La “innovativa” presa in conto da parte del diritto penale contemporaneo dell’intenzione puramente soggettiva (movente ultimo, arrière-pensée, foro interiore, o coscienza intima che sia), per la definizione strutturale stessa dei crimini e dei reati, ha una fonte internazionale (1).
Questa fonte storica essenziale risiede nello statuto del Tribunale Militare Internazionale, incluso nell’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945, così come nella giurisprudenza che ne è seguita. Ma ciò che ben merita di essere chiamata la decadenza dei sistemi giuridici europei ha altre fonti estere, che emanano da convenzioni e trattati dal contenuto moraleggiante, che mirano a fondare anzi un nuovo ordine morale universale. Sotto la copertura dell’ordine morale occidentale e mondialista è stato edificato il sistema che ha fatto uscire dai confini religiosi la cattiva coscienza secolarizzata. Questo fenomeno, come vedremo, è in gran parte il frutto dell’unione che le circostanze hanno creato tra la plutocrazia puritana e l’”antifascismo”.
Le convenzioni e i trattati internazionali, fondati su una «morale di unanimità ed ortodossia» (vedi Robert Munchenbled) dalle pretese universali, pullulano, e strumentalizzano un “dovere alla virtù”. Sono atti multilaterali tramite cui i paesi europei partecipanti, in nome dell’”etica” rivelata dalle Nazioni Unite, non cessano di abdicare a grandi passi alla sovranità “democratica” nazionale.
Prima, questa sovranità veniva fondata, specie in Francia, sull’imperativo della “salute pubblica” della Nazione, cara ai rivoluzionari del 1793; ma poteva anche richiamarsi alla tradizione nazionale precedentemente incarnata dal Re, che, da parte sua, si riteneva ricevesse la sua sovranità da Dio; ed ancora nella prima parte del ventesimo secolo la sovranità sfuggiva alla metafisica mondialista debilitante dei Diritti dell’Uomo, cui essa è ora invece strettamente assoggettata. Così che ogni reticenza, ogni ribellione a questo nuovo ordine morale è giudicata oscena, e non può costituire altro che il fatto di “estremisti” indifendibili, dediti al vizio ed alla fornicazione spirituale con idee impure e peccaminose.
L’intero Occidente è ormai assoggettato alla metafisica neoprimitiva dei Diritti dell’Uomo, senza troppe finezze intellettuali o teologiche, ma che si pretende nondimeno immanente ed universale. I Diritti dell’Uomo si vogliono in particolare superiori alla stessa sovranità “democratica”, per quanto gli zelanti fautori dei primi rivendichino una sorta di proprietà immateriale sull’aggettivo della seconda… Copyright incongruo e paradossale, fondato su un’illusione retorica che sovverte il senso delle parole. I Diritti dell’Uomo sono così, nel mondo contemporaneo, circonfusi di una divinità ineffabile, che dà loro un’imponderabile essenza detta “democratica” per definizione, e li pone al di là delle contingenze democratiche tradizionali quali il suffragio universale o il diritto dei popoli di disporre di se stessi. Così, la pretesa “giustizia internazionale” e le grandi istituzioni internazionali costrittive sono coperte dalla santificazione “giusumanista”, senza che la loro tecnocrazia di ferro debba niente ad elezioni o a volontà popolari o simili orpelli del passato.
La democrazia dell’Occidente, ormai soggiogata da una morale superiore trascendente, non è ormai infatti che un mezzo contingente, sospendibile in caso di necessità, e non più la sorgente fondamentale del potere. La volontà dei popoli non può essere ancora detta “sovrana” se non tramite il ricorso alla “neolingua” orwelliana che infetta tutti i nostri discorsi (2).
Tutte queste abdicazioni di sovranità avvengono a profitto della cosmopoli del nuovo ordine morale e finanziario in via di consolidamento, al servizio di fatto della formidabile egemonia plutocratica americana. Tale è lo sbocco dell’involuzione sovversiva, abbozzata a Londra (1945) e a Norimberga (1945-1946), e che ha poi davvero cominciato ad estendersi al mondo intero sotto l’egida dell’ONU, a partire dalla famosa Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948. Troviamo qui un dispositivo iniziale di importanza primaria, propriamente metafisica, la cui conoscenza è indispensabile alla comprensione del nuovo ordine mondialista, semi-religioso benché strettamente materialista; un nuovo ordine morale che intende ormai reggere direttamente lo status degli individui, divenuti così soggetti di diritto internazionale pubblico, dopo essere stati per lungo tempo soggetti di diritto privato in seno a potenze pubbliche molteplici e particolari (clan, caste, tribù, città e Stati).
Si tratta forse della realizzazione finale del sogno dell’americano Henry David Thoreau (1817- 1862), pensatore anarchico e “puritano illuminato”, per il quale l’individuo doveva primeggiare sullo Stato in modo assoluto; posizione che conduce in realtà allo Stato mondiale, così come è vero che l’individualismo assoluto conduce all’universalismo assoluto – e all’assolutismo universale.
Louis-Edmond Pettiti (1916-1998), che fu presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi e giudice alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, si è fatto portavoce di questa mutazione a favore del nuovo rule of lawcon un entusiasmo incondizionato. Celebrando a Notre-Dame (!), il 10 dicembre 1978, il trentesimo anniversario della Dichiarazione Universale, questa nuova metafisica del diritto, dichiarava:
«L’opera delle Nazioni Unite sulla scala dei cinque continenti è consistita nel sorpassare la barriera dello Stato Leviatano e nel fare accettare la competenza delle Commissioni sui Diritti dell’Uomo e della Commissione contro il Razzismo e la Discriminazione. […] La seconda tappa era quella dell’ammissione di procedure instaurate da petizioni individuali e di enti privati. L’uomo diveniva un soggetto di diritto internazionale, persona munita di pieno accesso alle istituzioni sovrannazionali, al di là degli stessi diritti che deteneva nel suo paese di appartenenza. Questa mutazione è stata una rivoluzione storica» (3).
Amen…
Divenuti soggetti di diritto internazionale pubblico, gli individui possono agire per le loro rivendicazioni, senza tramiti né intermediari sovrani, in nome dell’universalità e dell’immanenza dei Diritti dell’Uomo. Divenuti soggetti di diritto internazionale pubblico, nello stesso modo ed allo stesso titolo degli Stati, gli individui possono dunque essere strumentalizzati a piacere a spese dell’interesse generale e delle sovranità politiche, rese sussidiarie. Gli Stati europei accettano senza un lamento questo stato di cose invertito. E’ vero d’altronde che gli Stati nazionali sono sempre più, al di là di ogni buon senso, Stati moralisti serviti da un personale largamente corrotto (ma “antirazzista”), e non Stati amorali serviti di preferenza da persone virtuose (cioè oneste e di carattere).
Oggi, per esempio, il diritto di ogni immigrato, foss’anche giudicato indesiderabile, può interdire una politica restrittiva mirante alla sua espulsione, e imporre la riunione tra di noi della sua famiglia, in nome del suo diritto «al rispetto della sua vita […] familiare» (art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo). Per la gioia della canaglia ed a vantaggio dell’arroganza: un singolo trafficante di droga o un immigrante clandestino può così imporsi pur contro la “volontà democratica” di non importa quale grande popolo europeo. L’immigrazione massiccia diventa anzi istituzionalmente e moralmente impossibile da contrastare.
Eppure, molto potrebbe essere eccepito sulla immigrazione extra-europea attuale: non induce da parte degli immigrati un razzismo masochista all’inverso, dato che ciò che vogliono è non vivere più in paesi dove le maggioranze ed i governi non siano bianchi ed europei? I popoli occidentali, non avendo più nei confronti degli individui prerogative sovrane piene ed integre, sono votati ad essere sommersi demograficamente. In questo campo, i popoli europei non si vedono più neppure riconoscere il diritto elementare alla legittima difesa. E’ divenuto impossibile imporre una volontà politica la cui giustificazione risieda nell’“interesse generale”. Ed è così che viene in essere la tragedia del ventunesimo secolo.
Pereat mundus, fiat iustitia, dice l’adagio latino degli estremisti del diritto della decadenza. Che tutto vada al diavolo purché ciò avvenga per la “giustizia” individuale, per l’assunzione dell’Uomo astratto e normalizzato nel regno dei cieli. Esattamente l’inverso della saggezza sociale secondo Goethe, per cui persino un’ingiustizia è meglio che l’instaurarsi del disordine. I Diritti dell’Uomo devono dunque imporsi, quali che siano le conseguenze sulle prerogative storiche, civili e demografiche delle collettività naturali ed organiche (come le famiglie e le nazioni, senza sosta vilipese) (4) E tuttavia, persino dal punto di vista dell’individuo che ne viene reputato beneficiario, i Diritti dell’Uomo non sono privi di conseguenze inquietanti, giacché comportano anche l’affermazione del fatto che il ladro ha altrettanti diritti del derubato, così come lo stupratore o l’assassino rispetto alla sua vittima, l’immigrante clandestino rispetto a chi è invaso e spossessato del suo santuario storico ed etnico. Tutti diritti sacri, e privi d’altronde di doveri correlativi. Cosicché qualsiasi balordo impenitente ha un credito illimitato e imprescrittibile nei confronti della “società”, cioè delle persone oneste…
Ogni tesi sull’adattamento della repressione alle necessità imposte dalla minaccia criminale, fondata su un’idea di legittima difesa sociale, d’interesse generale o di salute pubblica si trova così delegittimata in partenza. Un’illustrazione di questo fatto ci viene data dall’inibizione dei paesi europei nei confronti dell’immigrazione illegale di popolamento. Per esempio, nessuno osa chiedere la denuncia della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati politici (all’epoca creata per persone che si spostavano da un paese all’altro in ambito europeo) o l’internamento degli invasori in campi d’espulsione.
Ogni nozione di legittima difesa sociale, d’interesse generale, di salvezza pubblica e di volontà popolare, ricorso ultimo e “democratico” dei popoli, si ritrova così sconfitta dagli effluvi deleteri della nuova pietas. E ciò qualsiasi possano essere le conseguenze generali e storiche per la collettività, la cui evocazione si urta contro il riflesso di stopreato, di autointerdizione ed autocensura mentale preventiva, come nel termine inventato dalla neolingua orwelliana in 1984. In compenso, ogni pietà scompare in modo quasi magico, nel sottofondo foderato di bombe della strategia della US Air Force, nel momento in cui la pietà potrebbe essere d’intralcio ai disegni del Denaro.
L’AVVENTO DEL MESSIANISMO MATERIALISTA SU SCALA MONDIALE
L’ispirazione unica di questo sistema (raccoltosi in seguito intorno all’“antifascismo” che ne è divenuto uno dei motori fondamentali, come vedremo) risiede nella coniugazione dell’agostinismo politico, proprio al puritanesimo calvinista americano, e del messianismo ebraico.
L’agostinismo è stato definito come «l’assenza di distinzione formale tra il campo della filosofia e quello della teologia, cioè tra l’ordine delle verità razionali e quello delle verità rivelate». Più precisamente per agostinismo politico si intende «la tendenza ad assorbire il diritto naturale nella giustizia soprannaturale, il diritto dello Stato in quello della Chiesa» (5). In altri termini, il riassorbimento delle funzioni politiche e amministrative profane da parte della religione istituzionale, della Chiesa o delle Nazioni Unite, riassorbimento ispirato al dispotismo orientale. La conseguenza indotta sulla dottrina giuridica è il riferimento ricorrente all’autorità suprema della Bibbia [alias] più in particolare al Pentateuco (la Torah ebraica) e al Vangelo.
Uno spirito biblico comune al giudaismo ed al calvinismo puritano presiede a questo incontro di dottrine, spirito trasmesso da organizzazioni e sette quali la massoneria o i suoi succedanei oligarchici moderni (la Trilaterale, il Bilderberg Group, il Congresso Ebraico Mondiale, il Siècle in Francia, il B’nai B’rith, etc.). L’idea direttrice risiede nella credenza in un’ “elezione” o “predestinazione” divina di certi uomini e in una ricompensa terrestre correlativa, o mal distinta da queste. Gli “Eletti” erano all’origine gli ebrei storici o pretesi tali, promessi alla ricompensa su questa terra: «Yahvé il tuo dio ti eleverà al di sopra di tutte le nazioni della terra […] Yahvé ti procurerà una sovrabbondanza di beni: frutto dei tuoi lombi, frutto del tuo bestiame e frutto della tua terra, su questa terra che ha giurato ai tuoi padri di donarti. Yahvé aprirà per te i cieli, il suo più grande tesoro, per darti a suo tempo la pioggia, e per benedire le tue opere» (6).
In effetti, per le sue tendenze “padronali”, il giudaismo presenta i caratteri di un’etica e di una metafisica del capitalismo, come ha mostrato magistralmente Werber Sombart (1863-1941), per il quale d’altronde «ciò che noi chiamiamo americanismo non è che lo spirito ebraico che ha trovato la sua forma definitiva» (7). Si tratta più precisamente del capitalismo finanziario volatile e speculatore poiché essenzialmente nomade, marcato dal sua origine ebraica “errante”.
Edouard Valdman ha recentemente definito la questione, senza ambagie e circonlocuzioni, in affermazioni che sembrano sinora coperte da una sorta di “immunità etnica” rispetto alla legge francese del 1972 (8): «L’ebreo è colui che esce dalla terra del signore e del contadino per creare con il mondo un altro rapporto, che si apparenta ad un errare primordiale. Il denaro gli assomiglia. Il denaro e l’ebreo sono di fatto la stessa cosa. Entrambi sono erranti. Di più, l’ebreo, il denaro lo fa lavorare, il che è peggio di tutto. E la chiesa, questa potenza morale, vieta l’usura, questa abominazione. […] Il grande Shakespeare stesso l’ha sottolineato. L’ebreo pone un velo sordido su tutta questa gratuità, su tutta questa fraternità. […] Marx situa la nascita dei diritti dell’uomo nel 1789… un punto di vista singolarmente riduttivo e miope per un uomo con l’intenzione di cambiare il mondo. Non gli spiaccia, i diritti dell’uomo cominciano nel momento in cui l’Uomo nasce, cioè nel momento in cui si fa errante, e più tardi nel momento in cui riceve la Legge» (9).
Edouard Valdman, presidente dell’Associazione degli scrittori ebrei di lingua francese, è stato avvocato nel foro di Parigi dove si è fatto araldo dello spirito del sessantotto. Oggi, segno dei tempi, presta la sua penna a Le Figaro, giornale molto borghese, chic e perbene, e d’altra parte alla rivista ebraica L’Arche. Della sua opera Le juif et l’argent, il presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi Henri Ader a detto: «Bisogna leggerla…» (10). Ecco fatto.
Per Karl Marx, lui stesso di razza ebraica, «il fondo profano del giudaismo è il bisogno pratico, l’utilità personale. Qual è il culto profano dell’ebreo? I traffici. Qual è il suo dio profano? Il denaro. Ebbene, emancipandosi dai traffici e dal denaro, di conseguenza dal giudaismo, l’epoca attuale emanciperebbe se stessa. […] L’ebreo si è emancipato in maniera ebraica, non soltanto rendendosi padrone del mercato finanziario, ma perché, grazie a lui e suo tramite, il denaro è divenuto una potenza mondiale, e lo spirito pratico ebraico lo spirito pratico dei popoli cristiani» (11).
Tale d’altronde era l’idea dell’austriaco Otto Weininger (1880-1903), israelita apostata, «filosofo tanto altamente dotato» secondo Sigmund Freud: «L’ebreo non presta fede a nulla e cerca rifugio nelle cose materiali: da qui la sua sete di denaro» (12).
Il discorso di Weininger può parere scandaloso, ma non lo è di più di quello di un Eduoard Valdman o di un Karl Marx. Se le affermazioni di Valdman e di Marx sono, diciamo così, un po’ estreme, hanno nondimeno il merito dell’acutezza analitica. Per di più, provengono da persone considerate come autori moralmente rispettabili, e dunque non “estremisti” secondo la terminologia puritana attuale.
Per ciò che riguarda invece lo spirito puritano e calvinista, Michael Mourre ne dà questa definizione concisa, che sottolinea la sua parentela intrinseca con l’ebraismo: «Come ha mostrato il sociologo Max Weber in studi rimasti celebri, la predestinazione dona al fedele un sentimento di solitudine interiore; provoca un “disincantamento” del mondo che può di conseguenza divenire preda della conquista economica. Il puritano troverà la certezza della predestinazione nei risultati del suo lavoro indefesso, nella riuscita della sua impresa. E dato che la sua morale gli proibisce il godimento sfrenato dei beni di questo mondo, il puritano ne è ricondotto ad accumulare il suo capitale, ad investire per ottenere ancora di più, e assicurarsi così una prova ancora più eclatante della sua salvezza» (13).
