Mar 14 2009

ARCHEOLOGIA: BIBBIA, SCOPERTI SIGILLI REALI DI EZECHIELE

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 08:38

 

Gerusalemme – Un grande edificio che risale all’epoca del primo tempio di Gerusalemme (circa 2800 anni fa), che custodiva un’incredibile quantita’ di iscrizioni, e’ stato scoperto da un’equipe archeologica condotta da Zubair Adawi, su incarico dell’Israel Antiquities Authority, nel villaggio di Umm Tuba, nella parte meridionale di Gerusalemme, prima dei lavori di costruzione effettuati da un’impresa privata. Considerando l’area limitata dello scavo e la natura rurale della struttura che e’ stata portata alla luce, gli archeologi sono rimasti sorpresi nel ritrovamento di tante impronte di sigilli reali che risalgono al regno biblico di Ezechiele, re di Giudea (fine dell’VIII secolo a.C.).

La notizia della eccezionale scoperta e’ stata annunciata dal sito on line Israele.Net. Quattro impronte di tipo ”Lmlk” sono state scoperte sui manici di grandi otri che erano usati per conservare vino e olio nei centri amministrativi reali. Sono stati trovati insieme alle impronte dei sigilli di due alti ufficiali di nome Ahimelekh ben Amadyahu e Yehokhil ben Shahar, impiegati nel governo del regno. Il sigillo Yehokhil era stato impresso su una delle impronte ”Lmlk” prima che il vaso fosse cotto in un forno: si tratta del caso molto raro in cui due impronte del genere appaiono insieme su un unico manico.

Un’altra iscrizione ebraica e’ stata scoperta su un frammento del collo di un vaso che risale al periodo asmoneo: si tratta di una sequenza alfabetica che venne incisa con un sottile stilo di ferro sotto il bordo del vaso, nella scrittura ebraica caratteristica dell’inizio del periodo asmoneo (fine del II secolo a.C.). Le lettere da hey a yod e una piccola parte della lettera kaf risultano conservate sul frammento.

 

Fonte:   http:// www.adnkronos.com  del 4 Marzo 2009


Mar 11 2009

La Dea delle miniere di turchese del Sinai

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 08:07

Si dai tempi pre-dinastici, gli antichi Egizi andavano nella Penisola del Sinai per via terrestre, o attraversando il Mar Rosso, alla ricerca di minerali. I loro obiettivi principali erano il turchese e il rame, che si estraevano in quei luoghi.

Gli archeologi che esaminano le tracce, risalenti 8000 anni fa, hanno concluso che i più antichi insediamenti conosciuti nel Sinai sono proprio quelli dei minatori. 

Verso il 3500 a.C. furono scoperti i filoni di turchese a Serabit Al-Khadim. Circa 500 anni dopo, gli Egizi controllavano il Sinai ed avevano avviato una rete di operazioni minerarie a Serabit Al-Khadim, per estrarre grandi quantità di turchese. I materiali erano portati per il Wadi Matalla al porto di Al-Markha, a sud dell’attuale villaggio di Abu Zenima, e poi salpavano per mare.

Il turchese era molto apprezzato e divenne parte di un simbolismo rituale nelle cerimonie religiose dell’antico Egitto. In esso erano intagliati scarabei sacri e gioielli, o se ne facevano pigmenti per dipingere statuette, mattoni e bassorilievi sui muri.

Per estrarre  il turchese, gli Egizi praticavano ampie gallerie nella montagna. All’entrata erano scolpiti i ritratti dei Faraoni regnanti, come simbolo dell’autorità dello stato d’Egitto su quelle miniere.

Un tempio dedicato alla Dea Hathor fu costruito durante la XII Dinastia, quando Serabit Al-Khadim era il centro delle miniere di rame e di turchese ed un fiorente centro commerciale. E’ uno dei pochi monumenti faraonici conosciuti nel Sinai, è diverso da altri templi del periodo, contiene un gran numero di bassorilievi e di steli che presentano le date delle diverse missioni arrivate per estrarre  il turchese nell’antichità, col numero dei membri e la durata di ciascuna missione. Da una dinastia all’altra il tempio era ampliato e abbellito, e gli ultimi ampliamenti ebbero luogo durante la XX Dinastia.

Per raggiungere il tempio occorre attraversare una sequenza di 14 blocchi perfettamente intagliati, che formano un’anticamera, ed un piccolo pilone  prima di raggiungere il cortile centrale. Alla fine del cortile c’è il santuario con due grotte, dove gli dei Hathor e Sopdu erano adorati, e rimangono le loro immagini. Questa parte era accessibile solo ai sacerdoti del Faraone. Purtroppo, un tentativo britannico, nel periodo coloniale (sec. XIX), per riaprire le miniere, distrusse alcuni bassorilievi.

Il sito di Serabit Al-Khadim, posto su una montagna a quasi 900 m di altitudine, fu scoperto dall’archeologo inglese Flinders Petrie nel 1905. Petrie scavò alcune sculture, steli e oggetti sacrificali dell’epoca di Senefru (IV Dinastia).

Petrie trovò anche tracce di scrittura Proto- Sinaitica, una specie di antenato dell’attuale alfabeto. Quegli scritti, insieme ai geroglifici, indicavano i nomi dei minatori ed i loro lavori. Poi si sviluppo la scrittura alfabetica detta Proto-Cananea.

Il tempio di Serabit Al-Khadim ha una doppia serie di steli che conducono ad una cappella sotterranea, dedicata alla Dea Hathor. Molti erano i templi o santuari della Dea Hathor che, tra i propri attributi, era la patrona dei minatori di rame e di turchese. Come abbiamo visto, la prima parte del tempio di Hathor, che ha un cortile frontale ed un portico, è datata alla XII Dinastia e risale probabilmente al Faraone Amenemhet III, quando le miniere erano molto attive.

Diversi dipinti raffigurano Hathor nell’ascensione al trono nuovo Faraone, e nella sua divinizzazione. In una scena Hathor allatta il Faraone. In un’altra Hathor offre al Faraone il simbolico ankh, chiave di vita.

Il tempio fu poi ampliato durante il Nuovo Impero, niente di meno che dalla Regina Hatshepsut, insieme a Tuthmosis III e Amenhotep III. Fu un periodo di rinascita per le miniere, dopo un temporaneo declino durato nel secondo Periodo Intermedio. Non sono comuni questi tipi di ampliamento dei templi, ad ovest della struttura primitiva.

A nord del tempio c’è un santuario dedicato ai Faraoni divinizzati. Lungo un muro sono disposte numerose steli. Più a sud del tempio principale c’è un santuario più piccolo dedicato a Sopdu, dio del Deserto Orientale.

Attualmente è in corso il restauro e lo studio di tutto il sito, per renderlo visitabile ai turisti. Mohamed Abdel-Maqsoud, capo dell’amministrazione centrale delle antichità del Basso Egitto, ha detto che i restauri ripuliranno tutti i muri ed i rilievi. Saranno inoltre consolidati e rinforzati i rilievi, i colori dei dipinti e le strutture di fabbrica. Il restauro sarà compiuto dalla SCA, con la collaborazione documentaria e tecnica della CULTNAT.

Zahi Hawass, segretario generale della SCA, ha detto che ogni scoperta sarà fotografata, disegnata e videoripresa su tutti i lati e poi sarà ricollocata nella sua posizione originaria. Sarà inoltre predisposto un progetto di gestione del sito.

 

di Nevine El-Aref (26 Febbraio 2009)

 

Fonte: Al-Ahram Weekly ondine/link:http://weekly.ahram.org.eg/2009/936/he1.htm/ la porta del tempo.


Mar 10 2009

Bibbia: Tavolette mesopotamiche confermano il libro di Geremia

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 05:30

 

In una tavoletta d’argilla risalente al 595 a.C. è racchiusa un’ulteriore prova del fatto che la Bibbia non è una storia di pura fantasia. Inciso a caratteri cuneiformi, nel reperto del British Museum compare, infatti, il nome di un funzionario al servizio del re babilonese Nabucodonosor citato anche dal Vecchio Testamento, nel capitolo 39mo del libro di Geremia. 

La scoperta è già stata classificata tra “le più importanti degli ultimi cento anni” per quel che riguarda l’archeologia religiosa.

La scoperta – rivoluzionaria in termini di archeologia religiosa in quanto per la prima volta un documento storico prova l’esistenza di una persona comune nominata dalla Bibbia – è stata fatta a Londra dal professor Michael Jursa dell’Università di Vienna, giunto nella capitale britannica per un viaggio di ricerca.

“È stato molto eccitante e sorprendente – ha rivelato lo studioso, uno dei pochi al mondo a saper decifrare senza problemi la scrittura cuneiforme -. Trovare una tavoletta di questo genere, in cui compare una persona presente anche nella Bibbia, è veramente straordinario”.

La tavoletta, di proprietà del British Museum dal 1920, venne trovata a fine Ottocento nei pressi dell’antica città di Sippar, a circa due chilometri dall’attuale capitale irachena Baghdad. Secondo il professor Jursa, è stata preservata così bene che gli sono bastati soltanto pochi minuti per leggerne l’iscrizione.

Le poche righe contenute nel frammento largo 5,5 cm raccontano del “capo degli eunuchi Nebo-Sarsekim” e di un suo generoso dono al tempio babilonese di Esangila: una quantità di oro pari a 0,75 kg. 

Lo stesso personaggio compare anche nel libro di Geremia. 

Secondo il profeta, il “capo dei funzionari” era presente nel 587 a.C. quando il re Nabucodonosor “marciò contro Gerusalemme con tutto il suo esercito e mise sotto assedio la città”.

