Aes signatum da Oppeano, grammi 626 (1)
Verona archeologia e numismatica
I rinvenimenti di Oppeano, San Giorgio di Valpolicella e Gazzo Veronese; Il tipo del “ramo secco” dimostra gli stretti rapporti con l’area etrusco-padana
Com’è risaputo, è Plinio (XXXIII, 43) a menzionare per la prima volta 1’aes signatum, termine con cui oggi si designano i pani in rame che sulla superficie recano una sorta di contrassegno a rilievo.
I più noti della categoria sono i lingotti che recano un signum simile ad un rametto stilizzato, tanto che con tale denominazione si è venuta ad esemplificare la categoria, ma accanto a questo signum esistono altri tipi di raffigurazioni (delfini, ancore, ecc.) che si trovano egualmente sui lingotti metallici.
Per quanto attiene alla cronologia è ormai accolto dagli esperti che i pani col “ramo secco” circolano nel VI-V secolo a.c. con qualche sopravvivenza nel periodo successivo, ma con minor frequenza, mentre la loro origine è stata attribuita a manifattura etrusca in fase premonetale.
Sulla loro funzione, le ipotesi sono discordanti rimandando alla funzione premonetale, a quella di lingotti da fusione ed a quella votiva.
Relativamente al contrassegno, spesso è stato chiamato in causa il marchio di officina, ma anche un segno divisorio per agevolare la spezzatura o un escamotage tecnico per ottimizzare la fusione.
La tradizione invalsa richiama più di frequente la funzione di mezzo di scambio in fase premonetale e/o di lingotti da rifusione predisposti per la manifattura di oggetti finiti (fibule, armi ecc.. .), ma il continuo evolversi della ricerca ha riaperto il dibattito: nell’ultimo lavoro sull’ aes signatum col “ramo secco” dato alla stampa si ripropone la funzione votiva.
Tuttavia, questa nuova ipotesi di lavoro, è stata rimessa subito in discussione. I rinvenimenti più cospicui si correlano piuttosto all’ ambito economico-produttivo e 1’assenza intenzionale di stagno, esso è generalmente assente e la percentuale massima viene assegnata al rame, poi al ferro, infine al piombo, è prova del fatto che il metallo non è ancora pronto per realizzare oggetti finiti (statuine, utensili ecc…). La sua funzione risulta, dunque, collocabile principalmente in ambito produttivo
Le barre, invece, sono lingotti di forma analoga all’ aes signatum senza però alcun contrassegno, unica differenza attualmente rilevabile rispetto al “ramo secco”, mentre la composizione metallica, la forma, la componente ponderale variabile, la cronologia e i contesti di ritrovamento sono analoghi.
Grazie al continuo evolversi delle ricerche sul campo, in provincia di Verona sono state fatte importanti scoperte implementando così l’elenco dei siti a nord del Po in cui sono stati ritrovati barre e lingotti col “ramo secco”: si tratta dei tre centri veronesi Oppeano, San Giorgio Valpolicella e Gazzo Veronese.
DA OPPEANO
1. Barra; grammi 626. (1)
Lato A: compare una X incisa.
Aes signatum da Oppeano, grammi 142 (2)
2. Aes signatum del tipo “ramo secco”; grammi 142. (2)
Lato A: “Ramo secco”: la forma del ramo è stilizzata e schiacciata. Lunghezza ramo cm 4,8 (in diagonale). Lato B: forse vi è una piccola traccia del rametto nell’ angolo inferiore. . .
Il primo documento è una barra presumibilmente in rame, di forma pseudoquadrata, che non reca visibilmente alcun segno a rilievo; si tratta di un esemplare denominato a “punta”, ricavato dalla parte terminale delle matrici sovrapposte, ovvero dalla parte chiusa di una matrice bivalve, contrapposta a quella aperta (denominata “base”) da cui veniva colato il metallo liquido.
Il pezzo è piuttosto regolare, anche se le bave di fusione corrono intorno alla forma originaria più o meno quadrata; lo spessore del lingotto è a sezione leggermente cuneiforme.