Effettivamente, per Max Weber [alias, alias] (1864-1920), la sorgente puritana dello spirito del capitalismo moderno risiede precisamente nel New England del diciassettesimo secolo (14).
La forma oggi più corrente di questo stato d’animo giudeopuritano si trova dunque in questi famosi “diritti dell’uomo”. Nati con l’erranza nomade, se dobbiamo credere all’avvocato Valdman, sono oggi inclusi in una visione del mondo moralista, dovuta più specificamente al puritanesimo americano. Si tratta di una Carta universale riduzionista, totalitaria e semi-teologica, che tende a fare credere agli uomini che i sognati tempi messianici della giustizia universale sono finalmente venuti, così come sarebbero arrivati i tempi della felicità materiale, del consumismo e dell’arrangiarsi sottobanco, in nome dell’individuo creditore infinito della natura. Il saccheggio è d’altronde giustificato dal dono biblico di Dio, forzosamente preso alla lettera. giacché il puritanesimo è anche un integralismo: «Siate il terrore e la paura di tutti gli animali della terra e di tutti gli uccelli del cielo, come di tutto ciò di cui la terra formicola e di tutti i pesci del mare; sono consegnati nelle vostre mani. Tutto ciò che si muove e possiede la vita vi servirà di cibo, vi dò tutto ciò così come la verdura delle piante, […] Per voi, siate fecondi, moltiplicatevi, pullulate sulla terra e dominatela» (15).
E’ dai germi di questa dismisura antropocentrica che sarà affetto l’Occidente all’aurora dei tempi moderni. Per Cartesio, nel suo Discorso sul metodo[versione cartacea con testo originale a fronte] (1637), noi dobbiamo renderci «padroni e possessori della natura», senza la misura che si imporrebbe a colui che non si escludesse preventivamente dalla sua naturalità, dalla sua animalità primordiale. Per Heidegger, «la scienza di Cartesio non cessa di aggirarsi intorno alla magia di cui denuncia l’impostura, ma non l’ambizione» (16). Troviamo qui lo sbocco delle idee utopiche circa la pretesa “fine della storia”, laicizzata ai nostri giorni tramite un recupero materialista evidente del messianismo biblico, accessibile tanto a spiriti giudeopuritani che a marxisti del resto delusi nella loro speranza comunista.
E’ sintomatico che questi famosi “diritti dell’uomo” esacerbati, indotti dalla Bibbia, ignorino nozioni morali o estetiche essenziali nella civiltà europea, quali il dovere, la buonafede, la franchezza, la dirittura, l’onestà, la lealtà, il civismo, l’onore, la fedeltà, il merito, il carattere (la virtus romana) o l’eroismo. Queste virtù antiche sono già superate, e derise da tutti i mezzi di comunicazione, venduti alle potenze del denaro. I Diritti dell’Uomo, fumosi, ma dalla temibile efficacia sovversiva, oppongono loro l’individualismo radicale dell’«utilità personale», principio socialmente deleterio per le sovranità nazionali, i diritti dei popoli, delle famiglie e delle altre entità organiche, fondate per natura sulla legge del sangue. Le virtù tradizionali, perché non quantificabili, sono escluse da una possibile strumentalizzazione giuridica da poarte del moralismo dei Diritti dell’Uomo.
Questo pensiero capitalista totalitario ha per centro d’irraggiamento gli Stati Uniti, per quanto possa predicare e incoraggiare il nomadismo universale della “erranza primordiale” ebraica di cui parla Valdman. E’ vero che questo “errare” può ben essere virtuale grazie alle operazioni di Borsa; e, onnipresente nella società americana, questo spirito nomade ciò malgrado trova talora dei limiti relativi tra i Wasp (white-anglo-saxon-protestant), cronicamente colpiti dal ripiegamento politico; ma questa tendenza ricorrente, più o meno espressa dal cosiddetto isolazionismo, è praticamente scomparsa sotto la presidenza di Bill Clinton e poi di George W. Bush.
Il pensiero capitalista s’appoggia sulla forza, sempre giustificata da una morale di usurai, di aggiottaggisti e profittatori, che nasce dal puritanesimo ed invoca Dio.
Secondo Roger Garaudy [alias], questo pensiero è quello «d’una religione che non osa dire il suo nome: il monoteismo del mercato. […] Il mercato non si trasforma in religione che quando diventa il solo regolatore delle relazioni sociali, personali o nazionali, sola sorgente del potere e delle gerarchie. […] La droga è divenuta l’incenso della nuova chiesa. […] Corollario del monoteismo del mercato: la corruzione» (17). La posizione del professor Garaudy, illuminata dalla cultura della critica marxista al capitalismo, coincide qui in modo coerente con il nostro approccio, pure concepito agli antipodi del suo. Il buon senso appoggiato dall’osservazione attenta consente di superare gli spartiacque sociali e politici. Due più due fa quattro…
I valori del “monoteismo del mercato” hanno il sopravvento sulle virtù dell’antica Grecia: la concezione etica e quantitativa del mondo respinge brutalmente e senza condizioni la concezione uscita da un’altra etica, ma soprattutto da un’altra estetica; la visione qualitativa della vita è diventata sospetta (“fascista”).
MESSIANISMO CAPITALISTA E IDEOLOGIE SESSANTOTTINE
Con mezzi materiali considerevoli e un arsenale psicologico sbalorditivo, la mondializzazione è stata imbellettata dall’ideologia mercantilista. Paradosso vistoso, la riuscita mondiale di questa ideologia bigotta ed eversiva si è compiuta attraverso lo spirito della sinistra radicale (“goscista” in Francia, e in ogni caso “antifascista”) sessantottina. La sedicente rivoluzione occidentale del 1968 non ha fatto paura a Wall Street, ed è stata facilmente recuperata dalle democrazie moraliste di Borsa. Lo spirito sessantottino, uscito da uno spirito professorale da grillo parlante, è finito nel giro di una generazione dalle pretese rivoluzionarie alla sovversione del Denaro, sovversione che è la vera legge dell’Occidente contemporaneo, basato su un’etica svaccata e crepuscolare basata sulla cattiva coscienza.
Lo spirito del sessantotto, pretesamente libertario, ha condotto all’irenismo neo-rousseauiano pseudo-permissivo, che pure nega ogni legittimità alle opposizioni, considerate ostacoli immorali, “fascisti-razzisti”, alla Verità ed al Progresso salvifichi. Basti guardare chi è al potere in Francia, dall’ex militante trozkista Jospin all’opinion leader Serge July (già portavoce della Gauche prolétarienne nel 1971), così come in altri paesi occidentali. Per esempio, negli USA abbiamo visto il trionfo sintomatico dell’ex militante contro la guerra del Vietnam Bill Clinton, di cui l’erede conservatore George W. Bush non rinnega nulla. O in Germania l’avvento dei sessantottini patentati come Schroeder, Schily o Fischer. A livello europeo, Xavier Solana, l’ex segretario generale della NATO, questa sorta di polizia politica mondialista, è diventato capo della diplomazia dell’Unione Europea.
Edouard Valdman osserva d’altronde, in modo pertinente: «contro tutte le idee, radicate da sempre, il denaro è veramente la potenza rivoluzionaria [o per meglio dire, eversiva e nichilista] per eccellenza» (18). I sessantottini, attivisti intriganti o attendisti intrigati, l’hanno perfettamente percepito anche quando momentaneamente storditi dagli effluvi dell’«incenso della nuova Chiesa» (Garaudy). Hanno grassamente prosperato, senza alcun disagio, nel conformismo sovversivo dell’ipercapitalismo borsistico e spesso nel «corollario del “monoteismo del mercato”: la corruzione».
Un commentatore autorizzato ha così potuto scrivere: «Cosa resta oggi del Sessantotto? E’ nel modo più naturale del mondo che il libertarismo rivoluzionario ha trovato il suo “sbocco” nella fusione con il liberalismo dominante, quello dell’ordine economico. Questo recupero del libertarismo sessantottino da parte del liberismo mercantilistico resta, trent’anni dopo, il principale bilancio, il marchio principale del Sessantotto» (19).
Ma attenzione, i sessantottini non hanno tradito l’essenziale: continuano a ricevere l’eucarestia “antifascista” ed “antirazzista”, basi ordinarie del nuovo imperativo categorico esclusivo dell’Occidente. Le basi ideologiche moralizzatrici condivise ed obbligatorie, che sono state insegnate loro dai professori installatisi nel dopoguerra, sembrano aver per vocazione di abolire l’immemoriale ed universale diritto del sangue (il famoso ius sanguinisoggi sospettato di “razzismo”). Salvo naturalmente per la trasmissione ereditaria dei beni materiali, o della qualità religiosa di ebreo…
Uno dei corollari principali è che il Denaro non è certamente più neutro. Non è più un mero termine di scambio prosaico, un semplice mezzo pratico. Funziona ormai come il motore di un’ideologia messianica materialista e totalitaria. Il Denaro, nerbo delle mafie divenute il virus mutante della plutocrazia, regna come un’entità quasi personalizzata, corrompendo il mondo in un edonismo primitivo, volgare, egoista, sterile e consumista. Il sistema biblico e cristiano, fondato su una morale ascetica, sbocca in effetti nei peggiori eccessi non appena l’ascesi religiosa finisce per smorzarsi… Questa deriva materialista era e resta spesso estranea ai costumi dei suoi rigorosi ed austeri precursori e promotori puritani, da parte loro alquanto ascetici, che si negavano e talora si negano tuttora «il godimento sfrenato dei beni di questo mondo»; ma certo non la corruzione attiva sistematica («Osama bin Laden. Vivo o morto. 250.000.000 di dollari di taglia»). Si tratta in fin dei conti della corruzione degli altri, di quelli cattivi, passivi, non “predestinati”, condannati ad acquistare. Strana visione del mondo, che invoca il proto- umanismo indotto dal Nuovo Testamento per sé e i propri, ma applica la crudeltà dell’Antico Testamento all’esterno, agli altri, tagliati fuori da Dio e dunque perduti dalla maledizione.
Questa deriva materialista è forse più o meno accettabile in America, e in ogni caso funziona là dove la separazione tra il sacro e il profano resta sfumata, ma diviene assolutamente disastrosa quando esportata. I regimi vassalli, come gli Stati europei, si trasformano in sistemi alla deriva verso la corruzione generalizzata, a cominciare dalle più alte funzioni governative. Régis Debray ha osservato in modo molto pertinente che il mercato non era per nulla un “punto di coesione” della nostra epoca, contrariamente all’opinione diffusa: «Ciò che salva la società americana dall’atomizzazione individualista è il monoteismo. Negli Stati Uniti non vi una religione ufficiale, ma l’ufficialità è intrisa di religione. Voler importare il culto del biglietto verde, delle stock options o della Borsa senza la spiritualità che si accompagna ad essi: è cosa per lo meno inconseguente, ovvero pericolosa» (20).
L’Europa è così proiettata totalmente fuori dal mondo che era in fondo il suo sin dall’antichità greca, e che prevaleva nell’economia pre-capitalista, in cui «è l’uomo che forma il centro degli interessi economici, [sotteso] ad una volontà […] interamente e rigorosamente straniera alla concezione mammonica della cose» (21).
In nome della morale dunque e del monoteismo del mercato, sotto l’imperio della cattiva coscienza secolarizzata, l’occidente è proiettato in un nuovo mondo di cupidità punica, fuori da quella sfera di civiltà immemoriale di cui Louis-Ferdinand Céline (1894-1961) diceva che aveva per ideale «il fervore per il gratuito, ciò che manca di più oggi, spaventosamente. Quel gratuito che solo è divino» (22).
Ma questa gratuità, come conferma l’etologia, non esiste in natura se non in fase con la legge del sangue, come principio vitale e biologicamente razzista («Razzismo è famiglia. […] E’ uno per tutti, tutti per uno», Céline).
DAL LEVIATANO A MAMMONA, NUOVO MESSIA
Un secolo dopo che Calvino aveva aperto il prestito a interesse ai cristiani (con la Lettera sull’usura, 1545), mettendo così termine a ciò che viene talora chiamata la “gratuità della vita”, Hobbes designava lo Stato sovrano moderno, allora nascente, sotto il nome di Leviatano (1651). Per lui, questo essere collettivo astratto ed onnipotente non era «nient’altro che un uomo artificiale […] e munito d’una forza molto più grande» nel quale «la sovranità è come un’anima artificiale». Il teorico inglese aveva dunque scelto di affibbiargli il nome di un mostro biblico (23), divenuto il titolo della sua opera (24).
Oggi si sta sviluppando un nuovo e terribile mostro collettivo indifferenziato, proteiforme e molto più sfuggente del Leviatano di Hobbes. Anzi, non ha neppure più bisogno di un volto sintetico come quello del Grande Fratello, lo pseudo-dittatore del romanzo di Orwell. Questo mostro collettivo, che assomiglia tanto ad uno Stato mondiale quanto alla teocrazia rampante di Mammona, ovvero del Denaro, domina oggi il mondo. E’ un’entità intelligente, logica, inflessibile, ma anonima ed avida, che impone la sua ideologia fondamentale, utilitaria e manichea. Sotto il suo imperio, l’ordine mondiale, plutocratico e dispotico, rivendica il ruolo di parametro della morale.
Mammona, ricordiamolo, era il dio siro-aramaico del denaro, simbolo dell’avidità per i beni materiali nei vangeli, assimilato al diavolo: «Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno ed amerà l’altro, o si attaccherà ad un uno e disprezzerà l’altro. Voi non potete servire Dio e Mammona» (25).
L’ideologia monetarista, che l’ex dissidente sovietico Aleksandr Zinoviev chiama la “super- ideologia”, è crepuscolare, fondata sulla cattiva coscienza degli occidentali condotti a disprezzare se stessi. Al prezzo del collasso demografico europeo, siamo invitati ad abolire la nostra natura, inaccettabile perché razziale, e dunque il nostro avvenire collettivo, in cambio della felicità materiale del momento. Il mondialismo messianico ha la sua gerarchia di valori, dei valori borsistici in primo luogo sapendo che del resto gli “eletti” americani mantengono, da parte loro, il rinnovamento delle generazioni al tasso necessario di 2,3 nascite per donna (26). Per il professor Fukuyama, che se ne felicita in modo sintomatico, «l’Organizzazione Mondiale del Commercio è la sola istituzione internazionale che abbia una chance di diventare un organo di governo a livello mondiale» (27).
Il mondo cede progressivamente e in modo insidioso, a partire dagli anni cinquanta, a questa ideologia radicalmente capitalista, individualista e finanziaria, promossa da affittacamere che sanno far tacere le coscienze e rovinano le civiltà in ciò che esse hanno di sostanzialmente incorruttibile. Mammona, improvvisandosi messia, impone la sua metafisica elementare, universalista e riduzionista dei Diritti dell’Uomo, ovviamente interessata, ma con le apparenze di una liberazione. Mammona, dio monetarista, è divenuto messia – o meglio anti-messia, almeno per i cristiani non toccati dall’eresia puritana prosperata a Boston come descritto da Max Weber (per questi ultimi, del resto molto minoritari, Mammona in verità dovrebbe essere considerato come un usurpatore, di cui il Cristo dei vangeli si è dichiarato nemico, una sorta di Anticristo). D’altronde, in qualità di messia, Mammona non può regnare sul mondo che incondizionatamente: «Domanda, e io ti darò le nazioni per eredità, per dominio le estremità della terra: tu le spezzerai con il tuo scettro di ferro, come vaso di coccio le spezzerai» (28).
Mammona, questo rimpiazzo monetarista di Dio, può anche essere definito, in modo più moderno e distanziato dal linguaggio evangelico e biblico, la Cappa. In effetti, la super-ideologia, secondo l’espressione ripresa da Zinoviev, ben agisce in pratica come una cappa di piombo. Questa formidabile egemonia culturale e soprattutto morale nasconde un mutamento nella percezione di Dio. Fuori dagli Stati Uniti, paese dove non è sempre chiaro sino a che punto arrivi il banchiere e dove cominci il pastore, questo mutamento si traduce nella maggior parte dei casi in un piatto agnosticismo, più o meno mascherato. Eppure i nuovi chierici, in senso stretto, sono reclutati anche tra i ministri del culto luterano o cattolico. Dimenticando le prevenzioni che l’hanno a suo onore caratterizzata, la chiesa cattolica ha operato un nuovo ecumene, questa volta su scala planetaria, e con una posta molto più importante di quella di Leone XII rispetto alla repubblica francese nel 1892. Giovanni Paolo II, il vero papa dell’assunzione ecclesiale dei Diritti dell’Uomo, ha allineato di punto in bianco il discorso della chiesa cattolica. Sin dalla sua elevazione al Soglio, dichiarava, a quanto pare parafrasando il Vangelo (29): «Non abbiate paura. Stati, aprite le vostre frontiere. Uomini, aprite i vostri cuori. Sì, la lotta per la promozione e la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, che riunisce tutti gli uomini e le donne di buona volontà, è il nostro compito comune» (30).
