Gen 23 2013

DISSE LAO-TSE PIÙ DI 2500 ANNI FA

Category: Cultura e dintorni,Libri e fonti,Pensieri e parolegiorgio @ 23:33

lao-tse

 

“Più si governa, meno si raggiunge il risultato desiderato. Più restrizioni e proibizioni ci sono al mondo, più povera sarà la gente… Più leggi vengono promulgate, più ladri e banditi ci saranno. (…)Quando le imposte sono troppo alte, il popolo ha fame; quando il governo è troppo invadente, il popolo si perde d’animo. Agite a vantaggio del popolo. Abbiate fiducia nel popolo, lasciatelo libero di agire. Governare una nazione grande è come friggere un pesciolino; attizzando troppo il fuoco lo  si rovina.”

 

(Il pesciolino si è rovinato innumerevoli volte nella storia dell’umanità.)

 

ALTRI  AFORISMI  DI LAO-TSE

 

Abbandona la santità, getta via la sapienza e la gente sarà cento volte meglio.

Elimina la morale, sopprimi la giustizia e la gente ti riscoprirà di devozione filiale e l’amore materno e materno.

Abbandona l’astuzia, elimina il profitto e non ci saranno più ladri né briganti.

Queste tre cose di per sé sono insufficienti. Ad esse dobbiamo aggiungere: abbraccia la semplicità e sii come un legno grezzo, riduci l’egoismo e abbi pochi desideri, abbandona la sapienza e sgombra l’animo dalle preoccupazioni.

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Gen 23 2013

SUN TZU
 L’ARTE DELLA GUERRA

Category: Cultura e dintorni,Libri e fontigiorgio @ 14:16

Sun-Tzu

 

L’ARTE DELLA GUERRA

Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento, ma bensì sottomettere il nemico senza combattere

La vittoria è prevedibile, ma non sicuramente attuabile. L’invincibilità sta nel sapersi difendere, e la possibilità di vincere sta nel saper attaccare

In ogni  conflitto, le manovre regolari portano allo scontro, e quelle imprevedibili alla vittoria

 

VALUTAZIONE
 DI BASE

 

1.  
La guerra è di somma importanza per lo Stato: è sul campo di battaglia che si decide la vita o la 
morte delle nazioni, ed è lì che se ne traccia la via della sopravvivenza o della distruzione. Dunque è indispensabile studiarla a fondo.

 

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 L’ARTE DELLA GUERRA”


Ott 27 2012

CORRISPONDENZA INEDITA DI PIER PAOLO PASOLINI «CALABRESI NON FATE COME GLI STRUZZI»

 

Pier Paolo Pasolini

 

La  lettera inedita di Pasolini riaccende la questione Nord-Sud.

 

ESTATE 1959.

Pier Paolo Pasolini percorre la costa italiana al volante di una Fiat Millecento. Le suggestioni, gli odori e le miserie di quel viaggio nell’Italia del dopoguerra diventarono un reportage di grande bellezza (“La lunga strada di sabbia”) pubblicato dalla rivista “Successo”, diretta da Arturo Tofanelli.

 

Maestro di quel giornalismo “illustrato” che spopolava, quando la televisione era ancora merce di lusso. Nel 2001, il fotoreporter Philippe Séclier  affrontò lo stesso itinerario. Nella prefazione del volume di foto d’autore che, in seguito, pubblicò per la casa editrice “Contrasto”, scrisse: «Ho voluto mettere i miei passi dietro ai suoi, vedere ciò che lui aveva visto, capito e sentito, lanciarmi a mia volta su quella strada in sua compagnia, seguendola come lui l’aveva descritta».

Restò molto sorpreso, quando in un vecchio salone di barbiere di Cutro vide esposta una gigantografia di Pasolini. Non se lo aspettava. Perché Pier Paolo Pasolini aveva descritto con durezza di pensiero e di linguaggio quel piccolo centro, presentandolo come il “paese dei banditi”. Le reazioni ai suoi articoli furono immediate, taglienti e distruttive. Anche a livello istituzionale. Fino al punto che il sindaco della cittadina catanzarese, il ragionier Vincenzo Mancuso, democristiano, presentò querela per diffamazione a mezzo stampa nei confronti dello scrittore presso la Procura della Repubblica di Milano.