Secondo il racconto biblico, il vittorioso re babilonese lasciò la città con numerosi prigionieri ebrei.

Volendo risparmiare il profeta Geremia, ordinò a Nebo-Sarsekim di averne cura: 

«Prendilo, e tieni gli occhi su di lui: non fargli alcun  male, ma fa’per lui ciò che egli ti dirà» (Geremia 39, 12).  

Nebo-Sarsekim obbedì a queste parole facendolo uscire dalla prigione della corte babilonese e assicurandosi che venisse scortato a Gerusalemme per tornare a vivere con la sua gente. 

 

Fonte: Hera / Corriere del Ticino


Mar 09 2009

TEPE GOBEKLI – LA RISCOPERTA DEL GIARDINO DELL’EDEN

Category: Archeologia e paleontologia,Bibbia ed Egittogiorgio @ 20:01

(Turchia Asia)

Queste pietre indicano il sito del giardino di Eden?

 

Per il vecchio pastore curdo era solo un altro giorno caldo che bruciava, nella pianura orientale della Turchia. Al seguito del suo gregge verso le aride colline, superò l’albero isolato di gelso, che la gente del posto considerava come ‘sacro’. Le campane delle pecore tintinnavano nel silenzio. Poi notò qualcosa. Accovacciato, spazzolò via la polvere e scoprì una strana, grande, pietra oblunga.

L’uomo guardava a sinistra e a destra: c’erano altre pietre rettangolari, piantate nella sabbia. Decise d’informare qualcuno al villaggio, forse le pietre erano importanti.

Il curdo solitario, in quel giorno estivo del 1994, aveva compiuto la più grande scoperta archeologica degli ultimi 50 anni. Altri dicono che aveva fatto la più grande scoperta archeologica di sempre: un sito che ha rivoluzionato il nostro modo di guardare la storia umana, l’origine della religione – e forse anche la verità sul giardino di Eden.

Poche settimane dopo la sua scoperta, la notizia raggiunse i museologi nella antica città di Sanliurfa, dieci miglia a sud-ovest. Essi si misero in contatto con l’Istituto archeologico tedesco di Istanbul. Così, alla fine del 1994, l’archeologo Klaus Schmidt raggiunse il sito di Tepe Gobekli per iniziare gli scavi.

Egli disse: ‘Non appena ho visto le pietre, seppi che, se non me ne andavo immediatamente, sarei rimasto qui per il resto della mia vita.’

Schmidt rimase, e ciò che ha scoperto è sorprendente. Gli archeologi di tutto il mondo sono d’accordo sull’importanza del sito. ‘Gobekli Tepe cambia tutto’, spiega Ian Hodder, della Stanford University.

David Lewis-Williams, docente di archeologia presso l’Università Witwatersrand a Johannesburg, dice: ‘Gobekli Tepe è il più importante sito archeologico del mondo.’

Alcuni vanno oltre e dicono che il sito e le sue implicazioni sono incredibili. Il professore universitario Steve Mithen dice: ‘Gobekli Tepe è troppo straordinario per la mia mente.’

Che cosa ha alimentato e stupito il mondo accademico, solitamente sobrio?

Il sito di Tepe Gobekli è abbastanza semplice da descrivere. Le pietre allungate, scoperte dal pastore, si sono rivelate essere le cime piatte di grandi megaliti a forma di T.  Immaginate versioni più snelle e scolpite delle pietre di Stonehenge o Avebury.

La maggior parte di queste pietre erette sono intagliate con immagini bizzarre e delicate – soprattutto di cinghiali e di anatre, di caccia e selvaggina. Sinuosi serpenti sono un altro motivo. Alcuni dei megaliti mostrano gamberi o leoni. Le pietre sembrano imitare forme umane – alcune hanno ‘braccia’ stilizzate, verso il basso, ai lati. Funzionalmente, il sito sembra essere un tempio, o un sito rituale, come i cerchi di pietra dell’Europa occidentale.

Ad oggi, 45 di queste pietre sono state scavate – disposte in cerchi da cinque a dieci metri di diametro – ma vi sono indicazioni che molto di più c’è da scoprire. Indagini geomagnetiche indicano che ci sono centinaia di altre pietre erette, che aspettano solo di essere scavate.

Se Gobekli Tepe è semplicemente questo, che sarebbe già un abbagliante sito – un turco di Stonehenge.

But several unique factors lift Gobekli Tepe into the archaeological stratosphere – and the realms of the fantastical. Diversi fattori unici innalzano però Gobekli Tepe nella stratosfera dell’archeologia – e nel regno del fantastico.

Il primo è la sua età. La datazione al radiocarbonio mostra che il complesso è di almeno 12.000 anni fa, forse anche 13.000 anni.

Ciò significa che è stato costruito intorno al 10.000 a.C. A titolo di confronto, Stonehenge è stato costruito nel 3000 a.C. e le piramidi di Giza nel 2500 a.C.

Gobekli è quindi il più antico di tali siti nel mondo, con un ampio margine. E’ così vecchio che precede la vita sedentaria dell’uomo, prima della ceramica, della scrittura, prima di tutto. Gobekli proviene da una parte della storia umana che è incredibilmente lontana, nel profondo passato dei cacciatori-raccoglitori.

Come poterono gli uomini delle caverne costruire qualcosa di così ambizioso? Schmidt pensa che bande di cacciatori si siano riuniti sporadicamente nel sito, durante i decenni di costruzione, vivessero in tende di pelle di animali e uccidessero la selvaggina locale per nutrirsi.

Le molte frecce di selce trovate presso Gobekli giocano a sostegno di questa tesi, ma sostengono anche la datazione del sito.

Questa rivelazione, che i cacciatori-raccoglitori dell’Età della Pietra potrebbero avere costruito qualcosa come Gobekli, cambia radicalmente la nostra visione del mondo, perché mostra che la vita degli antichi cacciatori-raccoglitori, in questa regione della Turchia, era di gran lunga più progredita di quanto si sia mai concepito – incredibilmente sofisticata.

E’ come se divinità scese dal cielo avessero costruito Gobekli con le loro mani.

Qui si arriva alla connessione biblico e al mio coinvolgimento nella storia di Gobekli Tepe.

Circa tre anni fa, incuriosito dai primi scarsi dettagli appresi sul sito, mi recai a Gobekli. Fu un lungo e faticoso viaggio, ma ne valeva la pena.

Torna poi, Il giorno stesso in cui sono arrivato mi sono messo a scavare, gli archeologi stavano scoprendo opere d’arte da restare a bocca aperta. Quando quelle sculture sono apparse, ho capito che ero tra i primi a vederle dopo la fine della glaciazione.

Klaus Schmidt mi ha detto che, a suo parere, questo posto era il sito del biblico giardino di Eden. Più in particolare: ‘Gobekli Tepe è un tempio dell’Eden.’

Per capire come un rispettato accademico della statura Schmidt possa fare una tale affermazione da capogiro, è necessario sapere che molti studiosi vedono l’Eden storia come una leggenda, o allegoria.

Vista in questo modo, la storia dell’Eden, nella Genesi, parla di un’umanità innocente e di un passato di cacciatori-raccoglitori che potevano nutrirsi con la raccolta delle frutta dagli alberi, la caccia e la pesca nei fiumi, e trascorrere il resto del tempo in attività di piacere.

Poi l’uomo ‘precipitò’ in una vita più dura, con la produzione agricola, con la fatica incessante e quotidiana. E sappiamo dalle testimonianze archeologiche che la primitiva agricoltura è stata dura, rispetto alla relativa indolenza della caccia.

Quando avvenne la transizione dalla caccia e dalla raccolta all’agricoltura stanziale, gli scheletri mutarono – per un certo tempo crebbero più piccoli e meno sani, perché il corpo umano si doveva adattare a una dieta più povera di proteine e ad uno stile di vita più faticoso. stesso modo, gli animali da poco addomesticati diventano più piccoli di taglia.

Ciò solleva la questione: perché l’agricoltura fu adottata da tutti? Molte teorie sono state proposte – a partire dalle concorrenze tribali, la pressione della popolazione, l’estinzione di specie animali selvatiche.

Ma Schmidt ritiene che il tempio di Gobekli riveli un’altra possibile causa. ‘Per costruire un posto come questo, i cacciatori devono essersi riuniti in gran numero. Dopo avere finito l’edificio, probabilmente rimasero riuniti per il culto. Ma poi scoprirono che non potevano alimentare tante persone con una regolare attività di caccia e raccolta.

‘Penso, quindi, che abbiano iniziato la coltivazione di erbe selvatiche sulle colline. La religione spinse la gente ad adottare l’agricoltura.’

La ragione per cui tali teorie hanno uno speciale peso è che il passaggio alla produzione agricola è accaduto prima proprio in questa regione. Queste pianure dell’Anatolia sono state la culla dell’agricoltura.

Il primo allevamento di suini addomesticati del mondo era a Cayonu, a sole 60 miglia di distanza. Anche ovini, bovini e caprini sono stati addomesticati per la prima volta nella Turchia orientale. Il frumento di tutto il mondo discende da una specie di Farro – prima coltivata sulle colline vicino a Gobekli. La coltivazione di altri cereali domestici – come segale e avena – è iniziata qui.

Ma c’era un problema per questi primi agricoltori, ed è stato non solo di aver adottato uno stile di vita più dura, anche se in ultima analisi più produttiva. Hanno anche conosciuto una crisi ecologica. In questi giorni il paesaggio che circonda le misteriose pietre di Gobekli è arido e brullo, ma non è stato sempre così. Come le incisioni sulle pietre mostrano – e come resti archeologici rivelano – questa era una volta una ricca regione pastorale.