Ci si poteva attendere di meglio, dalla chiesa cattolica istituzionale in particolare, e dalle chiese cristiane in generale. Tuttavia, la demenziale eresia plutocratica estende la sua sovversione generalizzata sul mondo intero. Dov’è la lungimiranza, dove sono i grani del martirio contro Mammona, l’usurpatore, l’anti-messia? Di sicuro non va cercato nelle Giornate Mondiali della Gioventù, manifestazione conformista di una gioventù pietista, bigotta, disarmata, senza immaginazione né spirito di rivolta, disadattata e al tempo stesso connivente con la tragedia del ventunesimo secolo.
In effetti Mammona, o la Cappa, procede da una vera e propria oligarchia plutocratica che stende il suo potere omologante sul mondo intero, al servizio del monoteismo del mercato. Sotto la copertura della super-ideologia monetarista, si forma ciò che Augustin Cochin (1876-1916) chiamava «il popolino», in una particolare accezione. Non si tratta qui della frangia più modesta delle società umane, ma al contrario di una pur ampia oligarchia di privilegiati, issati ai posti supremi, sorta di nomenklatura, come si diceva per la vecchia URSS. Il “popolino” è un anti- popolo opposto ai “grande popolo”, composto da parte sua da tutti e ciascuno. Questo “grande popolo” comprende le popolazioni assoggettate al popolino oligarchico, che «ha preso il posto del popolo […], da estraneo ai suoi istinti, ai suoi interessi ed al suo genio. […] Il popolo fa finta di deliberare per il meglio? Il fatto è che non è abbastanza libero…» (31).
Attaccati ai loro privilegi, i membri del “popolino” hanno la sensazione di essere gli eletti del destino, i chierici predestinati del Progresso, gli annunciatori messianici del sole dell’avvenire. Non si tratta solo, di costoro ce n’è bisogno infatti in quantità, di gente personalmente implicata in grande stile nel sistema del Denaro, perché il servilismo è spesso spontaneo e la cortigianeria imitativa e mimetica. Si tratta spesso di politici, tecnocrati, intellettuali, funzionari, giuristi, potentemente motivati dalla piaggeria arrivista, e neppure sempre corrotti.
Chierici vergognosi riuniti, magistrati moralisti e quasi-demonologi, sono imbevuti del loro nuovo ruolo, al servizio di una trascendenza d’accatto. Beninteso, sono largamente eredi dello spirito del sessantotto, che siano di “sinistra”, sessantottini culturalmente attivi e pedanti, arbitri della moda e del nuovo “buoncostume”, o nominalmente di “destra”, culturalmente passivi e non meno pedanti, ma ossequiosi a fronte del magistero culturale della sinistra. Questa gente “di destra” sono i «nuovi moderati» di cui parla Abel Bonnard.
Al di là ancora poi di questo “popolino” oligarchico abbonda l’onnipresenza dei devoti dei Diritti dell’Uomo, quelli che non credono che a ciò che è loro stato inculcato per osmosi sociale come il Bene che trionfa della fornicazione spirituale, dell’oscenità e del vizio.
IL DOMINIO DEL “TOTALITARISMO FINANZIARIO”
Al contrario di una Chiesa malata ed omologata, Zinoviev, dopo vent’anni di esilio in Occidente, ha formalmente denunciato ed attaccato la Cappa messianica. Per spiegare il suo rimpatrio volontario in Russia, ha pronunciato queste parole figlie del disinganno: «Oggi viviamo in un mondo dominato da un’unica forza, da un’unica ideologia, da un partito unico mondialista. […] Il totalitarismo finanziario ha sottomesso i poteri politici. Il totalitarismo finanziario è freddo. Non conosce né pietà né sentimenti. Le dittature politiche fanno pena in confronto alla dittatura della finanza. Una certa resistenza era possibile in seno alle dittature più dure. Nessuna rivolta è possibile contro la Banca. […] I teorici e i politici occidentali più influenti pensano che siamo entrati in un’epoca post-ideologica, perché intendono per “ideologia” il comunismo, il fascismo, il nazismo, etc. In realtà, l’ideologia, la super-ideologia del mondo occidentale, sviluppata nel corso degli ultimi cinquant’anni è ben più radicata di quanto lo siano stati il comunismo o il nazionalsocialismo» (32).
Il totalitarismo finanziario ha sottomesso i poteri politici, e di conseguenza, beninteso, il potere giudiziario, o meglio, secondo la denominazione costituzionale francese più corretta (33), l’autorità giudiziaria (art. 66 della Costituzione).
In nome della “comunità internazionale” mammonica, avatar rinforzato della “coscienza universale”, noi viviamo ormai sotto la minaccia dell’ US Air Force che è nei cieli, dell’ONU, della NATO, del Fondo Monetario Internazionale (organismo centrale dell’usurocrazia mondialista), della Banca Mondiale, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e della Commissione di Bruxelles. Gli organismi moralizzatori condannano la gratuità che secondo Céline procedeva dallo spirito europeo fin da epoche ancestrali. Bisogna finirla con la gratuità come paradigma, che non va confusa con la filantropia universale, essenzialmente spettacolare, la cui affettazione volgare e pubblicitaria ha per lungo tempo ripugnato allo stesso cattolicesimo: «Guardatevi dal praticare la vostra giustizia di fronte agli uomini per farvi notare da loro. […] Quando fai l’elemosina, non far suonare la tromba: così fanno gli ipocriti, nelle sinagoghe e nelle strade, al fine di essere glorificati dagli uomini; in verità vi dico, la loro ricompensa l’hanno già avuta. Quanto a te, quando fai l’elemosina, che la tua mano sinistra ignori cosa fa la destra, affinché la tua elemosina sia segreta, e il Padre tuo, che vede nel segreto, te la renderà» (34).
Cosa del resto già non troppo applicabile al puritanesimo calvinista, per cui «il possesso del denaro diviene […] un segno della grazia divina; si ostenta la ricchezza; più si è ricchi, più si è amati da Dio» (35).
La filantropia spettacolare non è infatti che un mezzo per il disarmo morale delle popolazioni occidentali, soprattutto europee, tramite un pietismo emolliente, piagnucoloso e incapacitante. E’ una forza inibitrice, obnubilante, sottesa da una sorta di irenismo universale idilliaco e moralizzatore, che conduce all’abdicazione delle difese naturali, nell’impietosirsi senza misura né riserve su ciò che è lontano ed estraneo e nell’oblio o nel disprezzo egoista di ciò che ci è vicino. Siamo così spinti ad impietosirci su coloro che domani saranno con noi spietati, giacché la natura ha le sue leggi biologiche. L’arroganza vendicativa ed aggressiva di cui danno prova i “cercatori d’asilo”, e più in generale gli immigranti beneficiati dall’assistenzialismo, è significativa a questo riguardo.
Questa filantropia puritana, perfettamente strumentalizzata da lustri dai calvinisti americani, può ben apparire come una sorta di prostituzione dei buoni sentimenti. E’ in ogni caso totalmente integrata alle necessità capitaliste, sia come mezzo pubblicitario falsamente disinteressato, che come processo volto al rilancio della produzione o come mezzo di condizionamento delle popolazioni. Matteo, l’evangelista che disprezzava Mammona, davvero non doveva avere il senso degli affari…
Ma al di là del paradigma condannato della gratuità, i principali agenti e i devoti della Cappa monetarista s’oppongono anche a qualsiasi abbozzo di economia retributiva, fondata su altro che non sia il primato del denaro volatile e speculativo. Mammona non saprebbe sopportare le velleità di libertà sovrana dei popoli o di indipendenza economica delle nazioni. Gli è necessario ovviare ad ogni rischio di ritorno, foss’anche parziale, a principi economici diversi, che gli farebbero perdere il controllo del mondo; braccare ogni accenno di ritorno ad un’economica di “sussistenza” nel particolare senso che dà alla parola Sombart, cioè di autarchia relativa, che sarebbe in evidente rottura con il monetarismo speculativo mondialista. Solo l’avidità, e il «godimento sfrenato dei beni di questo mondo», un tempo moralisticamente condannato, deve reggere l’economia unica e globalizzata, almeno per quello che riguarda i consumatori (non “predestinati”). E’ il trionfo esclusivo ed obbligato del circuito di insoddisfazione permanente, brama di possesso, acquisto- indebitamento, obsolescenza programmata, riaccendersi della brama…
Tutto ciò che non è monetizzabile, di conseguenza tutto ciò che è spirituale o semplicemente organico, come tale suscettibile di ingenerare la “discriminazione”, diviene il Male, l’abominazione, il “fascismo”, la “xenofobia”, il “razzismo”, il “nazismo”. Questi clichés, termini per tutti gli usi, corrispondono alle designazioni incapacitanti assestate dai nuovi bigotti del “monoteismo del mercato” sotto la copertura del moralismo puritano e della cattiva coscienza secolarizzati.
Mammona è del resto nemico non solo degli “estremismi” denunciati in tal modo, ma anche di una più modesta saggezza epicurea, come la descrive Lucrezio, secondo cui «se ci si governasse secondo la vera dottrina, la più grande ricchezza per l’uomo sarebbe di vivere con il cuore contento di poco; perché di questo poco non vi è mai penuria. Ma gli uomini hanno voluto rendersi illustri ed abbienti per stabilire la loro fortuna. […] Lasciateli dunque sudare sangue e spossarsi nelle loro vane lotte sullo stretto cammino dell’ambizione, giacché non hanno gusto se non tramite la bocca d’altri, e regolano le proprie preferenze sulle opinioni ricevute piuttosto che sulle loro proprie sensazioni» (36).
L’ “antifascismo”, portato avanti inizialmente da marxisti la cui bottega è stata ridipinta di fresco con i colori virtuali della Borsa, si è mutato in arma del “totalitarismo finanziario” (Zinoviev), attraverso un processo su cui torneremo. Là ove non sta il Denaro, comincia dunque la presa evidentemente orrifica di ciò che la Cappa disegna come l’avversario irriducibile, immorale e malefico. Chi ricusa il Denaro è quindi di fatto demoniaco, “fascista”, per questa teologia intollerante al punto di aver sequestrato il termine stesso di tolleranza per l’uso esclusivo dei suoi zeloti. Mediante un travolgimento semantico caratteristico della neolingua orwelliana oggi dominante, questa confisca avviene evidentemente per meglio lottare appunto contro ciò che è “intollerabile”!
La dove sta Mammona sta anche l’“etica” delle Nazioni Unite e dei Diritti dell’Uomo, la morale filantropica monetarista (slogan ascoltati a caso per radio nel 2001: «L’etica, rende!» e «Siamo solidali facendo degli affari»). Lo stadio ultimo dell’eresia mammonica sotto l’egida degli Stati Uniti è stato ben descritto da Guillaume Faye: «Bible and business. Il moralismo evangelico giustifica il mondo degli affari e viceversa» (37).
TERRORE, POTENZA MILITARE E DIRITTI DELL’UOMO
I plutocrati, i loro commessi e cortigiani, che dominano il mondo ed impongono la rivelazione mammonica e contabile, non esitano a distruggere e ad uccidere per i bisogni della loro causa. Non procedono d’altronde che in modo pulito ed a distanza, per quanto su larga scala. Uccidono per quanto possibile da lontano, e non uccidono che per ragioni buonissime dal punto di vista morale e finanziario, ragioni inseparabili per il nuovo ordine mondiale le une dalle altre. Uccidono con l’embargo e il bombardamento aereo, con tutti i modi messi a punto dai nuovi moralisti per punire i popoli per gli atti dei loro dirigenti. Uccidono senza uno sguardo alle loro vittime, sguardo che potrebbe essere demoralizzante per la loro soldataglia. Le uccisioni sono tanto clean quanto massicce: è la guerra senza sangue e fango dalla loro parte, la guerra che non colpevolizza. Dopo averla inflitta tante volte agli altri, amici (?) e nemici, gli americani hanno alla fine, su piccola scala, pur conosciuto questo orrore, stupefatti, a New York, a seguito degli strani attentati compiuti contro le Twin Towers, l’11 settembre 2001…
Questa è l’essenza della pax americana. Essa vuole imporre all’Iraq, dove il petrolio non è anglosassone, esigenze che invece non hanno apparentemente corso con riguardo all’Arabia Saudita. Ma, benché mischiato al sangue dei suppliziati della Shariah, tanto rigorosamente applicata quanto nell’Afghanistan dei Talebani, il petrolio saudita ha l’etichetta americana e quindi quella, un po’ incongrua, dei Diritti dell’Uomo. Questa stessa “pace mondialista” del resto ha distrutto come un rullo compressore nell’ex Jugoslavia tutto ciò che si opponeva all’avvento delle trasformazioni geopolitiche auspicate dall’Islam in connivenza petrolifera con gli interessi americani e texani.
I responsabili della morte militar-industriale, utilitaria, a distanza e clean, sono convinti di fare effettivamente parte della schiera degli “eletti” e dei “predestinati”, chiamata a reggere il mondo. Ha ragione il transfuga americano Roberto Dôle, quando scrive dal suo esilio in Canada: «Se una nazione non è pronta a seguire l’esempio americano, essa merita che i suoi cittadini cadano sotto i bombardamenti. Il bombardamento delle grandi città è cominciato durante la seconda guerra mondiale. […] Uno ha il diritto di chiedere ad un pilota di uccidere degli innocenti dal suo aereo se non è capace lui stesso di uccidere la vittima faccia a faccia? Il massacro anonimo dei civili è diventato una specialità degli Stati Uniti. A mia conoscenza, è il solo paese che vi si dedichi in modo abbastanza costante da cinquant’anni. […] Gli americani approvano il massacro dei non-eletti, a condizione che avvenga in modo pulito, che gli strumenti dell’uccisione siano anonimi, che la morte cada da aerei che spariscono senza che i piloti debbano vedere le loro vittime. […] La crudeltà del governo americano si esprime anche negli embargo internazionali. Che importa la sofferenza umana causata dagli embargo internazionali, dato che le vittime non appartengono al popolo eletto? Esse non sono né americane, né ricche» (38).
Ma è per la buona causa, e le famiglie dei bambini spappolati, carbonizzati o affamati non hanno che da farsene filosoficamente una ragione. Tutto ciò è ammesso dal 1944, al punto che i circa settantamila francesi uccisi dai bombardamenti alleati non sono considerati che vittime “collaterali”, ufficialmente dimenticate. Storicamente importuni malgrado loro, non hanno diritto né al fervore della “memoria”, né alle cerimonie del ricordo, né a mausolei, cenotafi o monumenti. I minuti di silenzio, in Francia come in Germania, sono esclusivamente per gli impiegati della Borsa di Wall Street coinvolti nell’episodio dell’11 settembre. Quanto ai tedeschi, persino a titolo di civili deliberatamente presi a bersaglio, gli stessi sono interdetti, invero in nome dell’umanismo democratico, da una memoria propria. I loro compatrioti sono stati collettivamente resi vittima di un’amnesia: i loro martiri e i loro eroi non hanno diritto all’esistenza. Si fa passare per profitti e perdite esorcistici il loro milione e rotti di vittime civili ad opera dei bombardamenti terroristici di sterminio alleati.
D’altronde, i media e il sistema scolastico del nuovo ordine mondialista sono là per questo: la civiltà dei Diritti dell’Uomo ha le sue necessità strategiche, proclamate e rischiarate dalle torce viventi chiamate Dresda, Hiroshima e Nagasaki. Bisogna sapere che persino Stalin, che voleva vincere la guerra e conquistare le città ma non considerava una priorità distruggerne le popolazioni, aveva rifiutato la strategia di annientamento urbano propugnata dagli Alleati nella seconda guerra mondiale. E’ così che fece arrestare, dopo che ne erano stati fabbricati solo qualche decina di esemplari, la produzione della sua fortezza volante, il bombardiere pesante Tupolev B-7, modello affidabile ed ultramoderno del 1940 (39).