La separazione dall’altro lingotto, che si può immaginare contenesse la matrice, sembra imputabile ad uno strumento solido, come un separatore in pietra, inserito durante la fusione, poiché si scorge una sorta di “taglio” rettilineo sulla parete.
Su un lato si nota una sorta di croce incisa che ricorda un segno di numerazione così come attestato in altri documenti simili: questo appare l’elemento di maggior interesse nel documento in esame in quanto può significare che tale lingotto apparteneva ad una serie di oggetti numerati.
Questo indizio sembra segnalare la presenza di una serie o di una partita di oggetti (o un ripostiglio?) in contraddizione con il contesto di rinvenimento, poiché il ritrovamento, non precisabile, concerne genericamente l’area di un abitato di epoca protostorica.
Purtroppo non è possibile tracciare il percorso della barra fino al centro di Oppeano, ma il suo accostamento ad un altro frammento di lingotto di signatum (il n.2 seguente) e ad una serie di numerosi frammenti di metallo di varia natura è forte indizio della presenza di una fonderia all’interno dell’abitato, luogo di fusione e rifusione di oggetti non finiti, finiti e scarti.
Il secondo documento si inquadra propriamente nell’ ambito della categoria aes signatum del tipo “ramo secco” ed è una piccola porzione di lingotto.
La porzione di forma quadrata rappresenta precisamente un angolo del consueto lingotto su cui, almeno di certo su un lato, è in rilievo il “ramo secco”.
Il ramo è di forma quasi lanceolata e schiacciata. Sui due lati esterni si scorge una sottile bava di fusione, mentre i due lati interni sono irregolari, forse per una deformazione dovuta al processo di fusione.
Non è possibile dire al momento che tipo di matrice abbia prodotto questo lingottino; effettivamente sulle pareti dell’ esemplare non compaiono tracce di utensili da lavoro utilizzati per la spezzatura della porzione, dunque si può ipotizzare che si tratti di un pezzo “fuori-serie”, più difficilmente di un lingotto volutamente creato, poichè sottintenderebbe la volontà di frazionare e di produrre “unità di misura minori.
DA SAN GIORGIO INGANNAPOLTRON – LOC. CASALETTI
Aes signatum da San Giorgio Ingannapoltron grammi 1885 (3)
3. Aes signatum del tipo “ramo secco”; grammi 1885. (3)
Lato A: La forma del ramo è stilizzata e schiacciata.
Lunghezza rami a partire dall’ alto: cm 4,6; cm 4; in basso: cm 3,6; cm 3,4.
Va segnalato che superiormente sono leggibili sulla superficie brevissimi tratti di due rametti laterali e inferiormente a destra di un altro molto piccolo.
Lato B: La forma del ramo è stilizzata.
Lunghezza rami a partire dall’ alto: cm 3,2; cm 3; in basso: cm 3; cm 3,2.
Nella parte inferiore del pezzo si segnalano tracce molto labili di rametti non chiaramente distinguibili. Il lato B è piuttosto usurato.
Sezione cuneiforme: sui due lati esterni si scorge una bava di fusione rilevante, evidentemente risultato di una fusione in matrice bivalve “stancà” o sottoposta a eccessiva forzatura dovuta alla colatura del liquido.
In effetti il lingotto ha un’ ampia sezione cuneiforme e soprattutto nella presunta zona di imbocco del metallo allo stato liquido è molto irregolare, indizio che verso la parte dell’imboccatura la matrice si è aperta.
La forma dei rami posti sul lato A sembra leggermente diversa da quella dei rami del lato B: i primi rami sono più schiacciati e larghi, i secondi più sottili e arrotondati.
Non compaiono chiari segni di strumenti usati per la spezzatura del pezzo, anche se la parete è abbastanza regolare e ciò presuppone la presenza di un elemento divisorio posto probabilmente all’interno della matrice per separare i futuri pani. Purtroppo anche in questo caso non è disponibile l’indagine archeometrica.