C’erano mandrie di selvaggina, fiumi ricchi di pesce, e stormi d’uccelli; verdi prati erano inanellati da boschi e frutteti selvatici. Circa 10000 anni fa, il deserto curdo era un ‘luogo paradisiaco’, come dice Schmidt. Quindi, che cosa ha distrutto l’ambiente? La risposta è: l’uomo.

Quando abbiamo iniziato l’agricoltura, abbiamo cambiato il paesaggio e il clima. Quando gli alberi sono stati tagliati, il suolo è stato dilavato via; tutto ciò che l’aratura e la mietitura hanno lasciato era il terreno eroso e nudo. Ciò che era una volta una piacevole oasi è diventata una terra di stress, fatica e rendimenti decrescenti. E così, il paradiso era perduto. Adamo il cacciatore è stato costretto ad allontanarsi dal suo glorioso Eden, come dice la Bibbia.

Naturalmente, tali teorie potrebbero essere respinte in quanto speculazioni. Tuttavia, vi è abbondanza di prove storiche per dimostrare che gli scrittori della Bibbia, quando parlavano dell’Eden, descriveva questo angolo di Anatolia abitato dai Curdi.

Nel Libro della Genesi, è indicato che l’Eden è a ovest dell’Assiria. Gobekli si trova in tale posizione. Allo stesso modo, il biblico Eden è attraversato da quattro fiumi, tra cui il Tigri e l’Eufrate. E Gobekli si trova tra due di questi.

In antichi testi assiri, vi è menzione di un ‘Beth Eden’ – una casa di Eden. Questo piccolo regno era a 50 miglia da Gobekli Tepe.

Un altro libro dell’Antico Testamento parla dei ‘bambini di Eden, che erano in Thelasar’, una città nel nord della Siria, vicino a Gobekli.

La stessa parola ‘Eden’ deriva dal sumerico e significa ‘pianura’; Gobekli si trova nella pianura di Harran.

Così, quando si mette tutto insieme, la prova è convincente. Gobekli Tepe, infatti, è un ‘tempio nell’Eden’, costruito dai nostri fortunati e felici antenati – persone che avevano il tempo di coltivare l’arte, l’architettura e il complesso rituale, prima che il trauma dell’agricoltura rovinasse il loro stile di vita, e devastasse il loro paradiso.

E ‘una splendida e seducente idea. Eppure, ha un sinistro epilogo, dato che la perdita del paradiso sembra aver avuto un effetto strano e abbrutente sulla mente umana.

 

Pochi anni fa, gli archeologi rinvennero presso Cayonu un mucchio di teschi umani. Essi furono trovati sotto una lastra d’altare, tinta con sangue umano.

Nessuno è sicuro, ma questa può essere la prima prova di sacrifici umani: uno dei più inspiegabili comportamenti umani, che potrebbero avere sviluppato solo di fronte ad un terribile stress sociale.

Gli esperti possono discutere sull’evidenza di Cayonu. Ma quello che nessuno nega che è il sacrificio umano abbia avuto luogo in questa regione, tra la Palestina, Israele e Canaan.

L’evidenza archeologica indica che le vittime erano uccise in enormi fosse di morte, i bambini erano sepolti vivi in vasi, altri erano bruciati in grandi giare di bronzo.

Questi atti sono quasi incomprensibili, a meno che non si pensi che la gente aveva imparato a temere le divinità, perché era stata scacciata dal paradiso. Così avrebbe cercato di propiziare la collera dei cieli.

Questa barbarie potrebbe, infatti, essere la chiave di soluzione di un ultimo, sconcertante mistero. I sorprendenti fregi di pietre di Gobekli Tepe si sono conservati intatti per uno strano motivo.

Molto tempo fa, il sito fu deliberatamente e sistematicamente sepolto con un colossale lavoro insieme a tutte le sue meravigliose sculture di pietra.

Intorno al 8000 a.C., i creatori di Gobekli seppellirono la loro realizzazione e il loro glorioso tempio sotto migliaia di tonnellate di terra, creando le colline artificiali sulle quali il pastore curdo camminava nel 1994.

Nessuno sa perché Gobekli fu sepolto. Forse fu una sorta di penitenza: un sacrificio alla divinità della collera, che aveva gettato via il paradiso dei cacciatori. Forse fu per la vergogna della violenza e dello spargimento di sangue che il culto della pietra aveva contribuito a provocare.

Qualunque sia la risposta, i parallelismi con la nostra epoca sono notevoli. Quando contempliamo una nuova era di turbolenza ecologica, pensiamo che forse le silenziose, buie, pietre vecchie di 12000 di Tepe Gobekli stanno cercando di parlare con noi, per metterci in guardia, perché stanno proprio dove abbiamo distrutto il primo Eden.

 

di Tom Cox / (28 Febbraio 2009)

 

Fonte: Daily Mail & Guardian/La porta del Tempio

 

link: http://www.mg.co.za


Mar 04 2009

Scota principessa egizia figlia di Akhenaton e regina di Scozia

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 17:12

 

Moltissimo tempo fa, in una terra lontana, si narra che un principe e una principessa salirono sul trono con una cerimonia in pompa magna per diventare re e regina della loro gente. 

Ma il fato non sarebbe stato benevolo con nessuno dei due, ne con la moltitudine di cortigiani e funzionari che li stavano festeggiando, poiché molte di queste persone sarebbero presto state costrette a fuggire dalle loro case in cerca di terre meno turbolente al di là del “Grande Mare”. 

L’agitazione politica che circondava questo matrimonio, e le sue implicazioni teologiche, impiegò quasi quattro anni a suppurare e ulcerarsi. 

Alla fine, si verificò un sollevamento popolare di qualche genere che costrinse il re e la regina ad abdicare; ma la rivoluzione fu abbastanza pacifica da permettere loro di partire con il grosso della loro amministrazione e dei loro seguaci. 

Centinaia di persone vennero costrette a prendere il mare in piccoli vascelli precari e salpare arditamente verso il Sole morente e una grande incertezza. 

Si trattava di un’era in cui molte di queste acque erano ancora completamente inesplorate ma, visto che tornare alle loro case significava morte certa, scelsero il  mare nonostante i pericoli. 

Alla fine, dopo tanti guai e tribolazioni, la coppia reale e la loro piccola flottiglia scoprirono una nuova terra che sembrava essere molto promettente. 

Come i Padri Pellegrini in un’ epoca molto più recente, questi emigrati decisero di fondare una nuova nazione molto lontano dalla lotta politica e religiosa della loro vecchia madrepatria, l’Egitto. 

Il principe e la principessa di questa cronaca scozzese si chiamavano Gaythelos e Scota, ed è dai loro appellativi che si crede provengano i nomi dei popoli “gaelico” e “scozzese”. 

E, dato che questa armonia terminologica può sembrare un pochino di convenienza, e forse persino studiata, dobbiamo puntualizzare che questa connessione non è stata mutuata dal moderno romanticismo New Age, ne dalle favole vittoriane.

 In effetti, la cronaca di Gaythelos e Scota è stata presa dal Lebor Gabala, un testo irlandese del XII sec. d.C. basato su altri scritti molto più antichi. 

Il Lebor Gabala vorrebbe essere la storia della fondazione dell’ Irlanda e della Scozia, e un piccolo sunto del suo contenuto si trova anche nella più famosa Dichiarazione di Arbroath, un documento scozzese redatto il 6 aprile del 1320 d.C., probabilmente dall’abate Bernard de Linton. 

Questo famoso documento, paragonabile per molti aspetti alla Dichiarazione d’Indipendenza americana, venne sottoscritto da numerosi conti e baroni scozzesi e quindi inviata all’altro capo d’Europa, a papa Giovanni XXII. 

Una versione successiva di questa storia, del XIV o XV sec., opera di John of Fordun e Walter Bower, venne chiamata Scotichronicon. 

Quindi è proprio così, per quanto incredibile possa sembrare, gli antichi cronisti pensavano davvero che l’Irlanda e la Scozia vennero popolate dai discendenti di un faraone egizio, della sua regina e dei loro vari cortigiani e seguaci.

Il viaggio periglioso

La storia in se stessa è focalizzata sulla coppia reale di Gaythelos e Scota. 

Si dice che Gaythelos fosse un principe greco ribelle che ebbe un litigio col padre o col fratello e quindi lasciò la Grecia alla ricerca di nuove opportunità. Essendo un individuo precoce e fortunato, si suppone che sia giunto in Egitto e sia riuscito a ingraziarsi la famiglia reale del luogo.

Contro tutti i costumi egizi conosciuti avrebbe sposato la figlia del faraone, in vista di ereditare il trono d’Egitto.  Tuttavia, la sua importante ipoteca sul trono non era affatto ben vista dal proletariato egizio e quindi venne espulso con la moglie, imbarcandosi in un viaggio epico attraverso il Mediterraneo. 

Dopo molte fermate brevi e colpi di scena, sarebbero approdati nel fiume Ebro, in Spagna, dove eressero una piccola città fortificata chiamata Brigantia. Ma, essendo costantemente attaccata dai nativi, la nuova proto-nazione decise di riprendere il mare in cerca di terre meno popolate in cui emigrare. 

La prima di queste terre si dice fosse un’isola visibile dalla foce dell’Ebro, e quindi potrebbe ben essere Maiorca. Infine, dopo alcune generazioni, venne scoperta un’ altra isola da eleggere come patria e questa viene identificata sicuramente con l’Irlanda. 

Molti degli abitanti di Brigantia, la cui popolazione era molto cresciuta, emigrarono allora in Irlanda, che venne chiamata Scozia dal nome della loro regina fondatrice. 