Ma attenzione! Tutti questi olocausti ed apocalissi forse non sono riservati solo agli “altri”. Tutti i non-americani sono in qualche loro parte degli Indiani, dei Pellerossa o degli Amaleciti agli occhi dei “predestinati” (o degli “eletti”). La morte al tocco di un pulsante si aggira nell’avvenire di ognuno di noi. Là sta il pericolo, e non nei resoconti del grande Processo di Norimberga, nuovo capitolo della Bibbia. Giacché questo impero della Cappa monetarista che sta assumendo il controllo del mondo, non escluso tramite l’usura, particolarmente dopo l’11 settembre è pronto a tutto. E per Roger Garaudy «la grande debolezza di questo impero è che non ha affatto un’anima, cioè un progetto collettivo per l’avvenire dell’uomo, se non lo sviluppo della produzione e del consumo attraverso la superiorità delle armi» (40).
Tuttavia, questa morte monetarista che è inflitta da Mammona, è puritana e sacra, senza disagio e con la migliore buona coscienza ottusa per i suoi sicari moralisti: «”E ora va, colpisci Amaleq, votalo all’anatema con tutto ciò che possiede, sii senza pietà per lui, uccidi uomini e donne, bambini e poppanti, buoi e pecore, cammelli e asini”. [Saul] prese vivo Agag re degli Amaleciti, e passò tutto il popolo a fil di spada in esecuzione dell’anatema» (41).
Questa è la legge teocratica e moralista del Bene contro il Male, dei Buoni contro i Cattivi, ricordata durante le letture domenicali nelle chiese e sinagoghe americane. Da qui l’espressione sbalorditiva adottata dal presidente americano George W. Bush quando il 30 gennaio 2001 ha designato le sue terrificanti forze militari come le «armate americane della compassione» (42). E’ lo stesso presidente, americano illuminato tipico, che «legge la Bibbia tutti i giorni»; e dichiarava, dopo gli attentati che hanno distrutto il World Trade Center l’11 settembre 2001, che era ormai questione della «monumentale battaglia del bene contro il male» (43).
Commento di Jean-Claude Barreau, pure ex prete e molto spiritualista: «Quando il presidente Bush parla della lotta del Bene contro il Male cade in una semplificazione incredibile. Siamo qui – intellettualmente – nel fanatismo religioso» (44).
Il presidente Bush junior, sempre pronto al massacro dei nuovi Amaleciti, non si rende conto che gli attentati dell’11 settembre non hanno ucciso che qualche migliaio di civili americani, la metà circa dei soli francesi uccisi nel bombardamento di Le Havre nel 1944 a titolo “collaterale”.
Storicamente, questo dramma non è che un avvenimento davvero minore, avuto riguardo al terrore omicida che l’US Air Force dispensa sul mondo da una sessantina d’anni. La fiaccola della Statua della Libertà brucia probabilmente con la fiamma del napalm.
Il Terrore messianico, in questo caso su scala planetaria, esattamente come il Terrore che abbiamo conosciuto in Francia dal 1792 al 1794, si profila di nuovo dietro i Diritti dell’Uomo, e oggi dietro l’offesa fatta alla Borsa… Questo terrore ben presente non ci minaccia con ineffabili “camere a gas” hitleriane, dall’esistenza dogmatica e legalmente sanzionata, ma con un super-armamento, in particolare nucleare, termonucleare e batteriologico, la cui esistenza è nota ed incontestata. Super-armamento ricattatorio, a valenza popolicida e moralizzatrice, che gli Stati Uniti continuano con i capitali assorbiti da tutto il mondo a sviluppare indefessamente, malgrado la scomparsa dell’alibi sovietico, e unicamente per il trionfo del loro imperialismo materialista.
Siamo ormai agli antipodi dell’originaria spiritualità cristiana, benché essa sia una delle origini del Sistema, in particolare tramite l’interposizione del calvinismo puritano e imbastardito. Così come siamo agli antipodi della saggezza epicurea antica, ripresa nel sedicesimo e diciassettesimo secolo dai “libertini”, pirroniani affrancati dalla cattiva coscienza che Pascal condannava. Libertini che il diciassettesimo secolo francese chiamava “Galli”, Gaulois, come vengono chiamati oggi i francesi etnici nelle periferie meticciate… Contro il puritanesimo, contro la cattiva coscienza secolarizzata e l’Anticristo allegorico, persino i cristiani possono aderire a questo antidoto metodologico che è la libertà di spirito. Così come fece l’abate Gassendi, sapiente virtuoso, ma libertino spiritualmente, che si dice insegnò al futuro autore del Don Giovannie del Tartuffe… Più generalmente, la cosa è del resto applicabile a numerosi libertini francesi del Grande Secolo, in contrasto con i “libertini fiammeggianti”, che da parte loro erano innegabilmente atei. Il libertinaggio di spirito in fin dei conti è l’antidoto del puritanesimo.
SOTTOMISSIONE DEL DIRITTO NAZIONALE AI DIRITTI DELL’UOMO
Per la Francia la possibilità di sfuggire alla super-ideologia era tanto minore in quanto lo spirito “repubblicano” è sempre stato storicamente soggiogato da tutto ciò che è reputato anglosassone, probabilmente per influenza massonica. In aggiunta, l’ideologia “progressista” tradizionalmente coltivata dalla sinistra francese si adatta a quanto pare benissimo a questa super-ideologia di avidità materialista e di cattiva coscienza secolare nell’egualitarismo universalista.
Così la Francia ha ratificato la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo, elaborata sotto l’egida del Consiglio d’Europa (da non confondere con il Consiglio dell’Unione Europea), ratifica operata in due tempi, nel 1974 e nel 1981. Un’adesione che marca una sottomissione morale e formale alla super-ideologia crepuscolare ed un vassallaggio imititativo alla Cappa: tale ratifica ha infatti due conseguenze considerevoli nell’ordine giuridico interno:
- innanzitutto, la nuova e tangibile supremazia della Convenzione, così come ormai di tutte le convenzioni internazionali, sulla legge interna, secondo la dottrina detta della “gerarchia delle norme” o della “prevalenza”;
- in secondo luogo, la sottomissione della giurisdizione nazionale a quella della Corte europea dei diritti dell’uomo, istituita dalla convenzione citata, dopo che il 2 ottobre 1981, sotto il regno di François Mitterand [alias], la Repubblica ha riconosciuto il diritto ai ricorsi individuali avanti questa giuridizione soprannazionale, vera macchina politica mondialista, sovversiva della sovranità dello Stato, che siede a Strasburgo.
Il procedimento così entrato nel nostro diritto positivo a seguito di una dottrina avvallata dalle autorità politiche si oppone direttamente alla tradizione giuridica francese, specie post-assolutista. Tale risultato è stato in effetti conseguito al prezzo di un concreto abbandono, essenzialmente contrario ai principi del diritto razionale, formale e scritto, delle disposizione di cui all’art. 127 del vecchio codice penale francese che vietava al giudice di omettere l’applicazione di una legge nazionale. Tale articolo, teoricamente in vigore sino al febbraio 1994, recitava: «Saranno colpevoli di omissione di atti d’ufficio, e punibili mediante degradazione civica, […] i giudici, i procuratori della repubblica e i loro sostituti, o gli ufficiali di polizia che si saranno immischiati nell’esercizio del potere legislativo… interrompendo o sospendendo l’applicazione di una o più leggi […] oppure deliberando sul fatto se le stesse debbano avere esecuzione».
Evidentemente la disposizione è scomparsa dal nuovo codice penale. Ma, ad illustrazione della decadenza del diritto e della parzialità dei giudici, questa regola era già contro ogni ragione caduta in desuetudine, esattamente al fine di permettere l’applicazione diretta della convenzioni internazionali moralizzatrici. Il trionfo dell’impunità burocratica e giudiziaria coinvolge così tutto il sistema giuridico francese, dominato oggi dalle istituzioni internazionali, e soprattutto dalle istituzioni europee.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, composta da magistrati politicamente selezionati dai paesi aderenti, in tutta evidenza sulla base del loro conformismo politically correct, funziona secondo una procedura abbastanza sorprendente. In effetti, nel suo ambito è possibile infrangere tranquillamente principi che la Corte pretende di imporre alle giurisdizioni nazionali assoggettate, senza che ciò paia impressionare particolarmente i magistrati che la compongono… Si sa che è facoltà a qualsiasi ricorrente di un paese che sia parte della Convenzione di adire la giurisdizione internazionale della Corte, dopo esaurimento dei rimedi interni; ma questo non gli garantisce affatto di poter beneficiare del contraddittorio in questo stadio procedurale ultimo. Questa bizzarria deriva dalla costituzione stessa della Corte, che possedeva ancora recentemente un organo di filtraggio, la Commissione europea dei diritti dell’uomo, che giudicava da sola la maggiorparte dei ricorsi, in modo né contraddittorio né pubblico!
Malgrado l’abolizione recente di questa commissione, il filtraggio preventivo continua praticamente a sussistere allo stato attuale della procedura, essendo esperito dai cosiddetti “comitati” della Corte stessa. La predicazione di quei veri metri di paragone della giustizia multinazionale che componevano la Commissione, e compongono oggi i comitati, non tollererebbe certo un tipo di giurisdizione occulta di questo genere da parte delle autorità giudiziarie nazionali assoggettate. Si tratta in effetti di un’ipotesi di grossolana violazione dell’art. 6 della Convenzione di cui questi signori sono i perfidi guardiani… Un miglioramento della situazione è poco verosimile tenuto conto della latitudine lasciata dal testo della convenzione stessa e della giurisprudenza sin qui della Corte. O meglio: così stanno le cose, salvo comunque il caso di un’ imperiosa necessità ideologica che richieda l’utilizzo di un “jolly” giuridico, come vedremo tra poco. Perché i Diritti dell’Uomo sono prima di ogni altra cosa l’arma della super-ideologia primitivamente alla base della Convenzione stessa, che si proclama abusivamente fonte universale del diritto, sotto la copertura della metafisica giudeopuritana già discussa.
Il diritto, rivisto alla luce dei Diritti dell’Uomo, non è lo stesso per tutti, è “a geometria variabile”. Illustreremo il funzionamento reale della Corte europea dei diritti dell’uomo con l’aiuto di un caso concreto.
LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO ALLA PROVA
In questa logica di universalismo totalitario, la Commissione europea dei diritti dell’uomo ha chiaramente opinato per un’interpretazione sistematicamente partigiana della Convenzione che essa ha per compito di far rispettare nei paesi assoggettati. Un significativo caso di specie lo mostra in modo particolarmente eloquente, e precisamente quello di Pierre Marais, chimico in pensione colpevole di conclusioni scientifiche inopportune.
Nel numero del settembre 1992 di Révision, rivista francese di diffusione modesta per non dire quasi confidenziale, pubblicata a Issy Les Molineaux e diretta dal revisionista Alain Guionnet, Pierre Marais aveva in effetti pubblicato uno studio scientifico preciso. Il suo oggetto figurava in riassunto nel titolo, “La chambre à gaz de Struthof-Natzweiler, un cas particulier”. Tale studio minuzioso, unicamente di natura chimica, concludeva, a torto o a ragione, per l’impossibilità tecnica delle esecuzioni di prigionieri mediante mediante gassamento nel campo di concentramento tedesco di Struhof in Alsazia, attivo nel 1943. Lo studio stesso rivelava in ogni caso interessi pericolosi e non occasionali dell’autore, che non saranno in seguito smentiti, perché lo stesso pubblicherà ulteriormente un’opera non meno minuziosa, in particolare sulla questione dei cosiddetti “camion a gas” [alias] (45).
Ora, il pubblico ministero parigino, tramite la penna e la voce inquisitoriali del sostituto procuratore François Cordier, zelante specialista del genere, ha prestamente esercitato l’azione penale, invocando la famosa legge Fabius-Gayssot del 13/07/1990 (46). E’ così che per delle pagine austere piene di oscure formule chimiche, di cui i giudici non capivano manifestamente nulla, così come del resto l’avvocato della difesa, Pierre Marais è stato condannato penalmente condannato.
Per pronunciare la condanna del chimico, i giudici non hanno neppure fatto ricorso ad un perito, che avrebbe potuto giungere, in ipotesi, a conclusioni altrettanto blasfeme, rispetto all’unica legge francese di natura intrinsecamente dogmatica. Bisogna qui ancora notare che questo disprezzo per la possibile verifica materiale del fatto causale era già, per una ragione oggi evidente, una particolarità dei processi per stregoneria. Come ha scritto Arthur Miller [alias] sull’episodio di Salem, «la stregoneria è, per sua natura, precisamente un crimine invisibile» (47).
Questa è stata anche una delle particolarità dei grandi processi celebrati dagli Alleati a Norimberga. La cosa è tranquillamente ammessa dai nostri storici di corte, che, con riguardo all’argomento delle camere a gas hitleriane, esigono l’abdicazione dell’intelligenza a fronte del mero argomento ex auctoritate. Penso in tal senso specialmente ai trentaquattro intellettuali che, con Pierre-Vidal Naquet, si sono abbandonati a questa stravagante formula oscurantista, mediante presupposizione semi-demonologica e fideistica del genocidio allegato: «Non bisogna domandarsi come, tecnicamente, lo sterminio di massa è stato possibile. E’ stato possibile tecnicamente perché ha avuto luogo. Questo è il punto di partenza obbligato di ogni ricerca storica in argomento» (48). Avendo mancato di ascoltare l’università e l’accademismo del tempo, per cui «non bisogna domandarsi come tecnicamente…», Pierre Marais, onesto chimico in pensione, è stato ridotto allo stato di delinquente e di eretico dal nuovo fanatismo. E’ stato condannato sotto la presa di una nuova superstizione che condiziona i giudici semi-demonologi, teologi della semi-religione dei Diritti dell’Uomo.
La sua condanna fu pronunciata il 10 giugno 1993 dalla XVII sezione del Tribunale di Grande Istanza di Parigi, sotto la presidenza della signora Ract-Madoux. Fu confermata il 2 dicembre successivo dalla XI sezione della Corte d’Appello di Parigi, sotto la presidenza del signor Texier. Il ricorso in cassazione fu rigettato con decreto del 7 novembre 1995 dalla Sezione Penale della Corte di Cassazione, sotto la presidenza del signor Milleville. Pierre Marais fu allora il primo revisionista della storia a rivolgersi alla famosa Corte europea dei diritti dell’uomo. La sua successiva sconfitta ha se non altro il merito di dimostrare la parzialità costitutiva di questa giurisdizione sovrannazionale.
Il 24 giugno 1996, la Commissione europea dei diritti dell’uomo, sotto la presidenza di un certo Trechsel, affiancato da ventinove giudici internazionali, non uno di meno, usciti dai diversi paesi aderenti al Consiglio d’Europa, concludeva le sue deliberazioni segrete senza contraddittorio dichiarando il ricorso «irricevibile» (49).
E tuttavia Pierre Marais era stato condannato per «contestazione di crimini contro l’umanità», cioè per aver quindi trasgredito il solo dogma testuale diretto ed intrinseco che conosca il diritto francese (l’unico altro dogma, testuale indiretto, è quello dell’inesistenza delle razze umane, conseguenza estrinseca della legge Pléven del 1972), pubblicando una dimostrazione d’ordine scientifico. Certo, il dogma testuale, ultimo rifugio di una mentalità prelogica, non poteva sorprendere i giudici europei, giacché non ha cessato di espandersi nelle legislazioni di altri paesi continentali, e in particolare in quella italiana, tedesca, austriaca, belga, spagnola, lussemburghese e svizzera. Diffusione operatasi con una rapidità ed un’estensione fantastiche, rivelatrici di un disegno premeditato, l’imitazione e il mimetismo non potendo da soli spiegare tutto.
Ma Pierre Marais, come tutti gli storici revisionisti, non mancava di argomenti giuridici apparentemente pertinenti. Non riporteremo qui che gli argomenti tratti dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo, cui la Corte di Strasburgo fa la guardia come una faina. Secondo la percezione stessa della Corte, il ricorrente lamentava, con riguardo alla giustizia francese, le tre circostanze seguenti:
- di essersi visto opporre il contenuto di un giudizio pronunciato a Norimberga nel 1946, da parte del Tribunale militare internazionale, concernente un processo di cui ovviamente non era stato parte – e ciò benché in tale processo non si sia mai neppure parlato dell’ipotetica camera a gas di Struthof! -; in altri termini, di essersi visto opporre, nel senso letterale del termine, un pregiudizio, contrariamente al principio dell’equità giudiziaria di cui all’art. 6, primo comma della Convenzione;
- di non aver avuto ufficialmente accesso a questo giudizio sacralizzato, cui la legge Fabius- Gayssot rinvia implicitamente per induzione così come ad un’infinità di altre decisioni di pari valore legale e suscettibili di contraddirsi, in mancanza di pubblicazione di tutto ciò, data la natura di legge loro attribuita, sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica francese, in contrasto con l’art. 6, primo e terzo comma della Convenzione (in effetti, gli stessi giudizi e provvedimenti resi in Francia sul caso specifico di Struthof resteranno inaccessibili ai ricercatori sino al 2053 ai sensi della legge 79-18 del 31 gennaio 1979);
- di aver visto beffata la sua libertà d’espressione, in modo tanto più inaccettabile che nessuna restrizione di preteso interesse sociale può mai ostacolare l’espressione scientifica, la libertà della scienza rappresentando, si pensava, un valore intangibile in sé.
