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Il 16 marzo del 1968, un plotone di militari statunitensi compiva a My Lai uno dei più devastanti massacri della storia contemporanea.
Il 16 marzo del 1968, durante la Guerra del Vietnam (1955-1975), si consumava quella che verrà ricordata come una delle pagine più nere della storia contemporanea: il Massacro di My Lai. La Compagnia C dell’Undicesima Brigata della 23ma Divisione di Fanteria dell’esercito statunitense, agli ordini del Tenente William Calley, iniziò un’operazione di rastrellamento con l’obiettivo di distruggere e annientare il 48° battaglione dei Viet Cong, il quale secondo le indicazioni dei Servizi Segreti americani veniva segnalato sulle mappe militari come My-Lai 4, presso il villaggio di Song My, a circa 840 chilometri a nord di Saigon.
I soldati USA, una volta atterrati sul luogo, si resero protagonisti dell’uccisione di 504 civili inermi e disarmati. Il Tenente Calley ordinò ai suoi militari di sparare a chiunque tentasse di fuggire. Molti furono uccisi dai proiettili, altri vennero assassinati con le baionette; mentre il bestiame, le case e il raccolto furono completamente distrutti. Coloro i quali riuscirono a sopravvivere vennero ammassati in un canale di irrigazione e sterminati.
Durante il massacro le donne vennero stuprate e gli anziani torturati; non vennero risparmiati nemmeno i bambini e i neonati, i quali furono uccisi in massa. La carneficina venne interrotta solamente grazie all’intervento di un elicottero statunitense in ricognizione, il quale atterrò mettendosi a protezione dei civili superstiti. Il pilota del velivolo, Hugh Thompson Jr., minacciò i propri connazionali di aprire il fuoco se non avessero smesso di sparare, evitando così ulteriori uccisioni.
L’indagine fu inizialmente condotta dal Comandante Oral Henderson, il quale dopo aver interrogato diversi militari americani, redasse un rapporto nel quale veniva riportata la inavvertita uccisione di 22 civili a seguito di uno scontro a fuoco con il nemico.
A distanza di sei mesi, un giovane soldato di nome Tom Glen scrisse una lettera nella quale accusava la Divisione Americal di “ordinaria brutalità” nei confronti della popolazione civile. L’allora Maggiore dell’esercito statunitense Colin Powell fu incaricato delle indagini. Il futuro Segretario di Stato concluse che le relazioni tra i soldati americani e la popolazione vietnamita fossero eccellenti. La questione fu così insabbiata, con quello che viene definito un whitewashing, ovvero una “candeggiatura” delle notizie.
Il Massacro di My Lai venne alla luce solo un anno più tardi, nel 1969. Il soldato Ron Ridenhour che aveva sentito parlare dei fatti ma che non era presente al momento in cui accaddero, decise di inviare una lettera al Presidente Nixon, al Pentagono, al Dipartimento di Stato e a numerosi membri del Congresso. Lettera che venne ignorata da tutti, o quasi.
Ridenhour si decise così a riferire dell’accaduto a un giornalista investigativo indipendente di nome Seymour Hersch. L’inchiesta venne successivamente pubblicata da Associated Press; mentre il 20 novembre del 1969 il giornale di Cleveland The Plain Dealer pubblicò esplicitamente le foto del massacro.
Le reazioni alle notizie furono molteplici. Non mancarono dichiarazioni da parte di certi politici, i quali affermavano che il massacro fosse tutta una montatura con il fine di boicottare la guerra in Vietnam. Nel 1970 Hersh vinse il Premio Pulitzer per il suo scoop, grazie al quale si riuscì ad arrivare a delle incriminazioni formali.
L’Esercito accusò solamente quattordici uomini. Il Tenente William Calley fu accusato di omicidio premeditato, mentre altri venticinque ufficiali vennero accusati di crimini connessi. Calley fu l’unico membro del plotone a essere successivamente condannato; gli altri furono tutti assolti. A lui fu inflitta la pena dell’ergastolo. Venne però fatto uscire di prigione dal presidente Richard Nixon dopo appena due giorni, scontando poi una pena di tre anni e mezzo agli arresti domiciliari.
Il massacro fu reso noto al mondo anche grazie all’intervento del fotografo Ronald Haeberle e del giornalista dell’esercito Jay Roberts, i quali essendo stati assegnati all’unità del Tenente Calley furono testimoni oculari dell’eccidio.
Negli anni successivi si scoprì che quello di My Lai non fu l’unico caso di brutale violenza nei confronti della popolazione vietnamita. Il Los Angeles Times provò che dal 1967 al 1971 furono ben sette i massacri di civili in Vietnam, che provocarono 157 morti. 78 furono gli attacchi contro individui non combattenti e oltre 141 i casi di torture e trattamenti inumani a prigionieri di guerra.
Il massacro di My Lai ha portato alla luce per la prima volta i crimini di guerra commessi dai soldati statunitensi durante un conflitto. Quella del Vietnam fu una guerra lunga e sanguinosa, accompagnata fin dal suo inizio dalle proteste di centinaia di migliaia di giovani che manifestavano a favore della pace. Un conflitto che oggi possiamo definire quasi inutile ma sicuramente devastante, che va inserito in quello ancor più grande della Guerra Fredda. Da un lato gli USA in appoggio alle truppe del Vietnam del Sud, dall’altro Unione Sovietica e Cina con i Viet Cong del Nord.
Il Vietnam è stato per vent’anni il teatro dello scontro ideologico tra i due grandi blocchi che governavano il mondo. A farne le spese, in gran parte, come sempre, è stata la popolazione civile; ritrovatasi inerme, all’interno di un conflitto nato per pura sete di potere e competizione imperialistica.
Oggi, il Monumento alla Memoria di My Lai riporta i nomi di 504 persone uccise ma non dimenticate. 182 erano donne (17 delle quali incinte), 176 bambini (56 dei quali neonati) e 60 anziani ultrasessantenni. Ai soldati americani non fu sparato nemmeno un colpo.