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Ott 05 2012

SAREBBE NECESSARIO INSEGNARE I FONDAMENTI ELEMENTARI DELLA NOSTRA TRADIZIONE RELIGIOSA

Massimo Cacciari

“Non lo dico da oggi: sarebbe civile che in questo Paese si insegnassero nelle scuole i fondamenti elementari della nostra tradizione religiosa.  Sarebbe assolutamente necessario battersi perché ci fosse un insegnamento serio di storia della nostra tradizione religiosa.

Lo stesso vale per le università; sarebbe ora che fosse permesso lo studio della teologia nei corsi normali di filosofia, esattamente come avviene in Germania. (…)

Per me è fondamentale il fatto che non si può essere analfabeti in materia della propria tradizione religiosa. È una questione di cultura, di civiltà. Non si può non sapere cos’è il giudaismo, l’ebraismo, non si può ignorare chi erano Abramo, Isacco e Giacobbe. Bisogna conoscerne la storia della religione, almeno della nostra tradizione religiosa, esattamente com’è conosciuta la storia della filosofia e della letteratura italiana. Ne va dell’educazione, della maturazione anche antropologica dei ragazzi.

È assolutamente indecente che un giovane esca dalla maturità sapendo magari malamente chi è Manzoni, chi è Platone e non chi è Gesù Cristo. Si tratta di analfabetismo. La scuola deve alfabetizzare. Quando i ragazzi vanno in giro a fare i turisti vedono delle chiese e dei quadri con immagini sacre. Ma cosa vedono, cosa capiscono? Spesso riconoscono a malapena Gesù Bambino. Non sanno nulla delle nostre tradizioni. La religione è un linguaggio fondamentale.  Come la musica”.

 

Massimo Cacciari, filosofo agnostico

 

 


Set 25 2012

LA MANIPOLAZIONE MENTALE DI MASSA

Category: Cultura e dintorni,Media e informazione,Monolandiagiorgio @ 00:10

Se un’aquila, che potrebbe tranquillamente volare libera nei cieli, cresce con la convinzione di essere un pollo, rimarrà per sempre dentro il pollaio

INFORMAZIONE

L’importanza dell’informazione è fuori da ogni discussione. Informare, lo dice il nome stesso che deriva da “in-formare”, cioè dare forma. Ma dare forma a cosa, se non alle coscienze? Non a caso, tutte le grandi dittature hanno iniziato sempre con il controllo dei mezzi di comunicazione (mass-media), proprio per plasmare le menti e coscienze delle persone. La totalità delle persone, educata dalla tivù alla passività e pigrizia mentale sin dall’infanzia, non sviluppa la capacità di mantenere l’attenzione autonomamente, se non è emotivamente coinvolta. I manipolatori questo lo sanno bene e per veicolare le loro informazioni mantengono viva l’attenzione della gente, agendo direttamente nell’emotività. Questo si chiama intrattenimento. Il paradosso è che sono le persone stesse che esigono di essere intrattenute e non informate, e ovviamente il Sistema le accontenta: informa (a modo loro) attraverso l’intrattenimento. L’importanza dei mezzi di comunicazione, è enorme. Ai fini della governabilità, soprattutto nelle società basate sul consenso, è indispensabile limitare, ma anche controllare e orientare l’informazione, la costruzione della rappresentazione illusoria del mondo e da cui dipende la produzione e gestione del consenso.

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Set 22 2012

L’INDOVINELLO VERONESE

 

separebabouesalbaprataliaaraba&alboversoriotenebae&negrosemenseminaba gratiastibiagimusomnip[oten]ssempiterned[eu]s

 

Se pareba boves, alba pratalia araba

Albo versorio teneba, et negro semen seminaba.

Gratias tibi agimus onnipotens sempiterne Deus.

 

L’Indovinello veronese è un testo in corsiva nuova vergato tra l’VIII secolo e l’inizio del IX in forma d’appunto, a margine di una pergamena contenente un codice più antico[1].

È forse il più antico testo pervenuto che usi lingua romanza (i Giuramenti di Strasburgo sono datati a cinquant’anni più tardi) e rappresenterebbe un possibile atto di nascita del volgare in Italia, ma non tutti gli studiosi sono concordi e alcuni ritengono che si tratti ancora di latino (pur se con le evidenti aberrazioni[2]).

Il codice fu originariamente redatto in Spagna all’inizio dell’VIII secolo e giunse a Verona non troppo tempo dopo. Le due postille furono individuate nel 1924.