Questo terzo argomento richiede qualche precisazione, tanto il pubblico non informato ignora sino a che punto la libertà di espressione è divenuta sempre più un’espressione vuota di significato concreto. Questa libertà, papagallescamente proclamata dal 1945, non cessa di restringersi come una pelle d’asino, e il suo nome già oggi non corrisponde che ad un artificio della neolingua imperante. Siamo infatti al punto che tale libertà è arrivata a non esistere più che a condizione di professare la religione moralista e massonica degli inevitabili e manichei Diritti dell’Uomo. Al di fuori di questa ideologia totalitaria non vi sono che pseudo-idee, riducibili a sentimenti malvagi come l’“odio”, eterno appannaggio della peccaminosità altrui. Diavolerie, si sarebbe detto in altri tempi.
LIBERTÀ DI RICERCA OCCULTABILE E CHIMICA IMMORALE
La garanzia testuale della libertà d’opinione e d’espressione che offre la Convenzione europea dei diritti dell’uomo è, nella sua apparenza formale, letteralmente la seguente:
«Art. 10 – 1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. […]
2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l’integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario».
Per rifiutare a Pierre Marais la sua «libertà di opinione» e di «espressione», la Commissione ha evidentemente invocato il secondo comma di questo articolo 10, che pone delle riserve al principio enunciato al primo comma. Ma è stato pur necessario che la Commissione esplicitasse le ragioni della sua opinione, scrupolo del resto che non cruccia più affatto la Corte di Cassazione francese.
La suddetta Commissione ha fatto così ricorso ad un argomento di un oscurantismo radicale che mostra che in fatto di Diritti dell’Uomo il fanatismo è rimasto (“ne varietur”) tale e quale quello che era già nei confronti di Galileo [alias] (vedi l’ammonizione del Sant’Uffizio del 1632): «La Commissione ricorda che, contrariamente a l’affermazione del ricorrente secondo cui l’art. 10 secondo comma della Convenzione non riguarderebbe la “ricerca scientifica”, anche supponendo che si tratti nel caso di specie di una pubblicazione “scientifica”, il secondo comma dell’art. 10 non distingue a seconda della natura dell’espressione in causa».
Si può dunque censurare tutto, ivi comprese le dimostrazioni di natura innegabilmente scientifica, quando ne va della “morale”. In fin dei conti, si possono perfettamente condannare le formule estratte dall’articolo incriminato, in ragione delle loro inopportune conseguenze logiche per induzione, come per esempio la seguente: «1,8 massa molare x (CN) 2CA / 2 x massa molare HCN = (1,8 x 92 / 54) # 3 g».
Satanismo “neonazista”? Il signor Marais, placido cittadino irreprensibile, così come gli altri chimici in libertà, devono rassegnarsi e dirsi che la loro sorte resta sempre meno peggio di quella capitata a Lavoisier? Torna in mente la celebre formula del giudice Coffinhal, di sinistra memoria, vice-presidente del tribunale rivoluzionario, all’atto della condanna di Lavoisier alla ghigliottina: «la Repubblica non ha bisogno di chimici»…
In ogni modo, per tornare all’affaire Marais, nulla formalmente impediva alla Commissione di produrre una giurisprudenza onesta, libera e di buon senso.
Ma il fanatismo demonologico dei giudici ha avuto la meglio, nell’eccesso e nella passionalità così nocivi all’applicazione del semplice buon senso. Intendo il fanatismo nel senso volterriano del termine, poiché siamo in presenza, ripetiamolo, di una vera e propria religione secolare, fanatismo, cioè «l’effetto di una falsa coscienza, che asservisce la religione ai capricci dell’immaginazione e agli eccessi della passione» (50).
Di fatto, il sentimento di servire una morale trascendentale, per poco che lo spirito che essa abita si lasci andare, favorisce facilmente il fanatismo.
Il puritano non può sfuggirvi, quand’anche fosse un europeo convertito alla super-ideologia mammonica, trecento anni dopo gli ultimi processi per stregoneria in Francia. E contrariamente ai fanatismi del passato questo non induce alcuna forza particolare in chi ne è soggetto di fronte alla morte…
Questo moralistico fanatismo contemporaneo fonda gli attacchi di furore estatico degli agenti del sistema che conduce per mano, dopo averli formati secondo gli standard intellettuali ed etici che impongono oggi gli studi accademici e la formazione professionale del giurista. Anzi, tale fanatismo, istillato nella società dalla scuola e dai media, finisce per condizionare l’insieme della popolazione. I dissidenti non sono più percepiti come individui che, del tutto semplicemente, percepiscono diversamente le cose e la pensano altrimenti: sono divenuti degli immorali votati alla dannazione. In rottura con la civiltà europea del passato, questa orrenda passione annichila il senso comune e il rigore intellettuale, che permettevano il rispetto dell’avversario, o anche del nemico, senza bisogno di Diritti dell’Uomo…
DALLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE IN PARTICOLARE ALLA PROSCRIZIONE GIUDIZIARIA IN GENERALE
Infine, tanto contro la la libertà di espressione del ricorrente che contro i tre argomenti enunciati precedentemente, la Commissione ha trovato una scappatoia che non conosceva né conosce ancora la Corte di cassazione francese. Essa non ha potuto trovare questo palliativo che facendo ricorso a una procedura disonesta, ma che tradisce la sua vera natura parziale e fanatica.
I giudici europei di Strasburgo hanno astutamente tirato fuori il loro jolly, sotto le sembianza dell’art. 17 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, articolo d’altronde ispirato dall’art. 30 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU del 1948, il cui principio è stato anche ripreso dall’articolo 54 della neocomunista Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Ecco il tautologico dettato dell’art. 17:
«Nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata come implicante il diritto per uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o porre a questi diritti e a queste libertà limitazioni più ampie di quelle previste in detta Convenzione».
Benché piuttosto circolare, l’enunciato è assolutamente malizioso, e fornisce ai giudici da tutti i punti di vista un jolly per qualsiasi parzialità, un’arma moralizzatrice finale, per imporre la virtù terroristica contro la regola di diritto. La giustizia dell’URSS conosceva ugualmente questo tipo di ragione ideologica, con il famoso art. 70 del codice penale sovietico, che prevedeva che fosse punita
« …l’agitazione o la propaganda condotta in vista di abolire o di indebolire il regime sovietico o di compiere più pericolosi crimini contro lo stato come la diffusione ai medesimi fini di pensieri calunniosi che denigrino il regime sovietico pubblico e statale, come pure la distribuzione, pubblicazione o detenzione negli stessi fini di letteratura avente un tale contenuto» (51), permettendo che fosse punito qualsiasi atto commesso in ipotesi al fine di «abolire o indebolire il regime».
Si tratta di una disposizione protettiva per il complesso moralizzatore dello “stopreato” orwelliano piuttosto che per gli uomini liberi, ma qui non è che sia “uomo” chiunque. La dichiarazione del 1789 [versione originale] ignorava questo genere di riserve perfide che dovevano purtuttavia molto rapidamente rinascere dalle ceneri della teocrazia per quel breve momento tragico che fu il Terrore. In effetti, l’art. 17 non è che una versione alambiccata della famosa formula di Saint-Just: «Pas de liberté pour les ennemis de la liberté, nessuna libertà per i nemici della libertà!».
Su tali basi, il diritto cessa di vertere sui mala quia prohibita per occuparsi del mala in se, smetta di considerare concretamente i comportamenti del suddito per investigarne le idee. Con la sua celebre invocazione Saint-Just non incarnava affatto un qualche principio rivoluzionario, ma alla faccia del suo preteso radicalismo giacobino si riattaccava invece al tomismo giudiziario già criticato alla fine dell’Ancien Régime. Sguazzava anzi, foss’anche senza rendersene conto, nella palude dei processi per stregoneria, prefigurando quel recupero cui si sarebbe più tardi a sua volta dedicata ampiamente la rivoluzione bolscevica. Ritornava a quella pericolosa dialettica giudiziaria del Bene e del Male che la Summafondava sul Vangelo e che Arthur Miller descriverà in questi termini, messi in bocca a Padre Danforth nel suo dramma già citato sui processi di Salem: «Non ci troviamo più nell’epoca torbida in cui il bene veniva mescolato al male per abusare del mondo».
Jean-Gabriel Cohn-Bendit, fratello serio e posato del troppo celebre ed inaffondabile istrione del Maggio ’68, aveva fatto strame della formula di Saint-Just, prendendo precisamente la difesa degli storici revisionisti in generale e di Robert Faurisson [alias] in particolare. A suo avviso, questa formula rappresentava «la fureria di tutti i sistemi totalitari, e non, come si è potuto credere, e non il contrafforte più efficace contro di essi» (52).
Perfetto “furiere” del Nuovo Ordine moralista e mondialista, la Commissione ha rispedito al mittente le tesi di Pierre Marais e la sua chimica, tanto corrosiva quanto empia. Al motivo succitato con cui ha rifiutato qualsiasi tipo di immunità alla ricerca scientifica, essa ha dunque aggiunto il seguente:
«La Commissione ha parimenti preso in considerazione l’art. 17 della Convenzione. […] L’art. 17 impedisce infatti ad una persona di dedurre dalla Convenzione un diritto a darsi ad attività miranti alla distruzione dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione. […] La Commissione rimarca le constatazioni approfondite delle giurisdizioni interne quanto al contenuto della pubblicazione con la quale il ricorrente mirava in realtà [!], sotto la copertura di una dimostrazione tecnica, a rimettere in discussione l’esistenza e l’uso delle camere a gas per uno sterminio umano di massa. La Commissione ritiene che gli scritti del ricorrente vadano in direzione contraria ai valori fondamentali della Convenzione, quali sono espressi dal suo Preambolo, ovvero la giustizia e la pace. Considera perciò che il ricorrente tenta di sviare l’art. 10 dalla sua vocazione utilizzando il suo diritto alla libertà di espressione per fini contrari allo spirito e al testo della Convenzione…».
La parzialità essendo evidentemente d’obbligo, in nessun momento la difesa del signor Marais è stata posta in grado di spiegarsi in contraddittorio sull’eventuale applicabilità dell’art. 17, e quindi sulla filosofia che eventualmente potesse essere indotta dalla dimostrazione chimica. I giudici hanno tirato fuori dalla manica la loro carta bisunta da bari moralisti, da semi-teologi furbastri, per i bisogni del “dovere alla virtù”. Il loro jolly demonizzante ha permesso di negare a un soggetto un diritto contemporaneamente proclamato con tanta pomposa ostentazione! E’ così ormai chiaro che un soggetto di diritto ha il dovere di non utilizzare le sue libertà se non «per fini» ideologicamente conformi, e non certo cedendo al suo supposto libero arbitrio intimo. Bisogna pur ammirare l’argomentazione tutta soggettiva: «la Commissione ritiene che… […] considera che…». Il Diavolo è la sotto, non c’è niente da provare: i giudici ne sono già convinti.
Il rigetto del ricorso è stato perciò fondato su un determinismo giuridico di tipo morale. Nel caso di specie, i giudici hanno reputato Pierre Marais immorale, in quanto avrebbe preteso di inferire qualcosa a cui del resto non vi è nessuna prova abbia neppure pensato, e che comunque non ha scritto. Niente di meno che direttamente la «distruzione dei diritti e libertà riconosciuti» (evidentemente, solo agli altri), per riprendere la formula enfatica e pomposa della sentenza. Il diritto formale e legale apparente deve a questo punto, come durante l’Ancien Régime o sotto il potere sovietico, cedere alla morale dominante, di cui non può essere che un mero e subalterno ausiliario occasionale.
Ed ecco qui la Commissione della Corte in azione, nel seno stesso della liturgia giudiziaria del teatro di Satana. La proscrizione non prende di mira solo il prodotto mefitico dell’anima dannata del querelante, espulso dall’umanità. E’ l’anima posseduta dal Maligno che fa esalare i suoi miasmi dalle idee, dai sentimenti, persino dalle formule chimiche che i giudici considerano orrenda alchimia. Si tratta infatti di possessione diabolica redibitoria, e non della commissione di oggettivi atti materiali proibiti, quali che possano esserne le intime e ultime motivazioni, in teoria appannaggio esclusivo del foro interno dell’imputato.
Del resto, simili atti oggettivi e materiali, come la corruzione, il furto, l’assassinio, la truffa, vere trasgressioni del Sollen (dovere, condotta richiesta), ma non ideologicamente peccaminosi, non consentono certo di per sé che l’imputato sia privato di una qualsiasi protezione. I balordi, i malfattori più sordidi sono al riparo dalla nuova proscrizione sociale e giuridica dal regno dei Diritti dell’Uomo, e sono anzi guardati con un impietosimento neo-rousseauiano cui l’ondata di criminalità oggi dilagante non è estranea; ma gli stessi “comuni diritti” non si può certo tollerare che vengano invece strumentalizzati per la «distruzione dei diritti e delle libertà riconosciuti». Tutti costoro possono perciò profittarne liberamente. Non così chi ha “idee libertine”, i curiosi di scienza, genia hitlero-satanica.
Per i partigiani e i guardiani faziosi dei sacrosanti Diritti dell’Uomo, sola conta la lotta senza quartiere contro il “nemico del genere umano” (per riprendere la definizione demonologica di Pascal in Les Provinciales). Il Maligno si è dunque nascosto maliziosamente nel corpo posseduto del chimico e si è rivelato alla sagacità ispirata dei giudici moralizzatori. Pierre Marais, per la sua supposta motivazione interiore, nella sua intima coscienza, aveva commesso, come dice Orwell, il «crimine fondamentale che contiene tutti gli altri, il crimine del pensiero, lo psicoreato». Mirava “in realtà”, sornionamente, a un risultato peccaminoso, a «fini contrari allo spirito…», che i giudici hanno subodorato senza fallo, con l’aiuto della grazia divinatoria dei Diritti dell’Uomo.
In tutta evidenza, il ragionamento della Corte è quanto meno specioso, in particolare nel caso di specie preso in esame. Tale ragionamento riposa su una pura petizione di principio, disonesta e falsa. La mera constatazione di una realtà qualsiasi, fondata o meno sulla chimica, non consente di per sé di dedurre rigorosamente un bel niente quanto ai disegni e motivazioni ultimi del soggetto che la sottopone all’esame altrui, disegni e motivazioni che del resto non dovrebbero riguardare, in un’interpretazione sana del diritto contemporaneo, che lui e la sua coscienza. Ma questo non è evidentemente il modo di vedere le cose degli spiriti dogmatici che possono presuntivamente inferirne un’empietà correlativa di chi procede a constatazioni scomode o mefitiche. Quando il diritto decade nella “morale”, il diritto in senso proprio non esiste più, ma solo la teologia: qui, la semi-teologia secolarizzata dei Diritti dell’Uomo.
Provenendo da giudici sedicenti “laici”, ma appoggiati sulla metafisica del bazar mercantilista dei Diritti dell’Uomo, la sentenza Marais è senza dubbio fondata su un’affermazione particolarmente odiosa e imbecille. Non si è “nazisti” (anche se non hanno usato la parola, è chiaro a cosa si riferisse, sulla base delle loro prevenzioni di partenza, il limitato pensiero dei giudici) in ragione di uno studio in materia di chimica fisica. Di conseguenza, pare andare da sé che non si è “nazisti”, foss’anche nell’accezione stereotipata della neolingua dominante, nella misura in cui si decide di verificare empiricamente la possibilità o impossibilità dell’uso di gas tossici per l’esecuzione di prigionieri nel campo di Struthof.
In effetti, il povero Marais è ben lontano dal considerarsi “nazista”, essendo anzi le sue idee personali, secondo quanto manifestato in pubblico e in privato nel corso della sua vita, quando pure gli è capitato di farlo, di tutt’altro orientamento. Ma i giudici di Strasburgo non ne sapranno mai nulla perché non ne hanno voluto sapere nulla, murati come sono nella loro passione partigiana. Ciò senza contare come ovviamente anche il fatto che lo stesso potesse essere (come non è) di simpatie nazionalsocialiste, nulla ci dice quanto all’esattezza o inesattezza delle sue conclusioni. E senza ancora contare il fatto che, se anche nazionalsocialista fosse, questo non dovrebbe impedirgli di esercitare i suoi diritti intrinseci di “uomo” e la sua libertà di espressione, tanto più quando questa non riguarda neppure opinioni in qualche senso “politiche”, ma unicamente formule ed esperimenti, qualsiasi conclusione di ordine storico il lettore ne possa trarre. Ma abbiamo visto che il soggetto di diritto non si vede riconosciuto come tale che a condizione di utilizzare le libertà ostentatamente proclamate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo su licenza della super-ideologia, e in nessun caso per ipotizzati «fini contrari allo spirito e al testo della Convenzione».
