di ciò che Naomi Klein, autrice di riferimento del movimento no-global, ha chiamato l’economia dello shock. La Klein aveva previsto che si sarebbe approfittato delle catastrofi naturali e non, per far passare politiche ultra liberiste, altrimenti osteggiate.
Mario Monti è il tipo ideale per applicare queste soluzioni tecnocratiche e liberiste e per attuare l’ascesa del capitalismo dei disastri. Ma questa ascesa è l’esatto contrario della democrazia.
Oggi la catastrofe è già in atto. Noi lo prevedevamo già vent’anni fa, ma il Quarto Rapporto del Ipcc (Intergovernmental panel on climate change, ndr) lo ha dimostrato con certezza: tra cinquant’anni ci saranno, come minimo, due gradi in più e questo significa che il delta del Gange sarà sott’ acqua. Ci saranno centinaia di milioni di migranti per cause ambientali: non siamo stati capaci di accogliere gli immigrati del Magreb e dell’ Africa, come faremo ad accogliere i milioni di immigrati ambientali ?
Oggi le catastrofi sono già tra noi: i cambiamenti climatici, Fukushima, e anche l’enorme nave da crociera Costa Concordia incagliata sugli scogli dell’isola del Giglio. Questi sono tutti segni della follia umana, della dismisura, dell’agire senza limiti dell’uomo. L’unica strada per contenere e limitare questa “superbia” è la decrescita, il ritorno cosciente a una vita più semplice, più vera, più felice».
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Fonte: srs di Gloria Germani, da Terra Nuova n° 273, di giugno 2012
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