Fu Vincenzo De Bartholomaeis a scoprirne per primo il senso, con l’aiuto di una studentessa universitaria del I anno.[1] Al testo dell’indovinello si accompagna un testo (riga 3), stavolta in latino più sorvegliato: si tratta di una formula canonica di benedizione in latino, esterna all’indovinello, ma che gli studiosi hanno utilizzato, talvolta in maniera contrastante, per avallare le proprie ipotesi linguistiche.

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Set 12 2012

MONTECASSINO: QUELLO CHE NON SI È MAI DETTO SU MONTECASSINO DURANTE LA II GUERRA MONDIALE

 

Montecassino un luogo tutt’ora suggestivo, ma completamente alterato.

Quanti misteri e quante reticenze sui fatti tragici accaduti su quel monte sacro dove San Benedetto decide che quel luogo debba essere la residenza della sua regola e dei suo monaci sulle indicazioni dei Padri del deserto egizio e del retaggio cenobita, dando alla regola la “riproduzione” e il legame del numero (sacro a Pitagora) 12 legato alle Lucumunie Etrusche.

Quel luogo prima che fosse occupato da San Benedetto era la sede di un importante tempio Pagano dedicato ad Apollo e nelle vicinanze esisteva anche un tempio dedicato a Giove. Al di sotto di quella Acropoli pagana troviamo la Cassino romana con il suo anfiteatro e molti manofatti propri della sacralità romana.

Durante la Seconda guerra mondiale, gli studiosi tedeschi dell’Ahnenerbe pianificarono una delle più segrete missioni della storia per recuperare alcuni manoscritti. Questa missione fu battezzata Diomede, dal nome dell’eroe omerico che dopo la caduta di Troia si rifugiò nelle Isole Tremiti e, insieme ai suoi compagni, fu trasformato da Venere nelle diomedee, gli uccelli di mare che nidificano sulla costa.

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Lug 24 2012

CHRIS HEDGES: PERCHÈ GLI STATI UNITI DISTRUGGONO IL LORO SISTEMA SCOLASTICO

Category: Cultura e dintorni,Monolandia,Scuola e universitàgiorgio @ 21:08

Chris-Hedges

Una nazione che distrugge il proprio sistema educativo, degrada la sua informazione pubblica, sbudella le proprie librerie pubbliche e trasforma le proprie frequenze in veicoli di svago ripetitivo a buon mercato, diventa cieca, sorda e muta.  Apprezza i punteggi nei test più del pensiero critico e dell’istruzione. Celebra l’addestramento meccanico al lavoro e la singola, amorale abilità nel far soldi. Sforna prodotti umani rachitici, privi della capacità e del vocabolario per contrastare gli assiomi e le strutture dello stato e delle imprese.  Li incanala in un sistema castale di gestori di droni e di sistemi. Trasforma uno stato democratico in un sistema feudale di padroni e servi delle imprese.

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Lug 09 2012

COME SI FABBRICA L’OPINIONE PUBBLICA: UN TESTO INEDITO DI PIERRE BOURDIEU

Category: Conoscenza varie,Cultura e dintornigiorgio @ 16:47

PIERRE BOURDIEU

Da un lato, una situazione economica e sociale inedita. Dall’altro, un dibattito pubblico mutilato, ridotto all’alternativa tra austerità di destra e rigore di sinistra. Come si definisce lo spazio dei discorsi ufficiali, per quale prodigio l’opinione di una minoranza si trasforma in «opinione pubblica»? È ciò che spiega il sociologo Pierre Bourdieu in questo corso sullo Stato tenuto nel 1990 al Collège de France e pubblicato questo mese.

 

UN TESTO INEDITO DI PIERRE BOURDIEU*

Un «uomo ufficiale» è un ventriloquo che parla in nome dello Stato: assume un portamento ufficiale – bisognerebbe descrivere la messinscena del personaggio ufficiale –, parla a favore e al posto del gruppo al quale si rivolge, parla per e al posto di tutti, parla in quanto rappresentante dell’universale. E a questo punto si arriva alla moderna nozione di opinione pubblica.