Rieccoci così all’inquisizione delle anime ed allo stupro delle coscienze, che fioriscono sotto la formula dei “diritti umani”, per cacciare ogni arbitrio o motivazione sospettata di un’intima peccaminosità. Tutti gli uomini sono liberi, certo, ma sono unicamente liberi di… non contrariare ideologicamente e moralmente coloro che pretendono dettare i loro Diritti così come il loro Bene. Liberi sono i querelanti… di non contraddirli. E questa regola già non è più fondata sul «testo» legale e formale della Convenzione, ma sul suo «spirito». Il pensatore dissidente, anatema per i Diritti dell’Uomo e per il loro “spirito”, dalla notevole plasticità ideologica e morale, se lo abbia per inteso.
Bisogna però ammettere che questi giudici, divenuti quasi teologi, predicatori e confessori, sono i vettori del Bene metafisico, i guardiani supremi «della giustizia e della pace». Il che non è poca cosa, nella presunzione della pratica e dello stile giudiziario: ne abbiamo ben conosciuti altri, più circospetti, meno enfatici, infinitamente più seri… e più modesti. Ben inteso, si chiede ai bigotti, agli ingenui, e al pubblico istupidito di applaudire e sbellicarsi al teatro di Hitler. Per il rogo acceso ogni giorno con il napalm, gridate tutti: bene! bravo! In fin dei conti il Bene trionfa e il buon costume è protetto. Il rogo non è del resto sempre virtuale. La US Air Force che è nei cieli e i suoi ascari vegliano. Abbasso Hitler, abbasso Saddam, abbasso bin Laden! Viva il Bene!
DALLA LETTERA ALLO “SPIRITO” DELLA CONVENZIONE: LA DERIVA VERSO IL PROCESSO ALLE INTENZIONI
Questa giurisprudenza, pur se non del tutto sprovvista di precedenti da parte dei venditori di olio di serpente di Strasburgo, resta nondimeno di una gravità estrema, comportando alcune conseguenze teoriche che meritano di essere esaminate con attenzione. Annuncia anche una decadenza del principio di legalità nelle società occidentali che procede ormai a passi da gigante.
Innanzitutto, e in primo luogo, la Corte europea dei diritti dell’uomo non esita, in presenza di disposizioni testuali, e benché queste sia già da parte loro docili ai suoi disegni partigiani, a invocare direttamente lo «spirito» della Convenzione, cui si riservano di dare la precedenza ogni volta sia necessario. Si tratta di una pietra miliare importante nella direzione dell’affermazione di un diritto “consuetudinario”, moralizzatore e di fonte giudiziaria, che concede al giudicante in realtà un arbitrio assoluto onde impedire al soggetto di diritto la “licenza” delle motivazioni ultime, che nel diritto penale contemporaneo non dovrebbero in realtà che riguardare lui stesso. Peggio, si tratta di un diritto “consuetudinario” inventato ex nihilo, senza alcun presupposto in usi concreti o in un corpo di precedenti evolutosi storicamente e che possa tenere luogo della norma legale, ma solo nella super-ideologia dominante e nei preconcetti diffusi dei suoi sostenitori. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, o meglio il suo “spirito” così interpretato secondo necessità, regna sola nei cieli. Si tratta in effetti di una giustizia ideologica confessata (vedi il citato art. 17) e moralizzatrice, che mira ad estirpare la fornicazione spirituale con le idee proibite. Cose che non sono certo nelle… consuetudini, in senso proprio, ovvero nelle tradizioni culturali e pratiche, dei sistemi giuridici dell’Europa continentale, specie di matrice romano-germanica, legati da secoli alla legalità e formalità del diritto penale, fondati su dettati normativi scritti, soggetti ad interpretazione stretta.
Non si può che constatare qui un’influenza anglosassone crescente, il ricorso alle cui tradizioni era del resto necessario per legittimare il diritto penale elaborato contro gli esponenti del III Reich in particolare, per ragioni politiche contingenti. In fin dei conti, si tratta di capitolare tra l’altro ad un diritto penale angloamericano “alleggerito” (light), utilizzabile al di fuori del relativo contesto e garanzie da non-anglosassani che sognano di parlare inglese e di inabissarsi in un’american way of life immaginario. Questo diritto è infatti l’arma politica e morale universale della Cappa: arma che ritrovano i giudici di Strasburgo nel cielo moralizzatore e nell’incomparabile azzurro mistico della US Air Force.
Ecco perché i redattori della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo hanno rinunciato alla regola onorata della legalità delle pene, facendo regredire per pregiudizio i nostri riferimenti in materia all’epoca dell’inquisizione. Il principio anti-legalista, e pseudo-”consuetudinario” è esplicitamente affermato nel testo all’art. 7 della Convenzione, che recita bensì: «Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale», ma subito aggiunge: «Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, era un crimine secondo i principi generale di diritto riconosciuti dalle nazioni civili».
E’ rimarchevole come questo testo non faccia alcun riferimento alla “legge” in senso formale, rinviando addirittura espressamente per la definizione di ciò che è criminoso ad un’assise rappresentata non da un qualche potere sovrano e popolare, ma ad astratti “principi generali”. Troviamo qui un vasto campo libero per l’arbitrarietà teoricamente esauritosi in Francia con l’Ancien Régime e che resta la molla del nuovo diritto di impronta angloamericana. Il medesimo art. 7 è del resto in totale contrasto con le disposizioni della famosa Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, dichiarazione che continua a figurare nel preambolo della Costituzione gollista del 1958, dove si legge: «Nessuno può essere punito che in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto, e legalmente applicata».
Ora, in un parere del 18 giugno 1979, il ministro francese degli affari esteri ricordava beotamente la straordinaria parzialità fondatrice del «comitato d’esperti incaricato di elaborare il progetto di convenzione di garanzia collettiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» quanto al punto che qui ci preoccupa. Il comitato aveva ritenuto che dopotutto non è per il fatto di affettare di avere principi giuridici che ci si debba attenere troppo strettamente. Rifiutando di sottomettersi anche solo formalmente all’ideologia della supposta imparzialità del diritto repubblicano, il comitato citato scriveva anzi: «Quanto al principio della non-irretroattività della legge penale […] il Comitato tiene a sottolineare che questo testo non riguarda le leggi che, nelle circostanze del tutto eccezionali che si sono prodotte a seguito della guerra mondiale, sono state passate per reprimere i crimini di guerra e i fatti di tradimento e collaborazione con il nemico, e non mira ad alcuna condanna giuridica o morale di tali leggi».
Da qui, il secondo paragrafo dell’art. 7 della Convenzione sopra riportato… Si noterà che le “nazioni civili” secondo la medesima disposizioni sono ovviamente gli angloamericani, con il loro diritto penale consuetudinario, pure nel relativo ambito più o meno plasmato e certificato da tradizioni secolari ed interventi legislativi e costituzionali. Diritto che fu applicato, sotto forma di avatar impoverito e caricaturale, dal Tribunale Militare Internazionale di Norimberga insediatosi a Norimberga all’ora dell’hallalì. La giurisdizione esclusivamente inter-alleata aveva rifiutato anch’essa di considerare come un principio intangibile la non-retroattività delle leggi, dichiarando che «la massima “nullum crimen sine lege” non è che una regola che va per la maggiore», ma che è priva di un valore particolarmente vincolante, con il che veniva tirata senza problemi una riga su Beccaria e sulla stessa Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.
Da questo punto di vista, si potrebbe legittimamente sostenere che la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo è, riguardo alla famosa Dichiarazione del 1789, propriamente controrivoluzionaria. Ma oggi quale “repubblicano” e “democratico” professionale ed autoproclamato oserebbe offuscare la sua reputazione con un tale reazionario cavillo?
In tutti i modi, i famosi principi del 1789, messi in concorrenza con quelli della Convenzione europea, sono storicamente e tecnicamente perdenti. In effetti, la stessa giurisprudenza francese ammette oggi che i giudici nazionali devono direttamente applicare le convenzioni internazionali dette “ad effetto immediato” ignorando le leggi nazionali che fossero ad esse per ipotesi contrarie.
Questo principio, già evocato, della “gerarchia delle fonti” o della “prevalenza” è il solo modo che ci consente di sottometterci di fatto alla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo, come ha voluto definitivamente François Mitterand nel 1981. Esso viene desunto dall’art. 55 della Costituzione francese in vigore, che dispone: «I trattati o accordi regolarmente ratificati hanno, a partire dalla loro pubblicazione, un’autorità superiore a quella delle leggi, sotto riserva, per ciascuno dei trattati, della sua applicazione dall’altra parte». D’altronde, e molto saggiamente da un punto di vista democratico tradizionale, la giurisprudenza rigetta l’idea di una competenza del giudice a giudicare della costituzionalità delle leggi nazionali, democraticamente approvate dai rappresentanti del popolo in parlamento; salvo purtuttavia, se si tratti di ricorrere al succitato art. 55 della Costituzione per derogare ad una legge nazionale a profitto di una convenzione internazionale considerata “ad effetto diretto” nell’ordine giuridico interno…
Praticamente, ciò significa che il giudice francese deve, se ne ricorre l’opportunità, di disattendere la legge nazionale a favore della Convenzione, cosa che non potrebbe fare se la legge fosse contraria alla Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino! Gli “immortali principi” in essa contenuti sono perciò in condizione di inferiorità e di per ciò stesso in condizione di inferiorità in caso di conflitto (53).
In secondo luogo, per ritornare agli insegnamenti che è possibile trarre dalla vicenda Marais, la Corte europea dei diritti dell’uomo si permette di fare un processo alle intenzioni al chimico, nel modo più contraddittorio, occulto ed apodittico. Per il suo carattere sornione ed inopinato, il colpo è evidentemente impossibile da parare, non essendo stato l’avvocato difensore neppure messo in grado di replicare all’argomento. La motivazione invocata è più che mediocre, dato che la Commissione non fa altro che invocare opinioni non meglio giustificate («la Commissione ritiene…»). Ma non vi è ragione di spiegarsi: uno storico revisionista, avesse anche indiscutibilmente la scienza o la verità dalla sua parte non può che essere un nemico dei «valori fondamentali della Convenzione…, ovvero la giustizia e la pace». Non vi è qui né diritto né giustizia, ma solo un tremendo partito preso politico-ideologico e moralistico, che ogni ordinamento ragionevole dovrebbe considerare logicamente come una violazione di doveri d’ufficio da parte del magistrato che se ne renda responsabile.
Infine, e in terzo luogo: cosa più grave di tutte, la giurisdizione suprema per la difesa dei Diritti dell’Uomo si arroga la licenza incongrua e smisurata di dire che cosa sia un “uomo”. Tramite il ricorso all’art. 17, si arroga il diritto di definire chi meriti o meno protezione come soggetto di diritto a pieno titolo, a titolo dei relativi “diritti”. Lo stesso art. 17 potrebbe essere chiamato la clausola di eliminazione del “nemico del genere umano”. E’ una manifestazione tangibile della demonizzazione dei dissidenti occidentali contemporanei, che mutano in eretici privati di qualsiasi diritto formale, nel quadro della lotta del Bene e del Male. I Diritti dell’Uomo istituzionalizzati, eretti in diritto positivo dalla relativa Convenzione, hanno permesso la restaurazione dell’interdetto e della scomunica.
Nel caso di specie, la Corte ha semplicemente deciso che Pierre Marais, contrariamente agli uomini in generale, non sarà trattato come soggetto di diritto, ma da quel “nemico del genere umano” che è, dato che il suo discorso trae origine da una fornicazione spirituale. Reminiscenza questa, per il giurista, dei tempi della schiavitù, quando lo schiavo non era che un oggetto di diritti, una semplice cosa, sprovvista come tale di qualsiasi capacità giuridica propria. Non c’è bisogno di sottolineare le prospettive vertiginose aperte da questo approccio.
Ogni persona sospettata, a torto o a ragione, di non professare nel segreto del suo cuore l’ideologia dei Diritti dell’Uomo, può dunque essere privata dei suoi diritti civili fondamentali ed essere assoggettata ad una sorta di morto civile, di scomunicato, di “nemico del genere umano”. Così, i Diritti dell’Uomo sfociano in definitiva sulla creazione di una paradossale e non detta nuova categoria, che ricorda lo stato di schiavitù, l’”interdetto” della scomunica, e la “morte civile” degli ergastolani, già abolita in Francia con la legge del 31 marzo 1854. Questa categoria nuova, o piuttosto restaurata sulla scorta dei modelli suddetti, e colpita da anatema, è quella dei dissidenti, ovvero dei Malvagi o dei Salauds(letteralmente sporcaccioni, equivalente all’italiano “porci”, sottinteso “fascisti”, ad esempio nel linguaggio di Sartre [alias]).
In effetti, il ricorso al termine “salauds”, sembra più moderno e meno connotato dal linguaggio infantile. Viene opportunamente a rimpiazzare il termine di “salope” (“porca, sporcacciona”) che designava la donna di ritenuta immoralità sessuale, questa volta per designare l’uomo o la donna (da definirsi forse al femminile “salaude”?) di cattiva moralità in rapporto alla “virtù antirazzista”.
Visto lo spirito moralista e semi-demonologico da cui è affetta la giustizia in Europa e più in generale in Occidente, gli appartenenti a questa categoria potrebbero anche essere indicati denominati Succubi (del Diavolo, di Satana, di Hitler). Ma questo linguaggio non è evidentemente abbastanza trendy, suona datato, benché sia ancora oggi utilizzato. Per esempio per designare un vecchio generale della Wehrmacht, divenuto militante nazionalista nel suo paese dopo la guerra, Ernst Otto Remer (1912-1997), soprannominato “il Succubo di Hitler” dalla voce del narratore durante una trasmissione televisiva (54).
La demonizzazione funziona alquanto bene, tenuto conto dell’obnubilamento provocato dal complesso interiorizzato dello stopreato orwelliano. come testimonia quanto banalmente dichiarato da un oscuro sostituto procuratore di provincia. In presenza del padrone di un campeggio inquisito perché non voleva più del 50% di bambini di colore, tenuto conto dei problemi pratici che ciò gli provocava, il magistrato ha pronunciato in pubblica udienza queste parole: «Voi siete inumano» (55). I ladri, gli stupratori e gli assassini, per tanto che i loro moventi non siano altro che il sadismo e l’avidità, hanno sempre da parte loro questa chance di intenerire i pubblici ministeri post-sessantottini: in fin dei conti, sono esseri umani. E forse che nell’ottica neo-rousseauiana e permissiva gli esseri umani non sono sempre vittime della società “fascista”?
NESSUNA MISERICORDIA PER I “PORCI”
Pierre Marais non è solo: per la Corte europea dei diritti dell’uomo, gli storici revisionisti in generale sono reputati non umani, dissidenti, e quindi “porci”. La Corte ha tenuto d’altronde a ricordare la sua intangibile petizione di principio in una causa senza alcun rapporto con il revisionismo storico, il procedimento Lehideux et Isorni contro la Repubblica francese.
Nella relativa sentenza del 23 settembre 1998, dando ragione (per la verità… post mortem) ai ricorrenti, che erano stati condannati in Francia per aver pubblicato un testo in favore della revisione della condanna del maresciallo Pétain, la Corte europea ha approfittato della circostanza per enunciare, per inciso: «La Corte ritiene che non spetti ad essa farsi arbitro di una questione che pertiene ad un dibattito sempre in corso sull’interpretazione degli avvenimenti di cui si tratta. A questo titolo, sfugge alla categoria dei fatti chiaramente stabiliti – come l’Olocausto – la cui revisione o negazione si vedrebbe sottratta dall’art. 17 all’applicazione dell’art. 10» (56).