Il fatto che l’Irlanda venisse chiamata Scozia prima del III secolo d.C. è piuttosto risaputo e viene menzionato, tra gli altri, da Claudiano, Grosio, Mariano Scoto, Isidoro e Beda.

Figlia di Akhenaton

Ma questa antica cronaca scozzese era basata sulla storia o sulla mitologia? 

Uno dei primi indicatori della sua probabile autenticità è il fatto che la lista dei faraoni egizi e altri dettagli nella cronaca sono basati sui lavori dello storico egizio Manetone, che ha la reputazione di essere abbastanza affidabile nei suoi racconti. 

Se la Scotichronicon fosse basata su Erodoto si potrebbe essere apertamente scettici, ma Manetone è di gran lunga più autorevole. 

Il secondo punto è che il nome del padre di Scota, Achencheres, può essere prontamente identificato con il nome del faraone Akhenaton. 

Di nuovo, se la storia fosse stata ambientata in un qualsiasi altro periodo della storia d’Egitto si poteva essere fortemente scettici sulla veridicità del racconto, ma succede che lo Scotichronicon getta i riflettori su uno dei. pochi eventi instabili della storia egizia, in un momento in cui era altamente possibile che un principe e una principessa (o reregina) venissero espulsi dal paese. 

Effettivamente, un’attenta analisi dello Scotichronicon indica che la coppia reale (Gaythelos e Scota) sarebbero in realtà il faraone Aye e la regina Ankhesenamun e che i nomi usati nelle cronache scozzesi sono semplicemente titoli o appellativi.

In particolare, la confusione con la Grecia sorge in quanto Manetone farebbe menzione del fatto che Aye (Dannus) si recò ad Argo, in Grecia, per alcuni anni. 

Se così fosse, e se Aye davvero fuggì dall’Egitto con la moglie e una moltitudine di cortigiani e sostenitori alla fine del suo regno, dovremmo sicuramente trovare delle somiglianze tra l’Egitto, le isole Baleari e l’Irlanda. 

La prima cosa che salta all’occhio è che, insediandosi sul fiume Ebro, gli esuli egizi avrebbero trovato uno dei pochi luoghi del Mediterraneo identici all’Egitto. 

La foce dell’Ebro è un delta, come quella del Nilo, quindi i fattori che accompagnavano Aye avrebbero avuto una certa familiarità con le tecniche richieste per coltivare quella terra e sfamare gli emigranti, 

Si dice che queste storie dello Scotichronicon siano interamente mitiche, ma se così fosse, come hanno fatto Walter Bower e soci a individuare e inserire nel testo l’unica foce a delta della zona, simile alle terre d’Egitto? 

E allo stesso modo, come ha potuto creare nomi per la Spagna (Iberia) e per l’Irlanda (Hibernia) basati sulle medesime radici epigrafiche? 

Ma alcune generazioni dopo lo stanziamento sul delta dell’Ebro, alcune di queste persone sono emigrate nelle isole Baleari e in Irlanda, e anche se a prima vista si può pensareche non vi siano somiglianze tra l’Irlanda e Minorca, in realtà ce ne sono più di qualcuna

Le correlazioni

Uno dei tipi più interessanti di monumento a Minorca sono delle tombe a foggia di imbarcazione chiamate navetas. Gli archeologi le hanno interpretate come un segno che le genti di Minorca siano arrivate per mare dal Mediterraneo orientale nel XIV secolo a.c. Se queste genti facevano parte dell’esodo dall’Egitto di Aye e Ankhesenamun (Gaythelos e Scota) descritto dallo Scotichronicon, tale cronologia e rotta sarebbero assolutamente corrette. 

Ma in Irlanda esistono tombe-nave simili? 

Certamente, in quanto gli scoti si dice che sbarcarono nella penisola di Dingle, nel sudovest dell’Irlanda, e in questo stesso luogo troviamo un certo numero di tombe-barca identiche. In effetti, queste tombe-barca in Irlanda e a Minorca non solo sembrano identiche, ma sembrano utilizzare anche lo stesso sistema di misurazione. 

 

Ci sono altri monumenti di Minorca e Maiorca che forniscono interessanti paragoni, ma vediamo ora le somiglianze tra il regime amarniano di Akhenaton e l’Irlanda. 

Prima che la città e il regime di Amarna collassassero, Aye era il comandante dell’esercito e il visir (primo ministro) di Akhenaton e Nefertiti. Avendo servito Akhenaton così bene, Aye venne premiato con un cospicuo tesoro di preziosi manufatti d’oro, tra i quali c’erano collane d’oro e un paio di guanti rossi. 

La collana d’oro e i guanti sembrano essere regali tipici del regime di Amama, e non un uso tradizionale egizio, e un meraviglioso “fumetto” della cerimonia della loro consegna è conservato nella tomba di Aye.

Fatto abbastanza strano, un certo numero di collane d’oro sono state scoperte in Irlanda, cosa piuttosto inusuale, in quanto l’Irlanda non è nota per la sua opulenza o per la ricchezza di minerali nel suo periodo iniziale. Cosa ancora più importante, non sono mai state scoperte fonderie che possano giustificare questi manufatti d’oro. Quindi, da dove venivano tutte queste collane d’oro? E con cosa erano in grado di barattarle i regnanti irlandesi? Una possibilità concreta è che l’oro, e probabilmente le collane stesse, vennero direttamente dall’Egitto, come indicano le cronache scozzesi. La spiegazione più semplice è quella data dalla storia di queste terre.

E per quanto riguarda quegli strani guanti rossi donati ad Aye? 

Le tradizioni dell’Ulter indicano che alcuni dei primi insediamenti bell’Irlanda del Nord vennero fondati dagli israeliti, ed per questo che la bandiera locale contiene la Stella di David. 

Tuttavia, le mie ricerche mi dicono che gli stessi israeliti discendevano dall’era amarniana del faraone Akhenaton, con Mosè che probabilmente era Tuthmosis in realtà, il fratello più grande di Akhenaton. Nel qual caso, il nome comune degli ebrei potrebbe derivare da quello del figlio di Aye-Gaythelos chiamato Hiber, dal quale deriva anche Iberna (Spagna) e Hibernia (Irlanda). E potrebbe essere attraverso questa stessa rotta geografica e storica che il guanto rosso di Aye sia diventato la mano rossa dell’Ulster che si trova anche sulla sua bandiera. Questi sono soltanto alcuni dei collegamenti che legano l’Egitto amarniano alle isole Baleari, all’Irlanda e alla Scozia. 

Non si era mai fatto caso a molti di questi collegamenti, e quel paio che erano stati riconosciuti sono stati accantonati come mere coincidenze. Tuttavia, i legami architettonici e culturali possono essere notati da tutti; e, allo stesso tempo, abbiamo un’antica cronaca datata al XIII sec. d.C – derivata a sua volta da testi del XII sec. – che afferma chiaramente che ci fu un esodo che seguì proprio questa stessa rotta. E’ quindi del tutto possibile, persino probabile, che il Lebor Gabala e lo Scotichronicon non fossero racconti mitologici creati da monaci sconvolti, ma vera e propria storia scritta dalla penna d’oca di un clero educato. Nel qual caso, le antiche Irlanda e Scozia potrebbero davvero essere state in sediate dai rifugiati della corte reale del faraone Akhenaton. 

A confermare questa ipotesi di faraoni in Scozia e Irlanda, 

Il Lebor Gabala, un testo irlandese del XII sec. d.C. basato su altri scritti molto più antichi  e che vorrebbe essere la storia della fondazione dell’ Irlanda e della Scozia, e un piccolo sunto del suo contenuto si trova anche nella più famosa Dichiarazione di Arbroath, un documento scozzese redatto il 6 aprile del 1320 d.C., probabilmente dall’abate Bernard de Linton e paragonabile per molti aspetti alla Dichiarazione d’Indipendenza americana,  narra  questa leggenda focalizzata sulla coppia reale di Gaythelos e Scota:

“Moltissimo tempo fa, in una terra lontana, si narra che un principe e una principessa salirono sul trono con una cerimonia in pompa magna per diventare Re e Regina della loro gente. 

Ma il fato non sarebbe stato benevolo con nessuno dei due, ne con la moltitudine di cortigiani e funzionari che li stavano festeggiando, poiché molte di queste persone sarebbero presto state costrette a fuggire dalle loro case in cerca di terre meno turbolente al di là del “Grande Mare”. L’agitazione politica che circondava questo matrimonio, e le sue implicazioni teologiche, impiegò quasi quattro anni a suppurare e ulcerarsi. 

Alla fine, si verificò un sollevamento popolare di qualche genere che costrinse il re e la regina ad abdicare; ma la rivoluzione fu abbastanza pacifica da permettere loro di partire con il grosso della loro amministrazione e dei loro seguaci. 

Centinaia di persone vennero costrette a prendere il mare in piccoli vascelli precari e salpare arditamente verso il Sole morente e una grande incertezza. 

Si trattava di un’era in cui molte di queste acque erano ancora completamente inesplorate ma, visto che tornare alle loro case significava morte certa, scelsero il  mare nonostante i pericoli. 

Alla fine, dopo tanti guai e tribolazioni, la coppia reale e la loro piccola flottiglia scoprirono una nuova terra che sembrava essere molto promettente. Come i Padri Pellegrini in un’ epoca molto più recente, questi emigrati decisero di fondare una nuova nazione molto lontano dalla lotta politica e religiosa della loro vecchia madrepatria, l’Egitto. 