Cos’è questa opinione pubblica invocata dai creatori di diritto delle società moderne, delle società nelle quali il diritto esiste? È tacitamente l’opinione di tutti, della maggioranza o di coloro che contano, di quelli che sono degni di avere un’opinione. Penso che la definizione esplicita in una società che si pretende democratica, e cioè che l’opinione ufficiale è l’opinione di tutti, nasconda una definizione latente, e cioè che l’opinione pubblica è l’opinione di quelli che sono degni di avere un’opinione. C’è una sorta di definizione censuaria dell’opinione pubblica come opinione illuminata, opinione degna di questo nome. La logica delle commissioni ufficiali è quella di creare un gruppo in grado di dare tutti i segnali esterni, socialmente riconosciuti e riconoscibili, della sua capacità di esprimere l’opinione degna di essere espressa, e nelle forme convenienti.

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Lug 06 2012

ANTIOCHIA. ANTICA MALEDIZIONE CONTRO UN FRUTTIVENDOLO

Lo studioso Alexander Hollmann dell’Università di Washington ha tradotto un’antica maledizione scritta 1.700 anni fa sui lati di una sottile tavoletta di piombo: essa doveva affliggere non un re o faraone, ma un semplice fruttivendolo nella città di Antiochia.

Scritta in greco, la maledizione chiedeva a Iao (la forma greca per Yahweh, il Dio dell’Antico Testamento) di tormentare un fruttivendolo di nome Babylas. La tavoletta elenca anche il nome di sua madre Dionysia, “nota anche come Hesykhia”.

O Iao che scagli lampi e tuoni, colpisci, lega Babylas il fruttivendolo”, recita l’inizio della maledizione. “Come colpisci il carro del Faraone, così colpisci l’offensività (offensiveness) di Babylas“.

O Iao che scagli lampi e tuoni, come uccidi i primogeniti d’Egitto, uccidi il suo [bestiame?] tanto quanto…” (La parte successiva è perduta).

 

È inoltre possibile che il fruttivendolo fosse cristiano: “Esiste un vescovo di Antiochia molto importante chiamato Babylas che è stato uno dei primi martiri”, ha detto Hollmann.

L’uso di metafore prese del Vecchio Testamento aveva inizialmente suggerito a Hollmann che chi scrisse la maledizione fosse ebreo. Ma dopo aver studiato altri antichi incantesimi magici che utilizzano le metafore, si è reso conto che la cosa potrebbe non essere così scontata: “Non credo che ci sia necessariamente un collegamento con la comunità ebraica”, ha detto. “La magia greca e romana a volte inseriva testi ebraici senza comprenderli molto bene”.

Oltre all’utilizzo di Iao (Yahweh) e al riferimento alla storia dell’Esodo, la tavoletta cita anche la storia dei primogeniti d’Egitto:

O Iao che scagli lampi e tuoni, come uccidi i primogeniti d’Egitto, uccidi il suo [bestiame?] tanto quanto…” (La parte successiva è perduta).

“Potrebbe essere semplicemente che l’Antico Testamento è un testo potente, e la magia ama utilizzare testi e nomi potenti”, ha spiegato Hollmann. “Questo è ciò che fa funzionare la magia o fa credere alle persone che funzioni”.

Il manufatto, che ora si trova al Princeton University Art Museum, era stato scoperto negli anni ’30 ma finora non era stato completamente tradotto. La traduzione dettagliata è stata pubblicata sulla rivista Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik.

 

Fonte: da Il fatto Storico  del 21 gennaio 2012

Link: http://ilfattostorico.com/2012/01/21/decifrata-unantica-maledizione-contro-un-fruttivendolo/

Fonte: Live Scienze

Link: http://www.livescience.com/17589-ancient-curse-translated-greengrocer.html

 


Giu 17 2012

I LADRI DI BENI PRIVATI PASSANO LA VITA IN CARCERE E IN CATENE, QUELLI DI BENI PUBBLICI NELLE RICHEZZE E NEGLI ONORI. MARCO PORCIO CATONE


Giu 07 2012

LA LINGUA PADANA O PADANESE – PRIMA PARTE

Category: Cultura e dintorni,Padania e dintornigiorgio @ 00:33

Di  Geoffrey Hull,  linguista della University of West Sydney, Australia.

Riporto la prima e la seconda  parte dell’estratto di un interessante, approfondito e straordinariamente documentato saggio, opera del prof. Geoffrey Hull, docente all’Università di Melbourne: testimonianza sorprendente di come il problema delle lingue minoritarie (anche di quelle ostinatamente negate dalla ignorante ufficialità politica romana) sia ormai al centro dell’attenzione dei più illustri ricercatori,  e per di più in un Paese geograficamente così lontano da noi.