Il richiamo, completamente fuori tema nella fattispecie, è sintomatico della “vigilanza” dei giudici moralizzatori e demonologi di Strasburgo. Eccoci in pieno nel tempo delle nuove streghe, indicate alla pubblica vendetta dalla stampa addomesticata dalla Cappa, ma anche alla vendetta giudiziaria, all’alba del fanatismo che contraddistingue l’inizio del nuovo millennio. Le nuove streghe sono correntemente, e per lo più indifferentemente, maledette con formule di scomunica ed anatema standardizzate, come “fascisti”, “razzisti”, “nazisti”, “neonazisti”, “negazionisti”. In aggiunta, è aperto il ricorso al sistema primitivo ed anglosassone di common law della judicial notice, la “scienza privata” del giudice quanto ai fatti di causa, nozione che rimanda qui ai «fatti storici chiaramente stabiliti», dunque al di fuori di qualsiasi onere della prova, ed addirittura di qualsiasi discussione nel contraddittorio tra le parti.
E tutto ciò sotto la copertura dell’Olocausto, uscito per i suoi settari fanatici dall’ultimo e più recente libro della Bibbia, il libro sacro della Shoah [alias] e cuore mistico della cattiva coscienza secolarizzata, motore immobile dello stopreato orwelliano. Libro che viene scritto davanti ai nostri occhi all’alba del ventunesimo secolo pretesamente emancipato, più di due secoli dopo l’Illuminismo, costantemente celebrato, ma solo nel senso, ed ai fini, ad esso attribuiti dalla neolingua contemporanea. Viene scritto secondo l’inalterabile spirito levantino che ha sempre presieduto a questo genere di redazione e che Ernest Renan [alias] (1823-1892) ha analizzato in questi termini, oggi blasfemi, benché il loro autore non sia “antisemita”: «La sincerità con se stessi non ha molto senso presso gli orientali, poco abituati alle delicatezze dello spirito critico. Buona fede ed impostura sono parole che, nella nostra rigida coscienza, si oppongono come termini inconciliabili. In oriente, vi sono mille fughe e mille modi aggirare l’ostacolo. Gli autori di libri apocrifi (“di Daniele” o “di Enoch”, per esempio), uomini tanto esaltati, commettevano per la loro causa, e con assoluta certezza senza l’ombra di uno scrupolo, un falso. La verità materiale ha poca presa per un orientale; vede attraverso le sue idee, i suoi interessi, le sue passioni. La storia è [così] impossibile, se si ammette con alterigia che vi sono per la sincerità molte misure» (57).
Non si può non pensare alla parola visionaria di Céline sulla «magica camera a gas», in ogni caso quanto ai suoi effetti psicologici e sociali di obnubilamento, al di fuori del dibattito stesso sulla loro realtà originale. Dopo aver letto La menzogna di Ulisse, dello storico revisionista ante litteram, partigiano ed ex deportato Paul Rassinier (1906-1967), pubblicato per la prima volta nel 1950, l’autore disperato e profetico della Ecole des cadavres[versione Web] (1938) scriveva: «Il suo libro, ammirevole, farà un gran baccano… tende a far dubitare pure della magica camera a gas!… non è poco!… Tutto un mondo di odio sta per essere forzato a strillare all’Iconoclasta… Era tutto la camera a gas!… Tutto permetteva!» (58).
Ma qui, attenzione, e non soltanto al delitto d’opinione, o di pensiero “libertino”. Attenzione al crimine di sentimenti maliziosi o di pensieri disonesti. I giudici predicatori e confessori vegliano alla messa in scena del teatro di Hitler e sotto le quinte luminose il popolo condizionato ed ipnotizzato forma un pubblico addomesticato ed uggiolante. Qui risiede in effetti una sorgente essenziale della cattiva coscienza contemporanea, la sorgente prima che eleva la questione all’altezza di un mito, nel senso di fatto fondatore. La nozione di mito fondatore comporta in particolare un’indipendenza dalla verità del fatto che esso occasionalmente strumentalizza. Così, il 14 luglio è un mito fondatore, anche se la presa della Bastiglia è d’altronde un fatto acquisito. Così, nella Bibbia vi sono probabilmente circostanze che richiamano fatti storicamente verificatisi; ma ciò non leva nulla alla sua valenza di mito fondatore. Il mito fondatore qui esplicitato nel suo modo di operare e nelle sue conseguenze, fa da parte sua riferimento ad un fatto “vero perché incontestabile per autorità di legge”. Ma di questo fatto non potrebbe mai per ipotesi essere considerato in più esatto anche dal punto di vista storico sino a che non fosse restaurato il libero dibattito, dato che i procedimenti pre-logici ben possono far ammettere una verità, ma non decidere anche della sua realtà empirica.
Mito incapacitante, ma anche avvento e mito fondatore delle moralizzatrici democrazie borsistiche contemporanee e palladio dell’immarcescibile Stato di Israele, santo tra i santi dell’Occidente “antifascista”. E’ un mito ineffabile, dominio dell’indicibile, eretto in dogma morale ed oscurantista, che protegge con le sue folgori in Francia la legge Fabius-Gayssot. Leggi equivalenti a quest’ultima sono state ottenute in otto paesi d’Europa (59), nel corso dell’ultimo decennio del ventesimo secolo e a cinquant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, ad opera della «comunità ebraica che si è mobilitata» (Marc Domingo). Il dominio delle istituzioni rappresentative, autoproclamatesi tali, di tale “comunità” sui sistemi politici e sociali europei s’è manifestato in modo impressionante. Ebrea, ma spirito libero proveniente da sinistra, Annie Kriegel (1926-1995) ha osato denunciare, ma invano, quest’effetto emanante da una «ossessiva caccia alle streghe» fondata su una «insopportabile psicopolizia ebraica» (60). Revocare in dubbio la Shoah, d’altronde, metterebbe fine al complesso dello stopreato, dissipando una parte oggi essenziale della cattiva coscienza secolarizzata, cosa che cambierebbe la faccia del mondo. Là sta il problema.
Da parte mia, non essendo né un sostituto procuratore preposto alla caccia ai vecchietti, né un ex comunista, mi limiterò a constatare qui una illustrazione impressionante della potenza e delle velleità oscurantiste di certe organizzazioni ebraiche. Si tratta d’altronde di istanze essenzialmente sioniste, e di conseguenza del tutto politicizzate, la cui rappresentatività non riposa neppure sui suffragi dello stesso “popolo eletto”. Sfortunatamente, e in modo del tutto inopportuno, il Concistoro ebraico di Francia è stato talora tirato anche lui nella partita, al punto da costituirsi processualmente a fianco di associazioni “specializzate” che incarnano una volontà tirannica vetero-testamentaria, fondata sullo sfruttamento della dottrina religiosa ebraica globalmente interpretata alla luce della legge del taglione («Occhio per occhio, etc.») (61). Come scrive Sergio Quinzio:
«gli ebrei hanno sempre guardato con sospetto il perdono, nel timore […] che l’assenza di sanzione della colpa […] finirebbe per mescolare caoticamente il bene e il male. […] C’è qualcosa di paradossale, di impossibile, di distruttore, soprattutto nel perdono e nel rifiuto di giudicare adottati come criteri normali di comportamento nel mondo. E questo la sottigliezza ebraica lo coglie inesorabilmente» (62).
Alla legge del taglione e al rifiuto del perdono s’oppone certo l’insegnamento, di rottura, di Cristo nel Sermone della Montagna (63). In un libro pubblicato nel 1947 a New York, e firmato A. O. Tittman, si legge: «Dire con molta chiarezza che con la fine di questa guerra è arrivata ugualmente la fine dell’era cristiana. Tutti i precetti di condotta che avevano corso sin qui sono stati scartati, ed al loro posto è stato stabilito lo spirito di vendetta della legge mosaica» (64). Per il professore portoghese Joaõ Das Ragas, «di fatto a Norimberga due mondi si sono affrontati, che non potevano comprendersi. Il mondo materialista di Mammona e dell’ipocrisia democratica contro la concezione idealista ed eroica di un popolo che difendeva il suo diritto di vivere» (65).
Ebbene, i tempi mammonici sono felicemente arrivati, sovvertendo i nostri principi e le raffinatezze della nostra civiltà giuridica, senza pietà. Ciononostante, esisteva già nei processi dell’Inquisizione cristiana una deroga in cui il “perdono” cristiano parimenti non poteva entrare in gioco, salvo cadere nell’ambiguità, giacché si pensava: «Il giudice deve essere misericordioso? Val meglio che preferisca la misericordia al rigore, questo è il principio: in realtà il giudice è però sempre misericordioso, anche quando uccide, perché se non addolcisce la pena di certo compatisce il condannato. E’ misericordioso quando fa frustare qualcuno e vieta allo stesso tempo che subisca una pena più grave ancora. E così via. Perdonare ai peccatori ostinanti, è ingiustamente misericordioso. Niente misericordia né perdono dunque per gli eretici, salvo se si piegano alla volontà dell’inquisitore» (66).
I “PORCI” NON SONO SOGGETTI DI DIRITTO
Le prospettive aperte dalla giurisprudenza scellerata e inconsciamente demonologica della Corte europea dei diritti dell’uomo sono perciò appunto vertiginose.
I dissidenti dell’ideologia dei Diritti dell’Uomo, questi nuovi eretici, potranno essere sottoposti alla tortura e ad altre vessazioni? Non cediamo qui al gusto della sparata, perché abbiamo visto che la risposta in linea di principio dovrebbe essere affermativa (67), almeno sulla base della illustrata dottrina di ostracismo giudiziario. Per il trionfo, ovviamente, dei «valori fondamentali della Convenzione… ovvero la giustizia e la pace», i paria dell’art. 17, in cui rientra potenzialmente qualsiasi dissidente politico radicale, sono espressamente esclusi dai benefici della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, e quindi da tutte le disposizioni protettive della Convenzione stessa, secondo le necessità della super-ideologia.
Così, per la salvaguardia “della giustizia e della pace” si potrà legalmente escludere qualsiasi “fascista” designato come tale dal beneficio dell’art. 4: «Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù». Così, se sembrerà necessario rafforzare la repressione contro questi porci, sarà possibile mettere quanti identificati come negazionisti ai lavori forzati, escludendoli dal beneficio del secondo comma dello stesso articolo: «Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio». Idem per ciò che riguarda il diritto «alla libertà e alla sicurezza» (art. 5), o «alla vita privata e familiare» dei razzisti che potrebbero asseritamente minacciare «la giustizia e la pace».
Questo sistema, emergente nell’esempio citato da una decisione che si è ribellata alla ricerca scientifica, può identicamente permettersi di proibire il cattolicesimo tradizionale ai fedeli della tendenza di Mons. Lefebvre, ove qualcuno decidesse che sono “fascisti”. L’art. 17 potrebbe permettere infatti di rifiutare loro la facoltà di d’invocare il secondo comma dell’art. 9 della Convenzione («libertà di manifestare la propria religione...»). Del resto, la Repubblica francese si è da non molto dotata di una legge contro i «movimenti settari», promulgata il 12 giugno 2001, che non sono altro in definitiva che religioni non compromesse con gli Stati e le istituzioni della Cappa. I “movimenti settari” sono infatti definibili essenzialmente come credenze e culti che nel bene e nel male non hanno sufficientemente manifestato il loro ossequio ai Diritti dell’Uomo. Si tratta di una legge che del resto non dovrebbe letteralmente lasciare del tutto tranquilli neppure gli ordini regolari cattolici, persino conciliari, e su cui si dovrebbe ritornare…
L’art. 17 consentirebbe altresì di proibire ai “razzisti” di sposarsi tra “bianchi”, ove si possa sospettare che ciò avvenga per un loro colpevole cedimento ad un’inclinazione razzialmente endogena, aborrita dal sistema e dalla Cappa (United Colors of Benetton!). Questa libertà, che sarebbe in via generale garantita dall’art. 12 della Convenzione, che riguarda la libertà matrimoniale, non è infatti certamente applicabile ai “porci”.
A partire da una giurisprudenza folle, scellerata e gravida di arbitri impensabili, tutte queste speculazioni diventano d’un tratto giuridicamente plausibili.
Ma ecco un caso concreto. E’ stato recentemente possibile osservare, nell’indifferenza generale, che Maurice Papon (68) non era in effetti un “uomo”, nel senso dei “diritti” relativi, come si era pure a lungo pensato, ma piuttosto un “porco”. Verosimilmente consigliato da giuristi più versati tecnicamente che osservatori della decadenza moralistica del diritto e della parzialità istituzionale dei giudici, l’ex ministro gollista, appena condannato per “crimini contro l’umanità” sulla base di una rivisitazione a cinquant’anni di distanza dei suoi uffici durante il periodo pétainista, era filato in Svizzera. Si trattava di evitare un’incarcerazione a 88 anni di età, e garantirgli di poter al contrario pacificamente e tranquillamente finire i suoi giorni nel cantone del Valois.
In effetti, in mano alle autorità elvetiche, e rifiutando il proprio rimpatrio, credeva a buon diritto (?) di poter approfittare di una lunga, e in effetti controversa e discutibile, procedura di estradizione, verosimilmente in regime di libertà provvisoria, tenuto anche conto della sua età avanzatissima. Poteva legittimamente (?) pensare di aver giocato una mano vincente, giacché, benché acquisita al nuovo ordine morale mondialista e sottoposta alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, la Svizzera non conosceva ancora la nozione di “crimine contro l’umanità”, quale definito ex post dai vincitori di un conflitto contro i pretesi perpetratori da essi sconfitti. Si trattava in ogni caso di mesi di tranquillità guadagnati ai suoi ultimi giorni, in attesa di dover eventualmente scegliere in tutta calma una destinazione d’espulsione, ove necessario ed ove fosse stato ancora vivo all’epoca…
Ma Maurice Papon e i suoi avvocati hanno subito scoperto che il diritto, pure protettore dei criminali di diritto comune, non era fatto per i paria della sua specie, per i “porci”. Al posto della normale procedura di estradizione nel contraddittorio dell’interessato, il condannato di Bordeaux non ha conosciuto che la procedura… di volo di un elicottero militare. E’ così che Maurice Popon è stato depositato, sotto buona guardia, a Pontarlier, “senz’altra formalità processuale”, è ben il caso di dirlo.
Una volta così regolata in modo esemplare la sorte dei “porci” riconosciuti, conviene lavorare la pasta umana alla base. In questo spirito, un magistrato bigotto, moralista ed inquisitore, ha proposto un’interessante soluzione per redimere la popolazione indigena di Francia, ancora istintivamente troppo restia ai benefici dell’“antirazzismo”. Il 21 marzo 2001, avanti la commissione dipartimentale d’accesso alla cittadinanza della regione dell’Essonne, Laurent Davenas, all’epoca procuratore della repubblica al tribunale di grande istanza di Evry, ha illustrato il suo progetto di promozione pedagogica coercitiva dei Diritti dell’Uomo come segue: «In materia di infrazione al codice della strada, i conducenti possono recuperare punti per la loro patente di guida seguendo un corso che li aiuti a correggere il loro comportamento. Parimenti, un responsabile di discriminazione razziale potrebbe seguire un corso a pagamento di due giorni nel corso del quale gli si inculcherebbero i principi della tolleranza. Alla fine di tale corso, si vedrebbe restituire la sua patente di cittadino abilitato a vivere in società» (69).
Così, ai nostri giorni, un procuratore rinomato può ritenere che i nostri personali atteggiamenti, mossi da discernimenti intimi ed arbitrari, costituiscono materia di polizia ordinaria, come il comportamento stradale. Tale magistrato può, ma in questo è certamente in linea con i giudici di Strasburgo, arrivare a concepire conseguentemente che sia richiesta al cittadino una “patente per vivere in società”, al termine di un vero e proprio addestramento, ben inteso in nome del Bene giusumanista. Laurent Davenas, tenuto conto delle sue affermazioni e della potenza del condizionamento contemporaneo, ignora certamente che la sua proposta corrisponderebbe alla restaurazione dell’istituto già citato dell’interdetto. Questa vecchia istituzione della Chiesa dei tempi teocratici privava di tutti i suoi diritti lo scomunicato, che perdeva così la sua “patente per vivere in società”…
Si tratta qui di un tipico stadio di sviluppo dell’oppressione inquisitoriale attraverso lo stupro delle coscienze, al di là persino di ogni dubbio sulla legittimità del lavaggio del cervello preconizzato. Là dove la scuola, la televisione e gli altri media non sono stati sufficienti ad instaurare il complesso autorepressivo dello stopreato con sufficiente efficacia, un lavaggio del cervello per ordine del giudice diventa un’ipotesi di routine… La questione posta non è più in effetti: «siamo in diritto di procedere in questo modo in un regime che si richiama alla libertà?», ma piuttosto come procedere utilmente in questo senso e non appena possibile. Si tratta di una questione di moralità, si tratta di salvare delle anime strappandole al Maligno. Formidabile… Siffatte procedure di rieducazione sono d’altronde sin d’ora poste in essere dalla giustizia austriaca (70).