DA GAZZO VERONESE, LOCALITÀ COAZZE
Aes signatum da Gazzo veronese grammi 1746,25 (4)
Aes signatum del tipo “ramo secco”; grammi 1746,25. (4)
Lato A: la forma del ramo è stilizzata. Lunghezza ramo cm 6; traccia di circa cm 1 del rametto centrale (molto debole).
Lato B: forse nelle protuberanze del lato destro sono da intravedere tracce del rametto.
Il lingotto di Gazzo è di notevole peso e di forma rettangolare con una sezione leggermente cuneiforme. Si notano sui tre lati della “puntà” (la parte del lingotto risultante dal metallo colato per primo dentro alla matrice bivalve che è aperta solo da un lato) tracce di bave lunghe e ampie: segno che la matrice bivalve era ormai “stancà” e non ha chiuso bene.
Il lato su cui è più evidente il “ramo secco” non è levigato, tanto che si fatica a scorgere un rametto laterale in alto a sinistra e una breve traccia del rametto centrale nella parte superiore del lingotto.
L’altro lato è ancor più rugoso in superficie e non consente di leggere bene l’eventuale presenza del “ramo secco”. Il pezzo non è di manifattura particolarmente accurata.
Per la manifattura dei lingotti si potrebbe ipotizzare che nella vaschetta fittile (la matrice) sia stato sistemato un elemento divisorio a separare sin dall’ origine i realizzandi lingotti.
La forma dell’ elemento separatore, vista di prospetto, assomiglia ad un cuneo di cui risulta visibile, nella fotografia, la parte sagomata.
Una seconda interessante osservazione riguarda il peso del lingotto, 1746,25 grammi.
Se questo lingotto venisse rapportato ai sistemi ponderali probabilmente in uso fra VI e IV secolo a.c. in ambito etrusco (MAGGIANI 2002 e CATTANI 2001), si scoprirebbe che:
1) g 1746,25: g 286,5 (Maggiani, libbra leggera) = 6,095
2) g 1746,25: g 358 (Maggiani, libbra pesante) = 4,877
3) g 1746,25: g 379/380 (Marzabotto/ Cattani, libbra italico-orientale) = 4,607 – 4,595
4) g 1746,25: g 341 (Haeberlin, libbra italica) = 5,120
Calcolando inevitabilmente un margine di errore, per uno scarto minimo di grammi imputabile anche al non perfetto sistema di separazione dei pani e all’usura, sulla base del confronto fra il peso del nostro pezzo e l’unità ponderale considerata, si ottiene un rapporto pari a circa 6 volte la libbra leggera, 4,5 volte la libbra italicoorientale attestata a Marzabotto e 5 volte la libbra italica.
Nell’ambito dello studio sui sistemi ponderali di A. Maggiani, l’autore segnala che il peso riscontrato a nord del Po, nel mantovano, segue il sistema della libbra leggera (MAGGIANI 2002, p. 179).
Oltre che sulla rarità dei documenti esaminati, si riflette sul dato geografico e ancora una volta sulla funzione dei lingotti.
Non ci sono elementi certi per supporre la collocazione di officine “specializzate” nell’Etruria padana, ma la presenza di questi materiali nell’ area oltre il Po, in contesto insediativo, muove da interessi legati ai traffici e allo scambio e questo elemento pesa a favore della funzione legata al mondo economico-produttivo dei lingotti.
Sul piano della produzione e della distribuzione areale dei lingotti si può affermare a riferimento in circuiti di carattere economico di interesse etrusco, accentuando l’importanza dei caratteri unitari del comprensorio etrusco-padano inclusa l’area immediatamente a nord del Po.
È evidente altresì che i documenti esaminati in via preliminare troveranno una più precisa collocazione cronologica e funzionale solo quando il contesto archeologico generale sarà meglio indagato e le indagini archeometriche saranno terminate
Fonte: srs di Diana Neri da Cronaca numismatica n°199 – settembre 2007
(VR 19 dicembre 2009)