 

Nell’isolare dal sistema linguistico italiano le parlate ladine, Ascoli lasciò in un limbo terminologico i dialetti che il Biondelli, trent’anni prima, aveva denominato “GALLO-ITALICI” (1).

Secondo l’illustre dialettologo goriziano, il piemontese, il ligure, il lombardo e l’emiliano-romagnolo, “si distaccano dal sistema italiano vero e proprio, ma pur non entrano a far parte di alcun sistema neolatino estraneo all’Italia” (2).

Durante i primi decenni dell’unità nazionale i glottologi provarono a definire più chiaramente lo status del  “gallo-italico” nei confronti del ladino da un lato e dei dialetti peninsulari dall’altro. In quell’epoca di nazionalismo esasperato era difficile che l’indagine non assumesse toni politici. Parecchi studiosi infatti si sentivano in dovere di dimostrare a priori l’italianità sia del gallo-italico sia del ladino, mentre l’insistenza di altri linguisti (soprattutto germanofoni) sulla fisionomia palesemente galloromanza dei due gruppi non poteva allora non sembrare colorita di pregiudizi antirisorgimentali (3).

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Dic 20 2009

VITTORIO GIUNCIUGLIO : UNA VITA PER LA STORIA DI GENOVA

Category: Cultura e dintorni,Persone e personaggi,Veja migiorgio @ 18:59

Giornata triste oggi: ho preso il telefono per fare gli auguri di Natale ad un mio amico di ricerche, che era da più di un’ anno che non sentivo, Vittorio Giunciuglio, genovese, uomo piacevole e molto interessante, con una cultura impressionante.  Non ci conoscevamo personalmente, ma ogni tanto imbastivano  lunghe telefonate sulla storia locale  delle varie città. Non riuscivo a collegarmi   e il  messaggio registrato di  Telecom Italia che  “ il numero selezionato è inesistente” mi impensieriva molto,   poi una ricerca su internet mi  ha confermo la  triste realtà, Vittorio Giunciuglio: il grande appassionato della storia di Genova, ma soprattutto innamorato alla follia della sua città, alla quale aveva dedicato tutto il suo tempo,  se ne era  andato  il 2 agosto del 2008.

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Giu 03 2009

QUESTA EUROPA MODERNA COSI’ CLASSICA

Category: Cultura e dintorni,Storia e dintornigiorgio @ 07:50

Da Il fondo di Miro Renzeglia

Luca Leonello Rimbotti

 

Il rinnovato interesse che la storiografia recente dimostra per l’antichità greco-romana è senz’altro un indice positivo. Al di là di singole interpretazioni anche discutibili, esso è la prova che l’ideologia artefatta della globalizzazione non è sufficiente a dare credibilità, se non ai livelli sociali già interiormente minati dal cosmopolitismo. I ceti di “nuovi ricchi” e le masse borghesi che aspirano a integrarsi nel modello consumistico occidentale non si pongono problemi di identità. Chi invece vede con chiarezza la portata dell’inganno universalista ed egualitario va in cerca delle radici e le trova proprio nel mondo classico e nelle sue propaggini barbariche. Che insieme, costituiscono un unicum. Il luogo in cui l’identità tribale delle gentes europee e l’ideologia dell’Impero si incontrarono, interagendo l’una con l’altra, è il luogo di nascita dell’Europa quale intendiamo preservare dalla finale distruzione.

 

L’Impero romano non fu, in fondo, che l’espressione massima – in termini civili e territoriali – di una gens tribale, nata guerriera e contadina nel piccolo spazio della terra dei padri. Dalla res publica laziale all’Imperium mondiale si ha solo una modificazione di quantità, non di qualità. Gli Dei abbattuti da Teodosio e maledetti da Tertulliano o Ambrogio con accenti di inaudita violenza, erano nel IV-V secolo dopo Cristo gli stessi di mille anni prima. Anche la figura nobile e accorata del vir romano arcaico rimase sostanzialmente la stessa nella tarda antichità. Gli accenti di amore per Roma di un Rutilio Namaziano sono molto da vicino paragonabili a quelli di un Catone, vissuto sei secoli prima. La tarda Romanità, fino a quando non sopraggiunse il collasso finale, presenta grandi esempi di continuità ideale con la tradizione arcaica. Prendiamo un caso.