In ogni caso, la carriera di Laurent Davenas non è stata certo affetta da conseguenze negative per le sue dichiarazioni, anzi, al contrario, come ben possiamo immaginarci. Qualche giorno dopo l’espressione del suo ossequio mammonico, il medesimo procuratore ha ricevuto dal presidente Chirac una lusinghiera promozione alla procura generale presso la corte di cassazione.
Già tuttavia la massa spaventosamente inibita, per obnubilamento ipnotico, si tace: stopreato! Il suo silenzio del resto origina certo da una comune ed ebete passività, ma anche dall’effetto di un timore reverenziale e sociale sostenuto da una minaccia onnipresente, diffusa, opprimente quanto indefinibile: quella della Cappa. Ho conosciuto recentemente il padrone di un bar, aggredito col coltello da tre individui di origine africana, ancora sotto lo shock di una brutta ferita alla testa, la cui principale preoccupazione era quella di riaffermare l’adempimento al suo “dovere alla virtù”: «Eppure, ve l’assicuro, non sono razzista». Il brav’uomo sapeva oscuramente a con sicurezza quanto velocemente si possa passare dallo stato di vittima a quello di “porco”… Psicologicamente, regna già un terrore diffuso e insidioso.
DIETRO I DIRITTI DELL’UOMO, IL TERRORE MESSIANICO
Certo, queste sono pazzie, ma questa follia divenuta comune è il preludio d’un nuovo Terrore messianico che si profila, ed insorge dalla stessa giurisprudenza dei faziosi giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo, che hanno essi stessi perso ogni senso comune, ogni senso del diritto, in questa nuova caccia alle streghe, compimento impressionante del teatro di Satana messo in scena dalla Cappa, e dei suoi effetti di confusione mentale. Ventinove Saint-Just di mezza tacca e stipendiati dal Consiglio d’Europa hanno giudicato il chimico Pierre Marais privo di ogni “dignità umana”, nientedimeno. Hanno deciso e scritto che il ricorrente era anatema. L’art. 17 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo autorizza dunque i giudici ad escludere da qualsiasi norma protettiva ogni persona di cui si pretenda subodorare sentimenti, idee o attività altrimenti lecite, che mirino alla «distruzione dei diritti e delle libertà riconosciute», sulla falsariga dell’art. 70 del vecchio codice penale sovietico.
Ora, per definizione, tutti gli eretici, veri o supposti, non possono agire (o pretesamente agire) che «a fini contrari alla lettera e allo spirito della Convenzione». Parimenti per definizione i dissidenti sovietici non potevano esprimersi che «in vista… di indebolire il regime». E’ ben qui che risiede da sempre la particolarità del delitto di opinione, o di “pensieri libertini”: non è mai stato istituito che al fine di far tacere coloro che si esprimono «a fini contrari…» alle concezioni dei loro censori, giudici e persecutori. Evidentemente.
Non è ora chiaro, in effetti, che i guardiani supremi dei «valori fondamentali della Convenzione», intellettualmente sottomessi e legalmente onnipotenti, sono dei pericolosi fanatici? Bisognerà pure un giorno mettere politicamente in stato di non nuocere questi datori di lezioni, nuovi paragoni di virtù, nell’interesse superiore del diritto e della civiltà europei. E’ un presupposto necessario per ritornare, giuridicamente parlando, all’imparzialità agnostica dei principi formali, legali, sovrani, e che non si arrogano di mettere il naso nel foro interno del suddito, e che esprimono la volontà popolare e la tradizione del paese che reggono. Ma per il momento, il teatro di Satana-Hitler, istupidente e sbalorditivo, nuovo perno del Globo e dell’Occidente, è ben insediato, e i tempi liberatori dell’epurazione dei bigotti inquisitori contemporanei non sono ancora in vista.
Certamente, il palazzo della Corte dei diritti dell’uomo a Strasburgo – di una ripugnante e simbolica laidezza, sia detto per inciso – è un covo emblematico della Cappa, e dunque della decadenza del diritto e del fanatismo giudiziario. La Storia non ci insegna forse che dietro ai Diritti dell’Uomo si profila sempre il Terrore messianico, che già affogò la Rivoluzione francese nel sangue? Questa procedura penale di Stato che faceva in particolare richiamo alla “giustizia” riappare oggi nella ricerca dei pensieri malefici sospettati di ispirare i nostri atti, ivi compreso quando questi sono di per sé del tutto anodini. E’ proprio il Terrore giudiziario che infuria nel campo delle idee e dei sentimenti, in Francia come nel resto dell’Occidente, per assoggettare i popoli ed annichilire le sovranità nazionali.
Eric Delcroix
(Traduzione di Stefano Vaj)
NOTE
(1) Eric Delcroix, noto avvocato penalista di Parigi, già vicino alle posizioni del GRECE, è stato coinvolto nei principali processi francesi per reati di opinione, tra cui quello che ha coinvolto Guillaume Faye per il libro La colonisation de l’Europe già discusso su l’Uomo libero n. 51. E’ autore di Manifeste libertin, La police de la pensée (per cui ha dovuto lui stesso subire procedimenti: vedi le informazioni rese pubbliche dal sito revisionista Aaargh) e Le théâtre de Satan. Décadence du droit, partialité des juges, da cui è tratto il presente articolo, tutti pubblica da L’Aencre di Parigi. [Nota del Traduttore]
(2) Vari termini utilizzati dall’autore, come neolingua (“newspeak”), stopreato (“crimestop”), psicopolizia (“psychopolice”), psicoreato (“psychocrime”) etc., sono tratti dal famoso libro di George Orwell, 1984, la cui ultima edizione italiana è Mondadori, Milano 2002, ma che facimente reperibile anche online (cfr. la versione originale Web). Vedi anche Vittorio Barabino, Il linguaggio dell’utopia. Un’analisi della neolingua in 1984 di George Orwell. [Nota del Traduttore]
(3) Cfr. La Gazette du Palais 14/07/1999, pag. 20.
(4) Su diritti dell’uomo vedi nello stesso senso, su l’Uomo libero n. 12, “Indagine sui diritti dell’uomo”, di Stefano Vaj (poi ampliato nel saggio Indagine sui diritti dell’uomo. Genealogia di una morale, LEdE-Akropolis, Roma 1985, ordinabile a http://www.orionlibri.com), nonché Adriano Scianca, “Diritti dell’uomo?”, in Orion n. 226 del luglio 2003 (reso disponibile in italiano e spagnolo anche da vari siti Web), ed ancora il dossier di Guillaume Faye su Eléments n. 37 (“Droits de l’homme: le piège”) e l’opera di Pierre Chassard, Remarques sur les droits de l’homme (Mengal, Bruxelles 2001, ordinabile a Librairie Nationale) . Sempre molto critico, ma oggi con sorprendenti concessioni alla political correctness, resta anche Alain de Benoist in Oltre i diritti dell’uomo, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2004 (vedi anche l’edizione originale Web). [Nota del Traduttore]
(5) Secondo Padre Mandonnet, citato in L’Augustinisme politique, di Henri-Xavier Aquilière, Librairie philosophique J. Vrin, Parigi 1972, pag. 53-54.
(6) Deuteronomio, 28, da 1 a 14.
(7) Werner Sombart, Gli ebrei e la vita economica, Edizioni di Ar, Padova 1997.
(8) Sulla legge Pléven in Francia vedi Georges Paul Wagner, Description, analyse e critique de la loi du 1er Juillet 1972 dite anti-raciste, La Libre Parole, Parigi 1989, ed ancora il resto libro di Eric Delcroix da cui è tratto il presente articolo, nonché l’articolo “Le leggi repressive in Francia” di Pierre De Salagnac, Stéphane Lefart in l’Uomo libero n. 37 [Nota del Traduttore]
(9) Edourd Valdman, Les juifs et l’argent, Editions Galilée, Parigi 1994, pagg. 38-39 e 83.
(10) La Gazette du Palais, 25/05/2001, pag. 50.
(11) Karl Marx, La questione ebraica, [edizione italiana Web] Manifestolibri, Milano 2004.
(12) Otto Weininger, Sesso e carattere, Feltrinelli, Milano 1978 (e più recentemente Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1992).
(13) Michel Mourre, Le Petit Mourre, Edition Bordas, Parigi 1990, voce “Les puritains en Amérique. Puritanisme et capitalisme”, pag. 725.
(14) Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano 1991. (15) Genesi, 9, 1 e 7. (16) Jean Bauffret, Dialogue aver Heidegger, Editions de Minuit, Parigi 1993, volume IIIm pag. 35.
(17) Roger Garaudy, Les Etats-Unis, avant-garde de la décadence, Editions Vent du Large, Parigi 1997, pagg. 15-18.
(18) Op. cit.. pag. 43.
(19) J.B., “Un très sévère examen de conscience”, in Le Figaro 19/03/2001, pag. 20.
(20) Régis Debray, in Le Figaro 22/11/2001, supplemento letterario, pag. 6.
(21) Werber Sombart, op. cit.
(22) Louis-Ferdinand Céline, Les beaux draps, Nouvelle Editions Françaises, Parigi 1941.
(23) Giobbe, 3, 8; 40, 25. (24) Cfr. per un’edizione italiana recente, Thomas Hobbes, Il Leviatano, Bompiani, Milano 2001 (con testo inglese a fronte e latino in nota). [Nota del Traduttore]
(25) Matteo, 6, 24.
(26) Jean-Claude Chesnais, “L’Europe centrale deviendra aussi un terre d’immigration”, in Le Figaro 12/08/2002, pag.21.
(27) Francis Fukuyama, “La gauche ingrate”, in Le Monde 08/12/1999, pag. 18.
(28) Salmi, 2.
(29) Il passo cui si pensa abbia voluto riferirsi è: «Non abbiate paura [… di annunciare la Resurrezione]», Matteo, 28, 10.
(30) Citato tra l’altro dal fu presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi Louis-Edmond Pettiti a Notre-Dame il 10 dicembre 1978, come riportato dalla Gazette du Palais 14/07/1999, art. cit.
(31) Augustin Cochin, Les sociétés de pensée et la démocratie moderne, Copernic, Parigi 1978, pag. 126 e 132.
(32) Aleksandr Zinoviev, in Le Figaro-Magazine 24/07/1999, pagg. 36 e segg.
(33) La stesa considerazione è applicabile in Italia, cfr. artt. 13, 15, 21, 82, 109 Costituzione. [Nota del Traduttore]
(34) Matteo, 6, 1-4.
(35) Robert Dole, Le cauchemar américain. Essai sur le vestiges du puritanisme dans la mentalité américaine contemporaine, VLB Editeur, Quebec 1996, pag. 28.
(36) Lucrezio, De rerum natura, libro V.
(37) Guillaume Faye, Il Sistema per uccidere i popoli, Edizioni dell’Uomo libero, Milano 1982, seconda edizione Società Editrice Barbarossa, Milano 1990.
(38) Roberto Dôle, Le cauchemar américain, op. cit., pag. 62-71. (39) Vedi Le Fana de l’aviation, agosto 1997, pag. 14.
(40) Roger Garaudy, Les Etats-Unis, avant-garde de la décadence, op. cit. pag. 7.
(41) Samuele, I, 15, 3 e 8.
(42) Citato in Faits et Documents, n. 108 del 15/04/2001.
(43) Citato in Paris-Match 18/10/2001, pag. 58.
(44) Jean-Claude Barreau, “La réligion, ce n’est pas le fanatisme”, in Le Journal de Dimanche 23/09/2001, pag. 11.
(45) Pierre Marais, Les camions à gaz en question, Editions Polémiques, Parigi 1994.
(46) L’equivalente francese della legge Mancino-Modigliani. Per ciò che riguarda il caso della Francia, vedi più in particolare Eric Delcroix, La police de penséee contre le révisionnistes, Diffusion RHR, Colombes 1994, e l’articolo già citato “Le leggi repressive in Francia”.
(47) Arthur Miller, Il crogiuolo, Einaudi, Torino 1997. (48) In Le Monde 21/02/1979. Vedi anche il testo integrale del manifesto.
(49) Procedura n. 31159/1996.
(50) Voltaire [alias], Dizionario filosofico [versione originale Web], voce “Fanatismo”.
(51) Traduzione di A. Rachmanov.
(52) Jean-Gabriel Cohn-Bendit, “Question de principe”, in Libération05/03/1979, pubblicato ugualmente in appendice al contributo dello stesso autore all’opera collettiva per la difesa della libertà di parola degli storici revisionisti, con la partecipazione del sottoscritto, intitolata Intolérable intolérance [versione originale Web] Editions de la Différence, Parigi 1981.
(53) La situazione costituzionale italiana, come noto, è ben diversa, e fornirebbe in teoria meno alibi alla globalizzazione “europea” dei Diritti dell’Uomo. Se «l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» (art. 10 Costituzione) e «l’Italia […] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni» (art. 11), nessuna norma parrebbe autorizzare ad applicare una normativa internazionale in violazione dell’ordine costituzionale interno il giudice nazionale, che anzi è tenuto a sottoporre alla Corte costituzionale, anche d’ufficio, le questioni di costituzionalità di una qualsiasi normativa che non risultino palesemente infondate (art. 134), ad esempio ai sensi dell’ art. 25, II comma («nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso»), o dell’ art. 33, I comma («L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento») o 21, I comma («Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»). Non solo. La Repubblica italiana, non facendo parte delle potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale, non ha ovviamente mai partecipato alla stipulazione del trattato istitutivo del cosiddetto Tribunale Militare Internazionale che ha celebrato i processi di Norimberga [alias] onde la relativa convenzione, ed i relativi riflessi giuridici, in linea di principio non esisterebbero affatto nello spazio giuridico interno del nostro paese. [Nota del Traduttore]
(54) Canale Arte, 26/02/2002, nella trasmissione Les faces cachées de l’extrême droite.
(55) Libération 21/12/2001, pag. 20.
(56) Cfr. ad esempio Legipress, dicembre 1998, III.
(57) Ernest Rénan, La vie de Jésus, Edition Michel Lévy Frères, Paris 1863, pag. 252.
(58) Lettera ad Albert Paraz del 20/11/1950, pubblicata in Le Bulletin Célinien n. 4, quarto trimestre 1982.
(59) Per una discussione della legislazione italiana omologa, in particolare la legge Mancino-Modigliani, cfr. “Le idee nel mirino della repressione” (redazionale), in l’Uomo libero n. 37, e “Il processo Gozzoli e le leggi speciali” di Mario Consoli in l’Uomo libero n. 43. [Nota del Traduttore]
(60) Annie Kriegel, “Le leurre de l’antisémitisme”, in Le Figaro 02/04/1990, pag. 2.
(61) Esodo, 21, 23-25.
(62) Sergio Quinzio, Radici ebraiche del mondo moderno, Adelphi, Milano 1991.
(63) Matteo, 5, 44.
(64) A. O. Tittman, The Nuremberg Trial, New York 1947, citato anche in Maurice Bardèche, Nuremberg II ou Les falses monnaieurs, Les Sept Couleurs, Parigi 1950, pag. 78.
(65) Ibidem, pag. 83. (66) Da Le dictionnaire des inquisiteurs, Valenza 1494, di Anonimo (ultima edizione francese, presentata da Louis Sala- Molins, Editions Galilée, Parigi 1980), voce “Miséricorde”.
(67) Nel tempo trascorso dalla pubblicazione del libro, secondo una giurisprudenza a vari livelli in via d’affermazione almeno implicita (cfr. le questioni in materia di estradizione o “transito” di “terroristi” in paesi compiacenti, le decisioni della Corte Suprema americana su Guantanamo e l’acquiescenza al riguardo dell’autorità giudiziaria inglese, etc.) la risposta sta diventando “sì” anche a livello pratico nei confronti di chi possa essere ritenuto un “terrorista”, e dato che i “porci” non sono certo cittadini a pieno titolo…
(68) Maurice Papon, già funzionario della Francia di Vichy, poi prefetto di polizia in periodo gollista, deputato dal 1968, e dal 1978 al 1981 ministro del Bilancio nel secondo e terzo governo di Raymond Barre, finisce nel 1997, dopo quasi dieci anni di campagne mediatiche ed incidenti procedurali, per essere processato per “crimini contro l’umanità”, e condannato l’anno successivo a dieci anni di reclusione, salvo essere finalmente liberato per gravissime ragioni di salute e dopo tre anni di reclusione nel 2002, a novantadue anni (!). [Nota del Traduttore]
(69) Proposta riportata da Le Parisien 23/03/2001.
(70) Cfr. Rapport d’activité 2000, La documentation française, Parigi 2001.
Fonte: srs di Eric Delcroix, da http://www.vho.org/aaargh/fran/livres10/Delroixit.pdf