Il principe e la principessa di questa cronaca scozzese si chiamavano Gaythelos e Scota, ed è dai loro appellativi che si crede provengano i nomi dei popoli “gaelico” e “scozzese”.

Ma questa antica cronaca scozzese era basata sulla storia o sulla mitologia? 

Uno dei primi indicatori della sua probabile autenticità è il fatto che la lista dei faraoni egizi e altri dettagli nella cronaca sono basati sui lavori dello storico egizio Manetone, che ha la reputazione di essere abbastanza affidabile nei suoi racconti. 

Se la Scotichronicon fosse basata su Erodoto si potrebbe essere apertamente scettici, ma Manetone è di gran lunga più autorevole. Il secondo punto è che come detto prima il nome del padre di Scota, Achencheres, non è altro che la traduzione greca di Akhenaton, che regnò effettivamente intorno al 1350 a.C.

Di nuovo, se la storia fosse stata ambientata in un qualsiasi altro periodo della storia d’Egitto si poteva essere fortemente scettici sulla veridicità del racconto, ma succede che lo Scotichronicon getta i riflettori su uno dei. pochi eventi instabili della storia egizia, in un momento in cui era altamente possibile che un principe e una principessa (o re o regina) venissero espulsi

Le correlazioni

Prima che la città e il regime di Amarna collassassero, Aye era il comandante dell’esercito e il visir (primo ministro) di Akhenaton e Nefertiti. Avendo servito Akhenaton così bene, Aye venne premiato con un cospicuo tesoro di preziosi manufatti d’oro, tra i quali c’erano collane d’oro e un paio di guanti rossi. La collana d’oro e i guanti rossi  erano regali tipici del regime di Amama, e non un uso tradizionale egizio, e un meraviglioso “fumetto a geroglifici ” della cerimonia della loro consegna è conservato nella tomba di AyeBene! Sulla bandiera dell’Ulster da sempre vi sono riportate due simbologie che sono statica sempre  dei rompicapo incomprensibili   per gli studiosi di araldica.

Il guanto rosso, e la stella di David

Alla luce di questo il simbolismo del quanto rosso  diventa  comprensibilissimo,  non essendo altro che uno dei retaggi del grande esodo.

 Le antiche Irlanda e Scozia potrebbero davvero essere state insediate dai rifugiati ebrei della corte reale del faraone Akhenaton. 

 

 

Fonte: Hera


Mar 04 2009

Scota regina egizia di Scozia

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 10:44

 

Nel 1955, il dottor Sean O’Riordan, archeologo del Trinità College di Dublino, effettuò un’interessante scoperta nel corso di uno scavo al Mound degli Ostaggi a Tara, un antico sito di incoronazione in Irlanda. Vennero trovati i resti scheletrici di quello che sembrava essere un giovane principe che ancora indossava una rara collana di perline di ceramica costituite da un impasto di minerali e estratti di piante bruciati. Lo scheletro fu datato al radiocarbonio al 1350 a.C. 

Nel 1956, F. Stone e L.C. Thomas rivelarono che le perline di ceramica erano egizie. In effetti, quando vennero comparate con perline di ceramica egizie, non solo si dimostrarono identiche nella manifattura, ma anche con decorazioni simili. Il famoso faraone-ragazzo Tutankhamon era stato sepolto nello stesso periodo dello scheletro di Tara e l’inestimabile collare d’oro trovato intorno al collo della sua mummia era tempestato da simili perline di ceramica coniche blu-verdi. Un girocollo

quasi identico è stato trovato in un mound sepolcrale dell’Età del Bronzo a nord di Molton, nel Devon, in Inghilterra. 

L’egittologa Lorrain Evans, nel suo irresistibile libro, Kingdom of the Ark, pubblicato nel 2001 (inedito in Italia) scritto alcuni anni prima di quello di Ellis, rivela legami archeologici tra l’Egitto e l’Irlanda. La Evans sostiene che i legami tra le due lontane terre erano plausibile e che esistono prove archeologiche a suffragio di questa teoria. 

Nel 1937, a North Ferriby, nello Yorkshire, sono stati trovati i resti di un’antica nave. All’inizio si pensò che si trattava di una nave vichinga, sino a quando successivi scavi produssero altre navi naufragate in una tempesta. Ulteriori ricerche dimostrarono che quelle navi erano molto più antiche dei vichinghi e la loro tipologia era riscontrabile soltanto nel Mediterraneo. Le conclusioni furono che quelle navi erano state costruite 2.000 anni prima dell’epoca dei vichinghi e vennero datate al radiocarbonio tra il 1400 e il 1350 a.C. Evans quindi opera delle connessioni per dimostrare che quelle navi potevano essere originarie dell’Egitto, in quanto il periodo di tempo coincide con quello delle perline di ceramica. 

Mentre sta conducendo ricerche sull’origine delle genti di Scozia nel manoscritto Bower, lo Scotichronicon, la studiosa scopre la storia di Scota, la principessa egizia figlia del faraone che fuggì dall’Egitto con il marito Gaythelos con un grande seguito che arrivò con una flotta di navi. Si insediarono in Scozia per un periodo tra i nativi, sino a quando non furono costretti a ripartire e si recarono in Irlanda, dove formarono gli Scotti, e i loro re divennero gli alti sovrani d’Irlanda. Nei secoli successivi tornarono in Scozia e, sconfiggendo i Picti, diedero il nome al paese. 

La Evans quindi pone diverse questioni: la collana di Tara era un regalo degli egizi a un capo locale dopo il loro arrivo? O forse il principe di Tara era in realtà egli stesso egizio? Secondo il manoscritto di Bower, i discendenti di Scota erano gli alti sovrani d’Irlanda. Nella sua ricerca per scoprire la vera identità di Scota, in quanto non si tratta di un nome egizio, la ricercatrice rileva all’interno del manoscritto di Bower che il padre di Scota aveva il nome di Achencres, versione greca di un nome egizio. Nell’opera di Manetone, un sacerdote egizio, Evans scopre che il nome Achencheres non è altro che la traduzione niente di meno che di Akhenaton, che regnò effettivamente intorno al 1350 a.C. 

La Evans, a differenza di Ellis, crede che Scota fosse Merytaton, la figlia più grande di Akhenaton e Nefertiti. La terza figlia, Ankhesenpaaton, sposò il fratellastro Tutankhamon, figlio di Akhenaton e della sua seconda moglie, Kiya. Il controverso passaggio religioso al dio Amon causò un conflitto con i sacerdoti di Amon, che riaffermarono la loro autorità alla fine del regno di Akhenaton e questo faraone scomparve dalla storia. Questo conflitto e le vociferate morti di peste potrebbero essere state una motivazione sufficiente per la figlia primogenita del faraone affinché accettasse in matrimonio un principe straniero, piuttosto che diventare la moglie di Tutankhamon, come avrebbe voluto normalmente l’usanza, e fuggisse dal paese dilaniato dal conflitto.

 

Fonte:  Hera 88 maggio 2007


Mar 03 2009

Venera Dio sul tuo cammino, qualunque sia la forma in cui si manifesta

Category: Bibbia ed Egitto,Religioni e rasiegiorgio @ 09:43

 

Venera Dio sul tuo cammino,

Qualunque sia la forma in cui si manifesta

Che sia abbellito con pietre preziose o rappresentato da una statua di rame

Una forma ne sostituirà un’altra

Come una nuova inondazione segue la precedente

(insegnamento per Merekarie )

 

 

Dice Mosè: Perche il Signore vostro Dio è il Dio degli dèi

(Bibbia aramaica, Deuteronomio 10,17).

 

L’insegnamento impartito a Merekarie spiega che Dio si può conoscere tramite la varietà del creato. Questa presenza si manifesta nella vita quotidiana, in cui si riconosce il creatore attraverso la sua creazione, che suscita rispetto per la natura e compassione per l’uomo.

Unico o molteplice, visibile o invisibile, questo Dio è il medesimo nella Bibbia e nell’antico Egitto. È un Dio universale che ignora le rivalità e che è all’origine della creazione, che ha voluto per il bene e per amore degli uomini. Invocando il suo nome il faraone aveva il dovere di garantire la pace tra i popoli in terra d’Egitto. Il molteplice era l’unico, l’unico era il molteplice.

La spiritualità è parte integrante delle virtù più elevate: nobiltà d’animo, amore, eroismo, dignità, indipendenza. La natura è un incanto, una benedizione. Vi è spiritualità quando l’universo interiore ed esteriore sono in armonia perfetta.  La spiritualità è uno stato di semplicità sottile, in cui la bellezza del mondo si rivela istante dopo istante.

Il divino è tranquillo e silenzioso. Non appartiene a nessuno.

Le rappresentazioni scultoree e pittoriche fanno parte della bellezza del mondo, così come le religioni, le loro gioie, le loro feste, le loro tradizioni dolci e umane.

 

 

Fonte: Srs di Messod e Roger Sabbah


Mar 03 2009

Mayatt la figlia di Akhenaton

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 09:15

Chi regnò in Egitto nel breve periodo (4 anni circa) intercorso tra i regni di Akhenaton (1357-1342) e Tut Ankh Amon (1337-1328)? 

 

Uno dei misteri, su cui si sono cimentate generazioni di egittologi e che si inserisce in un periodo travagliato eppure insolitamente ricco di testimonianze, potrebbe essere risolto dalla competenza e dall’acribia investigativa di Marc Gabolde, già ricercatore al prestigioso Institut Français d’Archéologie Orientale del Cairo.
Fin dagli albori della ricerca egittologia grazie a un’iscrizione nella Tomba Tebana 339 (nella Valle dei re a Luxor) fu conosciuto il nome di Ankhkeperure Neferneferuaton, un sovrano non attestato altrove e troppo presto e quasi passivamente associato a Semenkhkare: costui non ben identificato (per molti figlio dello stesso Akhenaton e della regina Nefertiti, per altri di provenienza straniera) era comunque ritenuto essere stato il solo successore di Akhenaton e predecessore di Tut Ankh Amon, l’unico sovrano a sedere sul trono tra i due più famosi.