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Mar 26 2009

Discorso di Critognato

Category: Autonomie Indipendenze,Cultura e dintornigiorgio @ 08:16

Giulio Cesare: Discorso di Critognato –

l discorso di Critognato durante l’assedio di Alesia è l’unico riportato in forma diretta nel De bello Gallico: davvero una singolare eccezione da parte di Cesare nei confronti dello spregiudicato capo arverno, che alla fine del suo discorso giungerà a proporre il cannibalismo come estremo mezzo di resistenza.

(77)     At ii qui Alesiae obsidebantur praeterita die qua  auxilia suorum exspectaverant, consumpto omni frumento, inscii quid in Haeduis gereretur, concilio coacto  de exitu suarum fortunarum consultabant ac variis dictis  sententiis quarum pars deditionem, pars dum vires suppeterent eruptionem censebat, non praetereunda videtur oratio Critognati propter eius singularem ac nefariam  crudelitatem. Hic summo in Arvernis ortus loco et magnae  habitus auctoritatis ‘nihil’ inquit ‘de eorum sententia  dicturus sum, qui turpissimam servitutem deditionis nomine appellant, neque hos habendos civium loco neque  ad concilium adhibendos censeo. Cum his mihi res sit, qui  eruptionem probant. Quorum in consilio omnium vestrum  consensu pristinae residere virtutis memoria videtur,  animi est ista mollitia, non virtus, paulisper inopiam ferre  non posse. Qui se ultro morti offerant facilius reperiuntur  quam qui dolorem patienter ferant. Atque ego hanc sententiam probarem – tantum apud me dignitas potest -,  si nullam praeterquam vitae nostrae iacturam fieri viderem; sed in consilio capiendo omnem Galliam respiciamus,  quam ad nostrum auxilium concitavimus: quid hominum  milibus LXXX uno loco interfectis propinquis consanguineisque nostris animi fore existimatis, si paene in ipsis cadaveribus proelio decertare cogentur? nolite hos vestro  auxilio exspoliare qui vestrae salutis causa suum periculum neglexerunt, nec stultitia ac temeritate vestra aut  animi imbecillitate omnem Galliam prosternere et perpetuae servituti addicere. An quod ad diem non venerunt,  de eorum fide constantiaque dubitatis? quid ergo? Romanos in illis ulterioribus munitionibus animine causa cotidie exerceri putatis? si illorum nuntiis confirmari non  potestis omni aditu praesaepto, his utimini testibus adpropinquare eorum adventum, cuius rei timore exterriti  diem noctemque in opere versantur. Quid ergo mei consilii est? facere quod nostri maiores nequaquam pari bello Cimbrorum Teutonumque fecerunt: qui in oppida compulsi ac simili inopia subacti eorum corporibus, qui aetate  ad bellum inutiles videbantur, vitam toleraverunt neque  se hostibus tradiderunt. Cuius rei si exemplum non haberemus, tamen libertatis causa institui et posteris prodi  pulcherrimum iudicarem. Nam quid illi simile bello fuit?  depopulata Gallia Cimbri magnaque inlata calamitate  finibus quidem nostris aliquando excesserunt atque alias  terras petierunt; iura, leges, agros, libertatem nobis reliquerunt. Romani vero quid petunt aliud aut quid volunt  nisi invidia adducti quos fama nobiles potentesque bello  cognoverunt, horum in agris civitatibusque considere  atque his aeternam iniungere servitutem? neque enim  umquam alia condicione bella gesserunt. Quodsi ea quae in longinquis nationibus geruntur ignoratis, respicite finitimam Galliam, quae in provinciam redacta, iure et legibus commutatis, securibus subiecta perpetua premitur  servitute.’

(78)     Sententiis dictis constituunt ut ii, qui valetudine  aut aetate inutiles sint bello, oppido excedant atque omnia prius experiantur quam ad Critognati sententiam descendant; illo tamen potius utendum consilio, si res  cogat atque auxilia morentur quam aut deditionis aut  pacis subeundam condicionem. Mandubii qui eos oppido  receperant, cum liberis atque uxoribus exire coguntur. Hi cum ad munitiones Romanorum accessissent, flentes  omnibus precibus orabant ut se in servitutem receptos  cibo iuvarent. At Caesar dispositis in vallo custodiis recipi  prohibebat.