 

Gabolde ha fatto dapprima notare che – cosa riconosciuta da quasi tutti i ricercatori – Akhenaton a partire dall’ultimo anno del proprio regno associò qualcuno a condividere con lui il comando in una coreggenza destinata ad aprire a costui prima o poi le porte del potere assoluto: alcune stele e un calco per scultura, conservato al Museo egizio del Cairo (n. 59294), ritraggono Akhenaton nell’atto di esercitare il comando supremo insieme a qualcuno, appunto a un suo correggente. 

Ma chi poteva essere costui? 

Gabolde è stato messo sulla buona strada da quella che a suo dire è la fonte maggiormente credibile: la fitta corrispondenza tra la cancelleria regia del Faraone e le corrispettive cancellerie dei popoli dell’Antico Vicino Oriente. 

Sono 380 tavolette in argilla, scritte per lo più in accadico, ma anche in assiro, in ittita e in urrita; si tratta di documenti, che riportano relazioni diplomatiche, politiche e commerciali tra l’Egitto e i vari popoli stanziati in area mediorientale. Si può evincere dall’analisi sistematica dell’intero ‘corpus’ che in una prima fase Akhenaton ha gestito il rapporto con i Paesi limitrofi con l’aiuto di un alto funzionario di una certa età ed esperienza (chiamato Tutu e forse di origine ittita), ma che in un momento successivo, deluso dall’operato di Tutu, avrebbe associato nella gestione della propria politica estera la propria figlia Merytaton (ne dà notizia un comunicato ufficiale stilato per volontà del re di Babilonia, che allude a Mayatt, appunto figlia del faraone egizio): quindi Merytaton, che doveva avere non più di 17 anni (per alcuni solo 13-14), divenne la rappresentante diplomatica del padre e fu da lui associata nel regno come ‘sposa regia’.

 

Sarebbe stata allora Merytaton, secondo lo studioso francese, a succedere a Semenkhkare, il cui regno seguì quello di Akhenaton, ma durò un anno solo (così indicherebbe un’etichetta di una giara per vino). Merytaton con i nomi, che abbiamo visto sopra, restò al potere per tre anni: alla sua morte fu nominato faraone d’Egitto Tut Ankh Amon, favorito anche dal fatto che sposò Ankhesenamon, a sua volta sorella di Merytaton e da questa associata nell’esercizio del comando quale ‘sposa regia’.
L’intuizione di Gabolde, supportata da una disamina approfondita delle fonti archeologiche e confluita nei volumi “D’Akhenaton à Toutankhamon”e “Akhenaton: du mystère à la lumière”, entrambi per Gallimard), ha il pregio di trovare una soluzione e di fornire una cronologia plausibile. Inoltre, se le cose stessero così, verosimilmente durante il regno di Merytaton si sarebbe verificato il ripristino del politeismo tebano.
Secondo gli studiosi infine una relazione con il periodo di Merytaton e con le regine sue sorelle potrebbe avere la sepoltura (Kings Valley 63) rinvenuta nel febbraio 2006 a pochi metri dalla tomba di Tut: sicuramente un laboratorio per la mummificazione in una fase successiva, originariamente la nuova tomba sarebbe potuta essere destinata alle principesse imparentate con Akhenaton e Tut Ankh Amon, successivamente per motivi di sicurezza traslate in una cachette.

 

 

Fonte: rsr di Aristide Malnati;  Il sole 24 ora 5 marzo 2007


Mar 02 2009

Ritrovati i frammenti mancanti del “Papiro Reale” di Torino

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 13:20

Trovati i pezzi mancanti del Canone (o Papiro) Reale di Torino, conservato nel Museo Egizio a Torino. I frammenti non inseriti nella ricostruzione del papiro sono stati ritrovati nei sotterranei del Museo, dove giacevano dimenticati da oltre mezzo secolo. Una nuova ricomposizione dei frammenti sarà forse operata a Londra, a cura di specialisti del British Museum

Il Canone (o Papiro) Reale di Torino è un elenco di sovrano defunti dell’antico Egitto in onore dei quali si continuava a officiare i riti funerari in determinati templi e santuari. Elenchi analoghi sono la Lista di Abydos, la Lista di Karnak e la Lista di Saqqara. Tutte queste fonti risalgono al Nuovo Regno (XVIII-XX dinastia, circa 1551-1306 a.C.).

La più importante è la Lista di Abydos. E’ incisa sulle pareti del grande tempio di Sethi I (circa 1304-1290 a.C.), secondo sovrano della XIX dinastia, ad Abydos, e raffigura questo re, accompagnato dal figlio maggiore Ramesse, futuro Ramesse II, in atto di fare offerte a 76 re che considera come suoi antenati, ognuno rappresentato da un cartiglio. I cartigli vanno dalla I alla XIX dinastia e iniziano con quello di Meni, fondatore della I dinastia.

La Lista di Karnak è incisa nel grande tempio di Amon a Karnak (Luxor) e risale al regno di Tuthmosis III (circa 1490-1436 a.C.), sesto sovrano della XVIII dinastia. In origine conteneva 61 nomi reali, dalla III dinastia al Tuthmosi citato, una cinquantina dei quali sono ancor oggi leggibili in parte o per intero. Questo elenco, poiché cita sovrani omessi dalle altre Liste, è molto interessante, ma ha il difetto di non collocare i re nell’esatto ordine cronologico.

La Lista di Saqqara fu scoperta nel 1861 nella tomba di un costruttore di Menfi e in origine recava i cartigli di 57 sovrani, ai quali Ramesse II, (circa 1290-1224 a.C.), loro discendente, rendeva onore. A causa di guasti alla parete si é però ridotta a 47 cartigli, che vanno da quello di Semerkhet, sesto sovrano della I dinastia, a quello di Ramesse II.

Il Canone Reale di Torino, conservato nel Museo Egizio a Torino, è la più importante fra le fonti scritte di cui disponiamo per delineare le cronologie del Periodo Protodinastico, dell’Antico Regno e del Primo Periodo Intermedio. E’ stato redatto in Ieratico sul retro di un papiro giù usato, sotto il regno di Ramesse II (circa 1297-1212 a.C.); e contiene i nomi di numerosi dèi e semidèi che avrebbero regnato in Egitto prima della fondazione dello Stato Faraonico, e numerosi altri nomi di re, appartenenti a tutte le dinastie comprese fra la I e la XVIII. Per ogni re, indica la durata del regno e distribuisce i re nelle dinastie. In origine andava a ritroso fin oltre la I dinastia, pertanto fino all’epoca dei Seguaci di Horus. Alcuni nomi di re predinastici dell’Alto o del Basso Egitto si sono conservati: Ptah, Ra, Shu, Geb, Osiride, Seth (sovrano al quale vengono attribuiti 200 anni di regno), Horus (300 anni di regno), Thoth (3.126 anni di regno), Maat (regina dell’Alto e del Basso Egitto, sposa del dio Thot). La sua importanza consiste nel fatto che non è stato redatto per celebrare un determinato sovrano, ma per elencare tutti i sovrani di tutte le dinastie, compresi quelli poco importanti e i presunti usurpatori. Sfortunatamente é mal conservato e presenta gravi lacune. Inoltre, le sue indicazioni non coincidono con quelle delle altre Liste, nè con la compilazione di Manetone. Talvolta vi sono indicati i nomi dei re, ma non la durata del loro regno, e viceversa.

Ritrovato intatto a Tebe nel 1822 dal diplomatico piemontese Bernardino Drovetti, il Canone Reale di Torino si è frammentato in centinaia di pezzi durante il suo trasporto in Italia ed è stato faticosamente ricostruito solo in parte nel 1938 dall’egittologo Giulio Farina. Alcuni dei frammenti che non sono stati inseriti nella ricostruzione sono minuziosamente riprodotti nella Tavola IX del volume Royal Canon of Turin, scritto nel 1959 dall’egittologo Alan Henderson Gardiner per l’Oxford Griffith Institute.

Per oltre 70 anni, nessuno ha mai osato mettere in discussione la ricostruzione di Farina e la sequenza dei regni da essa derivante.

Nel febbraio 2009, Richard Parkinson, inviato del “British Museum” presso il Museo Egizio a Torino, e la sua collega Bridget Leach, restauratrice di papiri, hanno chiesto di potere vedere i frammenti mancanti. E’ stata questa l’occasione per cercare quei frammenti, i quali, grazie all’intuizione di Elvira D’Amicone, egittologa del ministero italiano dei beni culturali, sotto stati infine rinvenuti in un armadio nei sotterranei del Museo, dove giacevano dimenticati da più di mezzo secolo. Alcuni erano stati inseriti tra due lastre di vetro affinchè potessero conservarsi meglio.

Dopo un primo esame dei frammenti rinvenuti è emerso che la ricostruzione del papiro fatta da Farina potrebbe essere erronea, con la conseguenza che la sequenza dei regni, in buona parte, potrebbe non essere quella che dovrebbe essere. E’ dunque possibile che i pezzi siano da ricollocare in un modo diverso e che all’elenco dei re conosciuti si debbano aggiungere nuovi nomi.

Secondo le notizie di stampa, inoltre, è possibile che un incarico per una nuova ricomposizione dei frammenti sia affidato agli specialisti del British Museum.