(77) Ora quelli che erano assediati dentro Alesia, passato il giorno nel quale aspettavano i rinforzi, consumato tutto il frumento, ignari di ciò che accadeva in quel degli Edui, adunarono il consiglio per deliberare sulla situazione. Vari furono i pareri; chi proponeva la resa, chi consigliava, fin che le forze bastavano, una sortita. Ma tra gli altri discorsi, non  mi sembra di dover tacere quello di Critognàto in grazia della sua singolare e spaventosa atrocità. Costui, che era un arverno di grande famiglia e di alto prestigio:

“Nulla dirò” disse “circa la proposta di coloro che dànno il nome di resa alla più turpe schiavitù; non li considero neppure cittadini e non voglio neppure ascoltarne il parere. Io parlo soltanto a coloro che vogliono una sortita, perché nella loro proposta mi sembra, e certo vi consentite voi tutti, che sia ancor vivo il ricordo dell’antico valore. Mollezza d’animo è, non valore, il non saper sopportare un poco di carestia. E’ più facile trovare chi si voti alla morte, che non chi sia pronto a sopportare il dolore. Ed io potrei anche accettare la sortita, tanto è il mio senso dell’onore, se non vedessi in pericolo nient’altro che la nostra vita. Ma prima di deliberare, noi dobbiamo volger lo sguardo a tutta la Gallia, che abbiamo sollevato per recarci aiuto. Pensate: che animo sarà quello dei nostri congiunti, dei nostri consanguinei, se, dopo il massacro di ottantamila uomini dentro a questa piazza, essi saranno costretti a combattere, si può dire, sopra i nostri cadaveri? Ah, non vogliate privar del vostro aiuto chi ha obliato il proprio rischio per la vostra salvezza; non vogliate, per la vostra stoltezza, per la vostra temerità, per la vostra debolezza d’animo gettare a terra tutta la Gallia e consegnarla a un eterno servaggio. Perché non son giunti proprio nel giorno fissato, dubitate dunque della loro fede e della loro costanza? E che? Credete forse che i Romani lavorino senza posa, quotidianamente, alle fortificazioni esterne, così, per passatempo? Se non potete averne la sicurezza dai loro messaggi, perché è chiuso ogni passo, vi provi il comportamento dei Romani che il loro arrivo è vicino; dei Romani, che vinti dal terrore di questo arrivo, lavorano febbrilmente e giorno e notte. Qual è dunque il mio parere? Fare quello che i nostri antichi fecero nella guerra, ben meno grave di questa, dei Cimbri e dei Teùtoni. Essi, ricacciati nelle loro fortezze, e torturati da una carestia come questa, si sostentarono con le carni di coloro che l’età rendeva inabili alla guerra, e non si consegnarono ai nemici.  E se già non ne avessimo l’esempio, io proporrei di darlo qui la prima volta per amore della libertà, e di tramandarlo come stupendo ai posteri. Perché, che cos’ebbe quella guerra di comune con questa? I Cimbri, devastata la Gallia e copertala di sciagure, pur una buona volta uscirono dal nostro paese e cercarono altre terre; diritti, leggi, terreni, libertà, tutto essi ci lasciarono. Ma i Romani, gelosi di tutti coloro di cui conoscono la nobile fama e la potenza guerriera, che altro chiedono o vogliono, se non stabilirsi nelle loro campagne e nelle loro città ed infliggere loro un eterno servaggio? Nessuna guerra con altro scopo essi fecero mai. Che se voi ignorate ciò ch’essi fanno in lontani paesi, guardate la Gallia a noi vicina, che, ridotta a provincia, privata dei suoi diritti e delle sue leggi, soggetta alle scuri, si trova oppressa da una servitù senza fine”.

(78) Finita la discussione, fu deciso che coloro che per salute o per età erano inabili alla guerra uscissero dalla fortezza, e che tutto si tentasse prima di giungere fino a seguire la proposta di Critognàto; nondimeno, si sarebbe ricorso anche a questo, se la necessità lo imponesse e tardassero gli aiuti, piuttosto che trattare la resa o la pace. I Mandùbii, che li avevano accolti nella loro città, vengono costretti ad uscire coi figli e le mogli. Giunti alle difese romane, piangendo, con mille preghiere, supplicavano che li prendessero come schiavi, pur d’aver da mangiare. Ma Cesare, posti corpi di guardia sul vallo, vietò di riceverli.

Fonte: De bello Gallico


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