(19 Febbraio 2009)

 

Fonte: http://www.lastampa.it/la porta del tempo


Feb 28 2009

La Biblioteca di Alessandria d’Egitto

 

La Biblioteca di Alessandria era non solo una delle glorie dell’antico Egitto, ma si può dire di tutto il Mediterraneo e  del mondo antico.  Storicamente, si può collocare la sua fondazione all’inizio del III Secolo a.C.; voluta da Tolomeo I Sotere con l’idea di custodire l’intero scibile umano

Tolomeo I,  grande cultore delle arti letterarie, intuì quanto fosse importante preservare tutto il sapere dell’umanità, non solo per metterlo a  disposizione dei dotti, ma al fine di tramandarlo ai posteri. Possiamo comprendere quanto fosse difficile l’idea del sovrano. In quel periodo la conservazione dei testi era per lo più affidata a scribi, sacerdoti o a pochi  privati; la diffusione dei testi era molto limitata anche a causa del costo proibitivo di tavolette, papiro e pergamene. 

Il primo a concepire l’idea di una trasmissione dei testi sotto forma di raccolta fu Aristotele, che  tramandò la sua opera letteraria ai propri allievi, tra i quali  vi era Teofrasto, a sua volta amico di Demetrio Falereo.

Per dare vita alla proprio progetto, Tolomeo si avvalse proprio della collaborazione dell’ illustre letterato dell’epoca, il greco Demetrio Falereo che, fuggito da Atene, si era rifugiato  ad Alessandria presso i Tolomei.   La Biblioteca di Alessandria fu pertanto concepita  sul modello di quella  aristotelica, cioè sulla raccolta sistematica dei testi che venivano in seguito messi a disposizione di un più vasto pubblico.

Realizzata nei dieci anni in cui Demetrio Falereo restò nella città,  venne impostata  su due importanti istituzioni: la Biblioteca ed il Museo. Essa si trovava all’interno del palazzo imperiale, che occupava almeno un quarto della città di Alessandria.

La Biblioteca ed il Museo furono costruiti molto vicini l’una all’altro, i testi venivano materialmente raccolti nella Biblioteca, mentre nel Museo venivano redatte le rispettive relazioni critiche; lo scopo iniziale era quello di raccogliere i soli testi greci, ma ben presto la collezione si arricchì di opere che spaziavano in ogni campo e che provenivano da ogni parte del mondo. In virtù della sua enorme popolarità la Biblioteca venne ingrandita, fino ad avere dieci enormi sale e, altre salette più piccole, riservate agli studiosi.

Non solo per la Biblioteca si ricercavano i libri in tutte le città del mondo allora conosciuto, in gara con le altre biblioteche dell’ecumene greca, tra cui quella di Atene del Liceo aristotelico e quella di Pergamo, ma se ne studiavano i testi e si compilavano, attraverso il loro confronto, i commenti e le edizioni critiche.

Si dava la caccia alle edizioni rare e si copiavano le opere ancora mancanti dei grandi filosofi, astronomi, matematici, filologi, grammatici, ecc.  Tutti i libri in possesso delle navi, in transito da Alessandria, erano vagliati e, se non erano presenti  nella Biblioteca, venivano copiati. Questi erano catalogati come «libri delle navi”.

Zenodoto di Efeso fu il primo bibliotecario; il poeta Callimaco che gli successe pose in atto il catalogo, un’opera necessaria per poter consultare i quattrocentomila rotoli di papiro, il cui numero era in continua crescita.  Il terzo bibliotecario fu Eratostene, uno scienziato, poeta e critico letterario, che elaborò la carta geografica della terra abitata e preparò una cronologia universale.

Divenne in breve tappa obbligata per tutti gli studiosi dell’antichità: la frequentarono assiduamente Euclide, il padre della geometria, Aristarco di Samo ed Erone di Alessandria.

Giunta al massimo del proprio splendore accadde però l’imprevedibile. 

Nel 47 a.C., i romani di Giulio Cesare incendiarono una delle sezioni della Biblioteca trasformando in cenere circa quarantamila rotoli; seguirono gli incendi ad opera di Zenobia, sovrana di Paimyra, di Diocleziano nel 295 d.C., fino alla completa distruzione da parte del Generale Amr Ibnel-as, agli ordini del Califfo Omar I.

Ma la tradizione che fosse stato Cesare a provocare l’incendio della Biblioteca potrebbe essere errata: lo ha dimostrato Luciano Canfora ne “La biblioteca scomparsa” (Sellerio Editore), studiando le fonti: essa fu distrutta, o almeno quel che ne rimaneva dopo molti secoli, da parte del Generale Amr Ibnel-as, agli ordini del Califfo Omar I. In quell’occasione il destino della Biblioteca di Alessandria si compì tragicamente e definitivamente. 

Era il 646 d.C. quando Omar I pronunciò le famose parole: 

…….Se i libri non riportano quanto scritto nel Corano allora vanno distrutti, poiché non dicono il vero. Se i libri riportano quanto scritto nel Corano vanno distrutti ugualmente perché sono inutili”.

La Biblioteca, tutto il suo contenuto ed il sogno che essa rappresentava, vennero per sempre avvolti dalle fiamme. I rotoli furono usati anche come combustibile per i bagni di Alessandria, ben quattromila, e sembra che ci siano voluti sei mesi per distruggere tutto il materiale.

Un’ irreparabile  perdita per l’umanità, ma anche un monito per il futuro. 

Questo oggi è quello che rimane della Biblioteca perduta di Alessandria


Feb 27 2009

Google Earth rivela probabili tracce di impatti di meteoriti nel Mediterraneo

Category: Bibbia ed Egitto,Natura e scienzagiorgio @ 22:26

La mappatura  dei fondali, attuata recentemente da Google, mostra quello che potrebbero  essere le tracce di impatti di meteoriti nel Mediterraneo.

Osservando i depositi alluvionali sotto il livello del mare al largo della  foce del Nilo, si notano chiaramente degli avvallamenti che sembrano essere causati da  impatti  di meteoriti sui depositi alluvionali del delta e non ancora ricoperti dalle successive alluvioni; ciò fa pensare ad una datazione temporale dell’evento relativamente recente, tale da poter essere ricordata dalle popolazioni che ne furono  testimoni o che ne subirono le conseguenze…  e  la separazione delle acque di biblica memoria, ne potrebbe esserne  un  ricordo.


Feb 27 2009

Iscrizione di Ponzio Pilato Gerusalemme

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 19:38

Israel Antiquities Authority. 26-36 d.C.

Gli archeologi italiani dell’Istituto Lombardo di Milano, nel 1961 durante uno scavo a Cesarea, il più importante porto della Giudea, rinvennero un documento storico unico: un’iscrizione recante il nome di Ponzio Pilato, il Prefetto Romano della Giudea negli anni 26-36 d.C. 

Questo personaggio che, secondo la tradizione avrebbe autorizzato la morte di Gesù, è menzionato dai Vangeli. 

Sebbene negli scavi siano state trovate monete coniate durante il suo governo, nessuna di esse presenta il suo nome. 

L’iscrizione, su pietra calcarea, è stata trovata in un teatro romano (databile fra il III e IV secolo), nel quale era stata riutilizzata come gradino; il reimpiego ha fatto perdere una parte del testo, del quale ora si legge: 

[…] Tiberieum/[…] [Po]ntius Pilatus/[…] [Praef]ectus Iuda[ea]e (Ponzio Pilato, prefetto di Giudea [ha eretto l’edificio in onore di Tiberio]). 

 

Fonte: Storia Libera/ Israel Antiquities Authority/La porta del tempo


Feb 27 2009

Frammenti d’ iscrizione greca della “Stele di Eliodoro” getta nuova luce sui Maccabei

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 13:21

La stele di Eliodoro  – Foto: The Israel Antiquities Authority

Tre frammenti di un’iscrizione greca, ritenuta parte della ‘stele di Eliodoro’, sono stati trovati recentemente a sud di Gerusalemme  in uno scavo dell’Israel Antiquities Authority nel Parco Nazionale di Beit Guvrin.

La stele di Eliodoro, che risale al 178 a.e.v. e che consiste di 23 righe incise su calcare, è considerata una delle iscrizioni antiche più importanti rinvenute in Israele.

Dov Gera, che ha studiato le iscrizioni, ha stabilito che i frammenti erano in realtà la parte inferiore della ‘stele di Eliodoro’. Questa scoperta ha conferma l’idea che la stele originariamente fosse situata in uno dei templi situati dove oggi si trova il Parco Nazionale Maresha- Beit Guvrin.

I nuovi frammenti sono stati scoperti in un complesso sotterraneo dai partecipanti al programma Dig for a Day (scava per un giorno) dell’Archaeological Seminars Institute.

Come è stato scritto dai professori Cotton e Wörrle nel 2007, questa stele reale in pietra reca un proclama da parte del re dei Seleucidi, Seleuco IV (padre di Antioco IV). Il contenuto della stele ha fatto luce sul coinvolgimento del governo dei Seleucidi nei templi locali, menzionando un tale di nome Olympiodoros, il ‘supervisore’ designato dei templi di Coele Syria-Phoenicia, compresa la Giudea.

L’ordine del re fu inviato a Eliodoro, che era probabilmente la stessa persona menzionata nel libro Maccabei II. Secondo la storia narrata in Maccabei, Eliodoro, come rappresentante del re Seleuco IV, cercò di rubare del denaro dal Tempio di Gerusalemme ma invece fu picchiato con violenza grazie all’intervento divino.

Tre anni dopo, Seleuco IV fu assassinato e gli successe il figlio Antioco IV, che fu il governante, secondo Maccabei II, che finì coll’emettere un editto di persecuzione contro il popolo ebraico e dissacrò il Tempio di Gerusalemme, il che portò alla rivolta dei Maccabei.

In breve, si può stabilire che questa stele reale ebbe origine nella città di Maresha, ed aggiunge importanti testimonianze archeologiche e contesto storico per la comprensione del periodo che portò alla rivolta dei Maccabei, un evento celebrato tutti gli anni con la festa ebraica di Hannukah.

Ian Stern, direttore degli scavi per l’Israel Antiquities Authority, aggiunge: “Questa scoperta è il frutto di uno sforzo congiunto da parte del programma ‘Dig for a Day’ dell’Archaeological Seminars Instititute, dell’Israel Antiquities Authority e dello staff dell’Israel Nature and Parks Authority del Parco Nazionale di Beit Guvrin”.

 

Fonte: Israele.net /da: Ha’aretz, 16.02.09/La porta del tempo


Feb 27 2009

HAPIRU E SA.GAZ: I TAGLIAGOLE DEL DESERTO?

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 01:14

Sethos  raffigurato insieme al dio Horus

Dalla fine del III  alla fine del II millennio a.C. gente chiamata Hapiru dilagò dall’Elam all’altopiano ittita, fino alle frontiere dell’Egitto, sconvolgendo una situazione politicamente instabile. Nei testi cuneiformi che ne tramandano le gesta, gli Hapiru sono ricordati come stranieri, uomini declassati in conflitto con la società, ipotesi sostenuta da un altro termine che li definisce Sa.gaz, letteralmente tagliagole, briganti.

Sebbene la comparsa degli Hapiru coincise con il periodo delle migrazioni indoariane, la loro identità etnica è tuttora da scoprire. Forse questi  sconosciuti appartenevano alla tribù semita del biblico Beniamino.

Gli Hapiru erano stanziati ai confini di Sumer e nell’Elam, in Mesopotamia, ma di fatto provenivano dall’Est, effettuando scorrerie in Siria, in Palestina e nel territorio babilonese a scapito dei possedimenti egizi. Si sa che fondarono una città ed ebbero un re di nome Hanni, principe di Aiapir. I Babilonesi pronunciavano questo nome Apir o Apr, non è escluso quindi che fossero indicati popolarmente come “la gente di Aiapiru”.

Organizzati in bande di piccole dimensioni, gli Hapiru per quasi due millenni servirono ora uno ora l’altro dei signori locali, preferendo gli Ittiti agli Egizi, diventando proverbiale la loro fedeltà nei confronti di chi li assoldava. Alcuni testi cuneiformi parlano infatti di un certo Idrimi (1490-1450 a.c.) re di Alalakh, il quale, sentendosi in pericolo per via delle mire espansionistiche dei suoi vicini, si rifugiò in un accampamento degli Hapiru restandovi sette anni. Se l’onore dei suoi ospiti non fosse stato a tutta prova, sarebbe stato un gioco per i nemici di Idrimi corromperli per farlo assassinare.

Agli Hapiru furono affidati anche compiti di polizia. In un testo del XIII secolo a.c. trovato a Ras-Shamra  fu stilata una convenzione tra questi briganti ed il re ittita Hattusil IIl (1275-1250 a.c.) il quale s’impegnava a rendere al re di Ugarit tutti gli uomini che avrebbero cercato scampo in territorio hapiru. Un compito facile, se è vero che gli schiavi recavano marcato a fuoco sulla fronte l’avvertimento: “Prendetelo, è un fuggitivo!”. Qualche archeologo vede in questo la prova che scagiona gli Hapiru dall’accusa di brigantaggio. In effetti, se tutti sapevano dov’erano, come mai a nessuno venne in mente di andare a snidarli? Gli Egizi combatterono spesso questa gente.

Se visitiamo le imponenti rovine del forte egiziano di Beth Shan, polveroso ricordo dell’espansionismo in Asia del faraone Tutmosis III situato venticinque chilometri a sud della Galilea, e a soli sei dalla riva occidentale del Giordano, potremmo vedere una stele i cui geroglifici narrano gli avvenimenti accaduti nella regione al tempo del faraone Sethos (1317-1301 a.C.).

Ancora una volta è citato il nome degli Hapiru che in questa regione operarono contro gli avamposti egiziani. La debolezza del governo centrale o l’occasione della morte di un faraone, davano spesso il pretesto ai vassalli per insorgere, aiutati dai loro misteriosi alleati briganti.  Sethos  s’era quindi trovato a ricucire insieme ciò che i suoi predecessori, Amenophis III e Amenophis IV, avevano disfatto nel giro di 38 anni del loro regno. Il secondo mistero è legato proprio all’identità di questi due faraoni,  di origine Hapiru, se non ebraica a detta di qualche studioso.

L’Inno al Sole di Amenophi IV, il faraone della diciottesima dinastia noto per aver introdotto il primo culto monoteistico in Egitto, tradirebbe questa discendenza. Amenophi IV era stato sempre sordo ai lamenti dei suoi alleati, che si dolevano delle scorrerie degli Hapiru. Costruita una città ad Amarna, a 300 chilometri da Menfi, lungo il Nilo, in una reggia lontana da ogni influenza nefasta dei sacerdoti dei vecchi dei, compose una bellissima poesia al Sole, l’astro che ha «dato inizio al vivere… dio unico, al di fuori del quale nessuno esiste».

L’apparente mollezza della vita del giovane faraone (aveva allora poco più di 23 anni) era dunque intenzionale? Regnando Amenophi IV, Suppiluliuma, re degli Ittiti, con l’aiuto degli Hapiru aveva conquistato le città di Vasciuganni, di Ugarit e Qadesh, mentre le popolazioni, terrorizzate, si rifugiavano sulle montagne o varcavano le frontiere dell’Egitto chiedendo protezione ai presidi militari. Era necessario porre un freno alle prodezze degli sgherri dei principi asiatici ribelli, ma il comportamento del faraone non approdò a mulla di concreto, provocando lo sdegno dei suoi funzionari. Il governatore di Gerusalemme senza mezzi termini scriveva:

«È molto tempo che vado ripetendo al rappresentante del Re mio Signore: perchè amate gli Hapiru e detestate i vostri governatori?». Era un’accusa passibile di pena di morte poiché insinuava che il faraone tradiva il suo popolo.

Gli Hapiru, in effetti, veneravano un solo dio, un’entità che alcuni testi sumerici identificavano nella stella dei Sa.gal., forse il pianeta Venere, considerato in tutto il Medioriente la “stella dei Pastori”, e in altri testi cuneiformi definita esplicitamente “la stella dei briganti”.

 

Fonte: srs di Joel Sherman da Cronos  N. 2  febbraio 2009


Feb 21 2009

Stele di Kuttamuwa – Scoperto il piu’ antico monumento all’anima

La prima evidenza scritta della convinzione religiosa della separazione tra anima e corpo nelle antiche civiltà del Medio Oriente, è stata scoperta da un gruppo di archeologi americani nel sito di Zincirli, in Turchia, vicino al confine con la Siria. 

Fino a questo momento si riteneva che in tutte le culture semitiche (Arabi, Ebrei, Cananeo-Fenici, Cartaginesi) l’anima e il corpo fossero considerati indissolubili, tanto che la cremazione del defunti era espressamente vietata. Soltanto nelle popolazioni camite dell’Africa, come gli Egizi, si riteneva che dopo la morte l’anima sopravvivesse indipendentemente dal corpo.

Scavando nell’antica città di Sam’al, presso l’attuale Zincirli, gli archeologi dell’Università di Chicago hanno rinvenuto una stele di basalto, che risale a circa l’800 a.C., con scritte in una lingua semitica che sembra essere una arcaica variante dell’aramaico. La stele, pesante 400 chili e alta 1,2 metri, era stata fatta costruire da un funzionario reale, Kuttamuwa, come luogo di riposo della sua anima dopo la morte. 

 

Sulla stele si legge: “lo, Kuttamuwa, servo del re Panamuwa, ho provveduto in vita alla produzione di questa stele. L’ ho posta nella camera eterna e ho disposto un banchetto per (il dio della tempesta) Hadad, un montone per (il dio del Sole) Shamash, … e un montone per la mia anima che è in questa stele”.

 

Accanto alla scritta è incisa la figura di un uomo, presumibilmente Kuttamuwa, con la barba e un copricapo, nell’atto di sollevare un calice di vino,  mentre è seduto davanti a una tavola imbandita con pane e un’anatra arrostita. 

Un’immagine del genere, sottolineano gli studiosi, rappresentava un invito a portare offerte votive di vino e cibo davanti alla tomba di un defunto. Come ha precisato Joseph Wegner, egittologo dell’Universitàdella Pennsylvania, in Medio Oriente era pratica diffusa portare offerte votive ai morti, ma fino a questo momento non esisteva alcuna testimonianza del concetto della separazione tra anima e corpo in queste civiltà. Peraltro, il ritrovamento nel sito di urne che sembrano dovessero contenere le ceneri dei defunti fa supporre che le popolazioni di Sam’al praticassero la cremazione. La stele di Zincirli rappresenta dunque il più antico (e finora unico) “monumento all’anima” rinvenuto nel Medio Oriente.

Inoltre la scoperta getta una nuova sorprendente luce sulle credenze della vita ultraterrena nell’Età del ferro, e in particolare sulla credenza che l’identità, “l’anima”, del defunto, permanesse abitando all’interno del monumento su cui era stata tracciata la sua immagine, come sottolinea la frase finale dell’incisione

 

Fonte: Storica – National  Geographic – numero 1, marzo 2009


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